Santa Caterina da Siena
Un alto percorso di fede attraverso la vita della Patrona d’Italia

Santa Caterina Benincasa (Siena 1347-1380), Patrona d’Italia e Compatrona d’Europa – canonizzata da Papa Pio II (1461) e proclamata Dottore della Chiesa da Paolo VI (1970) – ha lasciato nella vita e nelle opere una documentazione di straordinaria forza morale, un’alta espressione di esistenza consacrata e un esempio di fede capace di superare tutti gli ostacoli. Ciò, con riguardo specifico all’azione quotidiana nel campo della carità, e nello stesso tempo, al pensiero espresso nel Dialogo della Divina Provvidenza e nelle 381 Lettere che sono testimoni di un eccezionale impegno nel bene comune, nella pacificazione e nella «Beata Speranza». In quanto tali, costituiscono un’attestazione probante di quanto sia sempre da condividere l’assunto di Papa Montini, nel conferire a Caterina un riconoscimento che prima di lei era stato attribuito a una sola donna, Santa Teresa d’Avila.

Ventiquattresima figlia (!) di una piccola famiglia borghese del rione senese di Fontebranda nell’attuale contrada dell’Oca, e in qualche modo predestinata con il Battesimo quando le venne imposto il nome di Caterina che significa «donna pura» nella corrispondente semantica greca, aveva fatto voto di castità quando era ancora bambina e fu costretta a impegnarsi sin dalla giovane età per superare le opposizioni dei genitori. Infatti, in famiglia si sarebbe voluto accasarla subito secondo gli usi dell’epoca, ma il padre si ravvide nel momento in cui scoprì una colomba bianca posata su Caterina raccolta in preghiera, e ne trasse conferma quando la figlia gravemente ammalata pervenne a rapida guarigione non appena la Superiora delle «Mantellate» decise di accoglierla in via eccezionale nella loro comunità, che fino ad allora era stata riservata a donne anziane o vedove.

La sua esistenza fu breve ma intensa, concludendosi dopo soli 33 anni, come quella di Gesù Cristo. Dopo avere preso i voti quale Suora della Penitenza di San Domenico (dal mantello bianco e nero di cui alla citata definizione popolare) ebbe lo straordinario dono delle Stimmate (1375) a suggello del carattere di «gigante della volontà» improntata ad «affetto inesausto» verso il Creatore e le creature, come da pertinente giudizio di un suo autorevole biografo (Giorgio Papasogli, Sangue e fuoco: Caterina da Siena, Edizioni di Città Nuova, Roma 1989).

Assisteva sistematicamente i malati con particolare riguardo agli incurabili, ai contagiosi e ai moribondi, ma nello stesso tempo confortava i dubbiosi e perseguiva la soluzione di contrasti e dissidi, sia nell’ambito delle famiglie che ai livelli più alti: non fece eccezione nemmeno col Soglio Pontificio del tempo avignonese, anticipando la ricerca dell’unità e della misericordia, motivo di rinnovata urgenza e attualità anche nella nostra epoca. Era una donna umile e di cultura non eccelsa, che preferiva dettare anche quando ebbe il dono di leggere e scrivere correntemente; ma di alto ingegno, e soprattutto, di forte impegno volitivo al servizio totale degli altri.

La maggiore opera letteraria di Santa Caterina da Siena, come si diceva, è costituita dalle Lettere dirette in larga prevalenza a tante consorelle e diversi confratelli, all’insegna di una fede che non è azzardato definire granitica, sia nelle sue implicazioni teologiche, sia nell’aderenza alle norme fondamentali di vita cristiana. A esempio, in quella ad Agnese Malavolti, un’anziana terziaria che aveva perduto il consorte Orso, e poi il figlio Antonio decapitato perché colpevole del rapimento di una fanciulla – la giustizia medievale non faceva sconti! – insiste sul valore della pazienza amata da Dio, mentre a Satana «piace molto l’impazienza», in specie nel desiderio e nell’attaccamento «alle cose sensibili». Quindi, con una sintesi di forte efficacia quasi dantesca parla dei dannati, talmente sofferenti che «chiedono la morte» ma senza poterla avere «perché l’anima non muore».

Fra le tante epistole della Santa è da ricordare, quale esempio specifico di straordinario vigore morale e di scabra espressione letteraria, quella al proprio confessore, il Beato Raimondo di Capua, in cui rievoca gli ultimi istanti della vita di Nicolò di Tuldo, un condannato a morte (forse ingiustamente) a cui proprio lei aveva offerto assistenza e conforto fino al momento supremo. In pochi tratti essenziali di alto significato emotivo, Caterina ricorda il sorriso del morituro, le sue invocazioni al Signore, la sua fortissima fede; e subito dopo, il sangue copioso e salvifico, visto come simbolo di unione mistica con Cristo. Al punto, soggiunge la Santa con affermazione solo apparentemente paradossale, di «essere rimasta sulla terra con grandissima invidia» e di avere confidato che la sua «prima pietra sia già pronta» (Lettere di Santa Caterina da Siena, a cura di Nicolò Tommaseo, ristampa di Piero Misciattelli, Siena 1913).

È bene chiarire come quella pietra altro non sia, se non la raffigurazione del futuro sepolcro di Caterina, ma nello stesso tempo, che l’assistenza al condannato è da interpretarsi come «prima pietra» di un nuovo edificio di carità e di fede, e strumento di redenzione dell’umanità, a somiglianza di quella compiuta nei confronti di Nicolò. In qualche misura, si tratta di una sorta di «pietra miliare» sul lungo cammino della santificazione.

La lettera al Beato Raimondo (che era assurto a confessore di Caterina dopo il «processo» cui venne sottoposta dall’Ordine domenicano e concluso con una totale assoluzione: non tanto da colpe, ovviamente inesistenti, quanto da taluni dubbi sulla sua «ortodossia» cattolica) è un’offerta alla meditazione per l’atteggiamento di chiara spiritualità – non soltanto medievale – nei confronti della pena di morte, sostanzialmente accettata come espressione di una giustizia umana ineluttabile, certamente tragica oltre che iniqua, ma idonea a promuovere un percorso di fede in cui diventa segno di salvezza anticipata, suffragata anche attraverso la «prima pietra». A questo punto, la coscienza contemporanea, troppo spesso propensa alla valorizzazione dell’effimero e del transeunte, non può fare a meno, se non altro, di porsi qualche domanda tutt’altro che retorica; e di cercare una risposta congrua.

Caterina propone un messaggio di apparente valenza tradizionale, ma nello stesso tempo anticipa – e non di poco – l’evoluzione delle riflessioni cristiane verso un progressivo allontanamento da talune posizioni del Vecchio Testamento a favore di maggiori concessioni alla «pietas» e alla comprensione per le diversità, pur nel rifiuto implicito, rigidamente fideistico, di qualsivoglia ipotesi compromissoria. In effetti doveva passare ancora parecchio tempo prima che l’alta politica, intesa come arte di operare nella vita associata per il bene comune, fosse svincolata dall’etica «tamquam a subalternante» e assumesse una propria dignità morale: quella dello Stato, esaltata dalla scienza politica del Rinascimento ma nobilitata in tempi meno lontani alla luce di istituzioni impegnate nella socialità.

Ciò che scaturisce simbolicamente dalla «prima pietra» della lettera al Beato Raimondo è prima di tutto un ulteriore riconoscimento del memento spirituale di Santa Caterina: la necessità di accogliere i valori non negoziabili come struttura «angolare» di una vita consapevolmente cristiana; ma nello stesso tempo, come si potrebbe soggiungere all’alba del terzo millennio, il bisogno di una fratellanza universale di carattere messianico ben prima che «democratico». È il senso dell’udienza che venne concessa dal Pontefice Benedetto XVI in onore di Santa Caterina il 24 novembre 2010 quando il messaggio della Patrona d’Italia e Compatrona d’Europa venne ripreso dalla Cattedra di San Pietro nella sua perenne attualità.

(luglio 2020)

Tag: Carlo Cesare Montani, Santa Caterina Benincasa Patrona d’Italia e Compatrona d’Europa, Papa Pio II Piccolomini, Papa Paolo VI Montini, Santa Teresa d’Avila, Lettere di Santa Caterina, Giorgio Papasogli, Piero Misciattelli, Agnese Malavolti, Orso Malavolti, Santa Caterina, Antonio Malavolti, Beato Raimodo di Capua, Nicolò di Tuldo, Nicolò Tommaseo, Papa Benedetto XVI Ratzinger, rione senese di Fontebranda, contrada dell’Oca, Ordine della Penitenza di San Domenico, Santa Caterina da Siena.