I Rossi di Anchiano
Una casata longobarda vista da vicino

Anchiano

Panorama di Anchiano con la sua Rocca

Rocca di Anchiano

La Rocca di Anchiano

«È singolare che una realtà storicamente documentata come una delle più continuativamente insediate, dalle età più antiche e per tutto il Medioevo, sia stata tra le meno studiate e oggetto di pubblicazione. Certo è pesante il fatto che gran parte delle fonti documentarie siano andate disperse e sovente perdute, dai resti della ricca necropoli longobarda, alla demolizione delle ultime vestigia dell’antica e vastissima Pieve San Pietro di Castello. I soli dati e reperti archeologici che si hanno si debbono a G. Ciampoltrini che, con P. Nostri, ne ha scavato gli ultimi lembi rimasti ancora leggibili. Tre cantieri, per fare una ferrovia, una scuola ed una palestra hanno cancellato di fatto gran parte della storia archeologica di Piazza al Serchio». Così esordisce lo storico Fabio Baroni sull’insediamento longobardo in Garfagnana, una terra che vide, grazie al ruolo che la città di Lucca svolse proprio in epoca longobarda, una importante fioritura di insediamenti umani su quelli romani, già preesistenti. Impossibile determinare l’intero percorso, sia per brevità di trattazione che per l’esiguità delle fonti storiche accreditate. Dunque mi propongo unicamente di trattare solo alcune vicende e soprattutto il gruppo parentale longobardo più esteso in Garfagnana, i Sigifredi, detti anche «Rossi di Anchiano», luogo della loro originaria concentrazione. Dal gruppo parentale esteso dei Sigifredi (che non sempre, ricordano gli storici, voleva dire consanguineità, ma soprattutto interessi e linea politica comune) prese le mosse presumibilmente anche la casata dei Canossa, la quale vide in Sigifredo l’iniziatore della Casata. Dopo la loro affermazione oltre Appennino, continuarono ad avere in Garfagnana e nelle terre lucchesi interessi e proprietà. Alcune registrazioni storiche, questa volta di Emanuele Repetti, meritano di essere citate: «3 maggio 942. In Lucca non si riconosceva ancora l’autorità dei due nuovi Sovrani e neppur quella del Re Ottone [la fine del Regno Longobardo e l’avvento franco avevano di fatto spesso generato anarchia], che era di certo disceso la prima volta in Italia: giacché l’istrumento porta unicamente la data dell’Era Volgare […]. Durante il tempo in cui regnarono Berengario II e Adalberto, alcuni credettero che signoreggiasse in Lucca per poco il conte Albert’Azzo, figlio di Sigifredo, illustre magnate lucchese. Per poco, poiché il conte Albert’Azzo si tirò presto addosso l’odio di Berengario, specialmente dopo che il Re ebbe chiaro che nella sua rocca di Canossa il conte Albert’Azzo ebbe ricoverata Adelaide, restata vedova in fresca età di Lotario, e dallo stesso conte offerta al grande Ottone, che sulla fine del 951 la sposò in Pavia. Né corse molto tempo dacché Berengario II, dopo il ritorno di Ottone in Sassonia, saputo che la Regina Adelaide era in Canossa, si portò con un esercito all’assedio di quella rocca, in cui Albert’Azzo per tre anni e mezzo si tenne saldo». Queste poche righe attestano quale fosse la politica dei Canossa. Non così dissimile quella dei «cugini poveri» lucchesi. Dopo un periodo in cui Ugo di Toscana governò quei territori «la storia ci mostra sino all’anno 1028 a governatore della Toscana il padre della contessa Matilde, Bonifazio, figlio del marchese Tedaldo di Lombardia, e ciò nel tempo in cui un fratello del marchese Bonifazio [anche lui di nome Tedaldo] sedeva nella Cattedrale aretina […]. Non debbo omettere che, se Bonifazio non vi nacque, traeva bensì l’origine da Lucca» e mantenne con la città ed il contado un rapporto, oserei dire, affettivo. Qui la sua villa più prediletta, e forse una di quelle ereditate dal bisavolo Sigifredo, fu il palazzo di Vivinaja, situato tra l’Altopascio, la Pescia Minore e il Castel di Porcari sopra una preminenza orientale del poggio su cui risiede la terra di Montecarlo. Infatti «era costà il padre della Grancontessa nell’anno 1038 quando nel resedio campestre di Vivinaja con magnificenza regale accolse a onorevole ospizio il Pontefice Benedetto IX e l’Imperatore Corrado con l’augusta consorte ed il figlio».[1] Oggi, paradossale, in quel luogo ha sede il cimitero di Montecarlo.

Alcuni studiosi ricordano che Matilde tenne suoi territori ma alcuni furono allodiati da fanti suoi cugini, almeno questo è quanto si suppone. Lo ricorda anche Monsignor Domenico Pacchi nelle sue memorie. Chi furono i fanti suoi cugini? Un membro celebre della casata Suffredinga fu Gerardo II.

Originario di Lucca, figlio di Inghifredo di Cunimondo, detto Inghizo, e di Burga, della quale non è noto il casato, nacque nella seconda metà del X secolo; apparteneva a una cospicua famiglia proveniente dalla Garfagnana, i Soffredinghi di Anchiano, detentori di un vasto patrimonio sia in Garfagnana, sia nella piana a Nord di Lucca e già destinatari di livelli da parte del Vescovado Lucchese. Gerardo è identificabile con il Gerardo Levita (diacono) che il 29 novembre 984 da Teudegrimo, Vescovo di Lucca, ottenne il livello con quattro distinti documenti: un quarto dei beni della Pieve di Marlia nella Valdiserchio a Nord di Lucca, e alcuni redditi dovuti dagli abitanti dei villaggi da quella dipendenti; i redditi dei villaggi dipendenti dalla Pieve di Elici in varie località circostanti Lucca. Il censo annuo dovuto per tali concessioni ammontava alla rilevante cifra di 23 soldi. Uno di questi livelli era concesso unitamente a Gerardo e a Cuniperga della Cuniza del fu Leone Giudice: costei, in un’epoca in cui il matrimonio del clero era ancora considerato legittimo, era certamente la moglie di Gerardo. Cuniperga appartenne ad una delle più importanti famiglie lucchesi, quella detta appunto di Leone Giudice, che ebbe tra i suoi membri importanti esponenti della vita politica e religiosa cittadina: fratello di Cuniperga era Ambrogio, Abate del monastero cittadino di San Ponziano, restaurato da Willa, la madre di Ugo Marchese di Toscana.

In due degli atti redatti nel 984 si prospetta che eredi del livello possano essere i figli e le figlie del concessionario: Gerardo dunque aveva dei figli, o pensava di averne in futuro. Non è però nota l’eventuale prova di Gerardo che, come allora avveniva per i figli dei chierici sposati, era identificata con il matronimico. Gerardo fu elevato alla Cattedra Episcopale Lucchese presumibilmente nel corso del 990, dal momento che il suo predecessore Isalfredo è testimoniato fino al 12 dicembre 989 e la prima attestazione documentaria dell’episcopato di Gerardo risale al 21 gennaio 991, allorché a Lucca concesse in livello beni della chiesa vescovile. L’elezione di Gerardo fu verosimilmente promossa dal marchese Ugo, con il quale Gerardo durante il suo episcopato intrattenne stretti legami. La vasta documentazione relativa al suo episcopato illustra soprattutto gli aspetti economici della gestione del patrimonio ecclesiastico e non presenta differenze con l’analoga attività dei suoi predecessori. La grande maggioranza degli atti consiste in livelli, generalmente concessi a non lavoratori e riguardanti proprietà, anche di notevole entità, dell’episcopato e delle chiese da esso dipendenti: tra questi, particolare importanza hanno quelli relativi ai patrimoni delle chiese battesimali, comprendenti anche le decime e le offerte provenienti dagli abitanti dei villaggi del territorio dipendente dalle singole pievi. I concessionari appartenevano a diverse classi sociali (fra i contraenti compaiono anche due Ebrei: un «canoniens quodam Iuda» e un «Samuel quodam Isaac», confronta Memorie e Documenti, IV, 2, numero 81), ma i livelli più consistenti erano concessi a importanti casate laiche della città e del territorio, tra le quali possiamo citare la famiglia di Leone Giudice, i Fralmighi, gli stessi Soffredinghi di Anchiano, i Visconti di Corvaia, i Ronaldinghi di Loppia, i conti Della Gherardesca, e le casate dei cosiddetti domini di Valiano, di San Miniato e quelli di Maona e di Castiglione di Garfagnana. Anche l’officiatura delle chiese era assicurata attraverso la concessione di livelli ecclesiastici: solo in un caso ci è pervenuto un vero atto d’istituzione canonica da parte di Gerardo assistito dai canonici della cattedrale, di un prete nella Pieve di Santissimo Salvatore, Frediano e Giovanni Battista di Mozzano di Garfagnana. Benché i censi – in denaro – corrisposti per le concessioni livellarie non fossero di grande entità, rappresentavano tuttavia in totale un ragguardevole introito per la Chiesa Lucchese, che poteva così procurarsi redditi facilmente riscuotibili da un patrimonio che – per la sua dispersione in un vasto ambito territoriale, comprendente la diocesi e largamente esteso al di là dei suoi confini – avrebbe altrimenti richiesto uno sforzo finanziario e amministrativo enorme. In tal modo il Vescovo garantiva la coltivazione e l’occupazione stabile delle terre e inoltre, attraverso le concessioni di livelli a importanti casate della città e del territorio, si assicurava una rete di fedeli e di alleati. In modo analogo, poiché la professione ecclesiastica si trasmetteva allora facilmente da padre a figlio, il presule garantiva la continuità nelle chiese e sulle terre ecclesiastiche. Un piccolo numero di documenti si riferisce infine a permute di proprietà tra Gerardo e varie persone, alcune anche di rilevo, al fine dichiarato di migliorare il patrimonio ecclesiastico. I rapporti tra il presule e i suoi livellari davano talvolta luogo a forme di contenzioso, testimoniate da due eventi. Il 1° luglio 997 Gerardo nella corte dei Visconti di Corvaia, davanti ad alcuni giudici imperiali, si dichiarò pronto a ricevere garanzie in relazione a un atto emesso a favore di Cunimondo detto Cunizo del fu Sigifredo per il castello di Corfigliana e a due livelli concessi a Sismondo del fu Sismondo per la Pieve di Gallicano, ma quest’ultimo si rifiutò di procedere. Non sappiamo come la questione sia stata risolta. Alcuni anni più tardi, il 7 agosto 1001, Gerardo ottenne dal Giudice Leone la promessa di aiuto nella vertenza giudiziaria che intendeva promuovere contro Farolfo, fratello dello stesso Giudice. Evidentemente Gerardo intendeva revocare o almeno modificare quel livello, per un motivo a noi sconosciuto. Leone, forse perché avrebbe potuto rivendicare una quota del livello già concesso al padre, s’impegnò anche a non aiutare il proprio fratello contro il presule. E infatti, una volta conclusa la vertenza, il 16 novembre 1001, Gerardo rinnovò a Farolfo il livello solo di metà dei beni della Pieve: forse l’altra metà era andata a Leone. Due soli atti, tra quelli pervenuti, riguardano gli interessi personali di Gerardo e non il suo ufficio di Vescovo. Risalgono ambedue al 996: nel primo, l’8 febbraio, Gerardo donò alla propria chiesa vescovile, per l’anima del marchese Ugo e per quelle dei propri genitori, la sua «curtis» di Sestinga – presso Vetulonia, nella Maremma Grossetana – con il castello e la chiesa di San Vito, località ove si concentravano gli interessi della famiglia cui Gerardo apparteneva. Dopo la morte, avvenuta a breve distanza di tempo (1001 e 1001 rispettivamente) del marchese Ugo e dell’Imperatore Ottone III, nella lotta per la Corona tra Arduino d’Ivrea ed Enrico di Sassonia, Gerardo condivise la scelta della famiglia di Leone Giudice e della città di Lucca a favore di Arduino Re d’Italia. Infatti l’unico diploma concesso da Arduino Re d’Italia a un ente toscano fu quello inviato a Pavia il 22 agosto 1002 ad Alperga, Badessa del monastero femminile di San Salvatore Briscano di Lucca, la quale era stata benedetta e insediata poco più di un mese prima, il 13 luglio 1002. Al 21 giugno 1003 risale l’ultima attestazione di Gerardo, ancora una volta la concessione di un livello di beni della Chiesa Lucchese. Il suo successore Rodilando compare solo il 14 maggio 1005: probabilmente i turbamenti politici di quegli anni allungarono i tempi per l’elezione e la consacrazione del nuovo Vescovo. (Rimando agli studi di Maria Luisa Ceccarelli Lemut, ordinario del Dipartimento di Storia Medievale di Pisa, non più in servizio). Ricorda lo storico Raffaele Savigni: «L’idea di un’origine comune delle principali famiglie signorili della Garfagnana (Gherardinghi, Suffredinghi, Ronaldinghi), per quanto diffusa nella tradizione erudita non ha un fondamento scientifico, e soltanto sistematiche ricerche potranno fornire dati più affidabili, tenendo conto della frammentarietà delle attestazioni documentarie disponibili e della possibilità che determinati rapporti di consortatico non si fondino su rapporti di consanguineità». Anche lo storico Claudio Giambastiani sui Suffredinghi di Anchiano e della Rocca, i quali discenderebbero dal ramo principale dei Cunimondinghi, ha intravisto l’esistenza di rapporti consortili, non parentali. Le famiglie che hanno interessi patrimoniali nella valle del Serchio sono quella dei Cunimondinghi, di cui i Suffredinghi costituiscono il ramo principale. Ingherramo Bernardini apparteneva alla famiglia dei Bernardini Signori di Montemagno, i quali nel 1209 giurarono fedeltà al Comune di Lucca insieme ai Suffredinghi. I Cunimondinghi comprendono i Ronaldinghi, i Suffredinghi, i Gherardinghi, i Guidiccioni, i Porcaresi. Erano figli del fu Sigifredo Cunimondo Ubaldo, Guido, Rodilando, Teudegrimo. Come ha opportunamente osservato lo storico Andreolli, con l’età matildica si accelerò il «progressivo allontanamento politico tra Lucca e le terre garfagnine», già favorito dall’affermarsi di Signorie territoriali che finì per accentuare l’isolamento dei villaggi e le solidarietà interne. Nel secolo XI la Garfagnana appariva come uno dei «punti di forza» del potere dei Canossa (ed in particolare un’area strategica per il Vescovo riformatore Anselmo II) nei confronti del quale la città lucchese manifestava invece una evidente ostilità. Nel 1105, poco prima di ritirarsi nei territori padani, Matilde soggiornò a Pieve Fosciana e a Gallicano. Nell’anno 1228 i Fiorentini furono dichiarati mediatori di una pace tra Lucchesi e Pistoiesi. Con la Battaglia di Mont’Aperto Lucca divenne rifugio dei guelfi. In quel tempo, con i denari e con i beni dei soppressi Templari, i priori comprarono una parte dell’Orto dei Frati Predicatori di San Romano per costruirvi case e borgate. A Lugliano, terra feudo della casata Suffredinga fino al 1209, in seguito feudo imperiale e nel 1244 ceduto dall’Imperatore Federico II di Svevia al Comune di Lucca, troviamo un singolare labirinto arboreo nella villa Politi, risalente questo al XVII secolo.

Innumerevoli nei luoghi di pertinenza dei Sigifredi, e limitrofe a Lugliano, le vestigia templari: Vico Pancellorum; Diecimo; Bagni di Lucca; e potremmo continuare. In tali epoche sicuramente i cavalieri di estrazione longobarda furono spesso cavalieri professionali, votati ad un servizio ad ampio spettro. Pensiamo agli stessi Canossa, che ebbero come compito precipuo quello di scortare il Papa nei suoi spostamenti. Difendere i valori della cristianità fu certamente un modo per tutelare gli stessi propri valori, ormai intimamente acquisiti. Certamente, come asserisce Monsignor Domenico Pacchi sul ruolo dei «fanti cugini di Matilda», anche noi diciamo «di ciò basti», sperando che la storiografia del periodo riesca a colmare quei tanti buchi oscuri che la riguardano.


Nota

1 Emanuele Repetti, Compendio.

(febbraio 2016)

Tag: Elena Pierotti, Italia, Toscana, Medioevo, Lucca, Rossi di Anchiano, Matilde di Canossa, casata longobarda, Pieve San Pietro di Castello, Piazza al Serchio, Fabio Baroni, Garfagnana, Longobardi, Sigifredi, Emanuele Repetti, casata dei Canossa, Re Ottone, Sigifredo, Regno Longobardo, Berengario II, Era Volgare, Adalberto, Albert’Azzo, Regina Adelaide, Tedaldo di Lombardia, palazzo di Vivinaja, Benedetto IX, Monsignor Domenico Pacchi, Inghifredo di Cunimondo, Gerardo II, Soffredinghi di Anchiano, Leone Giudice, Visconti di Corvaia, Fralmighi, Ronaldinghi di Loppia, Castiglione di Garfagnana, conti Della Gherardesca, valle del Serchio, Ingherramo Bernardini, Federico II di Svevia, Vico Pancellorum, Diecimo, Bagni di Lucca, cavalieri di estrazione longobarda.