«A Cape» e Napoli. Quando Napoli era Partenope
I coloni greci dedicarono la città da loro fondata alla sirena Partenope e a tale nome si legano molte leggende, culti e l’origine di alcuni dolci napoletani. Poi Partenope diventò Napoli ma, nonostante il tempo, si sente ancora il canto della sirena

La città, che poi diventerà Napoli, fu fondata da un gruppo di Greci provenienti dall’isola di Rodi i quali decisero di fondare lungo le nostre coste delle nuove colonie per ampliare il loro commercio marittimo; ci troviamo intorno al famoso VIII secolo avanti Cristo, famoso perché durante questo secolo furono fondate da coloni greci numerose città che daranno vita alla «Magna Grecia».

Ritornando alle pendici del Vesuvio, i Greci provenienti da Rodi fondarono prima Cuma, ma, in seguito al violento conflitto con gli Etruschi per il controllo delle aree costiere campane, si allontanarono da questi territori per cercare un nuovo posto più tranquillo, sicuro, adatto al commercio e lontano dagli Etruschi, lo trovarono sul promontorio, oggi poco percepito, di Pizzofalcone. Tale insediamento si estendeva fino all’attuale Piazza Municipio e sfruttava come elemento di difesa anche il maestoso, imponente, misterioso e scomparso fiume Sebeto e aveva come scopo sia quello di creare una base commerciale sia quello di un «phroiurion», «postazione militare», a controllo dell’area costiera centrale e meridionale che allora era chiamata Golfo Cumano, commercio e difesa coordinati insieme ad un’altra colonia greca, Pithecusa, sita sull’isola di Megarite, oggi occupata dal Castel dell’Ovo.

Nel VII secolo avanti Cristo nacque la nuova colonia chiamata Partenope dal nome della misteriosa sirena Parthenope – colei che ha nome di fanciulla – la cui venerazione, secondo vari studiosi, doveva essere preesistente all’arrivo dei Greci di Cuma i quali, rispettando i culti già esistenti, decisero di dedicarle il nuovo insediamento, così il destino della nuova polis Partenope si legò a quello della polis cumana.

Durante la seconda metà del VI secolo avanti Cristo entrambe le città decaddero in seguito all’incalzante offensiva etrusca che puntava alla conquista del golfo; mentre Cuma riuscì a sopravvivere Partenope decadde, forse distrutta dagli stessi Cumani, fu abbandonata ma dopo qualche anno, intorno al 470 avanti Cristo, nacque la nuova città Neapolis voluta dagli stessi Cumani che ormai liberi dalla minaccia etrusca poterono dedicarsi nuovamente al commercio marittimo; in breve divenne una città multietnica e multiculturale come si addice ad una città marittima e dedita al commercio perché Calcidesi, Ateniesi, Pitecusani e alcuni Campani meglio conosciuti come Sanniti, la scelsero come la loro nuova casa. Contemporaneamente Partenope divenne Palaepolis, ossia città vecchia, che fu progressivamente inglobata nella città nuova, Neapolis, fino a diventare tutt’uno con il nuovo insediamento.

Il culto per sirena Parthenope, nonostante il tempo, era ancora molto sentito non solo nella comunità greca ma in tutti gli abitanti della città nuova perché rendeva nobili i natali di Neapolis, aspetto quest’ultimo molto sentito dal mondo classico. Il suo culto era così forte che le fu dedicato un monumento sepolcrale celebrato, secondo un responso oracolare, con le «corse lampadiche» – consistevano nel tenere in mano e accesa una fiaccola per tutta la durata della corsa –. Successivamente tali giochi le furono dedicati annualmente e si concludevano con il sacrificio di due buoi probabilmente sulla sua tomba. Di tale monumento non si conosce nulla, né la sua ubicazione, né la sua struttura ma tra le varie ipotesi quella più comunemente accettata è legata alla testimonianza di Strabone secondo cui il monumento alla sirena Parthenope era visibile già dal mare, quindi doveva verosimilmente trovarsi vicino al porto ubicato, nell’Evo Antico, tra il Maschio Angioino e il Palazzo Reale, porto nato sotto Partenope ma utilizzato anche da Neapolis.

Oggi per noi tale culto si è trasformato in mito che racconta di una sirena figlia della ninfa Calliope e del fiume Acheloo, punita e trasformata in un mostro, metà donna e metà uccello, insieme alle sue sorelle, Leucosia e Ligea, dalla dea Demetra perché non difesero la loro amica Persefone dal temibile Ade. Altre versioni del mito descrivono le tre sorelle che per mantenere intatta la loro castità chiesero a Demetra di essere trasformate per metà in uccelli, in altre versioni, invece, chiesero a Demetra di trasformarle in uccelli per poter cercare meglio la loro cara amica Persefone. Indipendentemente dal perché si trasformarono, furono costrette, però, a sopravvivere nutrendosi di persone incantate dalla loro soave voce, l’unico uomo che non riuscirono ad uccidere fu Ulisse e disperate decisero di suicidarsi. Le onde portarono il corpo di Parthenope nel golfo napoletano e lì fu raccolto, sepolto e venerato.

La sirena Parthenope

«’A cape e Napoli», presunta testa della sirena Parthenope, Napoli (Italia)

Con la fine dell’Evo Classico anche il culto della sirena Parthenope cadde nell’oblio fino alla fine del XVI secolo quando lungo Via dell’Anticaglia, l’antico decumano superiore, fu ritrovata una grande testa di donna e subito venne indicata come la testa della sirena Parthenope, in realtà per molti studiosi sarebbe l’erma di Venere. Divenne in breve tempo «’a cape e Napoli», fu restaurata e posta su una base per volere di un nobile napoletano, un certo Alessandro di Mele, «a’cap» fu collocata vicino alla chiesa di San Giovanni a Mare e dedicata definitivamente a Parthenope; fu danneggiata durante la rivolta di Masaniello, fu poi restaurata, ricollocata in diversi punti della città ma non ebbe mai vita facile perché divenne «testimone» e «vittima», perdendo sempre il naso, della rabbia dei Partenopei durante le varie rivolte, ma, stranamente, non fu mai né distrutta né smantellata, era pur sempre la sirena Parthenope spirito protettivo della città. Dopo tante peripezie e guerre, fu restaurata e nel 1962 ha trovato la sua pace nel palazzo San Giacomo, sede del Municipio, e una copia si trova lì dove in principio era collocata, vicino alla chiesa di San Giovanni a Mare in prossimità di Piazza Mercato.

Una curiosità, «’a cape/la testa e Napoli» ha anche un nome, Donna Marianna, la cui origine non è chiara, forse i Napoletani la chiamarono così in onore alla rivoluzionaria francese Marianne la cui memoria infiammò gli animi durante la breve Repubblica Napoletana del 1799, oppure, secondo altri, il nome si deve al fatto che per un breve periodo fu collocata vicino alla chiesa di Santa Maria dell’Avvocatura, vicino a Piazza Dante, dove si venerava il busto di Sant’Anna, da qui Maria-Anna, diciamo che sono due ipotesi opposte ma mostrano come i Napoletani con il loro fare originale sono affezionati al loro passato tanto da dare un nome ad una testa come se fosse una persona.

Sicuramente il grande testone è stato usato anche per schernire chi aveva la testa grande o sproporzionata, ma oggi è solo «a’cap e Napoli», è la testa della sirena Parthenope a cui il Napoletano, nonostante il tempo, è affezionato e in passato le dedicava il primo raccolto della primavera che sapientemente miscelato ha dato vita ad uno dei dolci più buoni e tipici napoletani, la pastiera, ma questa è un’altra storia.

Articolo in media partnership con polveredilapislazzuli.blogspot.it
(maggio 2018)

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