I documenti non cristiani che attestano la storicità di Gesù di Nazaret
Il punto attuale della ricerca sul tema dell’esistenza storica di Gesù di Nazaret

Per un lungo periodo di tempo la storicità di Cristo è stata oggetto di un ampio dibattito. Sul piano ufficiale, il tema del confronto ha sempre avuto al centro Gesù di Nazaret. Però, dietro a molti rilievi inerenti la sua reale presenza nella Palestina del I secolo, sono emerse anche delle spinte legate a dottrine di pensiero diverse, influsso di correnti gnostiche, posizioni di religioni non cristiane, orientamenti politici avversi all’autorità ecclesiastica cattolica (nelle sue diverse espressioni), risentimenti legati a conflitti di potere, personalismi sottesi a dure polemiche. Sono poi da aggiungere le molte distruzioni del patrimonio cristiano (edifici di culto, monasteri, biblioteche, opere iconografiche) in diversi Paesi, già dal I secolo.

Questo contesto storico, qui solo accennato, non ha facilitato la comprensione delle reciproche ragioni, e non ha permesso di effettuare ricerche in zone di elevato interesse archeologico, e in determinati luoghi di conservazione di reperti di notevole valore storico. Con il mutare di molti contesti internazionali, e con lo sviluppo di indagini moderne impostate con metodo interdisciplinare (con valorizzazione della stessa archeologia), è stato possibile recuperare molto tempo perduto, e far conoscere alla comunità internazionale i risultati di faticose ricerche.[2] Il presente studio, senza alcuna presunzione di esaustività, cerca di focalizzare l’attuale stato della ricerca, e rivolge una particolare attenzione ad alcune fonti non cristiane e ai contributi offerti da specialisti anche non cattolici.


Ritrovamenti archeologici: 1857

Nel 1857 venne trovata sul colle Palatino (Roma) un’insolita rappresentazione figurativa. Si trattava di un graffito con la caricatura di un uomo crocifisso con testa d’asino. Ai suoi piedi, un altro uomo in atto di adorazione. Sul reperto si legge la scritta: «Alexamenoj sebete theon» («Alessameno venera [il suo] dio»).[3] La raffigurazione proviene dal «Paedagogium», un edificio che ospitava coloro che dovevano svolgere compiti di assistenza all’Imperatore. Tali persone provenivano, verosimilmente, da classi sociali medio-alte. La struttura venne eretta negli anni di Domiziano (Tito Flavio; 81-96 dopo Cristo), ma il graffito è ritenuto di età severiana (200 dopo Cristo circa).[4] Il fatto di rappresentare Cristo Crocifisso con una «testa d’asino» conduce a ritenere di essere in presenza di un’espressione ingiuriosa, abituale in quel periodo. Configurandosi una bestemmia, diversi autori non utilizzarono questo reperto tra le fonti non cristiane che si riferiscono a Gesù.[5]

Graffito del Palatino 1

Il graffito del Palatino

Graffito del Palatino 2

Il graffito del Palatino, raffigurazione e scritta

Ritrovamenti archeologici: 1941-1990

Nel 1941, nella valle del Cedron (Gerusalemme), il professor ‎ Eleazar Lipa Sukenik (1889-1953)[6] ritrovò un ossario del I secolo dopo Cristo.[7] Conteneva le spoglie di una famiglia originaria di Cirene. Fu individuato, in particolare, il nome di «Alessandro di Cirene, figlio di Simone». Tenuto conto del fatto che Cirene è una località molto distante da Gerusalemme, e che Alessandro era un nome relativamente poco diffuso nella comunità ebraica del tempo, gli studiosi ritennero plausibile l’ipotesi che l’ossario racchiudeva i resti della famiglia di Simone il Cireneo, che il Vangelo di Marco identifica appunto come il «padre di Alessandro e Rufo».[8]

Trascorsero una quindicina di anni. Nel periodo intercorrente tra il 1955 e il 1962, un Francescano, il Padre Bellarmino Bagatti (1905-1990), scoprì a Nazaret tre diversi graffiti dove si leggono chiaramente invocazioni in greco alla Vergine Maria, la madre di Gesù.[9]

Nel 1961 venne ritrovata una lapide (82 centimetri x 65) con un’iscrizione che menziona Ponzio Pilato[10], «Praefectus Iudaeae», colui che condannò a morte Cristo.[11] Il reperto era collocato su un edificio dedicato all’Imperatore Tiberio.[12] Una missione archeologica dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere di Milano, guidata da Antonio Frova (1914-2007), scoprì l’iscrizione ribaltando il gradino di una scala, in un’ala aggiunta tardivamente all’anfiteatro di Cesarea Marittima.[13] La lapide è datata 31 dopo Cristo. L’iscrizione è attualmente conservata nel Museo di Israele (Gerusalemme).[14]

Nel dicembre del 1990, nella Peace Forest, vicino North Talpiyyot (quartiere di Gerusalemme), durante la costruzione di un parco, fu scoperta una grotta funeraria del periodo del Secondo Tempio. In tale luogo, fu rinvenuta una tomba di famiglia al cui interno si trovava un’urna sepolcrale con l’iscrizione «Yehosef bar Kayafa» («Giuseppe figlio di Caifa»). Nell’ossario, come sostenuto dall’archeologo ed epigrafista Ronny Reich (nato nel 1947), erano racchiuse le ossa di Caifa. Si ricorda, al riguardo, che Giuseppe figlio di Caifa (noto come Caifa), fu sommo sacerdote e capo del sinedrio ebraico dal 18 al 36. Ricoprì tale carica ai tempi di Gesù che fece arrestare, e di cui sollecitò in modo energico la morte (confronta il Vangelo secondo Luca e il Vangelo secondo Giovanni).

Dalla fine del 1991 fino a tutto il 1992, due studiosi, gli archeologi ed architetti greci George Lavas e Saki Mitropoulos, lavorarono nell’area del Golgota (basilica del Santo Sepolcro, Gerusalemme).


Le ricerche presso la roccia del Golgota

Presso la roccia del Golgota hanno lavorato, nel tempo, più specialisti.[15] Come è noto agli storici, la parte centrale del sito fu parzialmente asportata da Adriano (Imperatore dal 76 al 138)[16], e ricoperta da un tempio. Ma l’area del Golgota è comunque vasta. Si pensi che alcune sue parti si trovano, ad esempio, sotto la chiesa evangelica del Redentore (quartiere Muristan). In tale contesto, in uno dei versanti posti all’interno dell’area del Santo Sepolcro (nella cosiddetta cappella di San Vartan), degli archeologi armeni hanno scoperto l’epigrafe in latino di un pellegrino cristiano.

Inciso nella pietra, c’è il disegno di una nave con l’albero rovesciato e la scritta sottostante: «Domine ivimus» («Signore, siamo arrivati»).[17] Qui, dunque, erano giunti dei pellegrini. Quest’ultimi, non poterono raggiungere la parte centrale della roccia, poiché su di essa c’era il tempio di Adriano. Così, essi realizzarono un disegno e un’iscrizione un poco distante, restando comunque nell’area della roccia del Golgota. Ciò, può essere avvenuto tra il 135 ed il 326, negli anni in cui il vero luogo della crocifissione era inaccessibile. Ed anche questo ritrovamento conferma a sua volta quanto la tradizione del luogo sia stata conservata con tenacia e precisione nei secoli.

Ma la scoperta più recente è legata al lavoro dei già citati Lavas e Mitropoulos. Quest’ultimi, si occuparono del dissotterramento dell’intera parte superiore della roccia nella cappella greco-ortodossa del Golgota. Essi constatarono che, sotto le lastre di marmo del luogo di culto, si trovava uno strato di malta di calce rotondo, dello spessore di 50 centimetri, rimasto intatto da secoli. Fu asportato con cautela. Si scoprì, nel mezzo, una cavità rotonda, ove si trovava un anello di pietra di quasi 11 centimetri di diametro. Non c’era alcun dubbio che l’anello serviva al fissaggio di una croce. Si infilava la croce nell’incavo, attraverso l’anello, fino ad incastrarvela, per poterla poi innalzare. Era questo l’anello della croce di Cristo?


L’anello della croce di Cristo?

Gli archeologi si astennero da conclusioni affrettate. Mitropoulos fornì solo due possibili interpretazioni del ritrovamento.

1) Poteva trattarsi di un anello sistemato nel 326. In quell’anno, la madre dell’Imperatore Costantino (Elena; 248 circa-329), volle preservare il luogo della crocifissione di Cristo, e quello della sua sepoltura. Per tale motivo, suo figlio autorizzò l’edificazione – sopra quell’area – della basilica del Santo Sepolcro.

Si tratterebbe, allora, di un anello costruito in memoria della crocifissione. Se anche fosse «solo» questo, «quell’anello» fornirebbe notevoli indicazioni. Perché? Perché la pratica del fissaggio della croce attraverso un anello (allora, sconosciuta agli archeologi), doveva basarsi su precise conoscenze, su salde informazioni tramandate. Chi, altrimenti, si sarebbe inventato un anello di 11 centimetri di diametro?

Quest’ultimo, è un dato-chiave. «Quel» diametro significa che la croce non poteva essere più alta di 2,40 metri. E questa modesta altezza contraddice le aspettative di vari autori. Non conferma neanche quanto si è voluto rappresentare fino ad oggi – ad esempio nelle arti figurative – al di sotto del corpo del Signore crocifisso.

Sull’altezza della croce anche gli evangelisti non forniscono dati. Emerge, così, una situazione ove l’archeologia non è sostenuta da altre scienze.

2) Esiste, poi, un’altra possibilità. L’effettiva appartenenza di «questo» anello alla croce di Gesù.

Di fronte a tale ipotesi, qualcuno potrebbe obiettare che Adriano fece distruggere Gerusalemme nel 135 (fu una seconda distruzione), ed edificare sopra i luoghi del Golgota e del Sepolcro vuoto dei templi. In tal modo si impediva l’accesso ai Cristiani (molti erano pellegrini).

Però, proprio questa disposizione dell’Imperatore citato potrebbe aver contribuito alla conservazione della cavità e dell’anello. Adriano, infatti, fece asportare ampie parti della roccia, e lasciò stare solo la parte centrale, che spianò. E infatti è stata ritrovata solo una cavità e non anche le due degli altri che furono crocifissi con Gesù. Inoltre, per il compimento di tale azione non serviva distruggere l’interno della cavità di centro. Bastava riempirla e spianarla in modo da potervi costruire sopra. Proprio questo accadde, come indicano con chiarezza i reperti archeologici.

Cavità e anello possono, dunque, essere autentici. Nel frattempo, a Salonicco, sono stati analizzati l’anello e la malta di calce per arrivare a una datazione.

Nel corso dei lavori dei due archeologi greci (citati), si è pure arrivati ad un’ulteriore conferma dell’autenticità della roccia del Golgota. Sotto la malta di calce (ora rimossa), è emersa per tutta la roccia (fin sotto alla cappella di Adamo) una frattura.

Gli scettici, sulla base della parte inferiore della roccia (l’unica prima visibile), avevano ritenuto – fino a quel momento – che si trattasse di un difetto naturale della roccia. Ora, invece, è sicuro che la frattura è stata causata da un evento naturale di particolare impatto. Per Lavas e Mitropoulos si tratta della conseguenza del terremoto menzionato dall’evangelista Matteo: «La terra tremò, le rocce si spezzarono».[18]


Ritrovamenti archeologici: 2004-2011

Nel 2004, a Bet Gemal[19], il Padre Émile Puech (nato nel 1941), un esperto di epigrafia antica presso l’École Biblique et Archéologique di Gerusalemme, decifrò su una tabula ansata su un’architrave, la scritta scolpita nella pietra: «Diakonikon» (= luogo per conservare reliquie) «Stephanou Protomartyros». Era la prova definitiva che in questa località (l’antica Kfargamla) il primo martire cristiano Stefano ebbe la sua prima sepoltura.

Tre anni dopo, il professor Ehud Netzer (1934-2010), dell’Università Ebraica di Gerusalemme, ritrovò la tomba di Erode il Grande, Re della Giudea durante il protettorato romano.[20] L’evangelista Matteo lo indica come colui che tentò di far uccidere Gesù.[21] Altri scavi hanno confermato i dati dell’evangelista Giovanni con riferimento alla piscina di Siloe.[22] Secondo Ronny Reich (nato nel 1947), dell’Università di Haifa, la presenza di Gesù nei pressi della piscina potrebbe essere legata alle abluzioni rituali che precedevano l’entrata nel tempio di Gerusalemme.

Il 21 dicembre del 2009, sul sito dell’Israel Ministry of Foreign Affairs apparve questo titolo: «Residential building from the time of Jesus exposed in Nazaret». In pratica, l’archeologa israeliana professoressa Yardenna Alexandre, dell’Israel Antiquieties Authority, aveva scoperto a Nazaret una casa dei tempi di Gesù (I secolo) nei pressi della «casa di Maria».[23]

Si può, ancora, ricordare il ritrovamento (estate 2011), effettuato nel sito di Hierapolis (oggi Pamukkale, Turchia) della tomba dell’Apostolo Filippo. In questo caso, a dirigere i lavori, è stato l’archeologo Francesco D’Andria, direttore dell’Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali (IBAM), presso il CNR di Lecce.[24]

Ma è utile una sosta. Per un motivo. Tutti i dati segnano delle tracce orientate – in modo diretto o indiretto – alla persona di Gesù di Nazaret. Focalizzarne meglio i riferimenti storici espliciti diventa, allora, una conseguenza logica.


La cronaca di Giuseppe Flavio

Giuseppe Flavio (37 circa-100 circa) fu uno scrittore e storico di origine ebraica.[25] Delegato del sinedrio e governatore della Galilea, divenne consigliere dell’Imperatore Vespasiano (Tito Flavio; 9-79 dopo Cristo)[26] e di suo figlio Tito (Flavio Vespasiano; 39-81)[27]. Nelle sue Antichità giudaiche, cita anche Gesù e i Cristiani. In un passo descrive la lapidazione dell’Apostolo Giacomo, che era a capo della comunità cristiana di Gerusalemme, avvenuta nel 62, e presentata come un atto sconsiderato del sommo sacerdote nei confronti di un uomo virtuoso:

«Anano […] convocò il sinedrio a giudizio e vi condusse il fratello di Gesù, detto il Cristo, di nome Giacomo, e alcuni altri, accusandoli di trasgressione della legge e condannandoli alla lapidazione».[28]

Questa descrizione è in sintonia con quella riportata dall’Apostolo Paolo nella Lettera ai Galati (1, 19), dove egli fa riferimento a «Giacomo, il fratello del Signore». In un altro passo, lo storico indica la figura di Giovanni il Battista.[29]

C’è, poi, un capitolo della stessa opera, conosciuto come Testimonium Flavianum. Nel 1971, il professor Shlomo Pinés (1908-1990)[30], dell’Università Ebraica di Gerusalemme, pubblicò la traduzione di una diversa versione del Testimonium, come citato in un manoscritto arabo del X secolo. Il brano compare ne Il libro del Titolo dello storico arabo-cristiano Agapio (morto nel 941). Questo autore fu anche Vescovo Melchita di Hierapolis (in Frigia, Asia Minore). Agapio riporta solo in modo approssimativo il titolo dell’opera di Giuseppe, ed afferma che il suo lavoro è basato su una cronaca più antica, scritta in siriaco da Teofilo di Edessa (morto nel 785), andata persa. È un testo migliore di quello greco tramandato fino a quel momento, perché non si individuano possibili interpolazioni. Si riporta qui di seguito il passo.

«Similmente dice Giuseppe l’Ebreo, poiché egli racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: “Ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso, e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono alla sua dottrina e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie”».[31]


La testimonianza di Tacito

Cornelio Tacito (56/57 circa-120 circa) proveniva da una famiglia equestre. Fu questore, pretore, console e proconsole d’Asia. Gli studiosi lo considerano uno storico scrupoloso. Plinio il Giovane ne loda la diligenza. Per la sua posizione politica, aveva accesso agli Acta Senatus (i verbali delle sedute del Senato Romano), e agli Acta diurna populi romani (gli atti governativi e le notizie su quanto accadeva ogni giorno). Riportando la decisione dell’Imperatore Lucio Domizio Enobarbo Nerone (37-68)[32] di riversare sui Cristiani la colpa dell’incendio che distrusse Roma per una settimana, nel 64 dopo Cristo, Tacito annota:

«Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava Cristiani. Origine di questo nome era Christus, il quale sotto l’Impero di Tiberio era stato condannato all’estrema condanna dal procuratore Ponzio Pilato».[33]

L’autore evidenzia il fatto che il titolo di Cristiani deriva da una persona realmente esistita, chiamata Christus, il nome latino per Cristo. Di lui si afferma che ha subito «l’estrema condanna», alludendo al «iudicium in cruce» in uso anche presso i Romani. Questi avvenimenti sono avvenuti «durante il regno di Tiberio», e per decisione di Ponzio Pilato. Sono tutte conferme di quanto raccontano gli evangelisti sulle circostanze della morte di Gesù.

Tacito riporta anche le seguenti notizie sulla persecuzione contro i Cristiani:

«Alla pena vi aggiunse lo scherno: alcuni coperti con pelli di belve furono lasciati sbranare dai cani, altri furono crocifissi, ad altri fu appiccato il fuoco in modo da servire d’illuminazione notturna, una volta che era terminato il giorno. Nerone aveva offerto i suoi giardini per lo spettacolo e dava giochi nel Circo, ove egli con la divisa di auriga si mescolava alla plebe oppure partecipava alle corse con il suo carro… [I Cristiani] erano annientati non per un bene pubblico, ma per soddisfare la crudeltà di un individuo».


La lettera di Plinio il Giovane a Traiano

Plinio il Giovane (61/62-113 circa)[34] era stato allievo del retore[35] Marco Fabio Quintiliano (35/40-96). Tra il 111 e il 113 fu governatore romano della provincia della Bitinia e del Ponto (Asia Minore). Si conserva una raccolta di sue Epistole in dieci libri. Il decimo libro contiene il carteggio che intercorse tra lui e l’Imperatore Marco Ulpio Nerva Traiano (53-117).[36] Le missive risalgono in gran parte al periodo del governatorato in Bitinia. In particolare, in uno scritto, egli chiede direttive al Monarca su come condurre le procedure legali contro le persone accusate di essere cristiane.[37] Ha necessità di consultare l’Imperatore perché un gran numero di persone, di ogni età, sesso e ceto sociale, era stato accusato di professare la religione cristiana. Il procedimento che usa Plinio è il seguente: interroga i presunti Cristiani. Se essi risultano tali, e non ritrattano entro il terzo interrogatorio, li condanna a morte. Per coloro che negano di essere Cristiani, o che dicono di esserlo stato in passato, anche vent’anni prima, egli pretende la dimostrazione di quanto affermano, inducendoli a sacrificare agli dèi, a venerare l’effigie dell’Imperatore, e a imprecare contro Gesù Cristo.

A un certo punto della lettera, Plinio riporta dei dati sui Cristiani:

«Essi avevano l’abitudine di incontrarsi in un certo giorno prestabilito prima che facesse giorno, e quindi cantavano in versi alternati a Cristo, come a un dio, e pronunciavano il voto solenne di non compiere alcun delitto, né frode, furto o adulterio, né di mancare alla parola data, né di rifiutare la restituzione di un deposito; dopo ciò, era loro uso sciogliere l’assemblea e riunirsi poi nuovamente per partecipare al pasto, un cibo di tipo ordinario e innocuo».[38]

Questo passaggio informa quindi che i primi Cristiani si incontravano regolarmente in un certo giorno per adorare Cristo. Ciò dimostra che credevano fermamente nella sua divinità. La frase che sottolinea come i Cristiani cantassero inni a Cristo «come a un dio», viene interpretata come riferimento al fatto singolare che, «a differenza degli dèi adorati dai Romani, Cristo era una persona che era vissuta sulla terra».[39] Se questa lettura è corretta, allora Plinio comprendeva che i Cristiani stavano adorando una persona realmente esistita, la quale – però – aveva anche una natura divina. Tale conclusione è in sintonia con l’affermazione di Giovanni: «Et Verbum caro factum est».[40]

La lettera di Plinio rivela pure la particolare considerazione riservata dai primi Cristiani alle parole di Gesù. Essi «pronunciavano il voto solenne» di non violare regole morali. Ciò trova origine negli insegnamenti di Cristo. Inoltre, il riferimento di Plinio all’uso cristiano di consumare dei pasti in comune, si collega alla loro osservanza di prescrizioni quali la comunione e lo «spezzare del pane» di cui fa riferimento il Nuovo Testamento.[41] Il governatore romano sottolinea anche che il loro era «un cibo di tipo ordinario e innocuo», rigetta quindi le false accuse di «cannibalismo rituale» sollevate da alcuni pagani[42], insieme con altre simili dicerie, e non ritiene i Cristiani membri pericolosi di gruppi sovversivi.


Le annotazioni di Svetonio

Gaio Svetonio Tranquillo (75 circa-140 circa) fu un archivista. Segretario e bibliotecario dell’Imperatore Adriano.[43] Nelle Epistole[44] si trova un riferimento a Gesù e ai suoi seguaci. Inoltre, nell’opera Vita dei dodici Cesari, egli include due dati che interessano in modo particolare. Il primo si trova nella vita di Claudio. Questo è il testo:

«Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma expulit» («Espulse da Roma i Giudei che per istigazione di Cresto erano continua causa di disordine»).[45]

Non stupisce il fatto che Svetonio scriva «Chrestus» invece di «Christus». Basti notare che le parole greche «chrēstós» («buono», «eccellente») e «christós» («unto con olio», «lucente») erano pronunciate allo stesso modo, e potevano essere facilmente confuse, specie da chi non fosse ben informato sui fatti. A riprova di ciò, si osserva che Svetonio fa riferimento ai Giudei in modo generico. L’autore non riesce a comprendere, come avveniva anche per gli altri suoi contemporanei, le differenze esistenti tra la comunità ebraica e quella più recente formata dai Cristiani. Svetonio si limita a ricordare quello che per lui è solo un provvedimento imperiale mirato a risolvere delle tensioni. In realtà, il contesto è più articolato. La predicazione del Cristo tra i Giudei Romani da parte di altri Giudei, non poteva che generare delle forti reazioni. Se ne ha un’ulteriore conferma negli Atti degli Apostoli.[46] In tale contesto, la cronaca di Svetonio concorda con quanto è riferito negli Atti riguardo all’arrivo di Paolo a Corinto:

«Dopo di ciò, partito da Atene [Paolo] andò a Corinto. E trovato un Giudeo di nome Aquila, pontico di nascita, da poco giunto dall’Italia, e la moglie sua Priscilla, per il fatto che Claudio aveva ordinato che tutti i Giudei partissero da Roma, andò da loro».[47]

Il secondo riferimento ai Cristiani, Svetonio lo colloca nella vita di Nerone. Viene riassunto quanto già riportato da Tacito, e sono ripetute le accuse di superstizione:

«Afflicti supliciis christiani, genus hominum superstitionis novae ac maleficae» («Sottopose a supplizi i Cristiani, una razza di uomini di una superstizione nuova e malefica»).[48]


Lo scritto di Luciano di Samosata

Il Siriano Luciano di Samosata (120 circa-180/192 circa), un rètore[49] scettico[50], attivo nell’età degli Imperatori Antonini, fu autore di un’opera dal titolo La morte di Peregrino. Vi si legge tra l’altro:

«I Cristiani […] tutt’oggi adorano un uomo, l’insigne personaggio che introdusse i loro nuovi riti, e che per questo fu crocifisso. […] Ad essi fu insegnato dal loro originale maestro che sono tutti fratelli, dal momento della loro conversione, e negano gli dèi della Grecia, e adorano il saggio crocifisso, vivendo secondo le sue leggi».[51]

Pur beffandosi dei primi Cristiani per la loro scelta di seguire «il saggio crocifisso» anziché «gli dèi della Grecia», Luciano riporta alcuni dati interessanti. Scrive che i Cristiani servivano «un uomo» che «introdusse i loro nuovi riti». E, sebbene i seguaci di questo «uomo» avevano chiaramente un alto concetto di lui, molti dei suoi contemporanei lo odiavano per gli insegnamenti, al punto che «per questo fu crocifisso». Pur non citando il nome, è chiaro che Luciano si riferisce a Gesù.

Ma che cosa aveva fatto Cristo per farsi odiare fino a questo punto? Secondo il retore romano, aveva insegnato che tutti gli uomini sono fratelli dal momento della loro conversione. E fin qui «nulla quaestio». Ma che cosa s’intendeva con «conversione»? Significava abbandonare gli dèi della Grecia, adorare Gesù, e vivere secondo i suoi insegnamenti. Non è difficile immaginare in quell’epoca l’eliminazione di chi insegnava queste cose. Inoltre, anche se Luciano non lo scrive in modo esplicito, il fatto che i Cristiani rinnegassero gli altri dèi e adorassero Gesù, e facessero questo pur consapevoli delle possibili persecuzioni, implica che Cristo era per loro – senza dubbio – più che un essere umano. Era un Dio superiore a tutti gli dèi dell’antica Grecia.


La critica di Marco Aurelio

Marco Aurelio (121-180 dopo Cristo) fu Imperatore dal 161 al 180 dopo Cristo. Verso il 170 scrisse alcuni pensieri e meditazioni filosofiche in un’opera in greco intitolata A se stesso.[52] Nel testo si trova questo passaggio: «Quale spettacolo è l’anima che si mostra pronta, quando deve ormai staccarsi dal corpo ed estinguersi o disperdersi o persistere! Ma questa prontezza deve venire da un proprio giudizio individuale e non basarsi su una pura e semplice opposizione come avviene tra i Cristiani: deve risultare meditata, seria, in grado di persuadere anche gli altri, lontana da ogni teatralità».[53] Nel suo scritto, l’Imperatore critica i seguaci di Gesù perché sono capaci di farsi uccidere pur di sostenere i propri ideali. Per Marco Aurelio sono, evidentemente, dei fanatici.[54]


Le calunnie riportate nel testo di Minucio Felice

L’Octavius è un breve testo (del 197) finalizzato alla difesa della religione cristiana. Trasmessoci come libro VIII dell’Adversus nationes (304-310 circa) di Arnobio, esso è però assegnato dalla tradizione cristiana del III e del IV secolo (Lattanzio e Girolamo) a Minucio Felice, un avvocato pagano convertito. Nell’Octavius, il pagano Cecilio, durante una passeggiata con gli amici Ottavio e Minucio, riferisce le dicerie sui Cristiani:

«Essi, raccogliendo dalla feccia più ignobile i più ignoranti e le donnicciole, facili ad abboccare per la debolezza del loro sesso, formano una banda di empia congiura, che si raduna in congreghe notturne per celebrare le sacre vigilie per banchetti inumani, non con lo scopo di compiere un rito, ma per scelleraggine; una razza di gente che ama nascondersi e rifugge la luce, tace in pubblico ed è garrula in segreto. Disprezzano ugualmente gli altari e le tombe, irridono gli dèi, scherniscono i sacri riti; miseri, commiserano i sacerdoti (se è lecito dirlo), disprezzano le dignità e le porpore, essi che sono quasi nudi! […] Regna tra loro la licenza sfrenata, quasi come un culto, e si chiamano indistintamente fratelli e sorelle, cosicché, col manto di un nome sacro, anche la consueta impudicizia diventi incesto. […] Ho sentito dire che venerano, dopo averla consacrata, una testa d’asino, non saprei per quale futile credenza […]. Altri raccontano che venerano e adorano le parti genitali del medesimo celebrante e sacerdote […]. E chi ci parla di un uomo punito per un delitto con il sommo supplizio e il legno della croce, che costituiscono le lugubri sostanze della loro liturgia, attribuisce in fondo a quei malfattori rotti ad ogni vizio l’altare che più ad essi conviene […].

Un bambino cosparso di farina, per ingannare gli inesperti, viene posto innanzi al neofita, […] viene ucciso. Orribile a dirsi, ne succhiano poi con avidità il sangue, se ne spartiscono a gara le membra, e con questa vittima stringono un sacro patto […]. Il loro banchetto è ben conosciuto: tutti ne parlano variamente, e lo attesta chiaramente un’orazione del nostro retore di Cirta […]. Si avvinghiano assieme nella complicità del buio, a sorte».[55]

In risposta a queste accuse infamanti e di seconda mano («Ho sentito dire…»), si possono ricordare le parole che un Cristiano, di nome Giustino (100 circa-162/168), rivolse in quegli stessi anni ad un altro avversario del Cristianesimo, il filosofo cinico[56] Crescente: «Veramente è ingiusto ritenere per filosofo colui che, a nostro danno, rende pubblicamente testimonianza di cose che non conosce, dicendo che i Cristiani sono atei e scellerati; e dice ciò per ricavarne grazia e favore presso la folla, che resta ingannata».[57] È da notare che questo intervento riassume di fatto le accuse che circolavano già dal precedente secolo, sottese pure nelle parole di Tacito; ma se alcuni storici si preoccuparono di accertarne la veridicità (per esempio Plinio il Giovane), altri le diffusero in modo acritico.


La posizione del filosofo Celso

Celso è un filosofo greco del II secolo. Di lui si conserva in parte un’unica opera, l’Alethès lógos (Discorso veritiero) contro la religione cristiana. Lo scritto ci è pervenuto attraverso il Contra Celsum di Origène (185 circa-253), in cui l’autore cristiano riporta molti passi dell’Alethès lógos per confutarli. In un primo brano, si fa riferimento alla «madre di Gesù, scacciata dall’artigiano che l’aveva maritata, accusata di adulterio, messa incinta da un certo soldato di nome Panthera».[58] L’accusa di illegittimità e la figura del soldato Panthera sono state rinvenute anche in ambiente giudaico. In tal senso, l’origine del nome Gesù figlio di Panthera (Jesȗa ben Pandera), testimoniato con piccole varianti grafiche, sarebbe una corruzione del greco «parthénos» («vergine»).

Ecco un secondo testo: «Spinto dalla miseria andò in Egitto a lavorare a mercede, ed avendo quindi appreso alcune di quelle discipline occulte per cui gli Egizi son celebri, tornò dai suoi tutto fiero per le arti apprese. E si proclamò da solo Dio a motivo di esse».[59]

Un terzo riferimento: «Gesù raccolse attorno a sé dieci o undici uomini sciagurati, i peggiori dei pubblicani e dei marinai, e con loro se la svignava qua e là, vergognosamente e sordidamente raccattando provviste».[60]


Gesù nel Talmud babilonese

Il Talmud (= insegnamento)[61] babilonese raccoglie in forma scritta la Torah (la Legge) orale, trasmessa a partire da Mosè in forma non scritta dalle varie scuole rabbiniche fino alla caduta di Gerusalemme nella guerra giudaica del 66-74 dopo Cristo. Con la distruzione del secondo Tempio (70 dopo Cristo), la fine della successiva guerra contro i Romani (135 dopo Cristo), e l’inizio della diaspora degli Ebrei, gli antichi insegnamenti – tramandati oralmente a commento o integrazione della Torah scritta[62] – vennero messi per iscritto per timore di una loro perdita.

Il Talmud babilonese è costituito da una raccolta di discussioni avvenute tra i sapienti («hakhamim») e i maestri («rabbi») riguardanti le applicazioni e i problemi pratici della Torah scritta. In un passo di un trattato appartenente al Talmud (il Sanhedrin), si fa riferimento a un personaggio chiamato Gesù. «Sanhedrin» è il termine che corrisponde al Sinedrio, la più alta istituzione in materia legale esistente presso gli Ebrei nel I secolo dopo Cristo. Ecco il testo:

«Si insegna: alla vigilia di Pesach [Pasqua] appesero Yeshu e il banditore proclamò in giro per quaranta giorni che [Yeshu] “verrà lapidato per aver praticato la stregoneria, per aver sedotto e condotto Israele verso l’apostasia. Chiunque sappia qualcosa per assolverlo venga avanti e lo esoneri”. Ma nessuno presentò nulla per esonerarlo e lo appesero alla vigilia di Pesach. Ulla disse: Si deve forse pensare che dovremmo cercare delle prove che lo esonerino? Egli era un adescatore e Dio disse: “Tu non dargli retta, non ascoltarlo; il tuo occhio non lo compianga; non risparmiarlo, non coprire la sua colpa” [Deuteronomio 13, 9]. Yeshu era differente perché era intimo col Governo».[63]

«Yeshu» (o «Yeshua») è il nome di Gesù in lingua ebraica. Perché è scritto che «fu appeso»? La risposta è che il termine «appeso» indica proprio la crocifissione. Ad esempio, nella Lettera di San Paolo ai Galati (3, 13) si legge che Cristo fu «appeso»; negli Atti degli Apostoli (10, 39) che fu «appeso al legno»; e nel Vangelo secondo Luca (23, 39) questo termine viene usato anche per i criminali che furono crocifissi insieme a Gesù. Tale espressione si trova pure in Giuseppe Flavio.

Il Talmud afferma, inoltre, che Gesù fu crocifisso alla vigilia della Pasqua ebraica. Ciò, è in sintonia con il Vangelo secondo Matteo.[64] Il testo fa poi riferimento a un araldo che annuncia l’imminente lapidazione di Cristo. Che cosa significa? La condanna sancita dai Giudei fu la lapidazione.[65] Pilato la mutò nella crocifissione.[66] Il passaggio spiega anche il motivo per cui Gesù era stato crocifisso. Egli praticava la «stregoneria», e aveva condotto Israele verso l’«apostasia». Dal momento che questa affermazione proviene da una fonte non favorevole al Cristianesimo, non desta meraviglia il fatto che questi Ebrei descrivessero la situazione dal proprio punto di vista. È interessante, però, notare il parallelismo che esiste tra queste accuse e quelle rivolte dai farisei a Gesù nel Nuovo Testamento. Quest’ultimi, infatti, vedendo le liberazioni da lui compiute, lo accusavano di scacciare i demòni «con l’aiuto di Beelzebub, principe dei demòni».[67] Si noti che tale fatto conferma che Gesù compì realmente opere miracolose. Tali eventi, non potevano essere negati pubblicamente. Restava una sola alternativa: attribuirli alla stregoneria.

Allo stesso modo, l’accusa di aver condotto Israele verso l’apostasia è in sintonia con il racconto del Vangelo secondo Luca secondo cui i capi di Israele accusarono Gesù di stare sovvertendo la Nazione con i suoi insegnamenti.[68]

L’espressione «Yeshu era differente perché era intimo col Governo» rimanda alla posizione di Gesù verso l’autorità del tempo. In particolare, all’espressione: «Date a Cesare quello che è di Cesare […]».[69]

L’edizione (inglese) del Talmud babilonese, di cui si è citato un passo, fu preparata dal rabbino Isidore Epstein (1894-1962)[70], e pubblicata in 34 volumi dalle Edizioni Soncino (Londra, 1935-1952). Questo studioso osservò, tra l’altro, che il riferimento riguardante Gesù veniva omesso nelle edizioni censurate del Sanhedrin, a conferma del fatto che molti interpreti del passato ne avevano individuato un’allusione a Gesù Cristo. Inoltre, sempre dai commenti del rabbino Epstein, si apprende che un manoscritto (denominato come «M») riporta «Gesù Nazareno» invece che solo «Gesù», mentre un altro manoscritto, invece della frase «egli fu appeso alla vigilia della Pasqua», nella parte conclusiva della citazione, annota: «egli fu appeso alla vigilia del sabato della Pasqua», concordando con il Vangelo secondo Giovanni.


Annotazioni di sintesi

Tenendo conto dei dati che sono stati riportati in precedenza, possono essere evidenziati alcuni punti-chiave.

1) Agli inizi dell’Era Cristiana, la vicenda di Gesù di Nazaret non interessò nessuno, tranne i suoi discepoli. I motivi sono evidenti. La Palestina non aveva alcuna rilevanza per i Romani (lo stesso legato imperiale era dislocato in Siria). Inoltre, agli occupanti del tempo non interessavano le vicende religiose interne. Gli obblighi da far rispettare erano essenziali: pagare le tasse (da qui l’uso di censire la popolazione), e non uccidere soldati romani (in caso contrario scattava la repressione). Tale orientamento è confermato dal fatto che le vicende ebraiche erano considerate dagli Imperatori solo un fastidioso problema, una delle tante seccature dell’area orientale.

La situazione precipitò con le guerre giudaiche. La prima (66-70), iniziò negli anni di Nerone, e terminò nel periodo di Vespasiano. Evento-culmine fu la distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme ad opera di Tito, figlio di Vespasiano. La seconda (115-117), chiamata anche «guerra di Kitos», interessò le città della diaspora. Iniziò e si concluse negli anni di Traiano. La terza (132-135), sostenuta da Simon Bar Kokheba (abbreviato Bar Kochba), iniziò e si concluse nel periodo di Adriano.

2) In tale contesto, per un periodo non breve, il Cristianesimo fu considerato un’irrilevante espressione dell’Ebraismo. Un fatto interno a quest’ultimo. Gli storici e gli analisti del tempo guardarono altrove: ai potenti e alle lotte di successione, all’espansionismo romano (con i conseguenti problemi), ai conflitti regionali e a quelli collegati a vicende dinastiche, alle correnti filosofiche (e ai confronti accesi tra esponenti di scuole diverse). La vicenda del figlio di un «téktón» («carpentiere»), vissuto per trent’anni in un piccolo villaggio della Giudea, condannato – dopo una breve vita pubblica – a una morte infamante, riservata ai malfattori, era difficile da considerare un fatto importante. Gesù rimaneva un Ebreo marginale.[71] Null’altro.

3) Conclusasi la vicenda terrena di Gesù di Nazaret, ci furono, in più fasi temporali, e in diverse aree geografiche, una serie di reazioni avverse al Cristianesimo. Queste, tra le loro conseguenze, ebbero anche quella di distruggere in modo sistematico molti siti cristiani. Fino ad arrivare a politiche che cancellarono, ad esempio, decine di diocesi africane.

Alla luce di ciò, e rimanendo sul tema della storicità di Gesù, si annotano qui di seguito alcune considerazioni.

1) Sono pochi, nell’attuale periodo, gli autori che esprimono dubbi sulla storicità di Cristo. Piuttosto, studiando la letteratura internazionale, si avverte che l’orientamento è un altro. Mentre, in precedenza, si discuteva sulla figura storica di Gesù, oggi ci si concentra piuttosto sull’analisi delle fonti che lo riguardano, o che possono comunque offrire una qualche evidenza.

2) Utilizzando anche i metodi storico-critico, storico-letterario e sociologico, si cerca di risalire in una certa misura al Gesù della storia e alla sua predicazione. Si tende, così, a separare i passi ritenuti privi di interpolazioni da quelli ritenuti aggiunte successive. L’applicazione di questi criteri, i quali hanno un valore diverso tra loro, non è assolutamente meccanica, ma tiene conto di diversi fattori e gradi di probabilità. Essi, inoltre, vengono utilizzati in modo convergente: «cum plurima cuncurrunt, maiora sunt indicia».

3) L’argomento «Gesù», sembra non essere più, almeno in vari ambienti scientifici, un tema-tabù. Da evitare. Sono ormai diversi gli Ebrei e i musulmani che partecipano oggi a incontri interconfessionali su Cristo, di cui non hanno difficoltà a riconoscere la storicità. Nel marzo del 2015 la televisione nazionale cinese (CCT, «Central Chinese Television») ha mandato in onda un documentario di tre quarti d’ora su Gesù, presentato come «l’uomo che ha cambiato la storia del genere umano».[72]


Bibliografia

Autori Vari, Il Gesù storico nelle fonti del I-II secolo, atti del X convegno di studi neotestamentari (Foligno, 11-13 settembre 2003), a cura di A. Pitta, in «Ricerche storico-bibliche», XVII/2, Edizioni Dehoniane, Bologna 2005

Barbaglio G., Gesù Ebreo di Galilea. Indagine storica, Edizioni Dehoniane, Bologna 2002. Confronta il capitolo I, Storia della ricerca: stagioni, tendenze, risultati, pagine 17-36

Basetti Sani G., Gesù Cristo nascosto nel Corano, Gabrielli Editori, Milano 1994

Benedetto XVI, Pontefice (Joseph Ratzinger), Gesù di Nazaret, Mondadori, Milano 2007

Jaffé D., Il Talmud e le origini ebraiche del Cristianesimo, Jaca Book, Milano 2008

Penna R., Gesù di Nazaret nelle culture del suo tempo. Alcuni aspetti del Gesù storico, Edizioni Dehoniane, Bologna 2012

Penna R., I ritratti originali di Gesù Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neotestamentaria, San Paolo, Cinisello Balsamo 2011

Gronchi M., Jesus Christ, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2013

Pesce M.-Desto A., L’uomo Gesù. Giorni, luoghi, incontri di una vita, Mondadori, Milano 2008

Segalla G., La ricerca del Gesù storico, Queriniana, Brescia 2010.


Note

1 Docente di Storia della Chiesa. Pontificia Università Lateranense. Istituto Ecclesia Mater. Centro Diocesano di Teologia per Laici.

2 Confronta anche: http://www.gliscritti.it/blog/entry/916

3 Il testo è scritto con grafia irregolare; utilizza infatti contemporaneamente lettere maiuscole e minuscole senza uso di accenti.

4 La dinastia dei Severi regnò tra la fine del II e i primi decenni del III secolo (193-235), con una breve interruzione durante il regno di Macrino (217-218).

5 B. Hudson MacLean, An introduction to greek epigraphy of the hellenistic and roman periods from Alexander the Great down to the reign of Constantine, University of Michigan Press, 2002, pagina 208.

6 Docente presso l’Università Ebraica di Gerusalemme.

7 Nel luogo dell’ossario furono trovati 13 vasi e una lampada ad olio. Questi reperti sono stati decisivi per datare la tomba al I secolo dopo Cristo.

8 Vangelo secondo Marco 15, 21. Confronta anche: T. Powers, Treasures in the storeroom family tomb of Simon of Cyrene, in «Biblical Archaeology Society Review», July-August 2003.

9 B. Bagatti, Gli scavi di Nazaret: dalle origini al secolo XII, volume I, Studium Biblicum Franciscanum Tipografia dei Padri Francescani, Gerusalemme 1967.

10 Non si conosce la data di nascita di Ponzio Pilato. Fu prefetto della Giudea tra il 26 e il 36. È citato in tutti e quattro i Vangeli canonici. Le sue vicende sono note anche dai resoconti di due autori ebrei del tempo: Flavio Giuseppe e Filone di Alessandria. Un breve cenno è presente in Tacito. La data di morte non è nota.

11 Vangelo secondo Giovanni 19, 16.

12 Fu Imperatore dal 14 al 37. I Cristiani non furono perseguitati durante gli anni di Tiberio. Quest’ultimo, attraverso il suo legato in Siria (Lucio Vitellio), fece pure destituire il sommo sacerdote Caifa. Ciò avvenne nel 36 (o 37), cioè subito dopo l’esecuzione, ritenuta illegale, del diacono Stefano su iniziativa di Caifa, e solo un anno dopo una presunta relazione di Pilato a Tiberio (35) riguardante Cristo.

13 Nel 13 avanti Cristo divenne la capitale politica e militare della Giudea. Vi risiedeva il procuratore (e governatore) romano.

14 V. Messori, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino 1979, pagine 232-233.

15 Confronta anche: http://www.santosepolcro.custodia.org/default.asp?id=3962

16 Publio Elio Traiano Adriano, noto come Adriano (76-138).

17 Si tratta di un collegamento con il Salmo 122, 1: «In domum Domini ibimus» («Andremo alla casa del Signore»).

18 Vangelo secondo Matteo 27, 52.

19 A circa 30 chilometri a Ovest di Gerusalemme.

20 Erode Ascalonita (73 avanti Cristo-4 avanti Cristo), detto il Grande. Nato, forse, ad Ashkelon. Fu Re della Giudea dal 37 avanti Cristo fino alla sua morte.

21 Vangelo secondo Matteo 2, 16.

22 Vangelo secondo Giovanni 9, 7.

23 http://www.antiquities.org.il/Article_eng.aspx?sec_id=25&subj_id=240&id=1638&hist=1

24 http://www.biblicalarchaeology.org/daily/biblical-sites-places/biblical-archaeology-sites/tomb-of-apostle-philip-found/

25 Il suo nome ebraico era Joseph ben Matityahu (Giuseppe figlio di Mattia).

26 Fu Imperatore Romano dal 69 al 79. Fondatore della dinastia Flavia.

27 Fu Imperatore Romano dal 79 all’81.

28 G. Flavio, Antichità giudaiche, XX, 200.

29 G. Flavio, Antichità giudaiche, XVIII, 116-119.

30 https://en.wikipedia.org/wiki/Shlomo_Pines

31 G. Flavio, Antichità giudaiche, XVIII, 63-64.

32 Fu Imperatore dal 54 al 68.

33 Tacito, Annali, XV, 44. Pilato univa nella sua persona l’incarico politico (prefetto) e quello amministrativo (procuratore).

34 Venne detto Plinio il Giovane per distinguerlo dall’omonimo zio Plinio il Vecchio (23-79; scrittore, ammiraglio e naturalista romano).

35 Oratore e maestro di eloquenza.

36 Fu Imperatore dal 98 al 117.

37 Plinio il Giovane, Epistole, traduzione di W. Melmoth, revisione di W.M. Lambart Hutchinson, volume II, X, 96.

38 Plinio il Giovane, Epistole, volume II, X, 96.

39 M. Harris, References to Jesus in early classical authors.

40 Vangelo secondo Giovanni 1, 14.

41 J. Habermas, The historical Jesus.

42 F. Fyvie Bruce, Jesus and Christian origins outside the New Testament, 28.

43 Verso i Cristiani si mostrò più tollerante dei predecessori. Ne rimane testimonianza (122 circa) un rescritto indirizzato a Gaio Minucio Fundano, proconsole della provincia d’Asia. Nel testo, l’Imperatore, a cui era stato richiesto come comportarsi nei confronti dei Cristiani e delle accuse a loro rivolte, rispose di procedere solo in ordine a notizie circostanziate emergenti da un procedimento giudiziario e non sulla base di accuse generiche. Confronta Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, IV, 9, 1-3.

44 Svetonio, Epistole, X, 96.

45 Svetonio, Vita Claudii, XXIII, 4.

46 Atti degli Apostoli, 13,44 e seguenti.

47 Atti degli Apostoli, 18, 1-2.

48 Svetonio, Vita Neronis, XVI, 2.

49 Oratore, maestro di eloquenza.

50 Lo scettico è colui che nega la possibilità di conoscere la verità.

51 Luciano di Samosata, De morte Peregrini, XI-XIII, traduzione H. Watson Fowler.

52 Marco Aurelio, Colloqui con se stesso, testo greco a fronte, a cura di N. Gardini, Medusa Edizioni, Milano 2005.

53 Marco Aurelio, A se stesso, XI, 3.

54 Anche negli anni di Marco Aurelio si registrarono persecuzioni. Tra i martiri, San Giustino e discepoli.

55 Marco Minucio Felice, Octavius, VIII, 4-IX, 7.

56 Il Cinismo fu una scuola filosofica fondata da Antistene e Diogene di Sinope nel IV secolo avanti Cristo. I cinici erano dediti a una vita errante e autonoma, indifferente ai bisogni e alle passioni, fedeli solo al rigore morale. Dopo un periodo di minore influsso, la scuola cinica si rafforzò in concomitanza alla corruzione del potere imperiale di Roma. Si fece, allora, appello alla libertà interiore e all’austerità dei costumi.

57 Giustino II, Apologia, VIII.

58 Origène, Contra Celsum, I, 32.

59 Origène, Contra Celsum, I, 28.

60 Origène, Contra Celsum, I, 62.

61 Ne esistono due redazioni diverse per contenuto, metodo e lingua: il Talmud di Gerusalemme (Talmud Yerushalmi, TY), terminato verso la fine del IV secolo, ed il Talmud babilonese (Talmud Bavli, TB), di un secolo più tardi. Le circostanze storiche spiegano come il Talmud Bavli abbia presto eclissato il suo corrispondente definito di Gerusalemme e sia stato considerato come il solo canonico e normativo.

62 I primi cinque libri della Bibbia.

63 Talmud babilonese, traduzione di I. Epstein, volume III, 43a/281; confronta Sanhedrin B, 43b.

64 Vangelo secondo Matteo 26, 2; 27, 15.

65 Vangelo secondo Giovanni 8, 58; 10, 31; 11, 8.

66 Vangelo secondo Giovanni 18, 31-32.

67 Vangelo secondo Matteo 12, 24.

68 Vangelo secondo Luca 23, 2-5.

69 Confronta il Vangelo secondo Matteo 22, 21; Vangelo secondo Marco 12, 17; Vangelo secondo Luca 20, 25.

70 https://en.wikipedia.org/wiki/Isidore_Epstein

71 J. P. Meier, Un Ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, 4 volumi, Queriniana, Brescia, I volume (2006), II volume (2003), III volume (2007), IV volume (2009).

72 http://www.lanuovabq.it/it/articoli-la-tv-di-stato-cinese-scopre-gesu-cristo-13640.htm

(novembre 2015)

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