Vestigia templari lucchesi
Lucchio, Limano e Vico, tre paesi che non valgono un fico… Ma anche no…

Nella medievale Valle del Serchio, e più precisamente nella Val di Lima, in provincia di Lucca, ci sono tre paesi arroccati su dei colli pre appenninici, particolarmente significativi nel Medioevo, a cui paradossalmente la popolazione lucchese ha attribuito in epoca recente il detto «Lucchio, Limano e Vico, tre paesi che non valgono un fico».

Questo perché nel secondo dopoguerra si sono spopolati e hanno perso quella connotazione strategica che possedettero in passato.

Mi sono spesso chiesta se questa attribuzione recente non nasconda anche dei retroscena del tutto inediti su questi tre paesini che di irrilevante, a ben vedere, sul piano storico, non hanno proprio nulla. Evidentemente i Lucchesi o poco conoscono l’importanza storica degli stessi oppure gli storici non sono stati sufficientemente solerti per ragioni a noi «oscure» nel trattarli, al fine di metterne in luce, se lo avessero fatto, tutto il fascino e la secolare importanza che li caratterizza.

Perciò proverò in questa sede a descriverli sia sul piano geografico che storico, riallacciandomi così a una più generale impronta storiografica sia italiana che europea che li vide coinvolti, e non del tutto emersa storiograficamente sin qui. Posso ben dirlo perché la mia tesi di laurea ha toccato indirettamente questi paesi e ho dovuto fare una fatica colossale nell’andare a rintracciare quel poco che è stato scritto in modo, peraltro, del tutto disorganico.

Limano è apparentemente dei tre paesi quello meno significativo. Il paese è ricordato a partire dall’893 con una pergamena datata. Un’altra pergamena data 943. Questo paese fu feudo della potente famiglia longobarda dei Suffredinghi.

Se Sigifredo Atto è il conte quadrisavolo di Matilde di Canossa, molti sono i riferimenti storici che lo uniscono alla casata Sigifreda, non solo il suo nome di battesimo. Si trattava della più potente famiglia longobarda presente sul territorio lucchese. Le sorti del paese di Limano coincidono con quelle dei Suffredinghi. Questo almeno vogliono le carte. Passò infatti sotto il Comune di Lucca nell’anno 1209, quando tutti gli anziani di Limano si recarono in Lucca per giurare fedeltà al Comune medesimo. I Sigifredi lucchesi persero all’epoca la loro autonomia feudale ma non il potere economico e politico che possedevano.

In una parola, Cavalieri erano e Cavalieri restarono, continuando attraverso i Cavalierati ma, dopo il 1200, soprattutto attraverso i loro incarichi in ambito ecclesiastico e con le prerogative culturali e sociali che li caratterizzavano, a mantenere (ritengo spesso «sotto mentite spoglie») i caratteri che il rango nobiliare loro attribuiva.

Cavalieri sì, ma anche dotti uomini d’Altare. Fu così che nel XIV secolo la rocca di Limano venne inclusa in quelle rocche che dovevano essere munite di vettovaglie e munizioni in modo che la Repubblica Lucense potesse guardarsi dal pericolo di eventuali incursioni da parte dei Fiorentini.

Nel 1428 le truppe fiorentine occuparono Limano insieme a tutte le terre della Vicaria, eccezion fatta per il paese di Lucchio. Il trattato tra Lucca e Firenze del 1442 restituì a Lucca i castelli perduti.

Lucchio, ancor più del paese precedente, ha una posizione geografica davvero particolare, tale da definirlo il «Paese invisibile», sicuramente il più invisibile della Toscana. Questo perché lo si può scorgere solo quando ci si arriva sotto, a ridosso. Domina infatti tutta la valle del torrente Lima, affluente del fiume Serchio, e si trova al confine tra le province di Lucca e Pistoia.

Un divertente detto popolare vuole Lucchio così in pendenza che i contadini dovevano legare un sacchetto alle galline per impedire che le uova rotolassero a valle. È così arroccato alla parete rocciosa da essere praticamente inavvistabile. Rifugio ideale per sfuggire ai nemici, il suo castello sovrasta le abitazioni ed è anch’esso invisibile. Anche dal paese infatti spesso non si riesce a scorgerlo. Le origini del castello sono da ricercare nell’antichità, quando i Liguri occuparono la zona, ma l’edificazione del castello così come appare dai resti è da imputare alla contessa Matilde di Canossa. In prossimità del castello spesso soffia un forte vento ed è per questo che un ingegnere olandese nel XVI secolo vi fece costruire un mulino a vento con lo scopo di rendere il castello autosufficiente in caso di assedio. Oggi il paese è pressoché deserto ma a partire dal Medioevo fu viceversa molto popolato. I suoi caratteristici torrioni ricordano ancora oggi quanto i castelli medievali fossero essenziali per l’economia del territorio e Lucchio rappresenta un raro esempio intatto di questa tipologia abitativa.

Il terzo paese menzionato, Vico Pancellorum, che deve il suo nome romano pare ai fratelli Pancelli, qui esuli in epoca romana, come gli altri due borghi ha un’atmosfera che sembra sospesa nel tempo. È anche questa una frazione di Bagni di Lucca e ospita al suo interno la pieve di San Paolo, la cui facciata riporta immagini di contenuto fortemente simbolico che richiamano l’Ordine dei Cavalieri Templari.

Pieve di San Paolo

Pieve di San Paolo a Vico Pancellorum (Italia)

Dopo l’epoca romana, nel Medioevo, Vico fu occupato dai Longobardi e precisamente, come i precedenti due paesi, dal gruppo esteso dei Sigifredi o Suffredinghi. Divenne poi possedimento del Comune di Lucca e in seguito di Pistoia. Nel 1437 il nucleo originario del paese venne incendiato e parzialmente distrutto dagli Sforza. Vico Pancellorum ritornò quindi tra i possedimenti di Lucca a seguito di un accordo con Firenze nel 1493. Al borgo venne per l’occasione concesso un Podestà come attesta il Palazzo Podestarile situato nella parte alta del paese.

Se anche Vico oggi risulta poco popolato, non così nelle precedenti epoche storiche, quando fu scrigno di misteri e leggende ancora da svelare. Tra gli edifici oggi conservati spicca la pieve di San Paolo, gioiello romanico e non solo. Le prime notizie della chiesa risalgono all’873, in un documento stipulato tra il sacerdote Separi e il Vescovo Gherardo (Suffredingo): quest’ultimo cedette per un certo periodo la pieve in cambio di denaro.

Portale della pieve di San Paolo

Portale della pieve di San Paolo a Vico Pancellorum (Italia)

All’interno del luogo sacro si nascondono enigmi difficili da decifrare. L’ingresso della chiesa presenta un portale sormontato da un architrave con immagini simboliche: un crocefisso, un albero della vita, un cavaliere con in mano una spada, una scacchiera e la Madonna in trono. La particolarità è che il cavaliere con la spada risulta cancellato, amplificando così l’alone di mistero. Un rebus allegorico che non è stato ancora decifrato, sebbene abbia una chiara connotazione esoterica. Le misteriose simbologie potrebbero essere legate ai Templari, vista anche la raffigurazione della scacchiera, una delle prime di questo genere in Italia.

Lo stesso gioco degli scacchi venne interpretato in chiave esoterica come allegoria del percorso iniziatico, ricollegandosi alla ricerca del Sacro Graal; non a caso molti edifici legati ai Cavalieri Templari hanno pavimenti a scacchiera, e alternanza di bianco e nero, riferimento al gioco degli opposti (sole-luna, maschile-femminile eccetera). La chiesa ha un impianto basilicale a tre navate, spartite da arcate su pilastri sormontati da capitelli con decorazioni fortemente geometrizzate. Anche le pietre usate sulla facciata sono bicrome. Da studi recenti, ma mai portati a compimento, risulta che nella parte vecchia di Vico Pancellorum addirittura, in epoca romana, ci fosse un paese che adesso appare sommerso, una sorta di Pompei locale, che da oltre mille anni è disabitato, con una spaccatura, lunga oltre cinquecento metri, che attraversa per metà il vecchio insediamento. Probabilmente un terremoto generò questa condizione.


Visti da vicino…

Sono un po’ dispiaciuta all’idea che ancora oggi moltissimi storici vedano i Cavalierati quasi come un’allegoria, e in tale chiave descrivano le loro «performances» e tutto ciò che li riguarda. Come se fossero leggenda, perché la leggenda paga, mentre le verità politiche, peraltro ancora scomode, no.

Così tutti coloro che come me amano la storia ma allo stesso tempo non vogliono fermarsi di fronte all’ovvietà della storiografia, devono necessariamente inoltrarsi in un fai-da-te che può apparire astorico ma che nella realtà dei fatti è molto più vicino alla verità di quanto non si possa immaginare!

È così che studiando il Risorgimento in modo assolutamente scientifico all’interno di una Università, mi sono trovata immersa nel Medioevo dei Cavalierati, ma da sola, e non grazie a studi preesistenti piuttosto che all’apporto di storici di professione.

LUCCHIO, LIMANO e VICO sono i Cavalierati.

Qui la schiatta Longobarda Suffredinga, che dei Cavalierati fece una professione e una fede e ideologia, regnò a lungo prima in via ufficiale e poi ufficiosa, una volta che l’età comunale prese il sopravvento.

Non oso sostenere che tali Suffredinghi fossero Templari perché verrei forse fucilata. Mi è capitato di recente infatti che uno studioso cultore di storia medievale della zona, di cui non faccio nome, ex allievo all’Università di Franco Cardini, a una mia semplice domanda circa la presenza nelle zone a Nord di Bagni di Lucca, in terre Gherardinghe, di tracce di Cavalierati, anche Templari, ripeto, come punto di domanda, mi abbia quasi fulminato tacciandomi di fellonia.

Sono stata zitta ma qui non tacerò.

Un insigne personaggio di Castelnuovo Garfagnana nel 1860 scrisse a Gino Capponi, suo amico, su scavi archeologici in zona che i resti di un cavaliere ritrovato dagli archeologi in quel periodo e risalente all’epoca medievale fosse del Capponi medesimo e non suo, cioè appartenente alla sua famiglia di origine. L’insigne personaggio si riferiva al Cavalierato del Tau di cui i Capponi furono Gran Maestri quasi ininterrottamente fino al Cinquecento, quando l’Ordine del Tau fu sciolto definitivamente, Cavalierato peraltro pare fondato dalla Grancontessa Matilde di Canossa.

Il Cavalierato del signore di Castelnuovo Garfagnana per esclusione poteva essere o quello dei Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme, di cui l’Ordine Templare fu una costola, oppure dei Cavalieri di Malta, che sostituirono i Templari e il loro ruolo, una volta sciolto l’Ordine del Tempio. Viste però le date, questa seconda ipotesi appare più azzardata, maggiormente probabile la prima o addirittura che il personaggio in oggetto si riferisse direttamente all’Ordine del Tempio.

La famiglia di questo signore di Castelnuovo Garfagnana afferiva territorialmente ai territori di Lucchio, Limano e Vico, ossia alle terre Suffredinghe. Voglio partire da queste semplici osservazioni per raccontare quanto Lucchio, Limano e Vico rappresentino perciò, al di là delle vestigia che ancora conservano, luoghi sacri per gli Ordini Cavallereschi. Oserei dire siano a tutti gli effetti emblema di questi Ordini e, mi sia concesso, a pensar male non si rimette mai, dimenticati anche per questo.

Qui regnò un importante personaggio, cugino di Matilde di Canossa: Pagano da Corsena della schiatta longobarda dei Porcaresi di cui ci parla Castruccio Castracani nella sua Vita Mathildis. Lo stesso Castruccio era un suo discendente e Pagano da Corsena viene descritto come un cugino di Matilde di Canossa da Castruccio medesimo.

I Porcaresi dettero il loro nome in Lucca al paese di Porcari, non distante da quell’Altopascio dei Cavalieri del Tau, dove del resto pare da alcune fonti che la stessa contessa Matilde sia nata, nel castello della Vivinaia appartenuto a suo padre, il marchese Bonifacio. Sulla nascita di Matilde è stato scritto molto. Se anche fosse mantovana di nascita, certamente alla Vivinaia spesso si recò così come a Lucchio, Limano e Vico, visto che i Bagni della stessa Bagni di Lucca sono da lei stati ricostruiti e ampliati. Da tutto ciò emerge che i Porcaresi e i Suffredinghi erano imparentati. E sin qui nulla di strano visto che tutte le varie Casate Longobarde della zona ebbero rapporti di parentela. Quella Suffredinga fu la più estesa.

Quello che gli storici non raccontano e che viceversa dovrebbe essere detto è che queste importanti Casate non si volatilizzarono improvvisamente con lo scioglimento dei Cavalierati e l’avvento dei Comuni, ma anzi sotto mentite spoglie continuarono a gestire il loro immenso potere sul territorio piuttosto che nel resto d’Italia e di Europa. Nel caso di Lucca e dintorni una certezza questa, perché Lucca rimase uno Staterello indipendente per circa mille anni senza avere un esercito e apparentemente senza ricchezze sufficienti per pagarsi in termini monetari questa indipendenza. Perché lo sappiamo bene anche noi, oggi, quanto costosa sia l’indipendenza politica, e quanta abilità diplomatica richieda perché vada a buon fine!

La Lucca Ghibellina, perché tale fu sempre Lucca, di fatto, legata cioè all’Impero e non al Papato come qualcuno potrebbe pensare (Lucca città bianca, tanto per citare un titolo) tenne sempre testa alla Roma Papalina, nel Cinquecento osò sfidarla affidandosi alla Riforma Protestante, con fuoriusciti eccellenti al seguito, che si recarono in Svizzera e in Inghilterra, terre con le quali la ribelle Lucca e i suoi territori hanno sempre mantenuto e mantengono tutt’ora serrati contatti. A Bagni di Lucca troviamo una celebre chiesa e cimitero protestanti e una nutrita comunità inglese ma non solo. Un caso? No. Ho scritto tempo fa che a salvare, ma il condizionale è d’obbligo, Lucca e le sue terre dalla furia di Filippo il Bello ai tempi dello scioglimento dell’Ordine Templare dalla perdita delle loro importanti prerogative degli appartenenti all’Ordine in Lucca, come opportunamente è stato scritto in Templari a Lucca, sia stato lo stesso condottiero Castruccio Castracani, molto intimo per i suoi trascorsi cavallereschi sia del Re Edoardo d’Inghilterra che di Filippo il Bello. Visti i territori d’apparenza Suffredinga è molto probabile. Ecco perché Lucchio, Limano e Vico non solo non sono paesi che non valgono un fico, ma sono scrigni preziosi per chi voglia davvero conoscere da vicino i Cavalierati nelle loro più profonde verità storiche, fatte prima che di idee e ideologie, di denaro circolante, di traffici commerciali, terrestri e marittimi, di viaggi continentali e intercontinentali, di arte, letteratura, musica.

Quando il grande Imperatore Federico II passava per San Pellegrino in Alpe, e lo fece più volte come risulta agli atti, visitò certamente queste terre perché la via per raggiungere San Pellegrino e poi Modena passava da qui. E come la stessa Matilde, anche lui amò certamente questi luoghi in modo esponenziale. Simbolo di tesori sia in termini economici che culturali. Chi come me li ama può oggi solo visitarli, apprezzarne le bellezze storiche e paesaggistiche e nello stesso tempo chiedersi come mai ancora oggi, anno di grazia 2019, tutto questo non sia emerso e non brilli di luce propria sul piano storico.

Qui Dante Alighieri pose le bocche dell’Inferno nella sua Divina Commedia (Orrido di Botri).

Dante conosceva da vicino gli Ordini Cavallereschi, lui stesso era stato un Seguace d’Amore e afferiva perciò agli Ordini medesimi. Di lui a Montefegatesi, non distante da Lucchio, Limano e Vico Pancellorum, un’imponente statua ne ricorda il passaggio. Forse è anche per questo che tutto è rimasto in ombra sin qui? Un invito alla lettura, per chi vuole, dei miei studi pubblicati in rete e sul sito storico www.storico.org. Ogni contatto e suggerimento sarà certamente gradito.

(maggio 2019)

Tag: Elena Pierotti, Vico Pancellorum, Limano, Lucchio, Dante Alighieri, Ordine Templare, Matilde di Canossa, Federico II, Filippo il Bello, Castruccio Castracani, cavalierati medievali.