Giochi olimpici dell'Evo Antico: una storia millenaria
Memoria delle vittorie italiche e di atleti celebri

Il rammarico per le difficoltà olimpiche dell’epoca contemporanea, ultima delle quali l’emergenza dovuta alla pandemia da Coronavirus, non deve far dimenticare che quelle dell’Evo Antico superarono felicemente ben altri problemi, ascrivendo la durata straordinaria di oltre un millennio: infatti, i primi Giochi si tennero nel 776 avanti Cristo mentre gli ultimi ebbero luogo nel 393 dell’Era Volgare, prima della cancellazione per opera dell’Imperatore Teodosio. Le edizioni che furono celebrate nel frattempo, a cadenze quadriennali, pervennero alla bella cifra di 292: a conti fatti, non ci fu sospensione di continuità in una serie di quadrienni oggettivamente irripetibile.

Iniziative analoghe, sia pure non ricorrenti, si erano avute anche in precedenza, in specie quando si trattava di celebrare qualche morte eccellente come quella di Patroclo, l’amico del cuore di Achille, che per onorarne la memoria, come racconta Omero, avrebbe disposto la celebrazione di gare e la contestuale sospensione delle ostilità militari con il beneplacito del nemico. Del resto, analoghe sospensioni erano all’ordine del giorno quando si trattava di dare sepoltura ai morti durante una cruenta battaglia.

Ciò significa che lo spirito olimpico viene da lontano, fino a perdersi nella notte dei tempi come segnale di umanità, e in qualche misura, di civiltà. In tale ottica, le Olimpiadi ebbero prestigio e fama eccezionale in tutto il mondo allora conosciuto: non a caso, il periodo dei Giochi, che duravano sette giorni ma erano preceduti da un mese di allenamenti, o come si direbbe oggi, di qualificazioni, si distingueva per la sospensione di ogni conflitto. Proprio per questo, il verbo olimpico è stato ripreso come iniziativa di pace anche nell’età contemporanea. Nondimeno, l’importante non era partecipare, secondo l’assunto odierno, ma vincere: il secondo classificato era uno degli sconfitti e tutti gli onori spettavano esclusivamente al vincitore, che conquistava, assieme alla gloria spesso imperitura, soltanto la mitica corona d’alloro e un’anfora d’olio.

I Giochi si tenevano a Olimpia nel celebre Stadio in cui gareggiavano gli atleti nudi e unti. All’inizio, la sola specialità in programma era una corsa podistica di lunghezza pari a quella dello Stadio medesimo, poi integrata dalla corsa di percorso doppio, e infine dalla gara su lunga distanza. In tempi relativamente brevi si aggiunsero la corsa con le armi, quelle a cavallo e con carri trainati da cavalli, il pugilato, la lotta, il pancrazio (una sintesi di queste due discipline) e il pentathlon (salto in lungo, disco, giavellotto, corsa breve, lotta). Potevano partecipare soltanto i Greci, compresi quelli delle colonie lontane, e le donne avevano facoltà di assistere alle gare, a eccezione delle sposate, che dovevano restare pudicamente a casa, lungi dallo spettacolo degli splendidi atleti in pieno vigore fisico.

Nell’Evo Antico i trasporti non erano certamente agevoli né veloci, ma il richiamo di Olimpia era tale che non mancavano i partecipanti in arrivo da lontano: in larga maggioranza, gli atleti appartenevano alle classi superiori, in grado di permettersi gli oneri di una trasferta molto impegnativa, a più forte ragione non facile per chi veniva da lontano. Le partecipazioni furono relativamente liberalizzate in epoca romana, ma sempre con il divieto assoluto per gli schiavi, mentre l’Olimpiade collaterale riservata agli adolescenti ebbe origini ugualmente antiche, quale primo esempio di una differenziazione per categorie in base all’età.

La storiografia non fu aliena dall’esaltare le imprese di taluni protagonisti capaci di conseguire risultati di particolare rilevanza, soprattutto nell’iterazione della vittoria da un quadriennio all’altro. Non esistendo parametri aritmetici di riferimento come nella modernità, il successo ripetuto era particolarmente apprezzato, ma soprattutto nella lotta o nel pugilato era importante anche il tempo occorso all’atleta vittorioso per battere l’avversario, o per procurargli una ferita che avrebbe determinato la fine immediata del confronto e la proclamazione del vincitore. Le regole erano dure ma lo spirito della competizione rimase leale, per lo meno fino agli ultimi secoli, quando sarebbero subentrati gli inganni e la corruzione, causa non ultima della fine dei Giochi.

Alcuni nomi di atleti vittoriosi sono rimasti celebri, soprattutto per merito degli storici che hanno scritto le gesta di quegli uomini, e in qualche caso per la tradizione orale. In mancanza degli almanacchi disponibili per le Olimpiadi moderne, ciò che preme porre in evidenza prioritaria rimane soprattutto lo spirito di quelle manifestazioni, tanto più apprezzabile in un’epoca storica che considerava la guerra come strumento principale per risolvere le controversie, ben lungi da soluzioni perseguibili sul piano giuridico, né tanto meno su quello etico.

Non mancarono i vincitori provenienti dalle varie città «italiche» della Magna Grecia che furono almeno sei, appartenenti alle attuali Puglie, Calabria e Sicilia. Quegli atleti conquistarono il lauro di Olimpia in specialità e tempi diversi, a cominciare dal mitico Tisandro di Naxos vincitore nel pugilato per quattro Olimpiadi consecutive fra il 572 e il 560, e anche di quattro Giochi pitici che si tenevano ad analoghe cadenze alterne in onore di Apollo. Sempre da Naxos veniva Aigias, vincitore nella gara dei corsieri (fantini su cavallo) tenutasi nell’Olimpiade del 456.

Assai fertile di successi fu il contributo di Crotone, con il celebre Milone che vinse ben sette lauri nel pugilato[1], seguito con due vittorie ciascuno da Astilo nella corsa con le armi, Timatiseo nella lotta e Isomaco nella corsa, e con una vittoria da Daippo nel pugilato. Non meno ragguardevole fu l’apporto di Locri, con tre lauri di Eutimo, sempre nel pugilato, e con quello di Agesidamo nella medesima specialità per la categoria degli adolescenti. Tra le vittorie di atleti della Magna Grecia si devono ricordare anche quelle nel pentathlon da parte di Icco, che esercitava a Taranto l’autorevole professione di medico[2], e ancora nel pugilato quelle di Filita da Sibari e di Pesirrodo da Thurium, quest’ultimo fra gli adolescenti, mentre Mys, un altro atleta di Taranto, avrebbe guadagnato il lauro di pugile nella tornata del 386.

Per gli atleti provenienti dalle città «italiche» non era facile arrivare al successo: non solo per la prevalenza numerica dei Greci autoctoni, ma nello stesso tempo, perché quelle città erano maggiormente esposte a rischi anche totali derivanti dalla loro posizione decentrata: basti rammentare che Naxos, fondata nel 734 da migranti dell’Ellade Settentrionale (Calcide e Cicladi) guidati da Teocle, fu rasa al suolo a opera di Dionisio di Siracusa nel 403 dopo tre secoli di prosperità[3] caratterizzati dall’emissione di moneta propria e da un grande impegno commerciale.

Oggi, riscoprire quelle gesta non appare inutile perché testimoniano l’esistenza di alti valori umani e civili nell’epoca precristiana, onorati anche nell’attività sportiva; e prima ancora, il loro ruolo nel perseguire una politica di pace, sia pure tristemente transeunte ma destinata a germogliare come un seme fecondo nel cuore degli uomini.


Note

1 Il caso di Milone è emblematico anche perché, come viene riportato dalla storiografia, il personaggio fu quello che oggi si definirebbe un vero e proprio eroe nazionale. Oltre ad avere conquistato sette vittorie olimpiche fra il 540 e il 512, fu vincitore sei volte nei Giochi pitici, nove in quelli nemei e dieci in quelli istmici, quasi a sottolineare, oltre a un’esemplare longevità atletica, anche la permanente disponibilità a cimentarsi sia nelle Olimpiadi sia in altre manifestazioni relativamente minori ma parimenti diffuse e comunque prestigiose. Milone fruiva di un’ammirazione immensa: nell’Olimpiade del 512 avrebbe dovuto disputare l’ultimo incontro con il concittadino Timatiseo (poi vincitore in altri due Giochi) ma questi rinunciò al combattimento inchinandosi davanti a quegli che era diventato una sorta di idolo, e non soltanto a Crotone. La tradizione vuole che fosse alto due metri e dotato di forza erculea, tanto che avrebbe usato allenarsi sollevando un vitello, e avrebbe ucciso un toro col solo supporto della forza fisica, ma la sua fama è accresciuta da importanti eventi extra sportivi: il primo riguarda la vittoria dei Crotonesi sui Sibariti ottenuta sempre nel 512 avendo per condottiero proprio Milone, mentre il secondo si riferisce all’aver salvato Pitagora in occasione di un terremoto.

2 Vincitore nell’Olimpiade del 472, anche Icco da Taranto, ricordato da Platone, ebbe grandissima fama, tanto che gli venne dedicata una statua nel tempio di Era a Olimpia. In patria fu medico, fisiatra e Rettore del famoso «Ginnasio», traendo motivi di apprezzamento anche dalla sua opera sanitaria, basata sull’applicazione della ginnastica alla medicina e sul ruolo importante della moderazione e della continenza, anche nel perseguimento dei successi sportivi.

3 La storia della fondazione di Naxos (l’odierna Giardini posta alla base del colle su cui sorge Taormina) ha lasciato traccia nelle opere di Tucidide, Strabone e Diodoro Siculo, e attualmente quella delle sue glorie olimpiche è stata ricordata da Francesco Bottari, Città di Giardini Naxos: personaggi illustri giardinesi, Edizioni La Rocca, Riposto 2018, pagine 13-26.

(gennaio 2021)

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