Amici e nemici nel Risorgimento
Giovanni Miani ed Ermete Pierotti, due patrioti, esploratori e scienziati da riscoprire

Giovanni Miani è nome noto. Conosciuto come esploratore, la sua emblematica storia va riscoperta, anche per capire la singolare sua relazione che lo legò all’amico-nemico ingegnere Ermete Pierotti. Di quest’ultimo ho già accennato in un precedente articolo pubblicato sul sito.

Giovanni Miani è figura emblematica. Nacque a Rovigo nel 1810 da una domestica, Maddalena Miani. Non ebbe un padre legittimo, mentre i fratelli della madre, Giovanni, architetto, e Guglielmo, padre quest’ultimo del Generale Antonio Miani, sono noti.

La madre del nostro lavorò a lungo a Venezia come cameriera presso il nobile Bragadin, dove portò anche il figlio, che in quella casa venne educato. Grazie all’educazione ricevuta il giovane poté interessarsi soprattutto di musica, studiando in vari conservatori e scrivendo poi una Storia universale della musica, che cercò di pubblicare. Morto il nobile veneziano Bragadin, egli ereditò una cospicua cifra che spese per viaggiare e comporre l’opera universale sulla musica. Il suo impegno più corposo divenne a partire da 1840 quello risorgimentale. Fu vicino al Generale Andrea Ferrari, e combatté sia nella Repubblica Romana che accanto a Daniele Manin. Tradotto in carcere, andò poi a Malta dove prese a insegnare. Fu a quel punto che Miani iniziò non solo a viaggiare, ma a porsi come obiettivo l’esplorazione delle sorgenti del Nilo. Nel 1853 in Palestina Miani conobbe Ermete Pierotti con cui fraternizzò e che convinse a sostenerlo finanziariamente. Quando però Pierotti si dichiarò non più disposto a finanziarlo, Miani tradì l’amico diffondendo una documentazione comprovante i coinvolgimenti di Pierotti in una vicenda genovese di aggiotaggio di qualche anno prima, che lo mise in cattiva luce. Da allora Ermete dovette difendere la propria reputazione contro coloro che approfittarono di tali circostanze per screditarlo e ricattarlo. Miani proseguì le sue avventure sul Nilo che gli valsero in anni successivi delle onorificenze. Aveva infatti svolto un viaggio in Nubia dal 1857 al 1860. Non da solo, ma con i Francesi Revol di Lione e Poussel di Avignone. Grazie a tale collaborazione le sue scoperte furono pubblicate in un volume a Parigi, volume che fu presentato a Napoleone III. La prima spedizione sul Nilo è del 1859. Seguirono una seconda e una terza spedizione. Ricevette finanziamenti da varie fonti, tra le quali Sua Maestà Vittorio Emanuele II di Savoia, che gli conferì il titolo di cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro; Muhammad Sharif Pascià; Abdul Aziz, Sultano degli Ottomani. Ulteriori fondi arrivarono dal Governatore del Sudan.

Svolse inoltre ricerche per alcuni musei europei; lavori saltuari per conto di commercianti e indagini economiche per la Camera di Commercio. Morì durante la quarta e ultima spedizione sul Nilo nel 1872, distrutto dalle fatiche e indebolito per svariate patologie, tra cui una necrosi a un braccio. La sua tomba, depredata, fu poi ritrovata e i suoi resti oggi riposano a Rovigo presso il museo dell’Accademia dei Concordi.

Di Ermete, l’amico cattolico liberale di Pieve Fosciana, oggi in provincia di Lucca ma all’epoca della nascita di Ermete in provincia di Modena sotto gli Asburgo d’Este, ho descritto in rete sul sito alcune vicende. Recentemente sono stati alcuni ricercatori tedeschi ad aver ulteriormente chiarito la difficile condizione di questo patriota-esploratore-scienziato. Un ingegnere promettente che per la verità era fuggito dall’Italia dopo i fatti del 1848 perché accusato di aggiotaggio e per questo espulso dall’esercito sabaudo di cui faceva parte. Apprendiamo che da Sarzana si diresse ad Atene, Sparta, Corinto, Micene, Messina, Argo, Maratona, solo per citare alcuni nomi più conosciuti della Grecia e Magna Grecia. Tra il 1850 e il 1851 lo troviamo nelle Isole Ionie. Scoprì persino le fondamenta della biblioteca di Alessandria.

Mi soffermerei, per descrivere il personaggio, proprio sulle Isole Ionie che all’epoca erano gli «Stati Uniti» del Mediterraneo.

A lungo possesso veneziano, dopo la sconfitta della Serenissima durante l’epoca napoleonica passarono alla Francia fino a quando, col Congresso di Vienna, divennero protettorato britannico. La Gran Bretagna cedette il protettorato alla Grecia a partire dal 1864, ponendo sul trono greco un Re Danese imparentato con la dinastia regnante inglese. Governatore delle Isole era stato negli anni Quaranta del XIX secolo il barone d’Everton, alias Charles Sebright, futuro Sir nel 1870. Durante il 1848 in verità Sebright fu accusato di aver cospirato con il popolo e per questo retrocesso a Governatore solo dell’isola di Santa Maura.[1]

Evidentemente fu riabilitato, se nel 1870 fu fatto Sir dalla Regina Vittoria. A ogni modo il barone d’Everton a sua volta era un plebeo nobilitato dal Duca Carlo Ludovico di Borbone-Parma durante il suo Ducato Lucchese, intorno agli anni Trenta del XIX secolo. Rimase poco nella città toscana e lo troviamo a cospirare, da una lettera rintracciata in quel di Cefalonia nel 1843, insieme al Duca medesimo e ad altri Sovrani della Penisola, con complici accesi mazziniani.[1]

Sicuramente tale collaborazione non dovette dispiacere neppure a sua Maestà Britannica.

Alcuni cugini di Ermete furono invischiati in tali manovre. Se ne deduce che il viaggio di Ermete non fosse solo «contemplativo». Anche se nel 1850 le vicende del Quarantotto erano ormai concluse e un diverso indirizzo politico iniziò a profilarsi all’orizzonte. Quel 1848 fu uno spartiacque e l’ingegnere di stanza a Genova verosimilmente si trovò invischiato in situazioni complesse sul piano politico che determinarono questo suo comportamento poco limpido. Ciò che sappiamo con certezza e che stupisce è che un ricercato che fuggì dal proprio Paese e su cui pendeva la possibilità di una condanna, radiato dall’esercito, trovasse la forza e il denaro, prima di giungere in Palestina, di fare un «tour» nei territori ellenici e in Medio Oriente.

Apparteneva a famiglia garfagnina di antiche origini ma addirittura finanziarsi un lungo viaggio prima di approdare in Palestina sembra quanto meno poco comprensibile. Come spiegare tutto questo?

L’incontro in Palestina nel 1853 con Giovanni Miani, probabilmente non fu casuale. Il Miani era stato molto vicino al Generale Andrea Ferrari, napoletano, che a sua volta aveva conosciuto e collaborato col patriota Tito Livio Zambeccari. Il quale intorno al 1840 in Lucca aveva collaborato con i cugini di Pieve Fosciana di Ermete. Questo lascia trasparire scenari poco esplorati, preludendo in ogni caso a questioni risorgimentali tuttora irrisolte.

Se Ermete Pierotti dapprima finanziò il Miani per poi ritrarsi, doveva presumibilmente avere nell’uno e nell’altro caso validi motivi. Esaminiamo concretamente i fatti.

Pierotti infatti non era uno sprovveduto e sapeva quanto avrebbe rischiato con questa scelta, cosa che infatti gli valse ripetute denunce circa il suo stato di latitante e non pochi guai.

Miani salì agli onori delle cronache, ricevendo in Patria considerazione. Pierotti, al contrario, dovette difendersi in tribunale a Genova dalla vecchia accusa di aggiotaggio, cercando lui stesso, ormai trasferitosi in pianta stabile a Parigi, di far imbastire un processo a suo carico per difendersi dall’accusa mossagli. Venne condannato a un anno di carcere ma mai pagò, se non con ammende, la sua colpa, vivendo prioritariamente all’estero. Lo ritroviamo qualche anno dopo a Londra col Reverendo Barney, suo caro amico, che lo ospitò in un momento difficile per lui sul piano personale: problemi di salute lo afflissero e l’amico inglese non solo lo ospitò aiutandolo a curarsi, ma finanziò la pubblicazione delle sue ricerche.

Il Reverendo Barney era membro della Royal Society. Pare poi che Ermete Pierotti fosse stato arruolato dallo Zar, come una sorta di spia a Pietroburgo. Pur mantenendo residenza in pianta stabile a Parigi e naturalmente pubblicando sia a Parigi grazie alla tipografia Rothschild che a Genova per i fratelli Pellas. E naturalmente a Londra grazie anche all’influenza e l’aiuto diretto dell’amico Reverendo Barney. Non avendo pagato la sua pendenza con la giustizia, l’ingegnere rimase sempre personaggio presente ma senza ricevere gli onori che ad altri vennero tributati, primo tra tutti l’esploratore Miani, suo ex amico e collaboratore. Tuttavia dalle pubblicazioni traspare che Pierotti, convinto cattolico liberale propenso ad annullare il potere temporale dei Papi in nome di una più ampia laicità statuale, fu «vicino» alla volontà e politica di Sua Maestà Vittorio Emanuele II che elogiò direttamente in una sua opera che descrive a suo modo il ruolo importante per l’Italia della nuova dinastia regnante sabauda. Solo un modo per ingraziarsi il Sovrano? Oppure altro? Ricordo che nel 1840 in Lucca presenti i cugini del Pierotti, Tito Livio Zambeccari e il figlio di Ciro Menotti nonché la vedova di Ciro, Polissena, in combutta con i mazziniani fratelli Fabrizi, pare anche loro imparentati con cugini degli stessi Pierotti e con loro in stretta relazione politica (erano i Fabrizi originari di Sassi Eglio), tutti si prodigavano per le questioni risorgimentali del periodo.

Una lettera in codice definisce come tali vicende in Lucca prevedessero la presenza sul campo sia del Sovrano Carlo Ludovico di Borbone-Parma, allora Duca di Lucca, sia del principe di Carignano, futuro Vittorio Emanuele II. La concomitanza tra la lettera (1843) e la presenza dei Pierotti in Lucca con Zambeccari (1840) suggerisce una comunione d’intenti. I Pierotti nella lettera del 1843 non sono citati ma è citato Paolo Fabrizi, quello stesso Paolo che nel 1840 era in comunione con i Pierotti di Pieve Fosciana e Castelnuovo Garfagnana. Evidentemente anche Ermete era vecchia conoscenza del Sovrano Sabaudo. Ermete restò nell’ombra, neppure è certa la data della sua morte.

Il 1880 viene indicato come data ufficiale, ma nel 1888 troviamo una sua pubblicazione e dunque è difficile stabilire la reale data del decesso. Questo almeno stando a quanto le fonti tedesche suggeriscono. Che cosa poteva davvero aver accomunato l’esploratore Miani e il matematico e ingegnere Pierotti? Gli esploratori avevano in comune in quegli anni una volontà di conoscenza che si traduceva per gli Stati in una possibilità di conquista, anche coloniale. Penso alle sorgenti del Nilo, che Miani esplorò e a quello che rappresentarono per le potenze europee in quegli anni. Sono gli anni in cui venne aperto il canale di Suez, che rappresentò un momento decisivo nel migliorare e potenziare i traffici marittimi e commerciali tra i Paesi Europei e l’Asia. Mi si dirà, l’Italia non poteva partecipare come altre potenze, nella stessa misura, a tali traffici. Comunque anche il nascente Stato Italiano si inseriva a pieno titolo nella politica espansionistica di quegli anni, se non altro sulla carta, in un’ottica di crescita economica e politica.

Il ruolo di questi personaggi era davvero importante nel coinvolgere l’opinione pubblica borghese che leggeva e si nutriva delle loro carte, in una visione economica espansiva. Non posso entrare nel merito di rapporti privati che francamente non conosco. Ma sul piano pubblico pare abbastanza sensato pensarli insieme come carnefici e vittime allo stesso tempo di un sistema Europa in crescita, estremamente espansivo, titolato a mostrare i propri artigli. Vista la sua condizione, possiamo pensare a un Ermete Pierotti la cui Patria d’origine potesse anche andare stretta. Miani, sicuramente più presentabile, viveva la neo Patria come qualcosa che gli apparteneva del tutto, pur privilegiando il suo essere esploratore-scienziato. Affascinanti dinamiche risorgimentali che invitano il lettore a riflettere in modo non univoco su vicende non del tutto esplorate.

Nella prima metà del XIX secolo un Generale Napoletano che aveva combattuto a lungo nelle file napoleoniche, Andrea Ferrari, ebbe un ruolo decisivo. Per anni rimase arruolato nella Legione Straniera Francese fino a quando non divenne parte integrante dell’esercito di Pio IX. A quel periodo risale la collaborazione con Miani e Zambeccari, e aggiungerei con lo stesso Pierotti che con Zambeccari ebbe sicuramente un importante legame, se non altro familiare. Ciò a riprova dell’unicità e presenza determinante dell’esercito napoletano che aveva fatto la storia del periodo napoleonico prima con Giuseppe Bonaparte e poi con Gioacchino Murat. Quando Paolo Fabrizi era a Malta piuttosto che in Sicilia dove voleva l’insorgere del popolo che qui avrebbe dovuto ribellarsi ai propri Sovrani restaurati per far prevalere forze liberali e nello specifico mazziniane, riaffiora sempre più ampia la presenza di tali quadri partenopei e di una visione unitaria confederale che avrebbe dovuto tutelare la complessiva compagine nazionale. Andrea Ferrari, che era nato nel 1770 a Napoli e che aveva rappresentato quella forza propulsiva del Secolo dei Lumi sfociata poi nei primi anni del XIX secolo nell’epopea napoleonica e successivamente nella forza di non arrendersi di fronte a una anacronistica restaurazione, che morì combattendo nel 1849 contro i Francesi in nome della Repubblica dopo aver servito Pio IX, per tutelare un Risorgimento che non contemplava il vendersi allo straniero, in suo nome sia Miani che Pierotti evidentemente avevano creduto e operato fattivamente. La matrice familiare di Pierotti era quella di un liberalismo cattolico che non prevedeva compromessi col vecchio regime, che accoglieva istanze di modernità contro il potere temporale dei Papi. Un mazzinianesimo impuro ma che prevedeva un Sud libero dal giogo di forze straniere come del resto l’intera Penisola; che amava condividere una crescita temporale e spirituale unica, e che la borghesia dell’intero stivale, in primis napoletana, aveva da lungo tempo sostenuto. Le contrapposizioni più accese furono successive, e non dettero margine a soluzioni diverse da quella centralistica sabauda che si profilò.


Note

1 Sir Lirkwall, Quattro anni nelle Isole Ionie, 1864.

2 Lettera del 1843 di Antonio Mordini che appartiene all’ingegnere Enrico Marchi di Lucca.

(luglio 2022)

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