Il Cristianesimo nell’Impero Romano
Dalle persecuzioni al trionfo

Nel primo secolo dell’Era Volgare, il mondo sta attraversando un momento di stabilità e di pace; i grandi Imperi (Romano, Persiano, Indiano e Cinese) che occupano vaste porzioni del territorio eurasiatico godono di sicurezza politica e prosperità economica.

A Roma comanda Augusto, considerato il primo grande Imperatore: il suo è un governo saggio e tendenzialmente pacifico, che pone termine ai lunghi decenni delle guerre civili; dà grande impulso alle arti, costruisce meravigliosi monumenti in tutto l’Impero e riveste la capitale di nuovo splendore. Alla sua morte potrà orgogliosamente affermare: «Ho trovato una città di mattoni e ne ho lasciata una di marmo!».

Roma domina anche il Nord dell’Africa, ma al di là delle sabbie del deserto prosperano altre civiltà, in gran parte ancora poco conosciute, come quella di Nok, sul fiume Niger, dove gli uomini sono molto abili nel lavorare i metalli, soprattutto il bronzo.

In Cina governano gli Imperatori della grande dinastia degli Han, che allargano il loro dominio fin quasi ai confini dell’Impero Romano. Attraverso la «via della seta» si sviluppa un ricco commercio con l’Occidente, che può così ricevere i preziosi tessuti cinesi e i penetranti profumi arabi in cambio dei suoi prodotti.

In America, dove ora c’è il Messico, fiorisce la civiltà degli Olmechi, che ci hanno lasciato grandi piramidi a gradoni in pietra. Sono un popolo progredito e civile, tuttavia conservano ancora l’usanza dei sacrifici rituali di vite umane, soprattutto al dio Fuoco (gli Aztechi li praticheranno fino alla conquista spagnola).

Due religioni o, meglio, due tipi di religione si fronteggiano nell’Impero Romano: l’uno, diffuso presso il volgo, popolare e superstizioso, si rifà ai miti ed alle divinità della tradizione romana (e non) – una pluralità di culti accomunati dalla credenza nella virtù degli elementi naturali, con caratteri animistici, spiritistici, astrologici, culti che secondo la volontà del governante di turno diventano improvvisamente una religione politica, che non cementano la comunione dei membri della società civile, anzi dividono ed isolano sempre di più gli uomini perché sono percepiti (il culto scelto dal potente, spesso addirittura il potente stesso auto-elevatosi al rango di Dio) come una sottomissione all’autorità. Lo Stato romano, composto da popolazioni eterogenee di differenti fedi, è tollerante nei confronti di tutte le religioni, preoccupandosi piuttosto dell’unità politica che di quella religiosa – una tolleranza maggiore di quella dimostrata da molti Stati moderni che, pure, sono considerati tolleranti: ogni gruppo umano onora divinità proprie, adatte ai luoghi ed alle necessità sociali. A Roma come ad Atene, l’ammissione di nuove divinità sottostà alle stesse regole dell’accoglienza degli stranieri: si domanda ai loro adepti, pena la morte, di non turbare l’ordine pubblico. Ci sono persino dei templi dedicati «Al Dio Ignoto», ovvero a qualsiasi divinità non ancora conosciuta, ma che potrebbe adirarsi se non onorata. L’Impero Romano tollera anche l’esclusivismo del Dio d’Israele, ed esenta i Giudei dal culto di Roma e di Augusto: di più, il Giudaismo continua ad essere «religio licita» anche dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme e la rovina della Nazione giudaica (anno 70).

L’altro tipo di religione, colto e d’élite, propugna l’esistenza di un unico Dio: già Aristotele ha dimostrato con la sua logica che, se Dio esiste, non può essere altro che un Dio unico. La filosofia, ormai, ha abbandonato i grandi quesiti sul Cosmo e sull’Uomo per trasformarsi in una semplice «scuola di buone maniere», per educare i giovani a divenire dei buoni cittadini.

In questo quadro vive Gesù Cristo, il Nazareno. Si proclama Figlio di Dio, e assicura di essere venuto al mondo per restaurarne il Regno.

La sua vita è fatta di «parole e gesti intimamente connessi»: dice, nientemeno, che gli ultimi saranno i primi, che i nemici van considerati fratelli, che i poveri debbono essere beati, perché il Cielo li attende. Sa comunicare e convincere: il linguaggio è affascinante, e quando i suoi ascoltatori sono deboli e incolti, ricorre, per chiarire i concetti, alle parabole, agli esempi.

Opera «segni», miracoli, soprattutto guarigioni: ma guarda con sospetto a chi lo cerca solo per farsi liberare da una malattia avvicinandolo come ci si accosta ad un mago o ad un santone. La salute è molto, certo, ma non è tutto: più della salute fisica c’è la salvezza, è il suo messaggio – si può essere sani e gettare via la vita, oppure lottare contro la malattia e diventare immagine dell’amore di Dio. Di fronte ai malati Gesù spesso sospira, manifesta dolore nel vedere dolore, condivide la sofferenza, la assume, la salva, la redime: restituisce udito e parola per far ascoltare e annunziare che Dio è amore.

Dalla sua vita prende origine una religione nuova, che si discosta da ogni altra (compreso l’Ebraismo, dal quale pure trae origine, e del quale si presenta come il completamento, la pienezza): una religione che ha dell’uomo una concezione tanto nobile e alta quant’altra religione ebbe mai – il Cristianesimo. La religione cristiana eleva l’uomo stesso alla dignità di figlio di Dio; a differenza del paganesimo asservito al potere, il Cristianesimo non accetta la sottomissione ad un arrogante piccolo uomo terreno, sia pure l’Imperatore, ma anzi mette costui sullo stesso piano del più miserabile schiavo e non gli riconosce il potere di decidere la vita o la morte di un individuo; il Cristianesimo rivela inoltre nella sua pienezza il valore della persona umana, quando afferma che l’uomo dovrà rendere conto solo a Dio, e a nessun altro, delle proprie azioni.

Il Cristianesimo è stato definito la «religione dell’amore»: dell’amore di Dio verso gli uomini, degli uomini verso Dio, degli uomini verso i fratelli. In questo è la sua caratteristica inconfondibile, il suo più fecondo lievito spirituale e sociale. Nemmeno le religioni moralmente più elevate si sono strutturate su un concetto così fraterno, così universale e così pacifico dei rapporti fra gli uomini: le religioni orientali, per esempio, hanno come motivo fondamentale il raggiungimento della perfezione attraverso la meditazione, un motivo estremamente individualista e chiuso di fronte all’apertura totale dell’amore cristiano. Alcune di esse, come il Buddismo, ultimamente hanno superato questa forma egoistica, ma Gesù Cristo predica l’amore verso tutti gli uomini in tempi in cui è normale la schiavitù, e lo predica nel senso più totale: «ama il tuo prossimo», «ama anche il tuo nemico», «accetta di essere schiavo ma non trattare gli altri come schiavi», «perdona loro quel che fanno perché non sanno quel che fanno».

Andando controcorrente, è ovvio che Gesù scateni rancori e malevolenze: i membri del Sinedrio lo denunciano come ribelle, e lo trascinano davanti al governatore romano, accusandolo di inimicizia per l’Imperatore. Ma Gesù ha detto: «Date a Cesare quello che è di Cesare» e la sua innocenza è evidente.

Per opportunismo politico, il magistrato romano non pronuncia la sentenza, ma consegna l’imputato ai suoi denigratori che lo condannano alla crocefissione, come un volgare malfattore. Tre giorni dopo la morte, narrano i Vangeli e le Lettere apostoliche, Gesù viene risuscitato e in seguito ascende al Cielo (anno 30).

La diffusione del nuovo «credo», l’annuncio della «buona novella», avvengono principalmente dopo questi avvenimenti ad opera degli Apostoli, che, seguendo l’insegnamento del Maestro («Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura»), si dividono, partono per le più lontane regioni, fondano comunità cristiane, partono nuovamente per continuare altrove la loro attività. Nel 37, in seguito alla lapidazione di Stefano (il primo martire cristiano), vengono dispersi gli «ellenisti», che annunciano il Vangelo alle popolazioni non giudaiche. È un’opera estensiva: i discepoli locali, proseguendo la predicazione cristiana, allargano il numero dei proseliti. Si vengono così formando le varie «Chiese» («ecclesia» in latino, in greco «ecclesía», da «eccaléo», «io chiamo», e perciò «assemblea»), primi nuclei di Cristiani di differente estrazione e cultura a seconda delle varie regioni.

Soprattutto gli umili, i diseredati, gli oppressi raccolgono il messaggio cristiano perché vi vedono una possibilità di riscatto, e uno spirito nuovo pervade il mondo romano proprio mentre la religione pagana si vuota sempre più del molto vago contenuto spirituale che la caratterizza. Presto, tra i convertiti si annoverano generali e patrizi, grandi dame e persino funzionari dei palazzi imperiali.

Finché i «seguaci di Cristo» vengono confusi con i Giudei, beneficiano degli stessi privilegi, che spiegano in parte la rapidità della diffusione iniziale: prima del 38 a Damasco e ad Antiochia, fin dal 45 in Asia Minore, nel 50 a Corinto. Il proselitismo dei missionari, spesso poco prudente, urta però quasi subito gli ambienti popolari. I viaggi dell’Apostolo Paolo sono costellati di disordini che non provengono solo dalle comunità giudee; nel 63, viene giudicato a Roma davanti a Cesare dopo essere stato arrestato a Gerusalemme per disordini nel Tempio – verrà in seguito rilasciato. Nella capitale, il Cristianesimo penetra prima del 49, come è testimoniato da una lettera di San Paolo alla Ecclesia di Roma. E si estende in seguito alla predicazione dello stesso Paolo e di Pietro, i due «príncipi degli Apostoli» che proprio a Roma troveranno la morte per martirio.

Il più antico documento agiografico con cui il Cristianesimo (africano) compare alla luce della storia è costituito dagli Acta Martyrum Scillitanorum, che riproducono il resoconto del processo tenutosi a Cartagine il 17 luglio del 180, primo anno del regno di Commodo, quando dodici Cristiani della città di Scilli, condannati dal governatore dell’Africa proconsolare Publio Vigellio Saturnino, coronano col martirio la testimonianza della loro fede e il trionfo della libertà cristiana sulle leggi dell’Impero.

Nessuno tuttavia potrebbe dire con esattezza quando e in nome di quale legge cominci la persecuzione dello Stato Romano contro il Cristianesimo. Secondo una notizia di Lattanzio, il giurista Domizio Ulpiano raccoglie nel suo volume De officio proconsulis (anno 215) i «rescripta principum», per insegnare con quali pene possono essere puniti coloro che si confessano cultori di Dio. La raccolta, che riguarda senza dubbio i Cristiani, non ci è stata conservata. Perciò, in mancanza di sicure fonti contemporanee, discordi sono i pareri degli studiosi sulla norma legale cui si è attenuta l’autorità romana nel giudicare i Cristiani e sanzionare giuridicamente il suo atteggiamento repressivo.

Nella questione a lungo dibattuta sono prevalse tre teorie. Alcuni ritengono che la persecuzione contro i Cristiani non rappresenti l’applicazione di leggi eccezionali, ma rientri nelle sanzioni normali del diritto penale romano, che punisce come sacrilegio e lesa maestà il rifiuto di sacrificare agli dèi e di giurare per il genio del Principe, e condanna, in generale, l’associazione illecita, l’infanticidio, la magia e i delitti comuni di cui, secondo la voce pubblica, i Cristiani sono ritenuti colpevoli.

Per altri invece i Cristiani sarebbero puniti in base ad una legge specifica, emanata da Nerone in occasione dell’incendio del 64, oppure da Domiziano, persecutore delle comunità giudeo-cristiane, mirante a proscrivere il Cristianesimo come tale, e rimasta in vigore fino all’età di Decio; ovvero, senza ricorrere a leggi speciali, per la professione cristiana in se stessa («nomen christianum»), che secondo una tradizione giuridica, fissata nei primi decenni dell’Era Volgare, fa ritenere socialmente e politicamente pericolosi i seguaci di colui che è stato condannato a morte da un governatore romano.

Non pochi infine, secondo la tesi del Mommsen, pur riconoscendo che i Cristiani sono talora condannati in base alle sanzioni esistenti per alcuni crimini di diritto comune, primi fra tutti il sacrilegio e la lesa maestà, ritengono che le misure anticristiane siano soprattutto fondate su provvedimenti di polizia, in virtù di quel vasto e vario potere straordinario che spetta ai governatori delle province per salvaguardare il culto ufficiale e intervenire in difesa dello Stato contro i perturbatori dell’ordine. E questo spiegherebbe così l’intento degli apologisti di sottrarre la causa dei Cristiani all’arbitrio della coercizione, per riportarla alle norme procedurali dei tribunali criminali ordinari, come l’intervento degli Imperatori, che attraverso i rescritti si adoperano per tenere a freno i magistrati, troppo inclini a cedere alla violenza della folla e ad abusare dei propri poteri.

Tuttavia è innegabile che la memorabile risposta di Traiano a Plinio, fino all’editto emanato nel 202 da Severo, che proibisce sotto pena gravissima la propaganda del messaggio evangelico e deve destare vivissimo turbamento nella comunità cristiana, costituisce e fissa la prima norma legale di persecuzione religioso-politica, tendente a soffocare immediatamente una realtà contrastante con quegli ideali di ordine e di sicurezza sociale e politica che inaugurano il suo «saeculum».

Ma le parole dell’Imperatore confermano anche che da tempo i Cristiani sono considerati nemici pubblici, irriducibili ribelli e odiosi associati di una setta sovversiva e malefica, e che dall’età di Nerone e di Domiziano il solo nome di Cristiano è meritevole di punizione. Alimentata dall’ostilità dei Giudei, dalla diffidenza e dal disprezzo dell’autorità e dalle voci infamanti del popolo, la persecuzione dello Stato romano rappresenta per più di due secoli un pericolo ed una minaccia per i Cristiani. Vi sono lunghi periodi in cui essi possono vivere senza molestia e professare liberamente la loro fede. Ma chiunque, e in ogni momento, purché personalmente denunciato, può essere gettato in carcere e condannato, così che la persecuzione non si arresta mai, pronta ad esplodere rabbiosamente per il risveglio dell’odio popolare o della intolleranza dei governatori delle province. Del resto l’Impero Romano, per giustificare la propria esistenza e la propria supremazia, deve affermare la sua sacralità: Roma e gli Imperatori sono deificati! I Cristiani rispettano l’autorità statale (lo ha insegnato Cristo: «Date a Cesare quel che è di Cesare»; lo ha raccomandato Paolo); ma poiché credono in un Dio solo, non possono ammettere la divinità di Roma e dell’Imperatore. Ciò appare estremamente pericoloso dal punto di vista politico: Roma è sempre stata inesorabile nel reprimere ogni attentato alla propria sovranità.

Tutto cambia agli inizi del III secolo, quando la minaccia dei barbari si fa più pericolosa. Dal momento che il Cristianesimo è largamente diffuso tra le classi elevate e ha anche oltrepassato le frontiere giungendo fino ai Sassanidi di Persia, nemici di Roma, esso appare sospetto di tradimento agli occhi degli Imperatori-soldati, in un momento in cui tutte le energie devono invece venire mobilitate per salvare l’Impero. Si tratta di un grave errore politico, perché i Cristiani sono in genere lealisti nei confronti dello Stato. Le grandi persecuzioni non solo sono inefficaci, ma creano nuovi fermenti di disgregazione.

La concessione della libertà di culto ai Cristiani (Editto di Milano, 313), la conversione di Costantino poco prima della sua morte (337), testimoniano la stessa preoccupazione degli editti di Diocleziano degli anni 303-305 (era proibito il culto cristiano, vigeva l’ordine di suppliziare i sacerdoti che si rifiutavano di abiurare e di condannare a morte o ai lavori forzati coloro che si opponevano ad un sacrificio generale agli dèi tutelari): bisogna mantenere a qualsiasi costo l’unità del mondo romano. Con Teodosio (380), il Cristianesimo diventa religione di Stato e si assume il compito di santificare l’Imperatore (l’Editto di Teodosio parla in modo specifico della «religione di Pietro», significando che la vera ed unica religione cristiana è quella nella forma romana). Si vedono ben presto gli Imperatori, legittimi o meno, riprodurre così contro i culti tradizionali le misure repressive promulgate dai loro predecessori contro i Cristiani (nel 391-392, Teodosio proibisce tutti i culti pagani); e i perseguitati di un tempo si fanno a loro volta persecutori, anche dei loro stessi correligionari, accusati di scisma o di eresia.

Infatti la Chiesa, posta dal suo Fondatore sotto il segno dell’unità, è ben presto turbata da tensioni interne, in cui rivivono diversità locali che le grandi scuole teologiche (Alessandria, Antiochia, Cesarea) e lo sviluppo del monachesimo non sono in grado di arginare. La comunità fondatrice di Gerusalemme, erede delle divisioni tra i Giudei, si scinde tra «Ellenisti» ed «Ebrei» sulla questione dell’osservanza delle regole mosaiche (soprattutto sull’obbligo della circoncisione per i neoconvertiti). Lo scisma giudeo-cristiano (ebionismo, dopo il 70) è il primo di una lunga serie: gli ebionisti accettano Gesù come Messia, ma negano la Sua divinità. Un secolo dopo, i montanisti in Frigia fondano una Chiesa carismatica, mentre i donatisti in Africa nel 312 rifiutano la validità dei sacramenti conferiti dai sacerdoti che hanno abiurato nel corso della persecuzione di Diocleziano. La difficoltà di conciliare la divinità di Gesù con il monoteismo è la causa delle prime eresie: lo gnosticismo in Siria (100 circa: gli gnostici sostengono che la natura umana di Gesù è pura apparenza), il marcionismo nel Ponto (150 circa: i marcioniti rifiutano il Primo Testamento), il sabellianismo in Cirenaica, l’arianesimo in Egitto (320 circa: Ario sostiene che il Padre e il Figlio non hanno la stessa natura). Per reprimere questi turbamenti dell’ordine pubblico, gli Imperatori, quasi fossero teologi, presiedono i concili. Viene così mantenuta la continuità romana e l’unità dell’Impero.

Attualmente, la religione cristiana – checché ne dica qualcuno – gode di ottima salute ed, anzi, è professata da circa due miliardi di persone (pari al 33% della popolazione mondiale, ed in continua ascesa). Tra i Cristiani, i Cattolici sono circa un miliardo e superano i musulmani (900 milioni), gli induisti (850 milioni) e gli appartenenti alle altre fedi. Secondo i dati dell’annuario statistico della Chiesa del 2004, confermati dalla World Christian Encyclopedy di Barrett (2006) e dalle stime dell’UAAR (Unione Atei e Agnostici Razionalisti), il Cristianesimo Cattolico è in aumento in Africa ed Asia; è inoltre la religione più diffusa nelle Americhe (62% della popolazione), in Oceania (27%) e in alcuni Stati europei come l’Italia (82%)… e si tratta di Cattolici per convinzione e non per convenzione. Persone che credono, e che spesso sono disposte a soffrire l’incomprensione degli altri per testimoniare al prossimo il messaggio di Gesù, la loro fede.

(febbraio 2014)

Tag: Simone Valtorta, Cristianesimo, Impero Romano, Era Volgare, religione, Gesù Cristo, Ebraismo, Apostoli, Pietro, Paolo, Vangelo, Chiesa, persecuzioni, Costantino, Teodosio, Mommsen, Traiano, Plinio, Severo, Editto di Milano, Nerone, Diocleziano, ebionismo, montanismo, donatismo, gnosticismo, marcionismo, sabellianismo, arianesimo.