I blocchi economici non sono vincenti
Ricordiamo il celebre Blocco Continentale

Ritorna oggi alla mia memoria, vista la situazione che stiamo vivendo in Europa e non solo, il Blocco Continentale napoleonico. Il grande Napoleone, che governava in Francia ma anche in buona parte di Europa, col Decreto di Berlino del 21 novembre 1806, che voleva isolare l’Occidente e i suoi traffici, «in primis» la Gran Bretagna, istituì il Blocco Continentale. Una sorta di blocco occidentale, perché rivolto prioritariamente alle potenze atlantiche, «in primis» alla vecchia Albione.

Fallì miseramente, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti continuarono a governare i mari, senza subire molto da questo «ricatto» continentale europeo. E Napoleone era un genio militare, con un consenso mai visto, capace di cambiare il mondo. Cosa che fece anche dopo la sua sconfitta. L’Europa di oggi somiglia anche solo vagamente all’Europa napoleonica, per giunta «unita» dal grande Córso? Vediamo di esaminare i fatti.

Napoleone pensò di bloccare la Gran Bretagna e non solo. Perché anche gli emergenti Stati Uniti gli davano del filo da torcere, col così detto Blocco Continentale, che io chiamerei occidentale perché rivolto prioritariamente a potenze atlantiche. Per anni Napoleone dovette imbastire guerre in Europa al fine di evitare il suo declino.

Solo la guerra e il suo genio militare imbevuto di propaganda ma anche di fatti concreti, come il sovvertimento della società di antico regime, poterono «eclissare» la gravità di una scelta come quella del Blocco Continentale.

Napoleone esportava in Europa la Rivoluzione, aveva un consenso senza pari perché davvero alla sua propaganda faceva seguito il Codice Napoleonico che, unico, era in grado di modificare l’intero assetto europeo, dandogli quella forza propulsiva che costruirà lo Stato di Diritto che abbiamo conosciuto soprattutto nel XX secolo, intercalato da periodi «tristi» legati a guerre mondiali e dittature che indubbiamente lo hanno parzialmente eclissato.

Napoleone tentò questa operazione anche in Russia e se ci fosse riuscito forse non avremmo conosciuto le democrazie che un secolo dopo di lui si formeranno, ma sicuramente avrebbe dato un corso diverso alla storia, soprattutto a quella russa che non avrebbe potuto conoscere il comunismo.

Sì, con i «se» e con i «ma» non si fa la storia, ma riflettere è necessario.

L’Europa di Napoleone non è l’Occidente di adesso. Era unita dal suo genio militare e dall’Idea di Rivoluzione Francese che lui esportava, ergendosi a difensore, giusto o errato che fosse, di quei valori di cui la Rivoluzione si era ammantata. Da qui l’enorme consenso, a cui, mi ripeto, seguirono anche reali riforme, non disgiunte però da sanguinosi conflitti. Adesso l’Occidente (Europa, Stati Uniti e altre potenze che formano una sorta di blocco occidentale) è unito solo da parziali interessi economici comuni. Perché di fatto non c’è né una unità politica né una unità di intenti. Nè Biden né altri sono Napoleone, sul piano strategico e neppure strutturale.

Non vorrei azzardare alcun giudizio politico, però la politica ha abdicato da tempo in molti Stati in Occidente; e l’Occidente medesimo si è trovato da molto tempo in preda a sfide economiche senza un valido supporto politico interno agli Stati. Questo è sotto gli occhi di tutti.

Vogliamo incolpare la mondializzazione? Facciamolo. Vogliamo incolpare le potenze emergenti? Facciamolo. Vogliamo dire che la Russia, orfana dell’Urss ma anche dello Zar, cerca un posto al sole che non riesce a ottenere? Diciamolo.

Io francamente farei dei parallelismi storici più col XIX che col XX secolo. Se Napoleone rappresentò per tutti non solo un «tiranno» ma il simbolo che aspettavamo in Europa sulla possibilità di cambiare le carte in tavola all’antico regime che già i Paesi Americani avevano messo sul piatto, i regimi totalitari tutti del XX secolo, hanno rappresentato l’assestamento doloroso di un sistema, quello democratico, non facilmente governabile. Solo la Gran Bretagna ha saputo farlo davvero, ma la Magna Charta Libertatum è del 1215. Anche qui con corsi e ricorsi storici, pensiamo alle rivoluzioni inglesi.

Noi in Europa adesso non abbiamo un Napoleone (per fortuna? Non vuol essere una provocazione) e neppure l’intero Occidente ce lo ha ma soprattutto non può permetterselo. A differenza di Napoleone adesso il nemico è uno Stato ex zarista ed ex sovietico con un sistema non democratico ma che sa ben recepire l’insegnamento che viene dal passato, proprio dall’Occidente, Gran Bretagna in testa.

Poi abbiamo le potenze emergenti asiatiche che in qualche modo ricordano i vecchi Stati Americani di inizio XIX secolo, democratici quanto bastava, all’epoca.

Gli attuali Cina, India, Vietnam, sempre se cerchiamo un parallelismo storico, non sono così diversi dagli Stati Americani che ai primi dell’Ottocento si dichiaravano democratici ma che sostenevano la schiavitù; e dove, pensiamo al Far West Americano, imperava la legge del più forte, con sceriffi che spesso altro non erano che dei tagliagole molto più capaci degli uomini per bene a governare realtà così, di frontiera. Per vedere applicati negli Stati Uniti (perché nel resto del continente americano la cosa si fece oltremodo complicata sempre) quei principi democratici cui si richiamavano ci volle la Guerra di Secessione, che segnò sempre negli Stati Uniti, il definitivo trionfo dell’unione commerciale e politica. Il blocco democratico del Nord America non salvò il Sud America dai totalitarismi che abbiamo conosciuto. Non voglio qui fare osservazioni complesse che in questo caso porterebbero lontano. Cosa fecero questi Paesi emergenti? Affari, come al momento i Paesi Asiatici. Affari peraltro già piuttosto mondializzati, non come vengono descritti ancora oggi dalla storiografia ufficiale.

Pensiamo a esempio al console statunitense Appleton, che proprio a Livorno già a fine Settecento governava, per conto della Marina di Washington, il Mediterraneo. Gli Stati Uniti all’epoca, nel Mediterraneo e non solo, erano divenuti piuttosto potenti e facevano assolutamente concorrenza ai Britannici.

Torniamo al presente. I Paesi emergenti, Cina in testa, sono penetrati in Occidente e curano i propri affari. Se pensiamo che la Gran Bretagna del XIX secolo fosse così «affine» agli Stati Uniti sbagliamo. Solo dopo la morte di Lord Holland, fondatore del partito wigth, avvenuta nel 1840, prese piede davvero in Gran Bretagna la linea vicina al Governo degli Stati Uniti. Sino a quel momento i Tories ebbero qui un peso rilevante, peso che non collimava affatto sul piano politico con il dinamismo commerciale e politico che aveva caratterizzato gli Stati Uniti del Nord, in rotta di collisione con i sudisti fino alla Guerra di Secessione.

Gli Stati Uniti del tempo, di formazione Wigth, «penetravano» commercialmente in Europa, soprattutto in Gran Bretagna e costruivano il loro impero commerciale, ancora ai primordi, di concerto con i potenti Wigth inglesi che non volevano più inseguire la politica dei Tories. La Cina e il resto dei Paesi emergenti fanno oggi cose diverse?

Potremmo obiettare che i Paesi emergenti hanno oggi lingue e culture diverse tra loro e con l’Occidente, non omogenee. Un modo diverso di concepire la vita sociale e religiosa, un’etica del lavoro che non è proprio quella calvinista.

Viene da osservare che anche gli Stati Uniti erano nel XIX secolo un Melting Pot. Meno centralisti dello Stato Cinese di adesso. Ma neppure poi molto. E poi l’Oriente non è solo Cina.

Dobbiamo fare dei parallelismi se volgiamo orientarci, io credo, senza forzature. Riflettere è necessario. Se l’Occidente nel suo insieme non sa attualmente davvero offrire un modello politico, l’unico modello che la Cina e i Paesi emergenti riescono a intravvedere e a cui si uniformano è quello economico. Non possiamo esportare la democrazia, è ben chiaro, ma dobbiamo noi rafforzare in casa la democrazia facendo della politica supporto economico, e non viceversa.

Le monete e la politica monetaria funzionano se sono emanazione del potere politico che le supporta. Con una disaffezione al voto come quella odierna forse la cosa non sta funzionando al meglio. Questo per lo meno è un mio personale modo di vedere. È ciò che osservano magari anche da fuori, coloro che non appartengono all’orbita democratica occidentale. Perché in Occidente si vota così poco, che genere di consenso ha oggi la politica in Occidente? Cosa oggi distingue davvero chi non si definisce democratico da chi si proclama tale? Questa, io credo, è la percezione di chi osserva, almeno da fuori.

Una ricostruzione di se stessi, un consenso allargato, questo manca davvero.

Dobbiamo chiederci che genere di consenso sta dentro un blocco economico. Napoleone non se lo chiedeva, governava con la forza delle armi che era sostenuta dalla forza dell’Idea. Idea Rivoluzionaria, reale o mascherata che fosse. Non ne aveva bisogno. Il suo Blocco impoverì il Continente Europeo, fallì miseramente, ma fu accettato perché inseguiva un sogno che solo parzialmente si realizzò, grazie, mi ripeto, al Codice Napoleonico, l’unica vera grande conquista rimasta dopo le battaglie complesse e sanguinose del periodo. Mi chiedo da Europea, vogliamo misurarci con situazioni tanto miserrime? Ma soprattutto abbiamo noi oggi in Occidente un Codice Napoleonico di nuova concezione, da proporre al resto del pianeta? Che possa rivoluzionare sul serio sistemi politici desueti? Che sappia «mettere ordine» dentro a un crogiolo così diversificato? Magari fosse così!

Perché tutti siamo d’accordo che la politica governa l’economia e non viceversa. Questa è una certezza. Osservazioni che il cittadino comune sicuramente si pone.

(settembre 2022)

Tag: Elena Pierotti, Blocco Continentale, Napoleone, Putin, Lord Holland, Rivoluzione, Codice Napoleonico, Biden, Cina, Decreto di Berlino, Magna Charta Libertatum, Guerra di Secessione.