Accademia letteraria Pino
Torino, 1832…

Nel Piemonte degli anni Trenta-Quaranta del XIX secolo troviamo un’Accademia letteraria, oggi poco conosciuta, ma che all’epoca ebbe un ruolo essenziale nelle vicende italiane. Io l’ho rinvenuta per pura casualità, grazie alla stesura di una tesi. Propongo dunque un documento del patriota Luigi Rocca, che ritengo importante, rinvenuto nel mio percorso.[1] [2]

Il nome Accademia Pino deriva dal canonico Clemente Pino, che fondò negli anni Trenta del XIX secolo questa Società, prima solo tollerata da Sua Maestà, Re Carlo Alberto, poi ufficialmente registrata. L’Accademia letteraria fondata dal canonico fungeva da luogo d’incontro dei principali patrioti piemontesi ed era in stretto contatto con membri del Gabinetto Vieusseux.

Ciò solo ufficiosamente, perché l’ufficialità la voleva dedita alla promozione delle Arti e delle Lettere in Piemonte. Presso questa Accademia non troviamo soltanto uomini moderati e cattolico-liberali. Alcuni di questi ivi sono citati; ma, viste le frequentazioni, in realtà anche democratici come Lorenzo Valerio non ne disdegnarono senz’altro i contenuti.[3]

Non intendo addentrarmi nelle singole e complesse questioni dell’Accademia, peraltro solo accennate dal Rocca; bensì considerare il documento come uno strumento che offre molti spunti di riflessione per ripercorrere i tratti salienti del nostro Risorgimento alle sue origini.

«Volgeva il 1832; Carlo Alberto, malgrado le mene dei partigiani della Santa Alleanza, i quali temevano, non a torto, le generose aspirazioni di lui, era da poco succeduto al Re Carlo Felice. E, nonostante sin dai primi giorni del suo regno cercasse di migliorare le condizioni del medesimo, era tuttavia costretto da prepotenti ragioni a procedere oltremodo cauto nella esecuzione dei suoi progetti. Davvero poco, e in principio anzi quasi nulla fece per favorire l’istruzione e lo sviluppo delle intelligenze, tanto che per parte della “setta gesuitica”, o apertamente, o con celate arti, si macchinava senza posa per mantenere il popolo nella più crassa ignoranza».[4]

Luigi Rocca tiene dunque a precisare che non assolve in alcun modo l’operato di Carlo Alberto di quegli anni, volendo però giustificare in qualche modo la complessità del suo procedere. Il suo essere Sovrano non lo mise al riparo dunque dalle numerose insidie e spaccature che il piccolo Regno Sabaudo presentava al suo interno. Un partito conservatore dispotico faceva da sfondo ad un più generale bisogno di cambiamento che alcuni membri illuminati della casta nobiliare sostennero, accanto ad un nutrito ceto medio.

Fu in quel frangente che «l’operoso canonico Clemente Pino, animato dal desiderio di favorire i buoni studi allettando la gioventù con varie esercitazioni accademiche, di concerto col canonico Denegri, fondò a proprie spese e in casa sua a Torino un’Accademia Letteraria. Non fu poca cosa, dato che in quel periodo il Governo Piemontese si opponeva ad ogni riunione di cittadini, e contrario ai due menzionati canonici appariva l’Arcivescovo Fransoni, avverso sistematicamente ad ogni linea di progresso, come egli dimostrava osteggiando soprattutto l’istituzione del Ricovero di Mendicità e delle Scuole Infantili.

Già in questa circostanza venne ad appalesarsi la reale volontà di Carlo Alberto. Se da un lato egli favoriva il partito dominante, talvolta mostrava alcune velleità, dirò così, di liberalismo». La sua fu un’altalena che di fatto negli anni offrì il fianco alla realizzazione di una complessa Unità Italiana.

«E già in quel periodo per suo espresso ordine venne accordato dal Ministero dell’Interno il consenso alle riunioni dell’Accademia, con l’obbligo di dover rinnovare ogni anno la domanda, attenendosi a tutte le prescrizioni che egli avrebbe emanato in proposito. Tutta la gioventù universitaria piemontese accolse con entusiasmo l’annuncio di questa concessione; i più fecero a gara per cercare il modo di presentarsi al Promotore dell’Accademia ed ottenere da lui la facoltà d’intervenire alle sue adunanze.

In poco tempo, col concorso di personaggi illustri piemontesi più maturi di età rispetto agli studenti universitari, si formò un nucleo tale che migliore non si sarebbe potuto desiderare. Fu acclamato all’unanimità presidente il canonico Pino; in una prima adunanza si stabilirono le basi della società e si pose l’Accademia sotto la protezione di San Francesco di Sales, in onore del quale si sarebbe fatta annualmente una seduta speciale».

La figura di San Francesco di Sales cui si ispirarono i canonici Pino e Denegri nel Piemonte di quegli anni appare particolarmente significante, anche sul piano politico.

Savoiardo, vissuto a cavallo tra il XVI e XVII secolo, il Santo fece del dialogo con i protestanti motivo di analisi e di confronto, così come i menzionati canonici. Non casuale dunque la scelta cui si ispirò l’Accademia letteraria.

«Qui si distinsero i soci effettivi, gli onorari ed i corrispondenti esterni, riservandosi il Presidente facoltà d’invitare ad intervenire alle sedute, come uditori, altri sudditi, tenendo per conto delle proposte fatte allo scopo dai soci.

Lo statuto della Società mancò per diversi anni e fu il canonico Pino il reale punto di riferimento. Solo all’inizio del 1839 si nominò apposita Commissione con l’incarico di redigere un progetto di statuto; il lavoro fu portato a termine ma l’Accademia a quel punto funzionò per breve tempo, a causa della morte dello stesso fondatore.

La distinzione in soci effettivi ed esterni, ed ancor più corrispondenti appare oltremodo essenziale. Ciò permise all’Accademia medesima di avventurarsi in un percorso che vide coinvolti patrioti delle varie regioni d’Italia, i quali, come appare da attenta analisi, afferirono. Alcuni erano dei religiosi di stampo cattolico liberale, dediti al giornalismo, all’editoria, che talvolta intrattenevano stretti rapporti con alcune Case Regnanti, non ultimi gli stessi Savoia».[5]

Nel suo documento Luigi Rocca vuol opportunamente precisare (viste le difficoltà nell’ufficializzarne contenuti e modi) che «circa gli argomenti trattati dall’Accademia, si vietarono qui assolutamente quelli che potessero avere un carattere politico.

Però precisa anche che nelle sedute ordinarie non si richiedeva assolutamente il preventivo annunzio del lavoro che si voleva leggere, salvo quella solenne decretata per San Francesco di Sales».

Viene dunque naturale associare tanta libertà d’azione alla diversificata appartenenza politica dei suoi soci e, più in generale, degli uomini che vi gravitarono. Spesso sono personaggi che, pur non opponendosi direttamente all’epoca al sistema monarchico assolutista sabaudo, divennero in seguito sostenitori delle riforme e dello Statuto Albertino.

Insomma, è oltremodo palese che l’Accademia fosse una copertura.

Gli storici non ne hanno parlato sviluppandone i contenuti (almeno io non sono riuscita al momento a rinvenire più di quanto scrivo) probabilmente perché gli atti ufficiali dell’Accademia non dettero spazio per l’approfondimento degli ufficiosi, magari esistenti e i secretati. Potrebbe essere stata anche la pesante eredità politica carlo-albertina ad aver inficiato a lungo un’analisi particolareggiata degli eventi. In ogni caso credo che sarebbe opportuno oggi ridefinire in profondità i contenuti e i modi dell’Accademia inserita in un più in generale contesto della stessa politica sabauda di quegli anni, così essenziale per la realizzazione della successiva nostra Unità Nazionale. È compito di uno storico leggere anche e soprattutto tra le righe delle vicende trattate, senza per questo venir meno alla scientificità del suo operato.

Troviamo così, in quell’Accademia, l’avvocato Carlo Cadorna, fratello maggiore del Generale Luigi, amico intimo del religioso Gioacchino De Agostini, le cui vicende personali di patriota cattolico liberale vicino al partito democratico hanno segnato il mio lavoro post tesi.

Ed ancora, vi troviamo citato un Buffa. I fratelli Buffa furono cattolico liberali ma con tendenze profondamente democratiche. L’intera famiglia la troviamo coinvolta sia con i fratelli Valerio che con Massimo Cordero di Montezemolo. Una garanzia il Montezemolo, che come ben sappiamo fece del suo percorso liberale ragione di tutta la sua esistenza.

Gli avvocati ivi presenti, che furono parte attiva in Accademia, ossatura di quel ceto medio che arricchì e trasformò il Piemonte di quegli anni, si occuparono qui prioritariamente di questioni economiche, come traspare dagli atti, all’interno di un più generale progetto che vedeva nei nuovi princìpi dell’economia politica motivo di confronto e di ricerca.

Teologi piuttosto che patrioti dunque ivi scrissero e pronunciarono discorsi sull’amor di Patria ma anche su quelle questioni scientifiche che largo peso ebbero nei vari Congressi nelle diversificate capitali italiane del tempo, mascherati anche questi da luogo d’incontro per i progetti politici allora in cantiere, prioritariamente federalisti.

Non solo Carlo Alberto si avvicinò ufficialmente all’Accademia di Monsignor Pino e Monsignor Denegri, ma «l’intera città di Torino», al punto che al momento della morte del canonico si strinse intorno a lui, come il Rocca opportunamente ricorda. Segno evidente di una indubitabile stima sia per le sue opere di carità cristiana che per il suo non troppo velato impegno socio-politico. Fu «Il Messaggere Torinese», primo foglio autenticamente liberale su cui collaborarono il Valerio, il De Agostini ed altri membri della Sinistra storica subalpina a pubblicare il necrologio del Pino.[6] Niente più di questo potrebbe confermare le reali intenzioni e motivazioni dell’Accademia letteraria.

Estratto dalle Curiosità e Ricerche di Storia Subalpina, volume III, puntata IX, questo documento vuole esprimere il bisogno di rivisitare certi contenuti. Nella speranza di vedere un giorno allargare gli orizzonti politici delle nostre variegate vicende nazionali.


Note

1 Luigi Rocca, patriota piemontese di tendenze democratiche vissuto in esilio per alcuni anni a Parigi. Letterato, fu punto di riferimento dei più conosciuti patrioti della Penisola.

2 Città di Voghera, Biblioteca Comunale, Miscellanea 06/45.III/09.

3 Lorenzo Valerio ebbe frequentazioni nutrite col professor De Agostini che, come lui, partecipò alle questioni della Società Agraria Piemontese, voluta da Monsignor Losana.

4 Documento citato.

5 Mi riferisco a Padre Gioacchino Prosperi, lucchese ed aristocratico di nascita, prima Padre Gesuita e successivamente approdato nell’Ordine dei Frati Minori, con un lungo percorso di vita (morì a 78 anni nel 1873) ed un passato di tutto rispetto come cattolico liberale.
Ma anche al religioso Padre Gioacchino De Agostini Torinese, amico e collega di Padre Prosperi, che lasciò l’abito talare nel 1848 per sposarsi con una protestante convertitasi al Cattolicesimo, e che fu giornalista ed editore (considerato da molti l’antesignano del giornalismo moderno piemontese).

6 Città di Voghera, Biblioteca Comunale, Miscellanea 06/45.III/09.

(gennaio 2014)

Tag: Elena Pierotti, Italia, Risorgimento, Ottocento, Accademia letteraria Pino, Piemonte, Luigi Rocca, Clemente Pino, Carlo Alberto, Gabinetto Vieusseux, Lorenzo Valerio, Regno Sabaudo, Torino, Arcivescovo Fransoni, Unità, San Francesco di Sales, Savoia, Statuto Albertino, Carlo Cadorna, Gioacchino De Agostini, Buffa, Massimo Cordero di Montezemolo, Monsignor Denegri, Torino, Monsignor Losana, Gioacchino Prosperi.