La Grande Carestia del XIV secolo
Un drastico peggioramento delle condizioni atmosferiche dopo un periodo di benessere, aggravato da una grande eruzione vulcanica in Nuova Zelanda, provocò in Europa una carestia che uccise milioni di persone

Il XIV secolo fu particolarmente ostile alle popolazioni europee, in modo particolare per quelle degli Stati siti più verso Nord. Ciò fu per la Francia per quasi tutto il secolo, solamente gli ultimi dieci anni esclusi, mentre per l’Inghilterra la carestia produsse serie difficoltà nei primi 70 anni del secolo. Ma non ne furono graziate nemmeno la Russia, la Scandinavia, l’Irlanda e altri Stati che fanno da corona ai Pirenei e alle Alpi; solamente l’Italia Settentrionale ne sentì il peso in modo più contenuto. I peggiori anni furono quelli compresi fra il 1315 e il 1317, per i quali alla carestia, particolarmente micidiale, fu assegnata la significativa denominazione di «Grande». Il termine aveva una molteplice giustificazione, perché non solo faceva riferimento all’elevatissimo numero di vittime, ma pure per la sua estensione geografica, per la sua durata nel tempo e per altro ancora.

Parlare di carestia, facendo riferimento al Medioevo, significa notificare che la gente moriva di fame in quantità esageratamente elevate: infatti i morti per denutrizione furono milioni nel giro di pochi anni. Basti pensare, per rincarare la dose, che allora la vita media era già di per se stessa veramente ridottissima, perché, non avendo purtroppo a sufficienza da mangiare, si sopravviveva, ma per poco tempo, poi si moriva. Stando a documenti in possesso dei Reali d’Inghilterra, l’aspettativa di vita media era molto ridotta, praticamente al di sotto dei 30 anni. Quando poi, alla metà del secolo, scoppiò la Peste Nera, la durata della vita si abbassò ulteriormente, fermandosi appena al di sopra di 17 anni.

Come si giunse alla Grande Carestia? C’era stato un periodo favorevole, prima della metà del 1300, durante il quale dominava il benessere, tanto che il popolo crebbe in una maniera da definire esagerata; ancora oggi in certe zone della Francia, la popolazione è numericamente inferiore ad allora, mentre in altre ciò si raggiunse solamente nel secolo XIX. Il periodo, che è durato dal secolo IX al XIV secolo, cioè grosso modo 500 anni, fu denominato «Periodo caldo medievale», caratterizzato da un caldo fuori della norma. Il clima era favorevole alla produzione agricola: infatti, nelle buone stagioni la produzione seguiva il rapporto di 7 a 1, ciò per dire che ogni seme di grano piantato ne produceva indicativamente sette, mentre in quelle sfavorevoli ogni grano ne produceva solamente due, cioè 2 a 1. Ma non si potevano mangiare entrambi, perché altrimenti sarebbe mancata la semenza per l’anno successivo. E già alla fine del XIII secolo si era iniziato a sentire che le cose tendevano al peggio, fatto denunciato dall’aumento dei costi della farina causato dalla diminuzione della produzione. Cos’era successo? Le condizioni atmosferiche peggiorarono, infierendo sulle colture in modo disastroso. Nella prima decina di anni del 1300, iniziarono infelici e ripetitivi eventi meteorologici che causarono una ridottissima produzione di cereali. La carestia tra il 1309 e il 1311 colpì duramente l’Emilia, dove secondo il cronista piacentino Guerino, la morte per fame coglieva la gente lungo le strade; insomma, le persone cadevano come mosche irrorate da un insetticida, mentre poco più tardi, tra il 1312 e il 1315, la siccità mise in ginocchio le colture della Lombardia e del Piemonte. Nei primi mesi del 1315, si scatenò una pioggia pesante e senza fine, che coinvolse l’Europa intera, impedendo al grano di maturare. A complicare la situazione, già di per se stessa abbastanza compromessa, ci fu un anomalo ulteriore abbassamento della temperatura da addebitare all’eruzione del 1315 del vulcano Tarawera, monte situato nell’Isola del Nord della Nuova Zelanda, che è agli antipodi dell’Europa. Le sue ceneri, eruttate nell’alta atmosfera, hanno fatto il giro del mondo e, riducendo l’insolazione, contribuirono all’abbassamento di temperatura già in atto. Così, in quelle condizioni, con primavere eccessivamente piovose e con estati fredde, le colture diedero quegli scarsi risultati, che perdurarono fino al 1317. La fame e le malattie decimavano la popolazione. La sopravvivenza indusse molti a comportamenti al di fuori di ogni regola del vivere civile, che sfociarono nell’infanticidio per ridurre le bocche da sfamare, e nel cannibalismo per combattere la fame. Questa gravissima situazione, che pur attenuandosi durò fino verso il 1330, non fu altro che il segnale di quanto si sarebbe ripetuto nell’avvenire. I Governi, per le condizioni climatiche avverse, non furono in grado di soddisfare i bisogni della gente, perché era cresciuta in sovrabbondanza e più numerosa che nel passato, mentre il cibo era paurosamente scarso. Per tutto questo, una grave scossa ricevettero tutte le istituzioni, dalla Chiesa, agli Stati e a tutte le comunità che avrebbero dovuto aiutare la popolazione, ma che, disgraziatamente, non ne avevano i mezzi.

Per tutto questo, il costo del cibo raddoppiò, mentre anche il costo del sale, che non si riusciva a fare cristallizzare nelle saline a causa dell’umidità, ebbe un forte salto verso l’alto. Nella regione francese della Lorena, il costo della farina divenne tre volte tanto quello normale, e in tal modo le scorte potevano essere toccate solamente da persone particolarmente ricche, mentre i meno abbienti iniziarono, come successe nell’antichità prima dell’avviarsi dell’agricoltura, ad andare alla ricerca di ciò che la natura elargisce spontaneamente: piante, radici, noci, bacche e quant’altro, cioè tutto quanto a quei tempi era ritenuto edule, in base alle conoscenze disponibili.

Il cattivo tempo durò fino a buona parte del 1317, quando la carestia giunse al suo massimo, e la gente, che fino ad allora era sopravvissuta, spesso ricorrendo al cannibalismo, come testimoniano cronisti dell’epoca, era stremata e indebolita dalla fame e dalle spaventose malattie (tubercolosi, bronchiti, polmoniti eccetera) che la tormentavano, e spesso non resisteva a lungo. Poi, il tempo migliorò e la popolazione iniziò a crescere. A quei tempi, le anagrafi non funzionavano come ora, per cui i dati relativi ai morti forniti dai cronisti non collimano fra di loro, tanto che, mentre l’uno ritiene che i decessi colpirono il 10% della popolazione, l’altro è dell’avviso che siano stati almeno il 25%. Sembra opportuno aprire una parentesi in merito a un possibile confronto fra la Grande Carestia e la Morte o la Peste Nera, che colpì le popolazioni europee alla metà del secolo XIV. La differenza è sostanziale: la Morte Nera assalì i territori europei e imperversò per un periodo limitato di anni (dal 1347 al 1352), perché è dovuta a microrganismi che hanno, come tutti gli esseri viventi, i loro alti e bassi, mentre la Grande Carestia durò per anni e anni, perché la fame è fame e, se non viene soddisfatta, nulla può salvare chi la sente, oggi, domani, sempre.

Gli effetti della Grande Carestia furono micidiali. La Chiesa ne uscì in malo modo, giacché le tante preghiere che erano con fede alzate al Cielo, sembravano del tutto inefficienti a porre fine all’immane tragedia che colpiva la popolazione e dunque, dove la religione aveva da sempre avuto una tenuta formidabile, la Chiesa si trovò in estrema difficoltà; tuttavia, riuscì a superare un po’ malandata la durissima prova. Quella che aumentò in modo vertiginoso fu la criminalità dei violenti, alla quale si aggiunse quella della gente per bene, che non aveva altre possibilità che agire come i malviventi, per sfamare se stessa e la sua famiglia. Dopo quel periodo triste per la storia dell’uomo, l’Europa fu abitata da gente più dura, più violenta, meno comprensiva. In quelle condizioni, anche gli Stati non furono capaci di reagire adeguatamente alla crisi che si erano trovati addosso, mettendo in estrema difficoltà sia la popolarità sia l’autorità. Infine, la Grande Carestia segnò il declino della crescita demografica, che era iniziata a metà del XII secolo.

A completare l’«opera» intervenne la Peste, o Morte Nera che dir si voglia, che colpì duramente il continente, agendo senza scrupoli su una popolazione ridotta allo stremo. Parafrasando le parole rivolte da Francesco Ferrucci a Fabrizio Maramaldo poco prima di morire, non sarebbe strano se la conclusione della Grande Carestia fosse siglata dalla frase della gente rivolta alla Morte Nera: «Vile, tu uccidi un popolo morto!» .

(agosto 2020)

Tag: Mario Zaniboni, Grande Carestia del XIV secolo, 1315-1317, Medioevo, Peste Nera, Grande Carestia, Periodo caldo medievale, eruzione del Tarawera, Nuova Zelanda, Europa, XIV secolo, Morte Nera, Francesco Ferrucci, Fabrizio Maramaldo.