Il dirigibile Hindenburg
Idrogeno sì o idrogeno no

Era il 6 maggio 1937 quando, alle ore 19:25, il dirigibile Hindenburg, durante la manovra di attracco al pilone di ormeggio della stazione aeronavale di Lakehurst nello Stato del New Jersey (Stati Uniti), prese fuoco e cadde al suolo completamente distrutto.

Ma andiamo con ordine. L’idea di un grosso aeromobile era venuta al Generale, conte Ferdinand von Zeppelin, il quale inventò il «dirigibile rigido» o, se si vuole, il «pallone dirigibile». Figlio del Ministro del Wurttemberg Friedrich von Zeppelin, era nato nel 1838 a Costanza in Prussia, trascorse i primi anni con i fratelli Eugenia ed Eberhard nel castello di Girsberg a Emishofen in Svizzera (regalo del padre della madre Amélie Macaire; nel castello visse fino alla morte) e studiò all’Accademia Militare di Ludwigsburg e poi all’Università di Tubinga, per entrare nell’esercito prussiano nel 1858.

Da quanto si è saputo, in verità, l’idea non fu del tutto sua, anzi. Il conte era molto amico del Console Colombiano ad Amburgo, Carlos Alban, che già nel 1887 aveva presentato al Governo del suo Paese un progetto basato sull’uso di palloni che, contrariamente ai precedenti, fossero previsti con una struttura metallica. Che fosse un’innovazione di tutto rispetto lo dimostra il brevetto numero 53, che gli fu concesso il 9 ottobre 1888 dal Ministro dello Sviluppo Generale Rafael Reyes, valido per vent’anni. Pertanto, accettando come valida questa versione, l’invenzione non fu di Zeppelin, bensì di Alban che, per amicizia, gliela cedette: comunque sia, sua o non sua, l’invenzione passò alla storia con il suo nome.

Zeppelin già dai primi anni Ottanta del XIX secolo aveva iniziato a interessarsi di come riuscire a dirigere gli aerostati, senza lasciarli in balia dei capricci del vento. E nel 1899, cominciò a costruire il primo dirigibile rigido, che sperimentò per tre volte nel 1900 sul Lago di Costanza. La popolazione, che seguiva le sue imprese, ne fu entusiasta e lo sollecitò a continuare su questa strada. Il suo sogno era quello di avviare un sistema di trasporto che garantisse il superamento di lunghi tragitti, in concorrenza con gli aerei che, piano piano, si stavano aprendo una strada tutta loro. Nei primi anni Trenta, sembrava che il trasporto di passeggeri e merci con dirigibili fosse la soluzione ideale; soprattutto, era interessante l’attraversata dell’oceano in poco tempo rispetto a quello impiegato dai transatlantici.

Con le entrate derivate da una lotteria e offerte varie, Zeppelin poté costruire un secondo dirigibile. A seguito di una maxi sottoscrizione di sei milioni di marchi e più (ci fu pure in contributo di Hitler), fondò la «Luftschiffbau [«Costruzione di Dirigibili»] Zeppelin GmbH» e così poté costruire molti dirigibili, tanto che alla fine furono ben 119, di diverse grandezze, di cui una parte servirono per il trasporto di passeggeri (in 1.500 voli trasportò quasi 35.000 persone senza incidenti) e il resto per operazioni belliche di esplorazione e bombardamenti. Proprio per la sicurezza mostrata dalle aeronavi, nei primi anni Trenta l’uso per fini civili degli Zeppelin per il trasporto di passeggeri in lunghi viaggi anche transoceanici fu ritenuta la soluzione che risolvesse tutti i problemi del caso.

Nel frattempo, nel corso della Prima Guerra Mondiale gli aerei avevano iniziato a prendere la distanza dai dirigibili per velocità, manovrabilità, sorpresa negli attacchi eccetera: insomma il dinamismo di levrieri in alternativa alla staticità di pachidermi.

Nel periodo della sua costruzione, durata quasi cinque anni, il dirigibile LZ 29 Hindenburg (nome datogli dal Presidente dell’azienda Zeppelin Hugo Eckener in onore del secondo Presidente della Repubblica di Weimar, Paul von Hindenburg, che nel 1934 fu sostituito da Hitler) era il più grande aeromobile esistente al mondo, frutto di uno dei progetti più progrediti. A proposito del nome, Eckener, che non gradiva troppo il regime nazionalsocialista di Hitler, non ascoltò ragioni quando Goebbels lo invito a intitolarlo a Hitler.

La lunghezza raggiungeva i 245 metri, pari a quella di tre Boeing 747 e poco meno del Titanic, e un diametro di 41 metri. L’involucro conteneva oltre 200.000 metri cubi di gas suddivisi in 16 settori. I quattro motori diesel avevano la potenza di circa 1.200 cavalli vapore ciascuno, che gli facevano raggiungere la velocità di 135 chilometri orari; i serbatoi contenevano 2.500 litri di carburante. La sua capacità di sollevamento era enorme, essendo in grado di sollevare in aria oltre 100 tonnellate di carico utile più 50 passeggeri. Per quei tempi, quelle caratteristiche tecniche erano semplicemente avveniristiche. Il gas previsto nella progettazione era l’elio, un gas incombustibile.

L’equipaggiamento dell’Hindenburg era ricco, completo di tutto quanto potesse servire. Una cucina e un ristorante servivano per sostentare passeggeri ed equipaggio durante il volo. Ci si poteva sgranchire le gambe in due gallerie, caratterizzate da finestre inclinate. I servizi igienici erano dotati di doccia, sempre per contenere il peso. Del resto quasi la totalità della struttura era in alluminio, e – per non derogare dalla regola – lo era pure il pianoforte, fatto costruire appositamente.

Il gas previsto nella progettazione era l’elio, come ricordato più sopra, un gas incombustibile di cui, a quei tempi, gli Stati Uniti avevano il monopolio della fornitura mondiale; e poiché essi temevano che altri Stati ne potessero fare usi militari, ne proibirono l’esportazione. Nel 1929, Hugo Eckener tentò, attraverso il Presidente egli Stati Uniti in un incontro alla Casa Bianca, di ottenere la fornitura di quel gas. Sembrava che la richiesta potesse giungere a buon fine, ma qualcosa bloccò il tutto: in Germania, era salito al potere il Consiglio Nazionale per il controllo dei beni militari e gli USA, nel timore che l’elio servisse per scopi militari, appunto, ne rifiutarono la fornitura, per cui si dovette rivedere la progettazione, optando per l’uso dell’idrogeno, gas facilmente infiammabile e altamente pericoloso, però più leggero, per cui la quantità poteva essere inferiore e reperibile senza eccessive difficoltà in Germania; logicamente bisognava adottare tutte le precauzioni del caso. Per cui l’involucro dell’Hindenburg doveva essere pieno di idrogeno, aromatizzato con aglio per riconoscere eventuali fughe. A questo punto, il pericolo di incendio era sempre presente. Lo scheletro in alluminio era ricoperto di tela di cotone opportunamente trattata, per renderla più resistente e per proteggerla dagli agenti atmosferici. Dentro, erano sistemate le sacche, riempite di idrogeno, un gas più leggero dell’aria, che avrebbe trascinato l’aeromobile verso l’alto nel cielo, mentre i potenti motori, che facevano ruotare le eliche, erano fissati all’esterno, insieme con la cabina (o gondola) di comando, dove si trovava tutta la strumentazione necessaria per controllare il volo, e spingevano il dirigibile nella direzione voluta dalla timoneria. I passeggeri trovavano posto o nella gondola o all’interno del bestione e, prima di salire a bordo, questi dovevano consegnare gli accendini, i fiammiferi e qualsiasi oggetto che potesse provocare una scintilla, o comunque liberarsene. Per impedire un eventuale ingresso di idrogeno, i passeggeri, nella sala da fumo, erano tenuti in sovrappressione; qui si trovava l’unico accendisigari a bordo.

Il Governo Tedesco, conscio della pubblicità che poteva derivare dallo Zeppelin, prese le redini della situazione, e nel 1935 si inserì nei voli del dirigibile, attraverso il gerarca nazista Hermann Göring, che fondò l’agenzia di controllo dei viaggi e dei trasporti per mezzo di dirigibili Deutsche Zeppelin Reederei GmbH. Il primo volo avvenne nel marzo del 1936 e nel luglio dello stesso anno fece due attraversate dell’Oceano Atlantico nel tempo di 5 giorni, 19 ore e 51 minuti.

Dopo una serie di voli di prova, l’Hindenburg nel 1936 attraversò in volo le più importanti città tedesche, compiendo un periplo di circa 6.600 chilometri, per dimostrare alla stupefatta popolazione con il naso all’insù che il regime nazista possedeva capacità tecnologiche e di avanguardia di tutto rispetto. Al Presidente Eckener stava stretta tutta questa prosopopea, ma, come si dice, «ubi maior...» con quel che segue, per cui fu costretto ad abbozzare un sorriso.

Comunque, lo Zeppelin entrò in servizio e fece numerosi voli verso gli Stati Uniti e il Brasile. E il regime continuò a usarlo per farsi propaganda, come per esempio quando, nel 1936, fu fatto passare sopra lo Stadio Olimpico di Berlino durante la cerimonia di apertura delle Olimpiadi.

Prima del disastro dell’Hindenburg ci furono molti incidenti capitati a dirigibili non della Zeppelin, quasi sempre da attribuire a cattive condizioni atmosferiche. Si sa che il dirigibile Graf Zeppelin volò per oltre un milione e mezzo di chilometri, fra cui la prima circumnavigazione del globo terrestre, senza incidenti di sorta. E, giustamente, per la Luftschiffbau era un punto di orgoglio l’aver fatto volare tantissimi passeggeri senza che mai qualcuno si facesse male sui suoi mezzi volanti.

Il 3 maggio 1937, a Francoforte ci si stava preparando alla partenza per gli Stati Uniti al comando di Max Pruss, un pilota navigato ed esperto, veterano della Guerra Mondiale del 1914-1918. Alle 20:15, ora locale, il dirigibile mollò gli ormeggi e partì per giungere, dopo tre giorni, a Manhattan dopo aver superato l’Oceano Atlantico, con diverse ore di ritardo rispetto alle previsioni, a causa di un violento temporale con venti contrari abbattutosi sul New Jersey. Il comandante Pruss desiderò fare un volo di propaganda attorno all’Empire State Building, in modo che i passeggeri potessero ammirare la città dall’alto e i visitatori potessero osservare bene l’Hindenburg; il dirigibile passò tanto vicino al grattacielo che i passeggeri e i visitatori poterono vedersi bene in faccia e salutarsi con le mani. Poi, dopo un giro veloce sulla città, l’aeromobile si diresse verso la base aerea di Lakehurst, dove era previsto l’ancoraggio. Si era a metà pomeriggio, quando il tempo si volse al peggio, tanto che il capo della base Charles Roosendaal comunicò al comandante Pruss di stare alla larga, ritardando l’ancoraggio del dirigibile. Questi portò il mezzo a volare lungo la costa, finché un paio di ore più tardi gli fu comunicato che le condizioni meteorologiche erano migliorate, per cui poteva avvicinarsi; quando era in arrivo, gli fu inviato un nuovo messaggio, con il quale lo si sollecitava a fare presto, considerato che il tempo poteva ancora peggiorare.

A terra, erano giornalisti e fotoreporter con il compito di documentare l’importante evento; fra questi era il giornalista americano Herbert Morrison dell’emittente WLS di Chicago, che seguiva tutte le operazioni, però non stava trasmettendo in diretta; e sua fu la registrazione del disastro che sarebbe successo dopo pochi minuti e che fu trasmessa in tutti gli Stati Uniti il giorno seguente.

Quando erano appena suonate le sette di sera, lo Zeppelin iniziò la discesa, per giungere alla quota di 180 metri. Una decina di minuti dopo, l’aeromobile era pronto: corde di ormeggio furono gettate fuori bordo e il personale da terra le prese per far diminuire la quota. Alle ore 19:25, una fiamma divampò verso la coda e in pochi secondi si diffuse a tutta la struttura. Ci fu un’esplosione e in meno di un minuto il dirigibile si trasformò in una palla di fuoco, che cadde pesantemente e rovinosamente al suolo, illuminando la sera incombente.

Delle 97 persone a bordo, perirono 13 passeggeri e 22 membri dell’equipaggio. I sopravvissuti furono coloro che si trovavano vicini alle finestre (per cui, rotti i vetri, si buttarono nel vuoto) e che non erano troppo alti sul suolo; per chi cadde da più in alto, le ferite riportate nella caduta furono fatali; ci furono anche alcune morti dovute all’intossicazione da fumo. Coloro che erano all’interno dell’involucro, nelle gallerie, rimasero attorniati dalle fiamme, senza scampo. Nei giorni successivi al disastro ci furono sei morti fra i membri dell’equipaggio, tre fra i passeggeri e un membro dell’equipaggio a terra a causa, soprattutto, delle ustioni riportate.

Naturalmente, ci fu una duplice inchiesta, statunitense e tedesca, che portarono a conclusioni simili. Si parlò della rottura di un cavo d’acciaio che abbia squilibrato l’assetto dello scafo, danneggiando i cilindri e da qui la perdita di idrogeno. Poi, una scintilla di natura elettrostatica potrebbe aver fatto il resto, accendendo la miscela esplosiva aria-idrogeno.

Una versione comune fu la seguente. Il complesso della copertura del dirigibile era costituito di un materiale che non permetteva all’elettricità statica di distribuirsi uniformemente e non era collegato al telaio in alluminio per mezzo di funi isolanti in «ramiè» (la fibra di una pianta tessile orientale). L’aria attorno all’aeromobile era umida e si caricò elettricamente il pilone d’attracco bagnato, che era conduttore. Non appena il pilone e la struttura in alluminio si toccarono, ci fu la connessione a terra; da qui la scarica che causò il manifestarsi dell’immane rogo. Sicuramente, se scoppiò l’incendio, fu perché una scintilla colpì l’idrogeno; ma nessuno, né fra i passeggeri, né fra i membri dell’equipaggio, dichiarò di aver sentito l’odore del gas che, appunto come sirena d’allarme, era stato addizionato con essenza d’aglio, per individuare immediatamente eventuali perdite.

Per il Governo Tedesco fu un’occasione per prendersela con quello Statunitense, per il rifiuto della fornitura di elio.

La causa, tuttavia, non fu mai esattamente identificata, anche perché ci fu qualcuno che parlò di un vero e proprio sabotaggio. E infatti ci fu chi pensò che la fine del dirigibile Hindenburg non sia stata causata da un incidente. Lo stesso Hugo Eckener, ora ex capo della Luftschiffbau Zeppelin, ebbe il dubbio che fosse stato il bersaglio dell’azione di un gruppo che detestava la Germania nazista. Niente, tuttavia, comprovò la veridicità dell’ipotesi. Lo storico statunitense Adolf Helling avanzò l’ipotesi che il disastro sia avvenuto per lo scoppio di un ordigno con meccanismo a orologeria, sistemato sul fondo di un cilindro da uno dei membri dell’equipaggio (addirittura, egli fece il nome del tecnico Erich Spiel). Il tempo era stato calcolato in modo corretto, perché l’ordigno sarebbe dovuto scoppiare dopo che il dirigibile fosse stato svuotato dai passeggeri e dai membri dell’equipaggio. Purtroppo, le condizioni meteorologiche avverse avevano fatto ritardare l’ancoraggio e, da qui, l’atterraggio, per cui la gente fu coinvolta nell’incendio.

Hitler, che non aveva mai apprezzato i grandi dirigibili, fu contento che l’Hindenburg distrutto dal rogo non portasse il suo nome, come avrebbe voluto il gerarca nazista Hermann Göring.

Il disastro dell’Hindenburg segnò la fine dell’uso dei dirigibili: il regime nazista ne vietò il trasporto di passeggeri, mentre le gigantesche rimesse di Francoforte furono rase al suolo.

Zeppelin, che morì durante la Prima Guerra Mondiale, da un lato non ebbe il dispiacere, a seguito del Trattato di Versailles, di vedere che l’uso dei dirigibili era stato sospeso, mentre dall’altro non poté avere la soddisfazione della ripresa dei voli, grazie all’impegno e alla costanza del suo successore Hugo Eckener. Purtroppo, il disastro del 6 maggio 1937 mise la parola «fine» ai trasporti aerei con dirigibili rigidi.

Ultimamente si sta discutendo di dirigibili stratosferici e dei progetti relativi: il futuro dirà se e come saranno progettati, costruiti e utilizzati.

(luglio 2021)

Tag: Mario Zaniboni, 6 maggio 1937, dirigibile Hindenburg, Ferdinand von Zeppelin, dirigibile rigido, pallone dirigibile, Carlos Alban, Hitler, Luftschiffbau Zeppelin GmbH, Prima Guerra Mondiale, Paul von Hindenburg, Hugo Eckener, Hermann Göring, disastro dell’Hindenburg, Max Pruss, Charles Roosendaal, Herbert Morrison, Adolf Helling, Erich Spiel.