Il Mein Kampf di Adolf Hitler
Un documento storico notevole per comprendere l’epoca e le caratteristiche del movimento fondato dal suo autore

Gli anni giovanili di Hitler rappresentano qualcosa di particolarmente significativo per la comprensione del periodo fra le due guerre. Hitler passò quegli anni a Vienna in condizioni di grave difficoltà economica nonostante che la sua famiglia non fosse esattamente povera, una condizione che sicuramente contribuì ad accumulare un odio profondo verso la società, la classe borghese e le sue istituzioni. Di quel periodo il futuro Führer scriverà: «Il ricordo più triste ed infelice che ho di Vienna è ricordare quella gente felice di Vienna». Dobbiamo inoltre ricordare che Hitler era un pittore, e la sua formazione culturale quella dell’artista, e quindi una persona tendente all’irrazionalismo con un temperamento portato a confondere il mondo della fantasia con quello della realtà. I due elementi costituiranno una miscela come sappiamo molto pericolosa. Hitler avrebbe potuto essere un simpatizzante dell’estrema Sinistra, ma la sua origine non operaia, sicuramente contribuì a tenerlo lontano da quell’area politica. L’interesse per la politica nacque abbastanza avanti con l’età, a trent’anni, fortemente colpito dalla sconfitta della Germania, che come molti attribuì all’opera di tradimento di alcune categorie importanti della nazione fra le quali la borghesia ebraica. Hitler aderì al Partito dei Lavoratori Tedeschi, un partitino abbastanza singolare che univa al socialismo l’idea nazionalista, il programma politico del 1920 parlava infatti di una «Grande Germania», dell’attribuzione di tutte le cariche dello Stato ad autentici Tedeschi, ma anche di «statizzazione di tutte le imprese associate», di un potere centrale forte, di assistenza pubblica, e stabiliva che «l’attività del singolo non deve urtare contro gli interessi della comunità ma deve applicarsi nel quadro della collettività e per il bene di tutti». Il programma prevedeva l’eliminazione del parlamentarismo, la soppressione di molte libertà, e infine un punto abbastanza singolare che stabiliva la sostituzione del diritto romano con quello comune germanico, l’eliminazione in pratica dell’ordinamento giuridico fondato sull’individuo. Interessante notare che nel Mein Kampf Hitler ricorda che i nazisti avevano preso in considerazione l’idea di dare al partito la denominazione di Partito Social-Rivoluzionario.

Grazie alle sue grandi capacità di teatralità e di trascinatore Hitler riuscì a prendere le redini del partito e a portarlo ad una notevole crescita di adesioni. Nel 1923 creò sconcerto la sua presa di posizione sulla occupazione francese della Ruhr; mentre buona parte dell’opinione pubblica e dei movimenti politici di Destra manifestavano il loro senso di patriottismo, Hitler contestava la classe dirigente del Paese. Sempre in quell’anno tentò una grande iniziativa, comunicò che era in atto un colpo di Stato a Monaco (in realtà un’iniziativa non condivisa dagli altri gruppi della Destra bavarese) e invitò la gente a manifestare per le strade, si trattò sostanzialmente di una farsa, e la polizia non trovò particolari difficoltà a fermare i manifestanti. Hitler venne arrestato. Proprio durante la detenzione iniziò a scrivere la sua opera principale, il Mein Kampf, terminata due anni dopo. I temi trattati dal libro sono numerosi, e tutti significativi, la razza, le ragioni della disfatta tedesca, la creazione del partito nazista, l’importanza della propaganda e di altri elementi organizzativi che sembrano ripresi dalle organizzazioni di massa della Sinistra. Si parlava inoltre delle nefandezze della borghesia, dell’ebraismo e del marxismo. Il libro al di là del suo contenuto ideologico costituisce un documento storico notevole che contiene importanti informazioni per capire il programma nazista, la personalità del suo autore, come anche informazioni sulla lotta politica in quegli anni, e sui limiti dei tradizionali partiti di Destra. L’opera inoltre è abbastanza rappresentativa della sua epoca, la sua esposizione è confusionaria e addirittura contraddittoria (si parla di una alleanza con l’Italia e insieme della necessità di togliere a questa nazione l’Alto Adige), ma anche altamente suggestiva ed efficace. In un periodo profondamente turbato come quello in cui è stata scritta l’opera, con i tentativi insurrenazionalistici dell’estrema Sinistra, la rovina economica del ceto medio a causa dell’inflazione, e l’umiliazione tedesca provocata dalla occupazione della Ruhr, un’opera del genere non poteva passare inosservata. L’elemento irrazionale giocò un ruolo notevolissimo nel successo personale dell’autore e del suo movimento, le testimonianze di Albert Speer che ammise i suoi limiti in materia politica e la sua ammirazione esaltata per quell’uomo, e quella simile di Rudolf Höss, confermano tale situazione.

La società ideata da Hitler è una società chiusa, non solo la nazione costituiva una entità a sé stante, come nel tradizionale nazionalismo, ma la nazione non ammetteva differenziazioni al suo interno, e si identificava strettamente con una razza. Una razza compatta dove gli uomini si sentivano profondamente legati fra loro, e dove c’era poco spazio per le iniziative personali, una specie di comunismo, sia pure sui generis e anti-progressista. «Se il popolo tedesco, nella sua evoluzione storica, avesse avuto quell’unità di gruppo che ebbero altri popoli, oggi il Reich tedesco sarebbe padrone del mondo» scrisse parlando del mondo come si presentava allora. Un’altra caratteristica che avvicina l’autore del Mein Kampf ai pensatori comunisti era la tendenza all’utopismo, ciò che si proponeva non era un semplice cambiamento politico ma un cambiamento della natura umana, la distruzione di un mondo per arrivare alla creazione di un nuovo mondo caratterizzato da una società perfetta. Come altri pensatori utopisti Hitler riteneva che fosse esistito un periodo d’oro dell’umanità, in cui gli uomini non si preoccupavano di problemi materiali ma di migliorare le proprie qualità morali. Tale opinione era stata anche messa in luce dal sociologo tedesco Emil Lederer, il quale affermava che per molti dei suoi fondatori, il nazismo era «un’utopia nella quale il bene comune sarebbe venuto prima di ogni interesse egoistico». Hitler era cosciente che la sua idea di eliminare certe aspirazioni nell’essere umano (fra le quali la brama del denaro), e rendere l’uomo pienamente disciplinato era un obiettivo non raggiungibile che lo esponeva alle critiche, e scrisse: «Non si affermi che questo è uno Stato ideale che non si può attuare in realtà, e non si attuerà mai».

In realtà lo spazio dedicato nell’opera alla razza ariana non è molto, maggiore è quello sulla questione ebraica. Dalla lettura del libro risulta difficile comprendere le ragioni dell’odio verso quel popolo. Gli Ebrei sono oggetto di molte accuse, ma non vi sono argomenti razionali o prove concrete a supporto. Gli Ebrei, che a volte si confondono con la classe borghese in generale, sarebbero infidi, controllerebbero la stampa e una parte notevole della finanza, infine sarebbero i fautori del bolscevismo, oltre che componenti della «tenaglia giudaico-massonica». In certe parti dello scritto il tono contro gli Ebrei raggiunge livelli apocalittici, gli Ebrei sarebbero «il meschino nemico del mondo vera causa di tutte le disgrazie» e si ricorda che «l’Ebreo non riesce a organizzare ma soltanto a mettere caos». In certe parti del libro si arriva ad una curiosa serie di affermazioni prive di senso, gli Ebrei fomenterebbero la lotta fra Cattolici e protestanti, sarebbero dietro anche ai contrasti costituzionali del 1919 sul federalismo della nuova nazione tedesca, mentre in altre parti Hitler sosteneva che «l’Ebreo faceva il comodo suo e vendeva la nostra patria e la nostra libertà nell’alta finanza internazionale… queste sanguisughe del popolo traviano le nostre bionde e inesperte fanciulle, distruggendo qualcosa di irreparabile».

In molte parti il Mein Kampf appare come lo scritto di un agguerrito oppositore del capitalismo. Rivolgendosi ai borghesi Hitler scrisse: «Per voi c’è un unico pensiero: la vostra esistenza personale, e un unico Dio: il vostro denaro! Ma noi non ricorriamo a voi, ma alla grande schiera di quelli che sono poveri poiché la loro esistenza esprima la più grande felicità della terra, a quelli che onorano non il denaro, ma altri dèi, ai quali dedicano la loro vita». In altre parti si accenna ad una certa eguaglianza delle retribuzioni, ed infine si afferma: «Già nell’animo dei giovani bisogna imprimere la cognizione del profondo legame del nazionalismo col sentimento della giustizia sociale».

Il pensiero politico di Hitler appariva spesso confusionario, dove invece risultava lucido e metteva in luce la sua originalità, era sulla questione dell’organizzazione di partito e sui limiti dei partiti borghesi, qualcosa che influirà molto sul successo del suo movimento. I partiti di Destra in Germania come nel resto d’Europa erano ancora legati ad un modo di fare politica ottocentesco, fatto di notabili riconosciuti per la loro professionalità, il loro equilibrio e il loro senso dello Stato. Le organizzazioni di massa con i loro slogan e i loro apparati propagandistici erano una caratteristica della Sinistra che non trovava riscontro nelle altre formazioni politiche, e dopo la Prima Guerra Mondiale con la sua grande mobilitazione di popolo, tale situazione costituiva un grave limite. Interessante su questo tema l’opinione del sociologo tedesco Emil Lederer: «L’aspetto nuovo decisivo portato dal fascismo – in Italia non dal principio, ma gradualmente; in Germania invece fin dal suo inizio – è che esso si basa sulle masse… Se un sistema politico si fonda sulle masse, come nel caso delle dittature moderne, il primo passo che compie è la creazione di un apparato di propaganda come istituzione statale, cosa che nessun altro Stato, né assoluto né democratico, avrebbe fatto». Mussolini, ex-leader del socialismo rivoluzionario e Adolf Hitler, furono i leader che trapiantarono a Destra i sistemi politici dell’estrema Sinistra, di cui la mobilitazione delle masse costituiva l’aspetto più importante. Nel Mein Kampf si legge una interessante descrizione del clima politico di quegli anni: «Mentre i partiti borghesi, nel loro uguale grado intellettuale, formano esclusivamente un gruppo insubordinato e inabile, il marxismo costituì col suo meno dotato materiale umano, un esercito di partito… Lo scrittorucolo borghese invece, che esce dalla sua stanza di lavoro per presentarsi alla massa, s’ammala già per l’odore della folla e i suoi scritti non gli sono affatto utili. Ciò che rese ben disposti al marxismo milioni di lavoratori non è tanto lo stile dei dotti marxisti quanto l’inesauribile e veramente formidabile opera di propaganda di decine di migliaia d’instancabili agitatori». Hitler entrò anche maggiormente nel dettaglio e descrisse l’atmosfera annoiata delle riunioni del Partito Popolare e del Centro Bavarese, che stentavano ad avere presa sui cittadini, e scrisse che per arrivare al successo, un gruppo politico doveva non limitarsi alla esposizione dei semplici programmi politici ma far leva sul lato emozionale: «Potei io stesso sentire e comprendere con quanta facilità il popolano si sottometta all’incanto affascinante di una potente messinscena». Le grandi manifestazioni naziste furono infatti caratterizzate da una grande spettacolarità che suscitava forte eccitazione sia fra i sostenitori che fra i suoi avversari, e gli stessi comizi di Hitler erano caratterizzati da continui incitamenti accompagnati da quella che gli psicologi chiamano una potente comunicazione non verbale. Come ha scritto Golo Mann, la società tedesca di quel periodo, profondamente colpita sul piano morale ed economico, risultò particolarmente vulnerabile a questo genere di attività politica che spinse la gente a perdere fiducia in una corretta vita politica.

(anno 2003)

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