La crisi del ’29
La peggiore crisi finanziaria del Novecento ebbe gravi conseguenze politiche

La crisi del ’29 ebbe conseguenze molto gravi non solo sul piano economico internazionale ma anche politico, favorendo gruppi estremisti e l’affermazione in Europa e in America Latina di regimi totalitari. La crisi si protrasse per molti anni e colpì non solo le banche ma anche le imprese e l’agricoltura a causa della caduta dei prezzi agricoli.

Generalmente si ritiene che la crisi venne innescata nell’ottobre di quell’anno dalla caduta della Borsa americana ma secondo molti storici essa non fu l’unica causa e la terribile recessione venne aggravata da altri fattori su cui gli studiosi hanno opinioni diverse. Ricordiamo che di per sé il crollo di Borsa ha un effetto negativo sui risparmi ma non incide direttamente sul sistema produttivo a meno che le banche non posseggano quantità di azioni eccessive e una volta danneggiate non possano fare credito alle imprese.

Il decennio che precedette la grande crisi fu un periodo particolarmente florido per l’America. Gli anni Venti come sappiamo sono conosciuti come gli «anni ruggenti», elettrificazione urbana, auto furono fra gli elementi innovativi. Ricordiamo un dato particolarmente significativo, gli Stati Uniti raggiunsero una media di 1 auto ogni 5 abitanti, mentre nel Vecchio Continente si aveva 1 auto ogni 80 abitanti. Altri dati ci danno un quadro di una società benestante, la diffusione della radio, degli elettrodomestici, costituiva un altro importante primato mondiale. La grande quantità di capitali consentiva alla nazione americana di realizzare grandi investimenti all’estero e fare credito ai Paesi europei. In generale fra il 1923 e il 1929 il reddito nazionale crebbe del 23% e la produzione industriale del 60%. Nonostante tali dati, alcuni economisti ritengono comunque ci fosse un divario fra la enorme crescita industriale e i salari della maggior parte della popolazione e quindi una situazione di sovrapproduzione.

Dal 1927 l’economia cresceva meno del previsto ma senza destare particolari preoccupazioni e soprattutto non preoccupò gli investitori in Borsa. Dal 1922 al 1929 i titoli azionari erano cresciuti oltre il 500%, molti risparmiatori ritenevano tali investimenti facili ed estremamente convenienti, piccoli e grandi si indebitavano con banche o con gli stessi broker per acquistarne la maggiore quantità. Le quotazioni divennero gonfiate con un rapporto tra prezzo e utile pari a 32, considerato molto al di sopra della media. Solo nel settembre del 1929 l’andamento della Borsa divenne irregolare. Il giovedì 24 e martedì 29 ottobre si ebbero due crolli gravissimi (il secondo arrivò a –13%) e alcuni importanti banchieri si riunirono e fecero pubblici acquisti per dimostrare che non ci fosse nulla che non andava. In realtà una ragione oggettiva alla caduta dei titoli esisteva, il Parlamento stava emanando una legge protezionista che imponeva alti dazi alle importazioni e da alcune settimane si sapeva che gli altri Paesi avrebbero reagito imponendo dei limiti agli acquisti dei prodotti statunitensi.

Il presidente repubblicano Herbert Hoover, convinto che il mercato si sarebbe regolato da solo in breve tempo, viene generalmente considerato uno dei responsabili della situazione. La sua politica è considerata come quella di altri governi europei del tempo controproducente, favorendo il contenimento della spesa pubblica e dell’inflazione nonché mantenendo la parità con l’oro per sostenere il dollaro. Solo alcuni mesi dopo promosse delle iniziative per evitare ulteriori cali del prezzo del grano e del cotone che aveva messo in grave difficoltà molti coltivatori. L’economista James Galbraith studiando in tempi successivi la situazione, individuò nell’eccesso di prestiti speculativi, nella ricerca ossessiva del pareggio del bilancio, la causa del disastro, altri ritennero che i tassi di interesse particolarmente bassi praticati dalla Federal Reserve favorirono una eccessiva euforia economica, mentre il rialzo degli stessi avvenne quando la crisi era già iniziata, in un momento sbagliato.

Le prime a essere colpite dal disastro borsistico, sia perché detentrici di grandi quote azionarie, sia perché molti investitori che avevano acquistato azioni a credito non furono in grado di restituire i soldi, furono le banche e tutto il sistema bancario. La crisi si avvitò su se stessa, di fronte alla evidente crisi delle banche si ebbe una corsa agli sportelli per ritirare i risparmi da parte di coloro che prevedevano un imminente fallimento. In tutto il Paese chiusero migliaia di istituti di credito (fra i 5.000 e i 9.000) di diverse dimensioni e pertanto si ridussero drasticamente i finanziamenti alle imprese, molte delle quali fallirono.

Le esperienze del passato hanno spinto nelle recenti crisi economiche e finanziarie le banche centrali ad abbassare i tassi di interesse, «inondare il mercato di liquidità» al fine di salvare le attività produttive, ma di fronte alla crisi del ’29 si ebbe il contrario, la Federal Reserve per sostenere il credito alzò i tassi di interesse peggiorando la situazione.

Il risultato di tale situazione fu ovviamente la riduzione dei salari e ancor più la disoccupazione di massa. Le famiglie che godevano di ridotti sostegni economici da parte dello Stato dovettero ridurre notevolmente i consumi (oltre a non poter ripagare i mutui immobiliari), fatto che portò a una pesante riduzione delle vendite delle aziende.

Date queste premesse e la riduzione dello scambio commerciale internazionale con la legge americana Smoot Hawley che prevedeva dazi del 50% e oltre su un gran numero di beni importati, la situazione peggiorò progressivamente. La Borsa continuò a perdere quasi ininterrottamente fino al 1932 portando le perdite all’80%. Nello stesso anno, il peggiore degli anni Trenta, il Pil si ridusse del 25%, la produzione industriale e il commercio con l’estero si ridussero a circa la metà, i disoccupati passarono da 2 a 13 milioni (tasso di disoccupazione al 25%). Perfino i prezzi dei prodotti agricoli continuarono a scendere nonostante che negli anni Trenta si ebbero le cosiddette Dust Bowl («tempeste di sabbia») che distrussero i raccolti di intere regioni.

Gli Stati Uniti ridussero drasticamente investimenti e crediti verso l’estero e la crisi pertanto si estese molto rapidamente, già nel 1930 molti Paesi europei videro la loro produzione industriale calare, in particolare in Germania, la maggiore beneficiaria dei precedenti interventi finanziari americani, dove il calo dei prodotti dell’industria fu già nel 1930 del 14%. Anche i Paesi europei presero misure contro le importazioni americane e il commercio internazionale si ridusse in pochi anni del 60%.

Per evitare guerre commerciali e valutarie vennero convocate diverse conferenze internazionali ma nessuna diede risultati. Diversi Paesi scelsero di sganciare il valore della propria moneta dall’oro e di procedere a delle svalutazioni per rendere le proprie merci più competitive, ovviamente tale situazione contribuì al disordine dell’economia in generale.

Se molti governi reagirono alla crisi con provvedimenti controproducenti (dazi doganali, svalutazioni monetarie, riduzione della spesa pubblica e rialzo dei tassi di interesse), altri presero provvedimenti interessanti, fra questi il nuovo governo americano presieduto da Roosevelt, ma anche i regimi totalitari fascisti, Italia e Germania.

Franklin Roosevelt, eletto presidente nel 1933 con il sostegno dei lavoratori, inaugurò il New Deal, un programma economico in gran parte gestito dallo Stato, una innovazione notevole per il mondo americano. Tale programma prevedeva: lavori pubblici per fornire lavoro a chi era rimasto disoccupato, sussidi agli agricoltori perché diminuissero la produzione dei beni agricoli in eccesso, svalutazione del dollaro, controlli sul sistema bancario. Inoltre prevedeva delle iniziative per una economia più equa: minimo salariale, un «codice di concorrenza leale», assicurazioni sociali, maggiore tassazione per i ceti ricchi, riconoscimento dei sindacati. Tali iniziative portarono a un deficit del bilancio statale che venne considerato un male minore da cui recuperare negli anni successivi.

Tali iniziative vennero prese ispirandosi alle nuove teorie economiche dell’economista inglese John Maynard Keynes che riteneva il buon andamento dell’economia dipendesse non solo dalla produzione ma anche da una forte domanda di beni da parte delle famiglie e ancor più dello Stato. Almeno per un certo periodo le teorie keynesiane si dimostrarono valide nelle azioni di governo per gestire crisi e situazioni diverse. I provvedimenti di Roosevelt diedero risultati solo parzialmente positivi (i disoccupati scesi a 7 milioni nel 1937 risalirono gli anni successivi) anche perché incontrarono l’opposizione della Corte Suprema che riteneva alcuni di essi contrari alle libertà costituzionali.

Se il New Deal fu il provvedimento più famoso fra quelli avutisi a livello internazionale, va detto che l’Italia e la Germania promossero delle misure economiche altrettanto fruttuose. Il nostro Paese nel 1931, quindi prima della nuova politica di Roosevelt, istituì l’Imi, l’Istituto Mobiliare Italiano, organismo pubblico con la finalità di concedere prestiti alle aziende in difficoltà, due anni dopo venne istituita l’Iri, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale sempre a carattere pubblico che acquistava dalle banche grandi partecipazioni azionarie e crediti precedentemente concessi alle industrie. Con tali iniziative lo Stato divenne proprietario del 20% dell’intero capitale azionario complessivo del Paese e quindi un soggetto determinante nelle scelte economiche, inoltre il governo negli anni successivi emanò delle leggi di regolamentazione bancaria particolarmente rigorose. La Germania, che aveva uno dei più alti numeri di disoccupati a livello mondiale (6 milioni), dopo il 1933 attraverso la realizzazione di opere pubbliche e il rilancio dell’industria degli armamenti assorbì gran parte della manodopera inattiva e rilanciò l’economia del Paese.

Per l’America si ebbe una situazione paradossale, il ritorno alla piena occupazione e alla ripresa economica si ebbe con la Seconda Guerra Mondiale che richiedeva una maggiore produzione di armamenti e dei prodotti industriali a essi collegati. Negli anni successivi l’esperienza della durissima crisi spinse le nazioni occidentali a una maggiore cooperazione internazionale sul fronte monetario, commerciale e finanziario.

(settembre 2022)

Tag: Luciano Atticciati, Herbert Hoover, Grande Depressione, crisi del ’29, 1929, Iri, Franklin Roosevelt, John Maynard Keynes, New Deal, Smoot Hawley, Dust Bowl, Imi.