San Miro, il Santo dell’acqua
Una figura poco conosciuta e il particolare rapporto di un paese con l’acqua

L’acqua, e soprattutto l’acqua dolce dei fiumi e dei laghi (e delle falde sotterranee), è elemento essenziale della vita umana: ci permette di bere, di irrigare i campi, di provvedere all’igiene e alla pulizia. Queste sono cose ovvie, come è noto che i primi insediamenti umani sorgevano attorno alle sorgenti o sulla riva dei corsi d’acqua; nell’antichità vi erano molte fonti ritenute miracolose, nella Bibbia i patriarchi si incontrano spesso presso le fontane, e lo stesso Gesù ha usato più di una volta la parola «acqua» come sinonimo di «vita».

Un rapporto particolare con l’acqua si ritrova in Canzo, ultimo paese dell’Alta Brianza, posto all’estremità Nord del Lago del Segrino e racchiuso tra i boschi dei monti Cornizzolo, Corni, Barzeghino e Scioscia, all’imbocco della Vallassina. Un rapporto che viene da ere remotissime, dato che il territorio conserva ancora evidenti i segni delle glaciazioni che lo modellarono milioni di anni fa: i ghiacciai, nel loro lento scorrere verso il mare, erosero il terreno trasportando enormi massi, detti massi erratici, che poi vennero abbandonati lungo il percorso; esemplari di questi massi erratici si possono osservare lungo il sentiero geologico che dal Gajum sale verso la Terz’Alpe lungo la valle di San Miro, mentre un altro masso erratico di notevoli dimensioni, denominato «sass dala prea», è posto in bilico sopra la zona di Cranno. Gli stessi laghi briantei, fra i quali il Segrino, sono di origine glaciale.

I reperti più antichi testimoniano di insediamenti umani sul monte Cornizzolo (6.000 anni prima di Cristo), al centro del paese attuale di Canzo e nei pressi del Lago del Segrino. In seguito nella zona si insediarono i Galli e poi i Romani, fino a che Canzo entrò a far parte del feudo dei Visconti di Milano.

È in questo periodo che a Canzo nacque il suo cittadino più illustre, Miro: una persona di cui non si sa molto, dato che non abbiamo fonti scritte a lui contemporanee, anche se le tradizioni tramandate oralmente e trascritte più tardi sono ricche di particolari e pressoché identiche. Venuto alla luce nel 1336, era figlio di Drusilla (o Drusiana) ed Erasmo Paredi; i genitori avevano ormai superato i 60 anni di età e disperavano di poter avere figli, così gli diedero il nome di Miro nel senso di «mirabile». Rimasto orfano dei genitori in tenera età, fu allevato da un eremita che lo tenne lontano dai divertimenti propri dei giovani, istruendolo nella preghiera, nello studio e nel lavoro; forse – ma la cosa è negata da alcuni storici – entrò giovane nell’Ordine dei Francescani Minori, vestendo l’abito e la corda; dopo la morte dell’eremita, Miro, a 32 anni, iniziò un lungo pellegrinaggio sulle tombe dei Santi Pietro e Paolo, vivendo di elemosina e accompagnato da tre giovani, probabilmente orfani. Fu benedetto dal Papa Gregorio XI che dalla cattività avignonese era rientrato a Roma quindi, dopo un anno tornò, su comando di un angelo, al suo paese d’origine. Qui si ritirò a vivere prima nella casa del curato e poi, come eremita, nel luogo dove oggi sorge l’eremo a lui dedicato, sui monti che circondano il paese, nella valle del torrente Ravella. Visse per quattro anni in una grotta in continui digiuni e preghiere: il suo letto era la nuda terra, si cibava dei frutti del bosco e si dissetava a una fontana che scaturì dalla roccia viva grazie alle sue preghiere (la fontana è tutt’ora visibile e zampilla un rivolo d’acqua freschissima). Il luogo, tra lo scorrere del torrente e la vegetazione che cresce lussureggiante tutt’intorno aprendosi di tanto in tanto a mostrare le montagne, è estremamente suggestivo.

Di San Miro si raccontano alcuni fatti e doni miracolosi legati proprio all’acqua. Un giorno, da Canzo volle raggiungere Onno e poi Mandello, attraversando il Lago di Como. Chiese il passaggio a un barcaiolo, che glielo negò. Allora stese il proprio mantello sul lago, a mo’ di barca, e così poté passare, sfilando sulla superficie dell’acqua davanti allo stupito barcaiolo. Da ultimo – seguendo il comando di Dio che, in una visione, gli annunciò la sua prossima e dolorosa morte – raggiunse Sorico, dove fu preso da dolori strazianti. Stabilì la sua grotta in un antro, detto poi «Grotta di San Miro»; fu qui che i dolori lo portarono alla morte, a 45 anni, l’11 maggio del 1381. Le sue spoglie furono ritrovate nella chiesa di San Michele proprio a Sorico (oggi dedicata a San Miro); il 15 gennaio del 1453, il Vescovo Antonio Pusterla concesse l’indulgenza di 40 giorni a tutti coloro che avessero visitato la chiesa o versato qualche donazione per il suo ampliamento. Nella Basilica di Santo Stefano, a Canzo, sono conservate alcune ossa di San Miro, brandelli delle sue vesti e molti «ex voto» (oltre a un chiodo, dono della città di Gerusalemme, che la tradizione vuole sia stato uno dei chiodi con cui fu crocifisso Gesù).

Prima di morire, riconoscente del bene ricevuto, San Miro domandò ai Canzesi che regalo desiderassero. Nessuno sapeva che cosa chiedere, quando un bambino – di soli due mesi – disse: «Acqua». Tutti risposero allora: «Sì, acqua, acqua», perché era un periodo di siccità. San Miro acconsentì: «E acqua sia». Scaturì così la Fonte del Gajum, che non sarà mai secca, e da quel momento Canzo ebbe sempre acqua. Ancora oggi, l’acqua di Canzo è particolarmente indicata per le sue proprietà diuretiche e la ricchezza di ferro (presente in gran quantità nella regione). I Canzesi manifestano tuttora per lui una particolare venerazione e invocano il suo aiuto soprattutto nei periodi di siccità (San Miro è anche il patrono della pioggia); la sua festa cade il 10 maggio.

La grotta dov’era vissuto San Miro e la fonte dell’acqua sorgiva dalla roccia furono mete di pellegrinaggio già da prima del Seicento. Di fronte fu costruita la piccola ma graziosissima chiesa di San Miro al Monte, sul luogo di un antico oratorio che all’epoca della visita di San Carlo (1574) possedeva tre altari; annesso vi era un edificio a due piani. Ospitò fino al 1810 una comunità di frati che per il loro sostentamento coltivavano piccoli terrapieni, tuttora visibili, ricavati con muri a secco sul versante opposto del torrente Ravella («Giardini di Fraà»). All’interno, la chiesa ospita sulle pareti e sul soffitto bellissimi affreschi dalle delicate tinte pastello che illustrano alcuni momenti della vita del Santo, quali ad esempio la nascita, la visione della Madonna col Bambin Gesù nella sua grotta, il viaggio a Roma, la traversata del Lago di Como sul suo mantello, la morte.

Santuario di San Miro, esterno

Esterno del santuario di San Miro, Canzo (Italia); fotografia di Simone Valtorta, 2004

Santuario di San Miro, interno

Interno del santuario di San Miro, Canzo (Italia); fotografia di Simone Valtorta, 2004

Santuario di San Miro, affresco

Affresco del santuario di San Miro che narra l'attraversamento miracoloso del Lago di Como, Canzo (Italia); fotografia di Simone Valtorta, 2004

L’acqua influì anche in seguito nella storia di Canzo: fu, per esempio, quando una fantesca in servizio al castello avvelenò l’acqua del pozzo e decimò la guarnigione spagnola che vi era stanziata mentre gli abitanti del villaggio provvedevano a eliminare i soldati iberici che, d’obbligo, ogni famiglia doveva mantenere (XVII secolo). Ma l’acqua fu anche benevola: proprio la disponibilità di acqua come forza motrice e di campagna per la coltivazione del gelso favorì lo sviluppo delle filande, che alla fine del 1700 a Canzo erano ben sei, mentre agli inizi del secolo successivo quella di Carlo Verza annoverava 1.300 dipendenti ed era la terza in Lombardia per dimensione, produzione e qualità del filato. Cesare Cantù nella sua Storia di Como del 1859 riportava che Canzo aveva vie belle e pulite, ricchezza d’acqua e fontane, caffè, teatro, musica.

Oggi, accanto alle attività artigianali, Canzo possiede un’attitudine turistica non recente: numerose famiglie milanesi mantengono la casa a Canzo e centinaia di persone lo raggiungono dalla metropoli nei fine settimana, attratte in particolare dalla possibilità di camminare lungo una fitta rete di sentieri ben curati e alla portata di ogni escursionista in un ambiente che la comunità canzese preserva e difende nell’interesse di tutti.

(dicembre 2020)

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