Similitudini e differenze tra Fascismo e Nazismo
Breve sintesi sulle differenze caratterizzanti la violenza fascista e nazista

A più di settant’anni dalla morte di Benito Mussolini, il Fascismo è ancora oggi un tema che suscita vivaci dibatti e accese discussioni. Uno degli argomenti oggetto di diatribe è se si possa assimilare l’Italia Fascista alla Germania Nazista di Adolf Hitler. Tra i due regimi sorti nella prima metà del Novecento vi sono diverse somiglianze (anche per il fatto che, per ammissione dello stesso Fuhrer, il dittatore tedesco prese ispirazione dal suo omologo italiano), ma vi sono anche delle rimarchevoli differenze.

Una di queste riguarda la dimensione della repressione politica effettuata nei rispettivi Paesi. L’Italia Fascista era uno Stato poliziesco dove possedere un giornale clandestino o esprimere commenti sgradevoli sul capo del Fascismo erano considerati motivi sufficienti per essere condannati al carcere, e dove oppositori politici rischiavano aggressioni fisiche con manganellate e olio di ricino, ma la violenza perpetrata dalla Germania Nazista nella propria patria fu decisamente superiore: basta pensare che fino al ’43, il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato emanò in Italia 52 condanne a morte; per contro, la sua controparte nazista – la Corte Popolare di Giustizia – dal ’34 alla metà del ’44 emise invece 5.214 condanne alla pena capitale (più altre 2.000 nei mesi seguenti). Inoltre, si calcola che in Italia, dal ’26 al ’43, circa 15.000 oppositori furono inviati al confino contro i milioni di persone che vennero deportate in un campo di concentramento nella Germania Nazista. Tra l’altro, il trattamento riservato agli internati nei campi di concentramento di Dachau o Buchenwald fu ben peggiore rispetto a quello, pur duro, riservato agli oppositori del regime fascista rinchiusi nelle isole per confinanti o nelle borgate della Basilicata.[1]

Altra differenza riguarda l’antisemitismo. Sebbene la Soluzione Finale fosse stata ideata durante il conflitto, il razzismo e l’odio verso gli Ebrei erano dogmi presenti fin dalla nascita del partito nazista. Al contrario, pur non essendo stato esente da pregiudizi antisemiti, negli anni in cui fu al potere Mussolini non aveva inizialmente incentrato il suo programma sull’antisemitismo, ma aveva invece rilasciato degli interventi favorevoli agli Ebrei («L’antisemitismo in Italia non esiste. Gli Ebrei Italiani si sono sempre comportati bene come cittadini, e come soldati si sono battuti valorosamente» disse in un’intervista rilasciata al giornalista Emil Ludwig nel 1932). La situazione si sarebbe modificata nel 1938 quando il Duce emanò una legislazione razziale contenente una serie di normative discriminanti verso gli Ebrei (divieto di matrimoni misti, espulsione degli Israeliti stranieri, esclusione dei Giudei dalle scuole, proibizione dell’esercizio di determinate attività…).[2] Questi provvedimenti ebbero effetti tragici per molte famiglie e individui, provocando anche dei casi di suicidio.[3] A differenza di Hitler, Mussolini non pensava però a un progetto che prevedesse lo sterminio degli Ebrei, e ciò è chiaramente rilevato dall’atteggiamento assunto dall’Italia dopo che i nazisti iniziarono ad attuare la «Soluzione Finale»: col consenso di Mussolini, l’esercito italiano si rifiutò di consegnare ai Tedeschi gli Ebrei rifugiatisi nel loro territorio di competenza e nell’Europa occupata le Ambasciate Italiane protessero gli Ebrei in grado di chiedere la nazionalità italiana. Le milizie fasciste collaboreranno allo sterminio degli Ebrei dopo la costituzione della Repubblica di Salò, quando l’ala più estremista e antisemita prese il sopravvento all’interno del Partito, ma in quel periodo erano i Tedeschi a comandare e a imporre la loro politica ebraica.[4]

Infine, sebbene sia Hitler che Mussolini mirassero ad acquisire nuovi territori attraverso la guerra,[5] è indubbio che il regime tedesco si rivelò nei Paesi occupati più brutale di quello italiano. Nei territori conquistati, Mussolini non aveva mancato di autorizzare metodi terroristici simili a quelli utilizzati dai nazisti per vincere la resistenza all’occupazione (incendi di villaggi, fucilazione di ostaggi, deportazione della popolazione civile…),[6] ma mentre l’espansionismo hitleriano mirava a conquistare i territori dell’Europa Orientale e a eliminare le razze giudicate inferiori per fare posto ai coloni ariani, l’obiettivo dell’espansionismo mussoliniano era invece quello di creare una serie di protettorati e satelliti dipendenti dall’Italia sotto il piano politico ed economico senza però l’intenzione di «sostituire» le popolazioni locali.[7]

In definitiva, se non è corretto affermare che il Fascismo fu una sorta di «Male Assoluto», non è neppure giusto affermare che fu una «dittatura all’acqua di rose» o che il solo errore di Mussolini fu quello di allearsi con Hitler. Come ebbe difatti ad affermare lo storico Renzo De Felice: «La tragica conclusione del Fascismo era però nelle sue stesse premesse e nella sua logica, nella sua sostanza antidemocratica e liberticida, nella sua mancanza di rispetto per i valori più elementari della personalità umana, nel suo ritenersi depositario solo ed unico dei destini e della volontà del popolo italiano».[8]


Note

1 Confronta Hans Woller, I conti con il fascismo, Il Mulino, Bologna 2007, pagina 10. Se dal ’26 al ’43 la violenza fascista in patria fu limitata, non fu invece così per quanto riguarda il periodo della Repubblica di Salò: in quegli anni prese difatti sopravvento l’ala radicale e vi furono numerosi eccidi e deportazioni. In quel periodo il potere di Mussolini era limitato in quanto la Repubblica Sociale Italiana era uno Stato fantoccio sotto stretto controllo dei Tedeschi. Il Duce avrebbe protestato con i nazisti per alcuni eccidi effettuati dalle truppe tedesche, anche perché cosciente che avrebbero potuto essere controproducenti (come, ad esempio, l’eccidio di Piazzale Loreto); in altri casi, invece, giustificherà i massacri operati dai soldati del Terzo Reich («Ai Tedeschi non si può rimproverare nulla. La rappresaglia è legale, è sanzionata dal diritto internazionale» dirà, ad esempio, a riguardo della strage delle Fosse Ardeatine). Anzi, lo stesso capo del Fascismo ordinerà alle sue squadre di effettuare feroci repressioni contro la Resistenza Italiana e darà disposizioni per l’invio coatto in Germania di lavoratori civili. Confronta Aurelio Lepre, Mussolini l’Italiano, Arnoldo Mondadori, Milano 1995, pagine 336-343.

2 Non sono ancora ben chiare le motivazioni per le quali il Duce decise di introdurre una legislazione antisemita di stampo razziale. Alcuni storici vi leggono un’accentuazione dei caratteri totalitari del Fascismo, particolarmente visibile verso la fine degli anni ’30, specialmente dopo che, in seguito alla conquista dell’Etiopia, Mussolini si convinse della necessità di dare una «coscienza razziale» agli Italiani, giudicata da lui indispensabile per il mantenimento dell’Impero. Altri invece vi scorgono una motivazione politica: cementare l’alleanza con la Germania facendo leva sull’odio nazista per gli Ebrei. Se si può prestare fede a una lettera inviata da Mussolini alla sorella Edvige e alla nipote Rosetta, il capo del Fascismo non credeva alla validità delle leggi razziali ma decise cinicamente di colpire gli Ebrei per rafforzare il suo patto con Hitler: «La purità delle razza in questo popolo sul quale sono passate tante invasioni e che ha assorbito tante genti dei quattro punti cardinali, e il pericolo semita in una Nazione come la nostra… sono evidentemente fandonie da lasciar scrivere a certi relatori. Ma se le circostanze mi avessero portato ad un Asse Roma-Mosca anziché a un Asse Roma-Berlino, avrei forse ammannito ai lavoratori italiani… l’equivalente fandonia dell’etica stakanovista e della felicità in essa racchiusa». Citazione presa da Antonio Ghirelli, Tiranni, Mondadori, 2001, pagina 317.

3 L’editore Angelo Fortunato Formiggini si suicidò gettandosi dalla torre Ghilardina di Modena il 29 novembre 1938. Pochi giorni prima del suicidio aveva scritto alla moglie, spiegandole: «Io non posso rinunciare a ciò che considero un mio preciso dovere… Io debbo dimostrare l’assurdità malvagia dei provvedimenti razzisti richiamando l’attenzione sul mio caso che mi pare il più tipico di tutti… Sopprimendo me, affranco la mia diletta famigliola dalle vessazioni che le potrebbero derivare dalla mia presenza: essa ridiventerebbe ariana pura e sarà indisturbata». Anche il colonnello Giorgio Morpurgo, colto dai provvedimenti razziali mentre si trovava a combattere in Spagna, informato dal suo comandante che sarebbe dovuto rimpatriare e lasciare l’esercito, decise di suicidarsi dirigendosi verso le linee nemiche e, ignorando le ingiunzioni a fermarsi rivoltagli da queste, continuò ad avanzare fino a quando non venne colpito a morte. Confronta Renzo de Felice, Storia degli Ebrei sotto il fascismo, pagine 336-337.

4 Confronta George Mosse, Il razzismo in Europa. Dalle origini all’Olocausto, Roma-Bari, Edizioni Laterza, pagina 245. L’opposizione del Duce alla consegna degli Ebrei ai nazisti nei primi anni del conflitto derivava non tanto dalla sua personale contrarietà alla «Soluzione Finale» quanto piuttosto da motivazioni politiche: la complicità nell’Olocausto avrebbe infatti rischiato di rendere la guerra ancora più impopolare agli occhi degli Italiani; e inoltre, il rifiuto a soddisfare le richieste naziste serviva anche a contrastare l’influenza sempre più preponderante dell’alleato tedesco. Confronta Renzo De Felice, Storia degli Ebrei sotto il fascismo, Einaudi tascabili, Torino 1993, pagine 415-416.

5 Un argomento spesso usato dai nostalgici del Fascismo per scagionare il Duce dall’aver partecipato al Secondo Conflitto Mondiale è quello di presentare l’entrata in guerra di Mussolini come una mossa obbligata, effettuata dal timore di suscitare le ire dell’alleato tedesco con la propria neutralità. In realtà, le mire del Duce erano quelle di accrescere la sua influenza territoriale, indipendentemente dagli obiettivi nazisti: lo stesso attacco alla Grecia suscitò l’irritazione di Hitler che avrebbe infatti preferito che gli Italiani concentrassero le loro forze in Africa contro gli Inglesi.

6 Secondo il Professor Rudolph Rommel, tra gli anni 1922-1943 i morti italiani per «democidio» provocati dal regime fascista sono, stando a fonti inglesi, almeno 250; a ciò si deve aggiungere il numero dei circa 200.000 Etiopi e Libici, 15.000 Jugoslavi e 9.000 Greci uccisi durante l’occupazione fascista. Si veda Stati assassini, Rubettino Editore, 2005, pagina XLVI.

7 Confronta Gianni Oliva, «Si ammazza troppo poco», Mondadori, Milano 2006, pagina 49.

8 Storia degli Ebrei sotto il fascismo, pagina 462.

(ottobre 2020)

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