Alle origini dell’idea nazionale nel Risorgimento
Dalla campagna napoleonica di Russia alle battaglie per l’indipendenza italiana: il contributo di Cesare De Laugier

Ad oltre due secoli dall’infausta spedizione napoleonica in Russia che ebbe i suoi momenti essenziali nella «conquista» di Mosca, seguita dall’incendio della capitale russa e, poco dopo, dalla disastrosa ritirata che si concluse con il sacrificio quasi totale della Grande Armata culminato nel tragico passaggio della Beresina (novembre 1812), è utile ricordare l’apporto italiano a quella drammatica epopea.

In questo senso, una testimonianza significativa è rimasta quella di Cesare De Laugier, un ufficiale toscano di origine francese (era nativo dell’Elba da famiglia proveniente da Nancy), inquadrato nell’esercito imperiale, la cui attenta e precisa cronaca fu oggetto, all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, di un «reprint» dato alle stampe insieme all’opera di Giulio Bedeschi, in una sorta di struggente confronto con l’analoga, immensa tragedia del Corpo di spedizione italiano, ed in particolare di quello alpino, durante il Secondo Conflitto Mondiale.

In entrambe le occasioni, pur così diverse dal punto di vista strategico e tattico, i combattenti italiani di ogni ordine e grado si comportarono con alto valore militare e civile, costretti a soccombere nei soli confronti di un nemico oggettivamente invincibile: il Generale Inverno.

A proposito di Cesare De Laugier[1], è da porre in evidenza che ebbe un ruolo di non effimera importanza nella storia d’Italia, oggi inopportunamente dimenticato. Dopo la campagna di Russia e diverse esperienze nel Governo Granducale di Firenze, improntate a sicure vocazioni moderate, fu protagonista non secondario del Risorgimento e si distinse sul campo di battaglia di Curtatone dove è ricordato in una suggestiva lapide[2], tanto da meritare un cavalleresco riconoscimento da parte dello stesso Maresciallo Radetzky, che non era certamente tenero nei confronti dei suoi avversari[3] e che si sarebbe distinto per la feroce intransigenza verso i patrioti italiani durante gli anni plumbei in cui fu Governatore della Lombardia. Inoltre, De Laugier fu tra gli strenui difensori di Venezia contro le soverchianti forze austriache: caso tangibile di quella maturazione delle coscienze in senso nazionale che nella fattispecie ebbe origine nell’impegno al servizio di Napoleone.

La sua multiforme esperienza può considerarsi emblematica. Infatti, la giovanile milizia al seguito di Bonaparte, pur nello strazio di una spedizione assolutamente tragica come quella di Russia, non diede luogo ad un rifiuto che sarebbe stato psicologicamente comprensibile, ma si tradusse in un convinto abbraccio all’idea di nazionalità ed in particolare a quella di una patria italiana indipendente: fenomeno tanto più significativo in quanto contrapposto a parecchie simpatie altrui per l’Antico Regime, che durante il Primo Risorgimento potevano contare su adesioni ancora convinte e rilevanti.

Non fu un percorso isolato: nell’esercito, per l’epoca immenso, che venne immolato al disegno bonapartista di instaurare un nuovo ordine europeo se non addirittura mondiale, paragonabile per taluni aspetti a quello del Terzo Reich, erano rappresentate tutte le nazionalità dei territori conquistati durante il «volo dell’Aquila». Non potevano mancarvi le forze provenienti dai vari Stati Italiani che salvo eccezioni erano entrati a far parte della vasta galassia imperiale: ciò, con particolare riguardo a quelle meridionali guidate da Gioacchino Murat ed ai contingenti in armi del comprensorio Nord-Orientale che erano stati coinvolti nella breve esperienza del Regno Italico.

A questo riguardo, conviene rammentare che i soli Giuliani, Istriani e Dalmati caduti al servizio di Napoleone furono circa un migliaio, e che con il loro sacrificio diedero un contributo importante all’acquisizione di una matura idea di nazionalità italiana i cui effetti si sarebbero fatti sentire a lungo termine, ma le cui avvisaglie si erano già avvertite durante la seconda metà del secolo precedente, a cominciare dal pensiero e dall’opera di un grande patriota come Gian Rinaldo Carli.

Bonaparte aveva firmato nel 1797 l’atto di morte della Serenissima Repubblica di Venezia dopo un millennio di storia spesso gloriosa ed aveva modificato in modo irreversibile, fra gli altri, gli assetti del mondo adriatico, ma nello stesso tempo aveva diffuso i nuovi principi con una straordinaria accelerazione, destinata a promuovere i primi germogli del Risorgimento fin dai tempi della Restaurazione ed in quelli ben più coinvolgenti del 1848-1849, quando la città di San Marco avrebbe vissuto in chiave patriottica e nazionale una grande esperienza di riscatto, con il contributo, fra i tanti, di illustri Dalmati come Nicolò Tommaseo e Federico Seismit Doda (il futuro Ministro delle Finanze del Governo Crispi che sarebbe stato rimosso in tempo reale dal sanguigno Presidente del Consiglio perché in una stagione rigidamente triplicista aveva osato raccogliere il grido di dolore dell’Irredenta).

A tanto tempo dalla campagna di Russia, si ricorda sempre, con una partecipazione non formale, la dolorosa anabasi di Napoleone e della sua Grande Armata, che aveva avuto un precedente non meno tragico nella campagna di Carlo XII di Svezia ed avrebbe avuto un seguito altrettanto drammatico in quella dell’Asse durante il Secondo Conflitto Mondiale, a dimostrazione che la storia non è sempre «maestra di vita» (diversamente dall’assunto dell’antica storiografia) perché altrimenti non si continuerebbe a commettere gli stessi errori del passato: come ebbe a sottolineare con fine umorismo un celebre politologo quale Giovanni Sartori, «l’unica esperienza che dà l’esperienza è che l’esperienza non dà alcuna esperienza». Forse non è una verità assoluta, ma si deve riconoscere che capita spesso.

Il principio di nazionalità, diffuso da Napoleone in buona parte dell’Europa, aveva forti radici nelle idee della grande Rivoluzione ed anzitutto in quelle di libertà e di eguaglianza, mentre la fraternità ne costituiva un corollario destinato ad affermarsi a costo dei sacrifici imposti dalla naturale opposizione delle autocrazie, in un confronto che non ammetteva compromessi. In effetti, l’idea di nazionalità che si sarebbe sviluppata nel Risorgimento Italiano non poteva prescindere da valori fondamentali comuni all’impostazione cristiana della maggioranza, e dal crescente apporto del Cattolicesimo Liberale, a cominciare da quello di Vincenzo Gioberti, che non a caso fu attento estimatore dello stesso Bonaparte.

Oggi, sui muri di Parigi e di altre città transalpine la rinnovata richiesta di libertà, eguaglianza e fraternità si accompagna sempre più spesso a quella della laicità, intesa come una sorta di «quarto principio» necessario, secondo le nuove pregiudiziali progressiste, al completamento effettivo della Rivoluzione. È la cristallizzazione di un’avanzata ideologica decisiva, ma ormai lontana dagli spunti che avevano caratterizzato l’apporto di Napoleone alla maturazione in senso spiritualistico della nazionalità europea, ed in primo luogo di quella italiana: l’Imperatore, nonostante le notevoli tensioni con la Santa Sede, non aveva mai trascurato il fondamento religioso dell’anima popolare, e si sarebbe spento nell’abbraccio con la fede «ai trionfi avvezza» di manzoniana memoria, ed in qualche misura, nell’auspicio di un vago universalismo in cui le nazionalità avrebbero assunto ruoli maieutici ma pur sempre complementari.

Il ricordo dell’Aquila imperiale e dell’impatto «rivoluzionario» che ebbe nella storia d’Europa è certamente doveroso, ma non può prescindere dalle pregiudiziali di ordine morale e spirituale che ne furono matrice ed effetto.

L’assunto vale in modo particolare per gli Italiani che parteciparono alla vicenda napoleonica, a cominciare da Cesare De Laugier, dalla sua sofferta presenza in Russia e dalle successive esperienze risorgimentali, mutuandone una forte maturazione etico-politica di principi e valori nazionali già ampiamente diffusi sul piano culturale, quanto meno dai tempi di Dante e Petrarca: in tutta sintesi, impegnandosi a creare i fondamenti dell’unità e, con essi, la percezione di un’idea dello Stato moderna e consapevole.


Note

1 Cesare De Laugier (Portoferraio 1789-Fiesole 1871), Conte di Bellecour, fu ufficiale napoleonico, terzogenito di padre francese e madre toscana, attivo nelle campagne di Spagna e di Russia, poi al servizio di Gioacchino Murat, ed infine, Generale nell’esercito del Granducato di Toscana. Il 29 maggio 1848, alla guida di circa 6.000 uomini, tra cui gli studenti volontari delle Università di Pisa, Siena e Firenze, ebbe l’incarico di confrontarsi con forze austriache superiori di ben cinque volte, in agro di Curtatone: oppose una valida ed eroica resistenza, dovette ritirarsi per evitare l’intervento di altri 24.000 nemici pronti ad intervenire dalla piazzaforte di Mantova, ma con la propria difesa diede un contributo importante alla successiva vittoria conseguita a Goito dall’esercito di Carlo Alberto. Poi fu Ministro della Guerra nel Governo Fiorentino, storico e memorialista: le sue opere più note furono dedicate alla spedizione in Russia (Italiani in Russia, Firenze s.n. 1826-1827; Concisi ricordi di un soldato napoleonico, Tipografia del Vocabolario, Firenze 1870) ed alla Prima Guerra d’Indipendenza (Racconto storico della giornata campale pugnata il 29 maggio 1848, Firenze s.n. 1849; Le milizie toscane nella guerra del 1848, Tipografia Elvetica, Capolago 1850). I Concisi ricordi di un soldato napoleonico sono stati oggetto della ristampa citata nel testo, pubblicata nel 1980 assieme all’opera di Giulio Bedeschi, per i tipi delle Edizioni Mursia, Milano.

2 I volontari toscani che combatterono a Curtatone tra le forze agli ordini di Cesare De Laugier furono diverse centinaia, con 129 caduti sul campo, che vi persero la vita assieme a 183 borbonici, all’epoca alleati, ed a parecchie decine di «regolari». Tra gli altri si distinse in modo particolarmente eroico, col grado di capitano, il Professor Leopoldo Pilla, docente all’Università di Pisa e geologo di fama internazionale.

3 Quando De Laugier, all’epoca Ministro del Granducato di Toscana, incontrò Radetzky in visita ufficiale a Firenze, quest’ultimo volle complimentarsi con lui e con i suoi soldati per il fatto d’arme di Curtatone, e nello stringergli la mano gli disse: «Mi avete tenuto testa per sette ore ed eravate solo un pugno di ragazzi! E pensare che siete riusciti a farmi credere di avere davanti il meglio dell’esercito sabaudo!».

(agosto 2018)

Tag: Carlo Cesare Montani, alle origini dell’idea nazionale nel Risorgimento, Cesare De Laugier, Giulio Bedeschi, Maresciallo Radetzky, Napoleone Bonaparte, Gioacchino Murat, Gian Rinaldo Carli, Nicolò Tommaseo, Federico Seismit Doda, Francesco Crispi, Carlo XII di Svezia, Vincenzo Gioberti, Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Carlo Alberto di Savoia, Leopoldo Pilla, Radetzky.