Cattolicesimo ed Islam a partire dal Medioevo
Un equilibrio sostenibile

Non intendo qui analizzare nel dettaglio aspetti complessi che non comprendono i miei studi nello specifico, ma semplicemente riportare situazioni e documenti in cui mi sono imbattuta nel corso dei miei stessi studi.

Riferendomi a periodi storici diversi, in uno spirito di sempre latente scontro tra due realtà socio-politiche distanti (Occidente ed Islam) si realizzò in alcuni casi una valida coabitazione.

Ho scritto un po’ di tempo fa di un mio congiunto, Ermete Pierotti, ingegnere dell’esercito sabaudo di stanza a Genova vissuto nel XIX secolo, che, una volta accusato (in modo non limpido) nel 1848 di aggiotaggio, fu espulso dall’esercito sabaudo.

Si recò conseguentemente in Palestina, dove mise le sue conoscenze professionali a servizio del Pascià per costruire l’acquedotto palestinese, le cui tracce originarie sono tutt’ora le stesse realizzate all’epoca da Ermete e dai suoi collaboratori.

Ermete condusse in Palestina in quel periodo anche molti studi sui cunicoli del Tempio di Re Salomone, luogo di culto caro alle tre religioni monoteiste: l’Islam, l’Ebraismo e il Cristianesimo.

Aveva Ermete delle carte che gli permisero di approfondire questi studi? Forse sì.

La sua era una famiglia di cavalieri medievali e nessuno può escludere che anche in tempi remoti avessero visitato la Palestina, proprio durante le Crociate. Una frase su tutte campeggia da questo punto di vista.

Un suo cugino, Giuseppe Pierotti (1826-1884), noto pittore e scultore cattolico liberale, amico di Gino Capponi, scrisse a quest’ultimo nel 1864 su alcuni scavi archeologici di stampo medievale che si tennero intorno al 1860 a Castelnuovo Garfagnana: «Capponi mio, il cavaliere è tuo, non è mio».

Il riferimento è proprio al rinvenimento di alcune ossa di cavalieri medievali in quelle terre. Capponi e la sua nobile famiglia fiorentina rappresentarono fino al suo scioglimento ed oltre il Cavalierato del Tau, di cui furono sempre i Gran Maestri.

In tutta evidenza la famiglia di Giuseppe rappresentava altro cavalierato, stanti queste precise parole, di cui non dette tuttavia spiegazioni precise, ma di cui rivendicò con queste frasi all’amico fiorentino l’appartenenza.

Ritornando ad Ermete, quando si trovò in Palestina, dopo la fuga dall’Italia avvenuta nel 1848, fu subito preso a ben volere dal Pascià.

Unicamente per i suoi meriti scientifici? Ritengo che i rapporti con quelle terre e quei personaggi potessero essere per lui e la sua famiglia di origine di lungo corso. Del resto le famiglie di matrice cattolica sempre cercarono di visitare i Luoghi Santi, in ogni epoca.

Naturalmente l’equilibrio con la civiltà islamica che qui si insegue è incentrato sulla stabilità.

Qualche anno prima delle vicende di Ermete, nel 1828, ad Aleppo, in Siria, fu inviato un importante Arcivescovo Piemontese, Monsignor Giovan Pietro Losana.

Quest’ultimo era in amicizia col religioso lucchese, Padre Gioacchino Prosperi, che a sua volta aveva rapporti di parentela con la famiglia di Ermete e Guseppe.

Monsignor Losana, noto cattolico liberale, ebbe un ruolo attivo e propositivo durante tutto il Risorgimento. Fu tra i fondatori nel 1840 a Torino della Società Agraria voluta da Carlo Alberto di Savoia, società di stampo patriottico.

In Aleppo mantenne un importantissimo ruolo di mediazione e d’equilibrio proprio con la civiltà araba ivi presente. Intraprese infatti molti studi in arabo e mantenne serrati legami, anche dopo il suo rimpatrio in Piemonte, con quelle terre e quella civiltà.

Durante tutto il XVI secolo in Toscana la famiglia Inghirami, di Volterra, di stirpe germanica, curò per il Granduca Toscano Cosimo I il cavalierato di Santo Stefano, che nel Granducato, attraverso il porto di Livorno, si mise a servizio dei Re Cristianissimi per salvaguardare il Mediterraneo dalle incursioni saracene, incursioni che si protrassero, nonostante la decadenza musulmana, in maniera consistente, sino al XVIII secolo.

Se leggiamo le gesta degli Inghirami che gli storici ci hanno tramandato, ci accorgiamo di quanto senza quartiere fosse la lotta, lo scontro di civiltà, ma al contempo di quanto importante appaia anche la «collaborazione» degli stessi col mondo arabo per aggiustare la causa commerciale prima ancora che politica che si fronteggiava nel Mediterraneo.

Sempre in ambito cattolico un personaggio tra tutti spicca proprio in Lucca tra i fautori di un dialogo sostenibile.

Il primo traduttore del Corano in latino è infatti lucchese. Con Padre Ludovico Marracci, sacerdote dei Chierici Regolari della Madre di Dio (l’Ordine lucchese fondato da San Giovanni Leonardi) originario di Torcigliano, nel comune di Camaiore, di cui da poco è stato celebrato il quarto centenario della nascita, si instaura un modo nuovo di confrontarsi con l’Islam.

Nel Seicento i musulmani rappresentavano un pericolo per la Cristianità e l’assedio di Vienna da parte dei Turchi era vissuto dall’Europa come un vero e proprio incubo. Il religioso fu il primo studioso che tradusse il Corano dall’arabo in latino, animato, nonostante le tensioni esterne comprensibili, ad uno spirito di confronto e dialogo.

Nello stesso periodo però, e nel medesimo Ordine, Padre Bernardino Pierotti, che fu anche per un certo tempo il Rettore di quell’Ordine, in Lucca volle convertire gli unici due musulmani ivi presenti. Le cronache del tempo ricordano che una di queste conversioni fu volontaria, mentre la seconda no. Non c’era un’autentica compatibilità, evidentemente, tra le due fedi. Pur tuttavia, anche in questo caso, si cercarono punti d’incontro, per quanto ciò fosse praticabile.

L’Ordine a cui appartennero sia Padre Marracci che Padre Pierotti confluì nel XVIII secolo nell’Ordine degli Scolopi, e sempre si occupò, in Lucca, di cultura (anche durante il laicissimo Principato Baciocchiano, Elisa Bonaparte infatti cedette l’Ordine al fratello Napoleone solo nel 1810, dopo ripetute insistenze).

Segno evidente anche in tale caso, che l’approccio culturale negli «scontri di civiltà» fece sempre la differenza.

L’Ordine citato non fu dunque mai insensibile neppure ad un confronto con la Modernità.

Padre Ghelsucci ebbe, a partire dal XVIII secolo, serrati contatti col rivoluzionario córso Pasquale Paoli, il Generale che diresse le sorti politiche dell’Isola Bella nel Secolo dei Lumi ed oltre.

Per non parlare poi del ruolo che l’Ordine cui afferirono i Chierici in alcuni periodi della loro esistenza, ossia gli Scolopi, in Genova ebbe con quei giovani che educò proprio a cavallo tra XVIII e XIX secolo.

Alcuni di questi in seguito saranno noti rivoluzionari. Penso a Elia Benza ed al compagno Giuseppe Mazzini. Entrambi studiarono proprio presso i Padri Scolopi genovesi.

La sensibilità culturale sovrasta ogni differenza, ma soprattutto crea l’equilibrio giusto là dove esiste un dialogo autorevole.

(maggio 2018)

Tag: Elena Pierotti; Cattolicesimo e Islam a partire dal Medioevo; Ermete Pierotti; Giuseppe Pierotti; Gino Capponi; Monsignor Giovan Pietro Losana; Padre Marracci; Aleppo; Elisa Bonaparte; Bernardino; Padre Pierotti; Padre Ghelsucci; Pasquale Paoli; Elia Benza; Giuseppe Mazzini; Scolopi.