1° gennaio 1815
Sistemi politici a confronto tra passato e presente

Perché scrivere un articolo che ha come titolo una data, apparentemente di nessun peso politico? Perché i documenti che ho rinvenuto comprovano che quella data ha un grande significato politico.

Un giacobino aristocratico lucchese, che ha avuto un suo ruolo durante il Principato Baciocchiano in Lucca, Lorenzo Pierotti, si rivolge il 1° gennaio 1815 al conte Fabrizio Lazzari a Torino. Un patriota è in difficoltà, ha bisogno dell’intervento del conte[1]. Gli ambienti di Lorenzo, che per la verità scrive da Empoli e non da Lucca, a Pisa, dimostrando al suo interlocutore, l’Abate Ranieri Zucchelli, suo ex compagno di studi, che è possibile mediare col conte Lazzari, sono quelli canoviani di Pelagio Palagi, l’architetto dalla cui collezione proviene oggi quella lettera. I conti Lazzari lucchesi, che vantano un lontanissimo retaggio nobiliare a partire dagli anni di Castruccio Castracani, il condottiero lucchese che visse nel Trecento, hanno qualcosa a che fare con Fabrizio Lazzari, cui la lettera è inviata? Sappiamo che sicuramente quel Lorenzo giacobino lucchese è cugino dei conti Lazzari di Lucca. Ma soprattutto che è stato un amante, vox populi, di Elisa Baciocchi, la sorella di Napoleone Bonaparte che ha governato fino ad allora il Principato Lucchese e l’intera Etruria.

Chi è Fabrizio Lazzari? È nipote, per parte materna, del Generale Alessandro Rege di Gifflenga, uno dei più valenti Generali dell’esercito sabaudo a lungo, anzi fino a quel momento a servizio dei Bonaparte. È vero che prima dello scadere del 1814 il Gifflenga ha ripreso contatti con la Corona Sabauda, ma è altrettanto vero che fino al 1817 fitta è la sua corrispondenza con l’ex Viceré d’Italia Eugenio de Beauhrnais.

Quest’ultimo il 1° gennaio 1815 stava ancora, verosimilmente, sondando il terreno col Murat, come aveva fatto qualche tempo prima col Gifflenga a Napoli, per comprendere se Gioacchino Murat poteva ancora venir considerato attendibile come sostegno all’ormai ex Imperatore Francese Napoleone Bonaparte, esiliato in quel 1° gennaio 1815 all’Isola d’Elba. E la cosa era apparsa dubbia.

Lorenzo è in sintonia con un uomo chiave di Gioacchino Murat, anch’egli lucchese di origine, l’avvocato Giuseppe Binda, che è un agente di Re Gioacchino, capace nel 1815, una volta che Napoleone fu definitivamente sconfitto, di abboccarsi a Lord Bentick in Genova, nell’intento di perorare la costruzione di uno Stato Unitario Italiano sotto la sovranità di Murat, tentativo che cadde nel vuoto.

Ma Lorenzo è cugino anche di un singolare religioso lucchese, Padre Gioacchino Prosperi, che il 1° gennaio 1815 si trovava in Sant’Andrea al Quirinale in Roma, accanto all’ex Sovrano Sabaudo Carlo Emanuele IV, qui rifugiatosi dopo l’abdicazione. Sta per prendere i voti da Padre Gesuita Padre Prosperi, in quel 1° gennaio 1815.

Sul Trono Piemontese abbiamo in quel periodo Vittorio Emanuele I, padre della futura Sovrana del Ducato Borbonico[2], con cui l’ entourage di Padre Prosperi mantenne sempre serrati legami.

Padre Prosperi come Padre Gesuita avrà una breve carriera in Torino (1820-1826) perché il suo cuore sta con quegli ambienti cattolico liberali da cui proviene, che fanno da sfondo ad una fattiva collaborazione col mondo bonapartista ante e post Primo Impero. Il Generale Alessandro Rege de Gifflenga alla fine del 1814 avrebbe potuto mediare tra i contendenti, ed avrebbe dovuto sostenere, questo vuole l’ufficialità, i Savoia, che la storiografia descrive come impenitenti conservatori.

Stando alla biografia di Alessandro Rege de Gifflenga egli fu sospettato, anche dopo il 1° gennaio 1815, di perorare cause politiche diverse da quella asburgica. Potremmo definirle cause politiche di gioventù, che ricordano il primo Napoleone, quello del 1796 e della prima Campagna d’Italia. Di palese matrice massonica, il Gifflenga non abbandonò mai del tutto le sue velleità giacobine. Sospettato nel 1821 di tenere rapporti serrati con Santorre di Santarosa, venne radiato in via definitiva dall’esercito sabaudo.

Costretto ad un esilio forzato a Nizza, rimpatriò in Piemonte nel 1839 grazie a Carlo Alberto di Savoia. Morirà in Vercelli, sua provincia natale, nel 1842.

In quel 1° gennaio 1815, data della lettera rintracciata, il Gifflenga, e ancor più suo nipote, il conte Fabrizio Lazzari, non hanno affatto messo in second’ordine gli ambienti massonici e bonapartisti, l’amicizia fraterna con Eugenio De Beauhrnais non è mai venuta meno. E nessuno aiutò Napoleone I nella fuga dall’Isola d’Elba più del figlio adottivo Eugenio, amato dall’Imperatore Francese come un figlio naturale e sentitamente contraccambiato.

Il cugino di Padre Prosperi, l’aristocratico lucchese Lorenzo, è nella lettera assolutamente convinto che il conte Lazzari aiuterà il patriota di riferimento, il quale abbisogna di un suo intervento. Dato il contesto è incontrovertibile che l’intervento sia filobonapartista.

Se la ragione principale per cui Padre Prosperi nel 1834 fu espulso ufficialmente da Torino è da considerarsi una frase incriminata dell’Ode di Lanzo in memoria di Carlo Felice, ode che lui, grazie alla frequentazione stretta con gli ambienti sabaudi aveva scritto, letto e pubblicato nel 1831 proprio in Torino, frase peraltro che preludeva ad una politica poco filo viennese dell’allora Sovrano Carlo Felice, desideroso di costruire una buona flotta per Casa Savoia, servendosi della centralità del porto di Genova come sbocco sul Mediterraneo, ciò significa che come il cugino Lorenzo e l’ex agente murattiano lucchese Giuseppe Binda, appartenenti allo stesso tour familiare, l’afflato bonapartista non venne mai meno in Padre Prosperi. Non era forse, per sua stessa ammissione nelle pubblicazioni rintracciate, egli presente in Parigi nel 1833, estasiato davanti all’obelisco napoleonico in Place Vendome?

Quanto in tali vicende fu coinvolto Carlo Alberto di Savoia in età giovanile è difficile quantificarlo. Certamente ne fu protagonista il neo Sovrano Lucchese Carlo Ludovico di Borbone, stando alle carte di Padre Prosperi ed al coinvolgimento dei Bonaparte mazziniani fuggiaschi in Lucca negli anni Trenta e Quaranta del XIX secolo, ospiti del Duca Borbonico.

Padre Prosperi continuò a girovagare dappertutto, indisturbato, soprattutto in Torino, nonostante l’espulsione, ininterrottamente in quegli anni; ed a tenere corrispondenza con un religioso caro sia a Casa Savoia sia al mondo bonapartista, perché imparentatosi nel 1848, una volta lasciato l’abito talare, col celebre pittore David, ossia Padre Gioacchino De Agostini torinese (1808-1873).

La moglie di costui fu infatti Adelaide Galli Dunn (Londra 1833-Vercelli 1860), figlia del patriota di Carrù Fiorenzo Galli e di Luigia Dunn, quest’ultima cugina londinese del pittore David. Leggendo le vicende di tutti questi personaggi, che ho tracciato in rete pubblicando sia sul sito www.storico.org, che su Boorp e sulla rivista corsa «A Viva Voce» diretta dal professor Paul Colombani, è possibile comprendere, documenti alla mano, quanto la convinzione di Napoleone I di poter ancora sperare in una fuga da Sant’Elena piuttosto che in una ripresa del suo sistema politico in Europa dopo il Congresso di Vienna non fossero così poco credibili come gli storici hanno lasciato intendere a partire dal 1815.

Scrive in proposito lo storico Alessandro Mella: «Spesso i libri di storia innalzano un muro al termine del ventennio napoleonico, quasi volessero perpetuare la “damnatio memoriae” decretata a Vienna. Tale evento rappresentò il reincontro tra gli esponenti dell’antico regime spazzato via prima dal fuoco della Rivoluzione francese e poi dall’ardore delle armate del grande Córso. […]

Non bastò accusare l’Imperatore d’essere stato un despota sanguinario per imporre la visione scaturita dal Congresso di Vienna a chi l’aveva amato. La Grande Armata era stata, presumibilmente, tra le prime forme di esercito europeo, multietnico, multilinguistico e multiculturale. Vi militarono soldati di ogni provincia del vecchio continente, e coloro i quali sopravvissero alle campagne di quegli anni serbarono memoria dei pensieri e delle parole raccolte a quel tempo». Aggiungerei che i successivi moti furono di esclusiva pertinenza bonapartista, nel senso che si richiamarono ai valori rivoluzionari cui l’Impero, con le sue contraddizioni, si era riconosciuto. Il 1° gennaio 1815 segna quindi l’avvio di un anno decisivo per le sorti d’Europa, non solo di breve, ma soprattutto di lungo periodo.


Note

1 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Carteggi Vari.

2 La figlia di Vittorio Emanuele I di Savoia sposerà di lì a breve Carlo Ludovico di Borbone, destinato a succedere dopo sua madre Maria Teresa di Borbone sul trono di quello che era stato il Principato Baciocchiano.

(dicembre 2016)

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