Vita ed opere di San Tommaso d'Aquino
Un «muto»... eloquente

Giustamente si è definito il Medioevo «l’epoca della Fede»: forse in nessun’altra epoca il Cristianesimo ha prodotto tanti geni speculativi di tanto valore. I nomi che giungono per primi alla mente sono quelli di San Francesco d’Assisi e di San Tommaso dei Conti d’Aquino, due personaggi diversissimi (San Francesco era più «dinamico», raccomandava «predicate il Vangelo sempre… se necessario, usate anche le parole», ovvero vivete il Vangelo nella vostra vita di ogni giorno; San Tommaso era più «tranquillo», più dedito alla vita tra i libri).

Questa tranquillità, però, non significa che egli non avesse le idee chiare: nell’autunno del 1241, all’età di quindici anni, bussò al convento dei frati domenicani di Napoli. Condotto alla presenza del Padre Superiore, si gettò in ginocchio e supplicò di essere accolto nell’Ordine.

Il Superiore non si fece commuovere da quelle suppliche. Gli fece capire che era ancora troppo giovane per prendere una decisione che l’avrebbe impegnato per tutta la vita. Ma il ragazzo fu irremovibile: parlò con tale convinzione e con tanto fervore, che il Padre Superiore si vide costretto a trattenerlo in convento.

La natura era stata generosa con Tommaso, dotandolo d’un ingegno non comune, e i suoi genitori lo immaginavano già grande condottiero oppure abilissimo uomo di governo. Ma la sua volontà di farsi frate sconvolse tutti i loro progetti!

Quando suo padre venne a conoscenza della cosa, andò su tutte le furie ed ordinò ad alcuni suoi fidi di recarsi immediatamente a Napoli per riportargli a casa il figlio. Per sottrarlo all’ira paterna, il Superiore del convento fece partire il giovane novizio per Parigi.

Ma durante il viaggio Tommaso fu raggiunto dai fidi del padre e riportato al natìo Castello di Roccasecca, in Campania; fu rinchiuso nella torre del castello con la minaccia di tenervelo fino a quando non avesse rinunciato all’idea di farsi frate. Si dice anche che per farlo desistere dal prendere i voti gli sia stata mandata una «bella tentatrice», da Tommaso cacciata via con la minaccia d’un tizzone infuocato.

Il giovane non si perse d’animo. Riuscì ad avere da una fantesca una lunga corda ed una notte si calò dalla finestra della torre. Riacquistata la libertà, tornò nel convento di Napoli, dove nel 1243, a diciassette anni d’età, pronunciò finalmente i voti e divenne Frate Tommaso dell’Ordine Mendicante dei Domenicani.

Tommaso d’Aquino non aveva scelto a caso l’Ordine dei Domenicani. Come San Domenico, egli si proponeva di diffondere con gli scritti le verità della Fede e di combattere le eresie; e, per poter realizzare questo programma, si dedicò intensamente agli studi di filosofia e di teologia. Per tre anni (dal 1245 al 1248) seguì a Parigi le lezioni del grande teologo Alberto Magno, rivelandosi uno studioso profondo dei problemi religiosi; veniva chiamato «il bue muto» per la sua silenziosità, ma chi lo conosceva bene precisava che quello che chiamavano «bue muto» avrebbe un giorno muggito così forte da far tremare il mondo. Passava le sue giornate sui libri o nell’insegnamento, e in pochi anni si fece la fama di essere un grande filosofo.

Al tempo di Tommaso, la filosofia che veniva insegnata nelle università era quella di Aristotele. Il pensiero di Aristotele veniva però studiato attraverso l’interpretazione che ne aveva dato nel suo Commento il filosofo arabo Averroè: un’interpretazione che portava a conclusioni in pieno contrasto con i princìpi fondamentali della religione cristiana (per esempio, che l’uomo non compie il bene e il male per libera volontà e che la Divina Provvidenza non interviene mai nella vita degli uomini). C’era dunque il pericolo che molti giovani, studiando la filosofia aristotelica, potessero cadere in gravi eresie. Di fronte a questo pericolo, Tommaso d’Aquino decise di far sentire la sua voce di studioso e di Cristiano. Fece un nuovo Commento delle opere fondamentali del sommo filosofo greco, cercando di interpretare il pensiero di Aristotele secondo i princìpi del Cristianesimo, pur senza snaturarlo. La sua fatica fu coronata da pieno successo: in tutte le università il suo Commento sostituì ben presto quello del filosofo arabo. Tommaso aveva vinto una grande battaglia, riuscendo a frenare la diffusione di gravi eresie.

Quando il Papa Clemente IV gli offrì la nomina ad Arcivescovo di Napoli, Tommaso rifiutò: preferiva rimanere un umile frate domenicano e dedicarsi unicamente ai suoi studi, cosa che fece fino alla morte.

Il numero delle opere di San Tommaso è sorprendente: egli realizzò in se stesso il motto che poi suggerì ad ogni studioso, «contemplata aliis tràdere» (trasmettere agli altri quello che si è assimilato). Con i suoi scritti filosofici egli si propose di sostenere che l’intelletto umano è in grado con la sola ragione di dimostrare alcune verità fondamentali della teologia cattolica (per esempio, l’esistenza di Dio – le famose «cinque vie» – e l’immortalità dell’anima). La sua opera maggiore è la Somma teologica, una sintesi dinamica con la quale fa una chiara esposizione e una strenua difesa di tutti i princìpi della dottrina cattolica.

La Chiesa Cattolica ha trovato in San Tommaso il suo più grande teologo, e ancora oggi nei seminari la filosofia e la teologia di San Tommaso sono la base dell’insegnamento.

(gennaio 2013)

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