Satyricon: una satira anti cristiana?
Secondo alcuni studi, il Satyricon conterrebbe alcune somiglianze con il Vangelo secondo Marco: si tratta di un caso?

Da sempre, gli studi storici contengono delle curiose sorprese, e ci confermano una volta di più che nessun uomo è un’isola, ma che la nostra vita, le nostre idee, ciò che facciamo e che tramandiamo ai posteri dipende da tutto ciò che accade intorno a noi, soprattutto se ci tocca. A volte, le tracce di questo sono molto labili, quasi invisibili; altre volte, invece, finiscono per affiorare... quando meno ce lo aspettiamo. In questo articolo vorrei parlare del Satyricon di Petronio e del Vangelo secondo Marco, due libri che immaginare più diversi non si può, e che tuttavia contengono alcune «strane» somiglianze: la volontà di Petronio di alludere al Cristianesimo nei propri scritti è discussa ed è tuttora oggetto di studio.

Cominciamo dal Satyricon: è ormai ampiamente accettata la datazione dei frammenti di questo romanzo latino (il XV libro e l’inizio del XVI) all’età dell’Imperatore Nerone (54-68 dopo Cristo), e l’identificazione del suo autore con Tito Petronio Negro, personaggio la cui morte per suicidio, avvenuta nel 66, è drammaticamente descritta dallo storico Tacito nei suoi Annali (XVI, 17-19). Egli ci è presentato come proconsole della Bitinia e poi console; dopo questi incarichi fu ammesso nel circolo «dei pochi intimi di Nerone, arbitro di raffinatezza, a tal punto che quegli nulla riteneva essere dolce o voluttuoso, se non ciò che Petronio avesse approvato per lui». Da questo epiteto di «arbitro di raffinatezza» («arbiter elegantiae») è scaturito il nome conservatoci dalla tradizione manoscritta con il quale l’autore è universalmente conosciuto: Petronius Arbiter.

Quelle che paiono allusioni all’incendio di Roma del 64 orienterebbero la datazione del romanzo al biennio 64-65, anni in cui, dopo l’incendio di Roma, i Cristiani subirono la loro prima persecuzione. In tempi più recenti, invece, lo si preferisce datare al 60, o anche al 62, dopo la rottura di Petronio con Nerone.

Protagonisti del romanzo sono due giovani, Encolpio e Gitone, cui si aggiungono successivamente Ascilto, Agamennone e il vecchio poeta Eumolpo; tra le varie peripezie narrateci da Petronio, spicca il lungo racconto di una pantagruelica e lussuriosa cena organizzata in casa del ricchissimo liberto (schiavo liberato) Trimalcione, comunemente identificato con Nerone.

Nei primi anni del Novecento il Preuschen, nel suo studio Die Salbung Jesu in Bethanien (in «Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft» III, 1902, pagine 252-253, e IV, 1903, pagina 88), studio che suscitò molte reazioni, aveva evidenziato profonde somiglianze fra un passo del Vangelo secondo Marco, l’unzione di Betania, e un passo del Satyricon. In esso si narra di Trimalcione il quale, durante il banchetto da lui apprestato, procede all’unzione dei convitati con il nardo, prefigurando tramite gesti simbolici le proprie esequie; di qui, data la somiglianza di questo racconto con l’episodio evangelico, e anche a causa dello stato degli studi sulla datazione dei Vangeli del tempo, lo studioso credette di poter spiegare tali somiglianze ipotizzando una imitazione di Petronio da parte dell’Evangelista Marco. In effetti, non è improbabile che Petronio nel momento in cui scrisse il Satyricon potesse essere a conoscenza di tale Vangelo, che secondo l’antica tradizione patristica – considerata attendibile anche da ricerche recenti – fu redatto proprio a Roma.

Uno studio di Ilaria Ramelli (Petronio e i Cristiani: allusioni al Vangelo di Marco nel Satyricon?, in «Aevum» LXX, 1996, pagine 75-80), studio poi ripreso e ampliato da altri storici, tra i quali Marta Sordi, si è ripresa in considerazione l’ipotesi del Preuschen, però ribaltandola: sarebbe stato Petronio a parodiare il Vangelo secondo Marco, e non viceversa – anche perché non si capisce che senso abbia per un Evangelista arricchire i suoi scritti prendendo spunto da un’opera satirica. Questo ci porterebbe a ipotizzare una datazione del Vangelo secondo Marco non oltre i primi anni Cinquanta del I secolo, e una sua diffusione rapida e capillare, non esclusivamente a livello colto, perché non avrebbe avuto senso fare un’opera satirica su qualcosa che nessuno o solo pochi conoscevano. (Si potrebbero fare alcune altre considerazioni, a questo punto, sull’attendibilità del Vangelo secondo Marco come resoconto storico, dato che sarebbe difficile inventare o modificare dei fatti man mano che la datazione si avvicina al «momento fondatore», ovvero alla vicenda terrena di Gesù).

Riprendiamo qui alcune osservazioni della Ramelli, iniziando proprio dal racconto dell’unzione.

In Petronio, durante la cena, Trimalcione si fa recare le vesti preparate per la sua sepoltura, del vino con cui saranno lavate le sue ossa e dell’unguento; aperta un’ampolla di nardo, unge i convitati in prefigurazione della sua unzione funebre e li invita a considerare il pasto come il suo banchetto funebre.

Nel Vangelo secondo Marco, mentre Gesù si trova a mensa, arriva una donna con un vaso di alabastro pieno di nardo genuino prezioso, lo rompe e unge Gesù sul capo. Il Cristo dice a suo riguardo che ella sta ungendo in anticipo il suo corpo per la sepoltura.

Come si può notare dalle parti in corsivo, le somiglianze sono evidenti. Ecco in sinossi i due testi, quello del Satyricon e quello del Vangelo secondo Marco:

«“Porta anche dell’unguento e un assaggio da quell’anfora, con cui voglio siano lavate le mie ossa” […] Subito aprì l’ampolla del nardo, unse tutti noi e disse: “Spero che possa piacermi da morto quanto da vivo”. Poi comandò che fosse infuso del vino in una brocca e disse: “Fate come se foste stati invitati ai miei funerali”» (Satyricon LXXVII, 7; LXXVIII, 3-4). (Una traduzione alternativa dell’ultima frase, «Bevete come se doveste fare in memoria di me», mette più in evidenza le somiglianze con i racconti della Cena eucaristica).

«Essendo [Gesù] a Betania in casa di Simone il lebbroso, mentre giaceva, venne una donna che aveva un vaso di alabastro di unguento di puro nardo prezioso; rotto l’alabastro, lo versò sul capo di lui […] “Ciò che ebbe, ella lo fece: anticipò di ungere il mio corpo per la sepoltura”» (Vangelo secondo Marco XIV, 3; 9).

È interessante notare il riferimento di Petronio al nardo, di cui parlano i Vangeli di Marco e di Giovanni, un unguento proveniente dall’India; era poco diffuso a Roma, ai Romani non piaceva perché era molto forte, quindi che Trimalcione ne faccia uso per una cerimonia solenne potrebbe essere spiegato prendendo spunto dagli scritti evangelici. E ancora: Trimalcione afferma di aver consultato un astrologo, che gli ha predetto la morte dopo altri trent’anni, cosa della quale egli è persuaso (Satyricon LXXVIII, 1); poiché dunque non vi è alcuna imminenza della morte per lui, l’ipotesi della parodia del racconto evangelico non pare così azzardata.

Un altro passo della cena pare avere reminiscenze evangeliche:

«Mentre diceva queste cose, un gallo domestico cantò. Turbato da quella voce, Trimalcione comandò che fosse versato del vino sotto la tavola e che anche la lucerna ne venisse cosparsa. Poi passò l’anello nella mano destra e disse: “Non senza ragione questo trombettiere ha dato il segnale; infatti o dovrà scoppiare un incendio, o qualcuno dei vicini dovrà morire. Lungi da noi! Per cui, chi mi porterà questo accusatore riceverà un premio”. In men che non si dica venne portato un gallo da una casa vicina, che Trimalcione ordinò venisse cotto in pentola» (Satyricon LXXIV, 1-4).

Mentre qui il canto del gallo è visto come presagio di sciagura, nel resto della tradizione greco-romana esso è preannunzio del giorno e della vittoria, e mai, ma proprio mai, presagio di morte. La definizione petroniana del gallo come «index», ovvero, in linguaggio giuridico, come «denunziatore», «accusatore», sembra ricordare la funzione che rivestì il gallo in Marco, ovvero quella di denunziare il triplice rinnegamento di Pietro prima della morte di Gesù (Vangelo secondo Marco XIV, 30; 68; 72).

Anche il noto episodio della matrona di Efeso e del soldato che si apparta con lei, pare avere altri richiami evangelici:

«Una matrona di Efeso, […] avendo perso il marito, […] seguì il defunto persino nel sepolcro. […] Nello stesso tempo il governatore della provincia comandò che fossero crocifissi dei ladroni proprio accanto al sepolcro nel quale la matrona piangeva il recente cadavere. La notte seguente, quando il soldato che sorvegliava le croci affinché nessuno togliesse i corpi per seppellirli, notò un lume splendere tra le tombe e udì il gemito di qualcuno che piangeva […] volle sapere chi fosse e che cosa facesse. Scese quindi nella tomba. […] Dunque giacquero assieme non solo quella notte nella quale fu consumato il loro imene, ma anche il seguente e il terzo giorno, tenendo certamente chiuse le porte del sepolcro. […] Ma i parenti di un crocifisso, come videro diminuita la sorveglianza, tirarono giù di notte l’appeso e gli resero l’estremo ufficio. E quando il giorno successivo il soldato […] vide una croce senza cadavere, atterrito dal supplizio raccontò alla donna quello che era successo. […] Ella disse allora di togliere il corpo del proprio marito dall’arca e di attaccarlo a quella croce che era vuota. Il soldato approfittò dell’ingegno dell’avvedutissima donna, e il giorno dopo il popolo si meravigliava di come quel morto avesse potuto salire sulla croce» (Satyricon CXI-CXII).

La matrona di Efeso (città dove le donne erano «famose» per la loro lussuria) potrebbe essere identificata con Maria Maddalena, e il marito morto con lo stesso Gesù. Inoltre, la citazione di un governatore provinciale (Pilato?), dei ladroni crocifissi, della guardia sepolcrale e dei tre giorni nel sepolcro, e infine il tema del trafugamento del cadavere (e del sepolcro vuoto), un’accusa – quella di aver rubato il corpo di Gesù – rivolta ai Cristiani dagli Ebrei già da tempo (Vangelo secondo Matteo XXVIII, 13-15) ci farebbero pensare a una parodia del racconto della morte e risurrezione del Cristo.

Una volta accettata la dipendenza Marco-Petronio, molti altri passi si prestano a simili letture: ad esempio l’allusione all’eucarestia nelle parole di Eumolpo che lascia i suoi averi a chi mangerà pubblicamente le sue carni dopo la morte («Tutti coloro che ho menzionato nel mio testamento, a eccezione dei miei liberti, potranno avere quanto ho lasciato loro solo a patto che taglino a pezzi il mio cadavere e se lo mangino alla presenza del popolo», Satyricon CXLI, 2).

Recentemente Giuseppe Giovanni Gamba in una monografia che ha mosso i suoi passi da queste constatazioni (Petronio Arbitro e i Cristiani. Ipotesi per una lettura contestuale del Satyricon, Roma, 1997), ha creduto di poter commentare tutto il Satyricon in chiave autobiografica, partendo dal presupposto che Petronio abbia voluto fare la parodia del Cristianesimo al quale, assieme anche a Seneca e forse a Nerone, avrebbe per un certo periodo aderito, per poi ripudiarlo. Di qui le identificazioni di Petronio medesimo con Encolpio, di Nerone con Ascilto, di Gitone con Sporos (amico di Nerone), di Agrippina (madre di Nerone) con la sacerdotessa Quartilla, di Seneca con Agamennone e di Trimalcione con l’Apostolo Pietro, che in quel periodo predicava a Roma.

Al di là di questi sviluppi assolutamente innovativi, qualora fosse anche solo provato un collegamento tra gli avvenimenti evangelici e il romanzo di Petronio, saremmo di fronte alla prima velata testimonianza non cristiana di Gesù e della sua Chiesa, redatta nel tempo in cui gli Apostoli Pietro e Paolo predicavano e subivano il martirio nella capitale dell’Impero Romano. Fino a quel momento, possiamo solo considerare questa chiave interpretativa come un’interessante ipotesi che necessita di ulteriore approfondimento.

(febbraio 2020)

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