I Cavalierati Medievali
Visti da vicino

Sì. Sono andata alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze a leggere alcune lettere appartenute ai miei nonni. Tra queste una lettera del mio trisavolo Giuseppe datata 1860. È indirizzata a Gino Capponi, il celebre statista fiorentino vissuto nel XIX secolo, appartenente ad una delle più importanti famiglie toscane.

«Capponi mio, il cavaliere è tuo, non è mio», questa una frase contenuta nella lettera. Il nonno aveva grande confidenza con Gino Capponi e si riferiva a scavi archeologici avvenuti in quel periodo a Castelnuovo Garfagnana e al rinvenimento dello scheletro e di cimeli di un cavaliere del Tau che erroneamente Capponi aveva attribuito ad altro Ordine Cavalleresco. Templare? Del Santo Sepolcro? Di Malta? Questo la lettera non lo dice, altrimenti avrei capito al volo a quale Ordine Cavalleresco la mia famiglia apparteneva in quel periodo. Che fossero Cavalieri lo sapevo, le mie ricerche storiche ne hanno rimarcato ampiamente l’appartenenza ed i loro rapporti parentali estesi. Nel 1963 ancora la mia famiglia «apparteneva» quasi certamente ai Cavalieri del Santo Sepolcro di Goffredo di Buglione, Ordine ripristinato da Pio IX nel 1847 ed antecedente per antichità allo stesso Ordine Templare.

Goffredo di Buglione era cugino di Matilde di Canossa e i miei avi sono, come li descrive nelle sue note Monsignor Domenico Pacchi di Castelnuovo Garfagnana, «i fanti cugini di Matilda». Così sta scritto nelle sue celebri dissertazioni, complice Antonio Muratori, il celebre storico che collaborò con Monsignor Pacchi. Il prelato è sepolto nella chiesa lucchese dove anche i miei avi sono sepolti.

Credo che poco importi l’appartenenza cavalleresca. Ciò che conta davvero sono gli Ordini nel loro complesso, l’autentico loro significato storico, il senso del loro operato nel corso del tempo.

Gli Ordini Cavallereschi Medievali erano tra loro complementari, non antagonisti. Uno degli aspetti essenziali della loro esistenza in vita era appunto questa. Ognuno aveva un suo compito e non necessariamente si contrapponevano. Certamente le rivalità c’erano, ma fu proprio questa complementarietà che li rese così efficaci. Non soffermiamoci troppo sui cambiamenti, e neppure sui loro scioglimenti. Tant’è che il Tau durò molto a lungo, e la famiglia Capponi riuscì a tenerlo in vita fino al Cinquecento, anche contro il volere della famiglia Medici fiorentina, perché i Capponi, a lungo Gran Maestri di quell’Ordine, poterono contestare ai potenti Medici nella Firenze Rinascimentale il reale peso dei Cavalierati, che in quel caso andarono bene oltre i confini sia spaziali che temporali. Ricordiamolo. La chiesa parigina che fu emblema del Tau, Saint Jacques, ancora nel 1700 godeva di particolare venerazione in Parigi e Napoleone I, che certo non fu tenero con le chiese, mai infranse quella chiesa.

Ho provato a lungo, grazie ai miei studi, ad immaginare che cosa potessero mai fare i miei avi cavalieri nella loro città, i loro spostamenti e quant’altro, non potevo per ovvie ragioni non pormi queste domande.

Orbene, ho trovato che uno di loro, ciò grazie ad internet, attraverso miei particolari ricerche, pare si chiamasse Stefano, presente nel 1200 addirittura in India. Sì, proprio in India. La mia in questo caso empirica ricerca, attraverso vari siti, ha di fatto una sua valenza storica. Mi sono detta infatti, non può essere strano, sappiamo che i cavalieri «giravano come il pensiero dell’uomo», come in modo civettuolo diceva mia madre. E che vistarono anche la lontana Asia.

Mia madre era per parte materna francese di origine. Si chiamava come cognome originario Jodom. Il suo trisavolo apparteneva all’esercito napoleonico, che con altri due fratelli pare avesse disertato, cambiando così il suo cognome ed italianizzandosi. Accadeva spesso durante le guerre dei secoli passati. Sempre da mie ricerche ho scoperto che Jodom è un cognome diffusissimo in Francia e che ci fu una diaspora intorno all’anno Mille dall’Ile de la Cité in Parigi dove un incastellamento aveva questo nome. Anche questa ricerca l’ho effettuata tramite internet. Empirica, ma interessante. Così ho capito che questi nonni materni, che provenivano dal Sud della Francia, in realtà appartenevano a quel nucleo originario parigino che poi si disperse in mille rivoli su tutto il territorio nazionale francese. Quante coincidenze, mi sono detta, nella mia famiglia. Mio padre ha sposato, lui che proveniva da questa antica famiglia di cavalierati, una donna con queste particolari origini. Non penso proprio nel loro caso che il matrimonio fosse combinato. Ma dall’empirico sono riuscita a passare a ricerche scientifiche e sul campo.

Ritornando dunque ai cavalieri della mia città, ho scoperto grazie questa volta alla ricercatrice dell’Università di Parma Maria Pia Branchi, che sin dall’800 dopo Cristo una delle loro direttrici era rappresentata dalla Freddana Lucchese, la quale congiungeva Lucca al mare. Condivido gli studi della ricercatrice; intanto perché a Motrone (attuale Forte dei Marmi) i cavalieri avevano il loro porto, che oggi non esiste più. Ed erano davvero bravi in mare, non solo sulla terra. Ci hanno salvato dalle scorribande saracene anche per questo. Sapevano nuotare in modo magistrale.

Non solo, ma sono a conoscenza che la mia famiglia aveva particolari legami territoriali proprio con la Val Freddana.

Immagino che i loro passaggi fossero davvero avvincenti. La dottoressa Branchi ricorda, grazie ai suoi studi di storia dell’arte, che questi cavalieri nell’800 dopo Cristo in Lucca erano gemellati con l’Auvergne, in Francia. Avevano certamente vocazione commerciale oltre che militare ed infatti l’Auvergne aveva un importantissimo ruolo strategico per i suoi mercati d’oltralpe. I cavalierati classici, quelli che conosciamo di più, nell’800 dopo Cristo ancora non esistevano, ma i cavalieri c’erano, eccome. Del resto discendevano dai Longobardi, erano insomma i «nipotini di Liutprando».

Altra direttrice essenziale per i cavalieri lucchesi era la valle del Serchio. Risalivano il fiume Serchio, dove si erano insediati a partire dall’invasione longobarda, risalivano gli Appennini verso il Nord Italia, anche attraverso la Via Francigena che di lì passava, in direzione di Parigi e Londra. Raggiungevano Motrone non solo dalla Val Freddana, via Monte Magno (da Lucca era più semplice) ma anche oltrepassando il Passo del Vestito e spingendosi più a Nord, tra l’Alta Versilia e la Spezia, quindi oltre le Alpi Apuane. La direzione modenese passava poi attraverso la Val di Lima, verso San Pellegrino in Alpe, collocato oltre 1.500 metri sul livello del mare, luogo tanto caro sia a Matilde di Canossa che all’Imperatore Federico II.

Qui un pellegrino di origini scozzesi, questo vuole la tradizione (il Santo che con San Bianco ancora riposa in questa splendida terra), di ritorno dalla Terra Santa si fermò per assaporare lo splendore del luogo, che pare più vicino al Paradiso che alla terra, e rimase a fare l’eremita tra queste montagne. Ivi morì e fu sempre venerato dai viandanti e dalla popolazione locale.

Ai tempi della Prima Crociata (1099) Federico di Buglione, questo vogliono i documenti, passò da Lucca e si fermò davanti alla chiesetta della Rosa che è ubicata in una strada cittadina detta appunto Via della Rosa, luogo di transito dei cavalieri.

Di fronte alla chiesetta in quell’occasione era presente anche sua cugina, Matilde di Canossa. La Grancontessa aveva ormai 50 anni e per tale ragione non partì per la Crociata, anche se pare lo desiderasse davvero. Matilde non era solo donna di potere, era anche donna di Fede. E i Luoghi Santi erano luoghi assolutamente venerati sia sul piano politico-militare che religioso. Ieri come oggi.

Matilde di Canossa era una oculata donna di Stato, sapeva stare al suo posto, e lo dimostrò anche in questa occasione.

In città a Lucca esiste il Vicolo dell’Altopascio, dove erano presenti i Cavalieri del Tau, prodighi di cure mediche per vocazione cavalleresca ancor più di altri cavalierati. Gli Ospedali rappresentavano infatti la loro più concreta ed estenuante attività. Perché all’epoca, vuoi per le innumerevoli guerre, ma soprattutto per le terribili carestie e pestilenze, di questi Ospedali se ne contavano a bizzeffe, e dunque l’attività del Tau era davvero senza sosta. In Italia e fuori d’Italia.

Sempre in città in Lucca troviamo la Piazza della Magione. Questa ospitò prima il cavalierato del Tempio e successivamente quello di Malta. Gli Orti della Magione erano coincidenti con gli Orti di San Romano, chiesa quest’ultima appartenuta poi all’Ordine dei Domenicani. Vestigia templari troviamo anche in Santa Maria Corte Orlandini, sempre in città, nella Piazza Sant’Agostino.

Altra celebre piazza con particolari origini da inserirsi nei cavalierati è senza dubbio San Pietro Somaldi. L’antichissima chiesa qui fu fondata da un cavaliere longobardo da cui prende il nome, Samuald.

Nella direttrice del fiume Serchio in direzione Bagni di Lucca, ossia verso il torrente Lima, abbiamo l’antichissimo paesino di Vico Pancellorum. Anche qui troviamo interessantissime vestigia templari, segno evidente che i cavalieri si spingevano senza sosta verso San Pellegrino in Alpe, e dunque verso Modena. A Cascio, poi, non lontano da Castelnuovo Garfagnana, troviamo altre vestigia templari. In questo caso penso che la direttrice fosse maggiormente legata alla zona delle Apuane, perché spostata più in quella direzione. Ma lo si può solo supporre. Sempre in direzione San Pellegrino e dunque Modena troviamo un paesino, nel comune di Pieve Fosciana. Si chiama Sillico. Ivi, ancora nel 1500, i mercanti transitavano numerosi dal Nord Italia verso Lucca, tant’è che qui sono rimasti dei mastodontici palazzi che poco spiegano la loro esistenza in questi luoghi se non col fatto che tali mercanti erano particolarmente ricchi e dunque avevano necessità di dimore lussuose, anche a metà del loro viaggio.

Colpisce particolarmente la dimensione di tali palazzi ed il loro sfarzo originario.

Siamo, è vero, nel 1400, quasi 1500, come ci ricordano Benigni e Troisi nel loro celebre film Non ci resta che piangere.

Però non dobbiamo dimenticare che anche Castruccio Castracani degli Antelminelli, circa due secoli prima, transitò in quei luoghi, e in particolare i suoi figli, che lì dovettero difendersi dall’assedio nemico. Castruccio Castracani, appartenuto alla schiatta dei Porcaresi, era cugino di Matilde di Canossa. Era stato a servizio del Re Edoardo d’Inghilterra prima e poi di Filippo il Bello di Francia.

Mi si conceda, parafrasando la frase contenuta nella pubblicazione Templari a Lucca: se i Cavalieri del Tempio Lucchesi continuarono dopo lo scioglimento dell’Ordine a fare quello che facevano in precedenza, nulla vieta di pensare che il buon Castruccio, probabilmente in comunione di beni e di sangue con alcuni cavalieri lucchesi, abbia interceduto presso Filippo il Bello, vero artefice dello scioglimento dell’Ordine Templare stesso.

Castruccio era in confidenza con quel Re al punto che in quel periodo tentò di creare nel Centro e Nord Italia uno Stato esteso su modello francese, per fare in modo che anche il territorio italiano si affrancasse dal potentato papale, costituendo una Monarchia Nazionale «ante litteram». Non ci riuscì, morì giovane, ma è ipotizzabile che queste sue mire fossero condivise proprio da Filippo il Bello.

Un altro paese tanto caro ai cavalieri e a Castruccio in particolare, nonché a tutta la sua famiglia, è Ghivizzano, Media Valle del Serchio, col suo castello. Vi troviamo una celebre torre dove ancora oggi sventola una bandiera che la lega a Lucca e alla sua storia e che vide al suo interno prigioniero il fratello di Castruccio, Francesco. Egli con l’intera sua famiglia subì un lungo assedio prima che i Castracane finissero per perdere il potere.

I cavalieri lucchesi si spingevano anche in direzione Firenze e in direzione Pisa, e non solo verso la direttrice appenninica. Un nome tra tutti i luoghi campeggia, l’Altopascio, ossia «Alto Passo» perché qui c’era una collinetta in mezzo agli acquitrini e luoghi paludosi che infestavano in quel periodo il territorio. Se la direttrice verso le montagne era salubre, non così in pianura. Fu proprio ad Altopascio che nacquero i celebri Cavalieri del Tau, qualcuno suggerisce addirittura ad opera di Matilde di Canossa, ma non è provato. Vi passava e passa la Via Francigena e vi trovarono ubicazione i celebri ospedali che i pellegrini, loro malgrado, visitavano spesso. Quei cavalieri erano davvero bravi sia nell’accoglienza che nelle cure mediche del tempo.

Anche in direzione Pisa c’erano ospedali e conventi. Un celebre monastero, appartenuto all’Ordine Templare ed ora in rovina, si trova in una località sulla direttrice per Pisa che si chiama Badia di Cantignano. Il «Palazzo delle cento finestre», così viene a tutt’oggi chiamato, era un monastero benedettino.

Anche Dante Alighieri, assicurano gli storici, appartenne quasi certamente a tali cavalierati. In particolare ai così detti «Seguaci d’Amore».

Visitò spesso Lucca e le cronache lo vogliono transitare lungo la Via Francigena, in Pieve San Paolo, una località che dista solo pochi chilometri da Lucca.

Sulle bellissime gradinate che qui troviamo per entrare in chiesa, egli sembra si sia seduto e spesso abbia gustato il celebre buccellato lucchese, un dolce pane con anici ed uvette che qui si prepara, con antichissima ricetta, sin dall’epoca romana, e che gli invasori successivi fecero loro, permettendone così l’esistenza in vita, con la medesima ricetta, fino ad oggi.

Dante Alighieri, sempre stando alla tradizione popolare, sembra ne fosse goloso.

In questa celebre Pieve, ieri come oggi, si produceva e si produce il buccellato. Essendo poi questa Pieve in direzione della Francigena e così vicina a Lucca, era sicuramente visitata nel Medioevo da molti pellegrini.

La stessa cosa accaduta in Pieve San Paolo accadeva ad Altopascio, dove il pane toscano «sciocco» era prodotto in grande quantità per i pellegrini, e dove tutt’ora se ne produce e vende in tutto il mondo.

Se poi ci spostiamo non lontano da Altopascio, in Montecarlo, troviamo la Vivinaia. Che cos’era?

Un castello che oggi non c’è più ma che identifica col suo nome il vecchio paese di Montecarlo di Lucca. Questo castello appartenne al padre di Matilde di Canossa, Bonifacio, che qui spesso ospitò importantissimi personaggi politici del suo tempo. Matilde è quasi certamente nata a Mantova però la certezza non l’abbiamo e qualcuno ipotizza che possa essere nata proprio alla Vivinaia, così cara a suo padre. Certamente vi soggiornò spesso.

Sempre nel corso dei miei studi, per la verità incentrati sul Risorgimento e non sul Medioevo, ma divenuti di riflesso anche studi medievali, e ciò per l’origine dei personaggi coinvolti, ho incontrato moltissimi riferimenti ai nostri cavalierati. Riferimenti vivi, che proprio per questo considero avvincenti. Desidero in questa sede accennare in proposito a Castiglione Garfagnana, col suo splendido castello molto bene conservato. Anche Castiglione vanta queste strepitose origini. Fu feudo dei De’ Nobili, a cui appartenne una nobildonna di cui mi sono occupata nel corso delle mie ricerche risorgimentali, Eleonora Bernardini. Di questo particolare incastellamento di Castiglione, uno dei borghi, e non a torto, più belli d’Italia, ho fatto riferimento parlando della bottega dei Civitali, nel Quattrocento e Cinquecento. A tale articolo rimando un possibile lettore interessato, sempre sul sito www.storico.org.

Per descrivere la vita di questi cavalieri «vista da vicino» è assolutamente necessario in Lucca visitare il Castello delle Verrucole, in quel di San Romano Garfagnana. Appartenuto prioritariamente al gruppo longobardo dei Gherardinghi, le Verrucole sono state perfettamente ricostruite secondo i parametri del tempo ed oggi sono visitabili. Contengono al loro interno una ricostruzione fedelissima e molto apprezzata turisticamente di una cucina, di un salotto, delle camere di questi cavalieri.

Una vita, la loro, che appare difficoltosissima, eppure del tutto avvincente. La fortezza delle Verrucole per la sua ubicazione e per l’imponente castello non fu mai espugnata. Qui all’interno troviamo anche una bellissima chiesetta che è stata restaurata e che appartenne a chi visse in quel luogo, dove arte della guerra e devozione non cozzavano affatto. Ci sono ancora gli splendidi affreschi, incastonati nell’amenità del luogo.

Vi troviamo anche uno splendido orto di piante medicinali, ricostruito fedelmente, essenziali sia per i cavalieri che volevano curarsi che per i viandanti.

I cunicoli di questo castello ospitavano le armi necessarie per azionare le catapulte che sono state perfettamente ricostruite e che con un assedio notturno ogni anno ci fanno immergere fedelmente in quel clima e in quello scenario medievali.

I cavalieri erano riusciti così bene, grazie anche alla loro prioritaria origine longobarda, ad inserirsi perfettamente nelle precedenti strutture militari romane di quei luoghi, tanto da «rubarne» i segreti e le potenzialità. A Lugliano, sempre in Media Valle, non lontano dall’affluente Lima, dentro le antiche mura romane troviamo che i Sigifredi (la potente schiatta longobarda che in Lucca prese origine e da cui probabilmente presero origine anche i Canossa) avevano costruito il loro fortilizio e dominavano per la sua posizione strategica, tutta la vallata. I Sigifredi pare fossero in origine collocati in Anchiano, non lontani da Borgo a Mozzano e da quel «Ponte del Diavolo» visitato da turisti provenienti da tutto il mondo. Così com’è adesso è opera di Castruccio Castracani, il condottiero vissuto nel 1300. Ma un precedente ponte, sempre in quel luogo, era stato edificato da sua cugina Matilde di Canossa. Quel ponte del diavolo resiste ancora, dopo 1.000 anni, alle intemperie, alle guerre, alle esondazioni, grazie ad un’accortezza architettonica che lo ha reso «impermeabile», è il caso di dirlo, a tutti gli urti: l’albume dell’uovo.

Già, per renderlo «elastico», fu utilizzato l’albume, e la cosa ebbe davvero efficacia, se ha permesso di traghettarlo nel presente, per la gioia di tutti i suoi visitatori.

Termino con San Michele, direzione Piazza al Serchio. Castello gherardingo anch’esso, fu poi una pertinenza dei Malaspina. I vari gruppi longobardi si fronteggiarono ma spesso interagirono. San Michele è anch’esso, con la sua cinta, perfettamente conservato. Anche qui i cavalieri ebbero a disposizione un maestoso ponte che collegava alla cinta muraria e che attraversa il Serchio. Una curiosità: anche i Bonaparte nel Medioevo si imparentarono con i Malaspina.

In conclusione possiamo ben affermare che i cavalierati erano strutture «in carne ed ossa» e niente affatto «icone senza tempo».

(giugno 2018)

Tag: Elena Pierotti, Cavalierati Medievali, Lucca, Firenze, Capponi, Pierotti, Cavalieri del Tau, Templari, Medioevo, Gherardinghi, Sigifredi, Longobardi, Bonaparte, Malaspina, cavalieri nel Medioevo, ordini cavallereschi.