I Crociati ritrovati
I Crociati Jodom, Jean d’Aubignè e la città dei Burlamacchi

Desidero condividere una singolare e per certi versi grottesca vicenda che riconduce a situazioni storiche reali e del tutto imprevedibili.

La mia mamma aveva un cognome fittizio, vale a dire inventato. Si chiamava Da Valle ma questo cognome fu costruito ad arte agli inizi del XIX secolo perché in realtà suo nonno era francese di origine. Michel Jodom, così si chiamava quel mio progenitore, e il padre di questi, insieme ad altri suoi due fratelli, avevano disertato dall’esercito napoleonico durante la Prima Campagna d’Italia, acquisendo assieme ai fratelli il cognome italiano fittizio. Siamo a Lucca nei primi anni dell’Ottocento. Mia mamma era nata nel 1921 e uno stato di famiglia risalente al 1862, da me rinvenuto in una parrocchia e ora in mio possesso, registra ancora la famiglia col cognome originario Jodom assieme a quello acquisito. Sin qui niente di eccezionale, visto che spesso accadeva che membri dell’esercito disertassero e per tale ragione si naturalizzassero nel nuovo Paese di appartenenza. Ma da qui in poi il mio discorso si fa decisamente più complesso.

Vado in rete a documentarmi sul cognome Jodom, per semplice curiosità. Sembra uno dei più diffusi in Francia, questo perché intorno all’anno Mille pare ci fosse un incastellamento sulla Senna (da alcune informazioni reperite in rete forse sulla stessa Ile de la Citè) che portava tale nome, con una successiva diaspora e trasferimento dei membri di ogni estrazione sociale vissuti in quell’incastellamento su tutto il territorio francese. Per inciso sembra che questi miei nonni provenissero dal Sud della Francia. Non ho però ulteriori informazioni. Ma in rete compaiono, su siti francesi, genealogie di nobili famiglie col cognome Jodom, e da queste genealogie ho potuto trarre alcune considerazioni.

Geoffroy de Douè, o Geoffroy Jean d’Aubignè de Douè era nato nel 1075 e deceduto nel 1126. Il Crociato, perché così viene presentato in rete, dunque mi attengo esclusivamente a quanto qui ho potuto leggere, era figlio di Brian de Douè o Briand d’Aubignè che a sua volta era nato nel 1055 e deceduto nel 1095. La genealogia prosegue fino a Geldium II Jodom de Douè (1207-1246), e la cosa mi incuriosisce, visto il riferimento al cognome Jodom, perché ricorda in qualche modo i miei nonni materni.

Ma soprattutto perché se queste genealogie sono in rete e dunque non del tutto attendibili o quanto meno non del tutto scientificamente probanti, è altrettanto vero che d’Aubignè non è un cognome qualsiasi.

Tra i progenitori del citato Geldium, abbiamo un Geoffroy d’Aubignè, Segneur d’Aubignè, chevalier Croisè, 1135-1189.

Il salto temporale qui diviene necessario.

Nelle mie reminiscenze scolastiche e universitarie compare subito Théodore Agrippa d’Aubignè (1552-1630), scrittore e poeta francese protestante dell’età barocca.

Quest’ultimo, che dopo la morte del padre aveva studiato a Ginevra, fu poi impegnato durante la seconda guerra di religione in Francia a combattere nell’esercito protestante; celebre anche per il suo innamoramento con Diana Salviati, che non poté sposare per le differenze religiose.

Egli divenne non solo lo scrittore de Les Tragiques, ma anche amico fraterno del Re di Navarra, il futuro Enrico IV. Molte sono le vicende politiche e familiari che lo riguardano, ma in particolare c’è la presenza di una sua nipote, figlia del figlio che ebbe dal suo matrimonio con Suzanne de Lezay, che andò in sposa anni dopo a Luigi XIV. Sto parlando della celebre marchesa di Maintenon. Quando Enrico IV e d’Aubignè interruppero i rapporti, mai avrebbero immaginato questo particolare destino per i loro rampolli.

Théodore d’Aubignè negli ultimi anni della sua vita, dopo la morte di Enrico IV, si trasferì a Ginevra e qui sposò la ricca ereditiera ginevrina di origini lucchesi Renèè Burlamacchi.

Ce n’è abbastanza per incuriosire il mio ingegno.

Tornerei perciò ai d’Aubignè medievali, i Crociati della genealogia presente in rete.

Siamo nelle Fiandre. Sono le Fiandre di Goffredo di Buglione, le Fiandre dove i ricchi mercanti della mia città, Lucca, si recavano costantemente nel Medioevo, con cui avevano contatti serrati politici e commerciali.

Qui incontriamo i principali cavalieri crociati, non ultimo il celebre Goffredo di Buglione citato, cugino per parte materna di Matilde di Canossa, l’organizzatore della Prima Crociata, che visitò Matilde proprio a Lucca nel 1099, in partenza per la Terra Santa e, come vogliono i documenti, fermo accanto alla chiesa della Rosa in Via della Rosa a Lucca, con Matilde presente, che non partì per la Crociata esclusivamente per la sua non più verde età. Era oramai cinquantenne.

Come è piccolo il mondo, si direbbe, anche a distanza di molti secoli. Scherzi del destino o legami incrociati?

Qualche anno dopo le vicende della Prima Crociata una Matilde altrettanto celebre, Matilde d’Inghilterra, si legherà inesorabilmente ai Canossa, sia per il nome (la madre glielo diede ricordando proprio Matilde di Canossa), sia perché anche questa donna fu in qualche modo una donna guerriera, sempre al centro di dispute che videro Crociate, Crociati e questioni dinastiche europee al centro delle controversie di un mondo in evoluzione politica e giuridica.

Matilde d’Inghilterra (1102-1167) divenne Imperatrice del Sacro Romano Impero sposando Enrico V, figlio dell’Enrico IV medievale, cugino e amante quest’ultimo di Matilde di Canossa, descritta da alcuni come madre naturale proprio di Enrico V, e sarà al centro di tutta la politica inglese di quegli anni.

Il suo primo marito, l’Imperatore del Sacro romano Impero, per premiare Matilde di Canossa, madre vera o in qualche modo putativa (o per isolarla politicamente, a seconda della lettura che ne vogliamo dare), la fece, almeno nominalmente, Regina d’Italia.

Matilde d’Inghilterra nel frattempo non ebbe eredi da Enrico V ma ne ebbe dal secondo marito inglese, lottò contro Stefano I in Inghilterra per combattere quell’anarchia feudale che portò sul trono inglese suo figlio Enrico II.

Il suo erede Edoardo d’Inghilterra sarà quell’Edoardo presso il quale, sempre qualche anno dopo, Castruccio Castracani degli Antelminelli, futuro Signore di Lucca e cugino di Matilde di Canossa, andò a servizio come condottiero di ventura prima di passare alla concorrenza (Filippo il Bello). Ancora destini incrociati, senza alcun dubbio. Ma anche no.

Così quel poema barocco, Les Tragiques, scritto a fine Cinquecento da Théodore d’Aubignè, ci riporta con la mente alle questioni religiose europee di sempre che videro nelle guerre di religione del Cinquecento e del Seicento la fase culminante. Tutta l’Europa Occidentale conteneva in se stessa quei germi di lotta feudale e poi strettamente politico-religiosa nella successiva età moderna che la condurrà senza non poche fratture alla creazione a fine Settecento delle più profonde radici dello Stato di diritto che adesso ci caratterizza. Un percorso lento, graduale, ma inesorabile che dobbiamo a tutti questi uomini dalle vite avventurose e nello stesso tempo piene di afflato, di partecipazione emotiva.

I Burlamacchi sono per Lucca e non solo un simbolo autentico perché come Castruccio nel XIV secolo, così Francesco Burlamacchi nel XVI secolo, tentò un’avventura politica nella mia città con l’obiettivo precipuo di allargarsi a tutto il Centro e il Nord d’Italia in vista di un’unificazione politica nazionale che abortì sul nascere. I suoi eredi furono costretti in massa a fuggire a Ginevra perché di fede protestante, ma restarono sempre presenti in città nei legami con i membri rimasti.

A questo punto non voglio entrare nel merito di situazioni politiche allargate al continente europeo che operazioni come quella di Castruccio e di Francesco Burlamacchi presupponevano. I legami creati per tali avventure politiche in entrambe le circostanze affondano le loro radici in questi legami politici della città lucchese di antica data col Nord Europa e insieme con la Roma Papale. I Crociati dunque sono simbolo al tempo stesso di universalità sovranazionale ma contenente i germi di quella statalità allargata che è appartenuta e appartiene agli Stati Nazionali Europei. Quanto un Filippo il Bello, che di fatto decretò la fine dell’Ordine Templare, fu in effetti a sua volta un Crociato dedito a intessere legami con i Crociati appartenenti a famiglie nobili europee coinvolte in quei fatti così determinanti? Una domanda sorge spontanea. Quando temporalmente sono finiti davvero questi giochi politici dei «Crociati» medievali? Solo con lo scioglimento dell’Ordine Templare nel lontano Trecento? Oppure con lo scioglimento dell’Ordine del Tau, sopravvissuto fino al Cinquecento? O ancora addirittura sono se non nominalmente almeno formalmente rimasti fino alla prima metà dell’Ottocento sotto mentite spoglie?

Quest’ultima affermazione è meno peregrina di quanto possa apparire e spiego perché. Sempre a Lucca il Sovrano Borbonico Carlo Ludovico che regnò fino al 1847 e che vantava una non ben precisata adesione alla fede protestante si circondò di personaggi lucchesi influenti, non ultimo il marchesa Cesare Boccella. Chi era costui? Apparteneva il marchese a una antica casata lucchese e per un certo periodo divenne il Ciambellano del Duca. Non solo, ma con lui condivise l’avventura protestante per poi rientrare, almeno nominalmente, nella fede cattolica. Cesare Boccella negli anni in cui era ciambellano scrisse e pubblicò un breve romanzo dal titolo emblematico: Il Templare. Qui egli raccontò le vicende di un cavaliere templare lucchese realmente esistito, forse uno dei pochissimi esempi di racconto reale di un personaggio davvero esistito, che dopo lo scioglimento dell’Ordine si ritirò nel monastero cistercense lucchese di Badia di Cantignano, sito alle pendici dei Monti Pisani, e lì finì i suoi giorni. Non so se il marchese avesse relazioni di parentela con questo personaggio vissuto nel Trecento, sta di fatto che questo libro suscitò particolare scandalo all’epoca e il marchese venne tacciato d’essere particolarmente «volubile», deriso e considerato poco attendibile. Sono sempre stata dell’opinione che questi sommari giudizi storici e della critica non corrispondessero davvero alla realtà dei fatti e che il marchese si avvicinò col suo racconto alla realtà delle vicende più di quanto sia stato voluto lasciar credere.

Che cosa sapeva davvero il marchese Boccella? Nello stesso periodo sempre in Lucca un erede di Francesco Burlamacchi per parte materna, l’avvocato Carlo Massei, collaborò col Duca Borbonico che lo inviò in Corsica nel 1832 in qualità di esperto agronomo ma in realtà a tenere i rapporti col partito bonapartista córso, così come il protagonista della mia tesi, il cattolico liberale di stampo rosminiano Padre Gioacchino Prosperi.

Nonostante ciò è da rilevare che tutti questi personaggi nel corso della loro lunga vita rimasero al loro posto, come provano i documenti che gli storici hanno sempre ignorato, e che ho rinvenuto grazie agli studi preparatori alla mia tesi di laurea. Il far apparire un Boccella, un Massei o un Prosperi come inopportuni, bizzarri, marginali, fu una missione irrinunciabile per chi gestì il potere in quegli anni.

Farli apparire quasi come nemici, marginalizzandoli, divenne un obbligo.

La marginalizzazione del Massei, mi sia consentito, e porto questo esempio su tutti perché emblematico, era una boutade necessaria.

Massei fu eletto in seguito come deputato nel neonato Stato Unitario Italiano e tale rimase fino alla fine dei suoi giorni. Peraltro intimamente e ufficialmente mazziniano, come la tradizione familiare secolare repubblicana gli aveva sin da bambino suggerito.

Questi cavalieri risorgimentali, così mi piace chiamarli, con storie e percorsi di vita diversi, riportano al filo conduttore comune di una generalizzata influenza europea di frange cattoliche (e non) vicine al mondo protestante sia d’oltralpe che d’oltre Manica. Mi chiedo spesso ingenuamente perché ancora oggi non ci sia un solo rigo ufficiale che vada a smentire una storiografia risorgimentale e post risorgimentale lacunosa e piena di bugie facilmente riscontrabili.

(settembre 2019)

Tag: Elena Pierotti, Théodore d’Aubignè, Enrico IV, Matilde di Canossa, Enrico V, Enrico II d’Inghilterra, Castruccio Castracani, Goffredo di Buglione.