San Francesco a Zara
Un retaggio permanente di fede e di speranza

A otto secoli dal viaggio di San Francesco a Zara che ebbe luogo nel 1212 come da diverse testimonianze probanti, con particolare riguardo alla Storia dei frati minori in Dalmazia di Donato Fabianich (1863) trasferita «on-line» in tempi recenti, cui è congruo fare riferimento nel ricordo di un evento che assume significati religiosi certamente prioritari, non sembra azzardato estendere la sua interpretazione a valutazioni di carattere storico tanto più suggestive alla luce della lunga tradizione cristiana di Zara e di tutta la regione dalmata, presupposto non ultimo di tante persecuzioni e della grande tragedia dell’Esodo.

Il Poverello era partito da Ancona e intendeva portare in Medio Oriente la sua vocazione evangelizzatrice (come poi avrebbe fatto) ma secondo la leggenda, certamente più che attendibile, una fortissima tempesta costrinse la sua nave ad approdare a Zara, dove il Santo «felicibus auris appulsus» ebbe modo di compiere l’ennesimo miracolo quasi in «tempo reale». Si narra, infatti, che abbia guarito la Badessa benedettina Vabalessa di San Nicolò da una grave infermità che l’aveva colpita ormai da parecchio tempo e le impediva di muoversi, ma che scomparve immediatamente al primo apparire di Francesco, a fronte della benedizione che era solito impartire a tutti gli esseri viventi, lupi compresi.

In conseguenza, la Badessa e le Consorelle si fecero Clarisse e diedero vita al futuro Convento zaratino dedicato per l’appunto a San Francesco, cui fecero dono del primo nucleo già di loro proprietà. Fu un evento importante nella storia religiosa della città dalmata, che seguì di pochi anni la consacrazione del Duomo di Sant’Anastasia avvenuta nel 1204; e in quella di tutta la regione circostante, perché il Santo avrebbe visitato anche altri centri rivieraschi, fra cui Spalato e Traù.

Ottocento anni dopo, piace rammentare un episodio che avrebbe lasciato un’impronta destinata a durare nel lunghissimo termine, avviando la fertile presenza francescana anche in Dalmazia, la cui traccia rimane tuttora nell’iscrizione situata presso l’ingresso del cimitero di Zara, emblematica nel suo semplice messaggio di fede e di speranza: «Post tenebras lux».

La storia non avrebbe risparmiato alla Dalmazia e al suo capoluogo vicende tremendamente drammatiche, culminate nei 54 bombardamenti indiscriminati effettuati dall’aviazione anglo-americana senza oggettive motivazioni di strategia militare, per volere esclusivo del Maresciallo Tito: incursioni che sconvolsero Zara riducendola a un ammasso di rovine e provocando migliaia di vittime, cui fecero seguito le allucinanti violenze dei comunisti slavi contro i suoi cittadini incolpevoli, molti dei quali vennero annegati nelle acque dell’Amarissimo, assieme a tanti servitori dello Stato presenti in Dalmazia per ragioni del loro ufficio civile o militare.

Nondimeno, il messaggio di San Francesco non è passato invano: la Dalmazia era cristiana da un millennio, ma il ricordo del Poverello destinato a diventare Patrono d’Italia avrebbe lasciato una traccia feconda, perché quella fede e quella speranza sono rimaste patrimonio indistruttibile del popolo dalmata, e in particolare di tutti gli Esuli, protagonisti loro malgrado di una lunga diaspora, dallo scorcio dell’Ottocento agli anni Venti del «secolo breve» e all’ultimo dopoguerra.

Quel patrimonio si è rivelato indistruttibile nonostante pervicaci incomprensioni culminate nella mancata consegna della Medaglia d’Oro conferita alla città di Zara dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ma trattenuta «sine die» per strumentali opposizioni slave prontamente accolte a Roma. In effetti, quel patrimonio è indistruttibile, anche nel ricordo di San Francesco, perché il sangue versato da troppi Martiri consolida il forte impegno del popolo giuliano, istriano e dalmata in favore della Giustizia e della Verità.

(luglio 2019)

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