Kemal Ataturk
Ricordo del «Padre della Patria», primo Presidente della moderna Repubblica Turca e alfiere del suo risorgimento nazionale

Kemal Ataturk

Mustafa Kemal Atatürk, quando era comandante della Settima Armata in Palestina (1918)

È passato quasi un secolo da quando Mustafa Kemal venne nominato Presidente della nuova Repubblica Turca (29 ottobre 1923): incarico che avrebbe conservato fino alla scomparsa, avvenuta per malattia indotta da una vita particolarmente intensa, il 10 novembre 1938, all’età di 57 anni. Era nato a Salonicco – all’epoca appartenente all’Impero Ottomano – il 19 maggio 1881 e aveva mutuato dal padre particolari attenzioni per una gerarchia militare indipendente da vecchie suggestioni religiose, mentre dalla madre, fedelmente conservatrice, aveva tratto l’apprezzamento per una tradizione sobria, se non anche austera.

La trasformazione della Turchia in uno Stato moderno a carattere laico, con un alto senso della propria nazionalità, un rapido affrancamento dalle presenze altrui sul territorio patrio, e la preparazione di un’adeguata struttura difensiva gli valsero il riconoscimento di «Padre della Patria». Tenuto conto del suo ruolo decisivo nella storia della Turchia moderna, si può ben dire che sia stato un omaggio meritato: ancora oggi, nonostante il tanto tempo trascorso, e le più recenti mutazioni della Repubblica in senso più condizionato da valori religiosi, la fama di Ataturk e il rispetto per la sua memoria restano immutati.

Proprio per questo, il 29 ottobre è festa nazionale, e costituisce una ricorrenza che nelle occasioni importanti viene fatta coincidere con eventi di grande importanza strategica, e di buon effetto per l’immagine dello Stato. A questo riguardo, basti pensare all’inaugurazione del grande tunnel sotto il Bosforo (alla profondità di 62 metri per una lunghezza complessiva di 13 chilometri) che ebbe luogo in occasione del 90° anniversario dalla proclamazione della Repubblica (2013).

Senza l’apporto di Mustafa Kemal la Turchia odierna non sarebbe probabilmente esistita nella sua forma istituzionale e nelle stesse dimensioni territoriali: se non altro previa conquista di uno Stato improntato a valori condivisi, laico, con un profondo rispetto dei suoi simboli a cominciare dalla bandiera, e con un’organizzazione funzionale, attenta ai problemi dello sviluppo e della sicurezza.

Con la Presidenza di Ataturk venne subito promulgata la nuova Costituzione del 1924 che introduceva il suffragio universale maschile (esteso alle donne dieci anni dopo), aboliva la poligamia, preparava l’avvento dei nuovi codici, statuiva la libertà religiosa, sceglieva l’alfabeto latino. Non basta: sul piano economico, l’opera del Presidente Kemal avrebbe promosso interventi oculatamente protettivi, riorganizzato il sistema bancario e avviato la politica di programmazione per obiettivi.

Sul piano internazionale, i successi conseguiti da Ataturk durante la sua Presidenza furono non meno importanti, nell’ambito di un’intelligente e duttile equidistanza cooperatrice, sottolineata dal trattato con Grecia, Romania e Jugoslavia (1934); dalla convenzione di Montreux che riconobbe il controllo integrale sugli Stretti da parte della Turchia (1936); dal patto con Iran, Iraq e Afghanistan (1937). Si tratta di una politica che avrebbe avuto seguito anche dopo la morte del Presidente, quale riconoscimento della sua lungimiranza: basti pensare alle intese del 1939 con Gran Bretagna e Francia, anche se compromesse da quella del 1941 con la Germania Nazionalsocialista.

Mustafa Kemal si era guadagnato sul campo l’appellativo di «Padre della Patria» ben prima dell’incarico presidenziale. In gioventù si era già distinto in Siria e nel conflitto libico, e durante la Grande Guerra aveva combattuto valorosamente fra il 1915 e il 1916 sull’impervio fronte dei Dardanelli. Dopo l’armistizio di Mudros del 30 ottobre 1918, fallimentare per la Turchia con l’occupazione greca di Izmir, e dopo il trattato di pace di Sévres del 10 agosto 1920, che sanciva importanti perdite territoriali a favore della stessa Grecia e della Francia, Kemal fu protagonista indiscusso del riscatto. Ciò, con le grandi vittorie del 1921 nella nuova guerra di «indipendenza» e col trionfo decisivo di Afyon (30 agosto 1922) seguito a breve distanza dall’armistizio di Mundanya, dall’abolizione di un ormai anacronistico Sultanato, e infine, dalla pace di Losanna del 24 luglio 1923.

Fu in quel periodo che circa un milione e mezzo di Greci dovettero abbandonare la Turchia e in primo luogo Izmir (la vecchia Smirne) per trasferirsi nella terra d’origine, mentre almeno mezzo milione di Turchi fecero il percorso inverso: un’anabasi difficile e talvolta tragica, come quella che coinvolse ancor più drammaticamente gli Armeni e i Curdi, nell’ambito di eventi che sarebbero diventati un delitto contro l’umanità; all’epoca, la ragione di Stato costituiva un imperativo categorico, e nelle condizioni difficili imposte dall’emergenza Mustafa Kemal non andò certamente per il sottile. Non c’è dubbio: quella macchia rimase incancellabile, ma non riduce il contributo fondamentale dello stesso Kemal all’edificazione del moderno Stato Turco, autoritario per volontà politiche imposte da non poche necessità, e decisamente inflessibile.

Con il trattato di Losanna, l’unità della nuova Turchia venne definitivamente ricostituita, recuperando i territori ceduti alla Grecia (quelli passati alla Francia erano già stati riacquisiti in precedenza). Nello stesso tempo, furono abolite le vecchie «capitolazioni» e si misero a punto gli accordi per lo scambio delle minoranze che avrebbero regolamentato il complesso movimento migratorio nelle opposte direttrici attraverso l’Egeo, di cui si diceva, e parzialmente già in atto. Col recupero della sovranità su tutto il territorio nazionale, ancor prima della sua elevazione alla suprema Magistratura della Repubblica, di poco successiva alla suddetta pace di Losanna, Ataturk aveva meritato di entrare nel novero delle glorie nazionali. Quanto ai diritti delle minoranze, non avevano le coperture istituzionali che sarebbero entrate a far parte piena del giure internazionale con la creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), al termine della Seconda Guerra Mondiale.

Le celebrazioni di Kemal sono considerate un atto dovuto in tutta la Turchia, oltre la normale dialettica parlamentare e un confronto talvolta impegnativo con il neo fondamentalismo religioso, comunque assai diverso da quello dell’epoca imperiale, in quanto politicamente e psicologicamente impossibilitato a disattendere le conquiste sociali ed economiche del quindicennio governato dal «Padre della Patria». In effetti, la Turchia non manca di manifestare permanenti attenzioni specifiche ai valori propugnati da Ataturk, anche in taluni dettagli che talvolta possono fare una differenza significativa: basti ricordare la cura dedicata alla bandiera, che deve essere immune da ogni imperfezione, non solo nelle sedi ufficiali; ovvero, al silenzio consapevole con cui le folle ascoltano l’inno nazionale, persino in occasioni contingenti come l’inaugurazione di una fiera commerciale.

La Turchia contemporanea non è immune da problemi, ma evidenzia una capacità di affrontarli con spirito costruttivo, in cui è tuttora riscontrabile l’ispirazione al vecchio «Padre della Patria». In questo senso, diventa un utile paradigma di riferimento anche per l’Occidente, e in primo luogo per l’Italia, dove lo Stato sembra regredire sistematicamente di fronte allo strapaese, e dove non mancano casi purtroppo frequenti di un diffuso malcostume etico e politico.

Dal confronto emergono mondi che distano anni-luce l’uno dall’altro, anche a prescindere dallo schieramento della Turchia nel mondo islamico, ma nello stesso tempo, esempi ineludibili cui giova ispirarsi nel bene, e che sono da esorcizzare nel male. A cominciare dalla conoscenza della storia e dal culto delle glorie nazionali: un fattore che nel caso di Ataturk trova riscontri popolari rimasti immutati anche a oltre 80 anni dalla scomparsa, mentre in casa nostra è pervenuto alla catarsi più tristemente sconcertante, nell’assunto non ancora totalmente esorcizzato di chi, grazie alla surreale depenalizzazione dell’oltraggio alla bandiera e persino dell’alto tradimento, avrebbe voluto ridurre il vessillo nazionale al ruolo di carta igienica.

Mustafa Kemal aveva guadagnato il suo buon diritto a guidare lo Stato con l’epopea bellica del 1921-1922 e col rilancio della nazionalità abbattuta dalla sconfitta nella Prima Guerra Mondiale oltre che dall’irrimediabile decadenza a cui era stata condannata dagli ultimi Sultani: ulteriore dimostrazione di quanto possano, nella dialettica politica e nello stesso confronto internazionale, i Capi di Stato capaci di determinare nel popolo, con un governo oculato e sensibile ai valori sociali e patriottici, un’adesione largamente maggioritaria se non anche plebiscitaria. In questo senso, ad Ataturk compete un riconoscimento storico destinato a permanere: non soltanto in Turchia, ma in ogni contesto per cui si possano o si debbano proporre analoghe esigenze di riscatto e di sviluppo.

(maggio 2020)

Tag: Carlo Cesare Montani, Mustafa Kemal Ataturk, Traforo del Bosforo, Costituzione turca (1924), Trattato con Grecia Romania e Jugoslavia (1934), Convenzione di Montreux (1936), Trattato con Iran Iraq e Afghanistan (1937), fronte dei Dardanelli (1915-1916), Armistizio di Mudros (1918), Trattato di Sèvres (1920), Battaglia di Afyon (1922), Pace di Losanna (1923).