La strana questione del brigantaggio nel Sud
Le cause della cosiddetta protesta sociale meridionale presentavano molte anomalie

L’Italia del Sud con l’esclusione della Sicilia venne investita fra il 1860 e il 1865 da una grande recrudescenza del brigantaggio e insieme da sollevazioni popolari locali che provocarono diverse migliaia di morti. Tale situazione mise in difficoltà il Governo che dovette intervenire pesantemente con l’esercito ed emanare la dura Legge Pica per contenere le violenze.

Tale triste evento ha portato molti studiosi politicizzati a parlare di protesta sociale dei contadini verso il Governo Liberale Piemontese che in qualche modo vessava le classi popolari meridionali. Questa interpretazione non appare condivisibile per molte ragioni. Intanto la ferocia dei briganti, che non faceva certo pensare a gruppi di uomini che lavorassero per una qualche forma di rinnovamento o di riscatto della società. Dovrebbe poi far riflettere che singolarmente questa esplosione di malcontento non colpiva la Sicilia, dove non operavano i gruppi filo borbonici. Altrettanto dovrebbero far riflettere i successi elettorali della Destra cavouriana nel periodo postunitario, indice di buon gradimento dei Governi di allora, e la scarsa opposizione dei deputati meridionali in Parlamento. Ma soprattutto, l’idea di un brigantaggio come reazione al malgoverno trova un pesante limite nel fatto che lo scoppio fosse avvenuto prima della proclamazione dell’unità d’Italia, quando ancora Garibaldi governava da Napoli. I primi luogotenenti del Re a Napoli nominati dopo la partenza del capo dei Mille erano moderati che tentarono di associare i funzionari ex borbonici nel nuovo Stato, la nomina del più energico Generale Cialdini avvenne solo dopo alcuni tragici eventi nel luglio 1861.

Gli storici hanno individuato come cause del fenomeno brigantaggio, la maggiore fiscalità del nuovo Stato, la coscrizione obbligatoria, e l’utilizzo delle terre precedentemente destinate ad uso comune (per pascolo e legnatico) a favore di singole aziende. Questioni che riguardavano l’Italia intera e non solo le regioni meridionali. Gli storici ritengono, inoltre, che un apporto determinante sia venuto dalla ex Casa Regnante Borbone che inviò uomini e mezzi per provocare una sollevazione come era avvenuto nel 1799 contro Napoleone. La Chiesa si sentiva minacciata dal nuovo Stato e anch’essa si prestò a tale operazione, mentre per ragioni diverse, ufficiali e soldati del precedente esercito borbonico nel periodo del suo sbandamento, scelsero di porsi a capo di alcune proteste locali. La situazione di confusione e di vuoto di poteri determinata dall’arrivo di Garibaldi a Napoli fu il terreno ideale per il brigantaggio e per il ribellismo locale, una situazione che potrebbe ricordare ai tempi nostri quella dell’Iraq del dopo Saddam. Secondo lo studioso meridionalista dell’epoca Pasquale Villari, il fenomeno brigantesco era da ricercarsi non in un ingiusto intervento del nuovo Stato (anzi riteneva espressamente valida la sua politica in infrastrutture e nella vendita delle terre demaniali), ma più in generale nella ignoranza e povertà dei contadini del Meridione. Le stesse ragioni vennero sostenute dalla commissione parlamentare d’inchiesta Giuseppe Massari nel 1863, ricordiamo a tal proposito che l’analfabetismo raggiungeva il 90% della popolazione meridionale contro il 50% di quella del Nord, le retribuzioni del lavoro agricolo erano estremamente basse, ma l’idea che i terreni ex demaniali fossero gestiti da persone prive del minimo di cultura non appariva molto convincente nemmeno per i sostenitori di Garibaldi.

Come dicevamo, colpisce del fenomeno brigantaggio il suo avvio in tempi troppo brevi per poter parlare di esso come causato dalla politica del Governo unitario, ricordiamo che Garibaldi entrò a Napoli nel settembre del 1860. Nello stesso mese nel Beneventano, nell’Irpinia, nel Molise, nel Foggiano, erano attivi gruppi consistenti di irregolari borbonici, mentre il colonnello Klitsche De La Grange e il civile Domenico Giorgi operavano in Abruzzo con soldati regolari e gruppi assoldati, successivamente ritiratisi nello Stato Pontificio. Nell’autunno di quell’anno operava fra Sora e il Volturno il brigante filo borbonico Chiavone che nell’anno successivo venne raggiunto da un ufficiale di origine spagnola, Rafael Tristany, inviato dai Borboni. Nel marzo del 1861 il capo brigante filo borbonico Carmine Crocco occupò Lagopesole vicino a Potenza e nel mese successivo Melfi, dando il via alle scorrerie in tutta la Basilicata e nell’Irpinia. Fu forse la banda numericamente maggiore, arrivando a contare 1.200 uomini. A settembre sbarcò in Calabria il principale fra gli ufficiali inviati dai borbonici, José Borges, che tentò di unirsi a loro ma i rapporti divennero invece di aperto contrasto. Nello stesso periodo operava in una vasta zona dal Casertano al Beneventano la banda dei fratelli La Gala, in parte criminali comuni e in parte filo borbonici, mentre nella Sila operava Pietro Monaco, per un certo periodo garibaldino. In Molise era attivo Michele Caruso, contattato dai Borbonici dopo il febbraio 1861, la cui banda ebbe il momento di maggiore successo l’anno successivo.

Già nell’inverno 1860-1861 si ebbero nel Cosentino e nel Catanzarese le agitazioni dei senza terra per l’utilizzo delle terre demaniali. A Matera e in altri paesi della regione analogamente si ebbero tumulti popolari per l’assegnazione delle terre demaniali ancora prima, nell’agosto 1860. Non andrebbe poi dimenticato per una corretta valutazione, l’episodio di Bronte in Sicilia con gli uomini del paese giustiziati da Garibaldi. A fronte di tali vicende viene anche da chiedersi, se il brigantaggio fu una forma di protesta sociale, perché contadini poveri e braccianti scelsero di militare nel campo della conservazione? Negli ultimi tempi la pubblicistica ha messo in risalto gli eccessi della repressione, ma va ricordato che le violenze contro i cosiddetti «galantuomini» liberali, spesso non proprietari terrieri, ma borghesi delle piccole città, furono estremamente gravi. Il brigantaggio comunque non ebbe lunga vita, cominciò a perdere colpi nel 1862 e terminò nel 1865.

La questione brigantaggio presenta altre numerose incognite, i morti (in combattimento o in successive esecuzioni) furono per la maggior parte degli storici 5.000, ma altri si spingono a considerarne 120.000 solo quelli fucilati. Secondo uno dei più autorevoli studiosi del fenomeno, Franco Molfese, le bande furono circa 400 con una media di una quindicina di unità, quindi si ipotizza un totale di 6.000 uomini. A questi vanno aggiunti i cosiddetti manutengoli, ovvero i fiancheggiatori, in ogni caso la cifra di 120.000 fucilati appare del tutto esagerata.

All’interno della questione brigantaggio, va poi inserito l’episodio terribile di Pontelandolfo. Il paese di 5.000 abitanti nel Beneventano fu teatro nell’agosto del 1861 dell’uccisione da parte di popolani aizzati di una quarantina di soldati precedentemente torturati e dei quali venne fatto successivo scempio dei cadaveri. La reazione del Generale Cialdini, luogotenente del Re (ma di orientamento favorevole alla Sinistra), fu pesante, espressamente scrisse di «non lasciare pietra su pietra» del paese. I bersaglieri arrivati per la rappresaglia diedero fuoco a quasi l’intero paese. Sul numero di vittime il contrasto è notevole, alcuni parlano di centinaia (o di un migliaio) sulla base probabilmente della dichiarazione di un bersagliere presente sul posto, ma certamente tale cifra appare insolita. Generalmente le rappresaglie potevano portare a una decina o al massimo qualche decina di vittime. Il deputato della Sinistra Ferrari, arrivato sul posto poco tempo dopo, pur considerando la gravità degli episodi, raccolse testimonianze sull’uccisione di due fratelli (di famiglia borghese) derubati anche dei loro averi, della violenza carnale su una donna, e riferiva: «Qua due vecchie periscono nell’incendio, là alcuni sono fucilati». In tempi recenti lo studioso Davide Fernando Fanella sulla base del resoconto del parroco di Fragneto che constatò i fatti per redigere gli atti civili, ha stabilito che i morti fossero 13.

Il dibattito sulla questione è molto acceso, anche sui siti web si leggono affermazioni dure che stonano completamente con l’approccio storico serio. Quella del brigantaggio postunitario fu una tragedia, la guerra provocò migliaia di morti e fu combattuta in maniera durissima, colpisce tuttavia che alla base di essa (oltre alla secolare povertà) ci fossero provvedimenti amministrativi ordinari che avevano attuazione in tutti i Paesi Europei di allora, la sostanziale futilità di tali questioni, non credo che si possano adoperare altri termini, non può non far riflettere.

(marzo 2015)

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