Quelli del Bec
Lucca, la Normandia, l’Inghilterra: legami insospettabili nel corso del tempo

Papa Alessandro II, profondo Medioevo. Si chiamava al secolo Anselmo da Baggio e fu a lungo contemporaneamente Papa e Vescovo di Lucca. Una città, quella toscana, ex Ducato Longobardo, che al tempo di Alessandro II vedeva Matilde di Canossa regnare al Centro-Nord della Penisola, e la cui dinastia proveniva proprio da Lucca. Un suo avo, Sigifredo Atto, infatti, conte lucchese, allontanatosi dal Ducato non sappiamo per quale ragione, fondò in terra emiliana la dinastia canossiana.

Eppure nel Settecento uno storico di Castelnuovo Garfagnana, Monsignor Giandomenico Pacchi, sepolto nella chiesa dei Chierici Regolari Lucchesi, collaboratore del Modenese Antonio Muratori, nelle sue Dissertazioni scrisse che la donazione matildica mai riguardò Lucca e in specifico le terre garfagnine, da cui l’avo Sigifredo proveniva. Perché qui i fanti, cugini di Matilde, così li nomina Monsignor Pacchi, regnavano, e quelle terre non appartennero mai a Matilde. Sta di fatto, e lo stesso Monsignor Pacchi lo mette in evidenza, che nessun Papa mai osò reclamarle.

Nel XIX secolo, con un salto temporale non indifferente, un celebre ingegnere nativo di Pieve Fosciana, non lontano da Castelnuovo Garfagnana, Ermete Pierotti, pubblicò a Genova per gli editori Pellas un celebre, all’epoca, scritto dal titolo emblematico: Il potere temporale dei Papi al cospetto del tribunale della Verità, testo oggi rintracciabile alla Biblioteca Capitolina. Qui mise in evidenza che Matilde non aveva mai inteso inserire nella sua donazione le terre garfagnine, che non erano di sua pertinenza (dunque dei suoi cugini?) e che sin da quel tempo lontano il potere temporale aveva solo rappresentato per l’Italia e per l’Europa un male che si sarebbe potuto evitare.

Ecco, partirei da qui per descrivere nel corso del tempo chi davvero sono «quelli del Bec».

Anselmo da Baggio, milanese d’origine e lucchese di adozione, si era formato nel Bec, terra sita in Normandia ma che travalicava la Manica per incunearsi a Londra, non lontano da quella Canterbury che nel Medioevo permise la costruzione della Via Francigena, che raggiungeva Parigi, Roma e da qui, di fatto, proseguiva in Puglia per proiettarsi in Terrasanta. Era la via di tutti i cavalieri crociati, di qualunque estrazione, era la via di tutti i pellegrini. E passava anche da Lucca, dove era sito il Volto Santo, reliquia veneratissima e dunque ben accolta e venerata durante il viaggio in Terrasanta.

Il Bec era luogo di preghiera e formazione culturale in epoca medievale. Qui si formarono i dotti del tempo, non ultimo Anselmo da Baggio, che in Lucca promosse la fondazione ed edificazione di importanti opere tra cui il Duomo di San Martino, grazie ai Maestri Comacini.

Il Bec era una filosofia, fatta di Cristianesimo universale, della volontà di fare delle Crociate un mantra non solo politico ed economico, ma soprattutto culturale.

Matilde e il suo Anselmo a questo si richiamavano. Erano i Suffredinghi cugini di Matilda a ispirare questi valori?

Schiatta longobarda della prima ora, la più importante sul territorio. Ai tempi del Ducato Longobardo regnò non solo sulle terre lucchesi ma anche pisane, dalla attuale Livorno fino a Grosseto e all’Alto Lazio. Le terre dei Suffredinghi così care a Matilde si incrociarono con le terre di un’altra importante dinastia pisana longobarda, i Della Gherardesca. Sempre Monsignor Giandomenico Pacchi nelle sue dissertazioni ci ricorda che un figlio del celebre conte Ugolino Della Gherardesca si sposò in terra garfagnina e con ogni probabilità i legami restarono nel tempo, visto che un istitutore col medesimo cognome Pierotti nel 1828 lasciò Castagneto Carducci e la chiesa di San Lorenzo ivi presente, che apparteneva alla famiglia dei Della Gherardesca, per rientrare in Lucca. E che un ingegnere della stessa famiglia, Rodolfo, pubblicava nel XIX secolo Eredità Mamiani Della Rovere-Donoratico con riferimento a un matrimonio avvenuto nel Cinquecento tra i Della Gherardesca medesimi e i marinai della Rovere. Solo coincidenze? Forse.

I Suffredinghi o Sigifredi, detti anche Rossi di Anchiano da una piccola località della Media Valle del Serchio dove ebbero un incastellamento, avevano la priorità dei loro feudi nella attuale Bagni di Lucca, che all’epoca non si chiamava così ma Terra di Corsena.

Ancora oggi i celebri bagni termali di Bagni di Lucca si identificano con questo nome.

Qui regnarono dopo l’epoca romana proprio i Suffredinghi e successivamente i Corvaresi, altra schiatta longobarda.

I Suffredinghi comunque restarono la principale casata sul territorio, anche in epoca comunale, quando si videro in lotta con la città di Lucca e sovente si allearono con i Pisani nelle guerre e diatribe del tempo. Tuttavia rimasero in vita, come lo storico Giambastiani in una sua pubblicazione sulle casate longobardi locali ricorda, ufficialmente fino al Cinquecento. Ancora nel Duecento li troviamo floridi in terra garfagnina in svariate località. Placiti e pergamene gelosamente custodite negli archivi lucchesi ne sono testimonianza. Poi più niente in via ufficiale.

Lucca però ebbe strane situazioni. Intanto i territori intorno a Bagni di Lucca, terra originaria dei Suffredinghi, rimasero sempre lucchesi. I Suffredinghi giurarono fedeltà a Lucca e tali rimasero, non più presenti nel Libro d’Oro ma sicuramente con incarichi soprattutto curiali e molto determinanti per la città, che restò indipendente per mille anni.

Non avevano a Lucca un esercito, eppure le grandi famiglie e questi nobili uomini guerrieri non più «ufficialmente» nobili ma considerati anche in patria i veri portatori di indipendenza e prestigio per lo Stato Lucchese della «libertas» commerciale e culturale, mantennero intatta tale indipendenza. Forse in modo rocambolesco, di certo fecero della diplomazia nelle varie Corti Europee un’arma importantissima, non indifferente.

Rimasero davvero quelli del Bec?

I miei studi lo confermano. Ho incontrato sulla mia strada i preziosi studi di medievistica del signor Celestino Vescera su un personaggio, Pagano da Corsena, rintracciabile nelle cronache pisane, ma anche matildiche e porcaresi, località quest’ultima non distante da Lucca, molto cara a Matilde di Canossa e alla sua dinastia.

Qui il padre di Matilde, Bonifacio, aveva un importante incastellamento dove ospitava i più importanti uomini politici del tempo e qui un cavaliere lucchese, un Di Poggio, vuole che Matilde fosse nata, anziché a Mantova. Non venne preso sul serio il Di Poggio che pubblicò queste carte. Aveva ragione?

Gli storici raccontano che i Suffredinghi furono spodestati in Corsena e dintorni dai Corvaresi, cui lo stesso Pagano afferiva. E che in quel di Porcari, non distante da Lucca, l’erede di Pagano, Paganello, divenne il feudatario di punta dei territori lucchesi. I Paganelli furono dunque una schiatta di potere e tutti questi gruppi parentali avevano origini longobarde. La domanda è: i Suffredinghi, che regnavano comunque nei territori garfagnini lottando a fianco di Pisa prima di accettare completamente le regole e il potere del Comune di Lucca, in cui si integrarono pienamente in ambito curiale, e di cui abbiamo note storiche fino al Cinquecento, mancarono davvero la possibilità di imparentarsi e/o apparentarsi con gli stessi Corvaresi, e successivamente con quei Porcaresi potenti nella Piana Lucchese? Le loro proprietà presenti in tutti i territori di Corsena e dintorni, andarono perduti? Gli storici non rispondono a queste mie osservazioni. Solo Monsignor Giandomenico Pacchi a fine Settecento definisce i «fanti cugini di Matilde» con riferimento soprattutto ai diffusi sul territorio che contrastarono lo stesso Vaticano, al punto da consentire alla stessa Lucca quella autonomia che la vide sgombra anche dal Cinquecento in poi della ingombrante presenza dei Padri Gesuiti. E mai alcun Papa reclamò i territori di questi onorabilissimi fanti, poiché la donazione matildica per loro non aveva valore, visto che quei territori mai erano appartenuti a Matilde, semmai ai suoi cugini fanti. La domanda è davvero se Pagano da Corsena e Matilde di Canossa avessero rapporti di parentela? Poteva Matilde affidare a un feudatario potente il potere senza legami personali con la sua casata?

Pagano da Corsena. Pagano perché proprio un pagano; da studi condotti pare fosse un Ebreo convertitosi alla Fede Cristiana.

Da Corsena ricorda da vicino i luoghi di provenienza dei Suffredinghi che con la schiatta longobarda dei Porcaresi ebbero rapporti di parentela e affiliazione, e di Matilde di Canossa, che proprio attraverso il Passo del Saltello, non lontano da Bagni di Lucca, valicava col suo cavallo il confine per raggiungere Canossa. Era la via più breve tra Lucca e le terre reggiane.

Ma tornerei al Bec per chiarire queste vicende.

Quale la vera filosofia del Bec, cui ho fatto cenno? Universalità liturgica, culturale, politica, ritorno alle origini del Cristianesimo. Il canto gregoriano rappresentò a tutto tondo quelli del Bec. E i cavalieri erano tutti quanti legati a tali valori. Pensiamo a come l’Ordine Templare regnò proprio in Lucca e poi venne sciolto.

Il dottor Mencacci, con prefazione del professor Franco Cardini, in Templari a Lucca ricorda che in città gli orti della Magione erano adiacenti a quelli dei Domenicani di San Romano. E che qui i cavalieri andarono sempre d’amore e d’accordo anche con i Francescani.

Ciò continuò ad avvenire anche dopo tale scioglimento dell’Ordine, visto che stanti le parole dello storico Mencacci continuarono a fare quanto facevano prima.

Aggiungerei il famoso episodio della sparizione del tesoro di Papa Clemente V, proprio il Papa che sciolse l’Ordine. Era il tesoro personale del Pontefice, e ammontava a circa 1.000 scudi. Un prezioso bottino che transitava per la Francigena diretto in Francia, terra d’origine del Pontefice. A Lucca venne nascosto per metà nella esoterica basilica di San Frediano, tanto cara ai Templari e a quelli del Bec. Per l’altra metà in San Romano, presso i frati domenicani adiacenti ai Templari, che sempre andarono d’amore e d’accordo proprio con l’Ordine. L’ufficialità vuole le truppe del condottiero pisano Uguccione della Faggiuola impossessarsi dei beni, ma non ci sono prove certe al riguardo. Ciò che è certo è che proprio nel 1314 quel prezioso tesoro sparì. Perché collegare questo con Pagano da Corsena e i mitici cavalieri? Per il proseguo delle vicende.

Quel Di Poggio che citò Matilde e le sue origini in una sua pubblicazione appartenne a una casata lucchese nobiliare che regnò in modo corposo in Lucca fino a tutto il XIX secolo. Molti membri della casata appartennero per certo all’Ordine Domenicano cittadino dove ebbero cariche. Nel Cinquecento un suo congiunto tentò un colpo di Stato in città su modello della congiura dei Pazzi fiorentini, per capire. Voleva in un’epoca in cui la riforma protestante aveva investito tutti, soprattutto Lucca, dove in molti si convertirono al Calvinismo e furono costretti a fuggire a Ginevra, pur mantenendo contatti serrati con le famiglie di origine, rovesciare l’Ordine oligarchico cittadino per instaurare un regime più consono alle aspettative romane, come ci ricorda il professor Sabbatini nella sua pubblicazione sulla Lucca del tempo. Con un compagno «di merende», tale Lorenzo Pierotti, di cui non è dato sapere molto di più. Ciò che sappiamo è che le conseguenze di questo gesto del Di Poggio non furono condannate così in maniera netta. Sì, ebbe qualche confisca, ma di fatto i Di Poggio rimasero nel Libro d’Oro, i loro beni non furono sequestrati fino a tutto il XIX secolo, quando ancora la potente famiglia si imparentava con i mitici e potentissimi Mansi. L’ultimo discendente, che guarda caso aveva molte sue proprietà in quel di Porcari e che qui morì e fu sepolto, era di madre un Mansi.

Sempre nel Cinquecento un Ordine cittadino che in Lucca si costituì, i Chierici Regolari della Madre di Dio, vide al suo interno i familiari del Lorenzo Pierotti citato. Un sacerdote, Padre Bernardino Pierotti, in odore di santità, venerato dall’intera compagine cittadina, fu per un certo periodo il Rettore dell’Ordine, visse dal 1618 al 1714 e raccolse la maggior parte delle celebri carte del Quattrocento che possedevano i Chierici e che attualmente sono alla Biblioteca Statale di Lucca.

Questi amici dei Di Poggio ebbero ruoli in curia ma anche presso la compagine nobiliare. Uno di loro venne nominato nel Settecento Ambasciatore alla Corte di Vienna, come sempre ci ricorda il professor Sabbatini. E i miei studi risorgimentali bene illustrano i loro rapporti tra Settecento e Ottocento sia con i Bonaparte rivoluzionari che con la compagine mazziniana cattolico-moderata risorgimentale. Sì, perché Giuseppe Mazzini era cresciuto a Genova dagli Scolopi, aveva posizioni gianseniste. E l’Ordine dei Chierici Regolari Lucchese nel Settecento fu appaiato agli Scolopi poi disciolti per sodomia e pederastia, mai davvero comprovate.

Legami ancestrali? Difficile dirlo. Certo è che Cesare Pierotti nel 1848 fu un amico del Popolo di Domenico Guerrazzi. Ce lo ricorda il professor Fabio Bertini nella sua pubblicazione per il bicentenario del rivoluzionario livornese.

Per inciso i conti Sabbatini di Modena (assonanze col professor Sabbatini?) vendettero nel 1828 il castello di loro proprietà di Palagano, appunto in provincia di Modena, al medico Francesco Pierotti, che qui andò a vivere come medico condotto. È un castello del Seicento a forma circolare piuttosto singolare e ancora ben conservato. Poteva un medico condotto acquistare un castello, da dove provenivano i suoi averi? Francesco, il medico, era di Pieve Fosciana, come l’ingegnere Ermete. E i miei studi risorgimentali attestano che i Pierotti rivoluzionari di Pieve Fosciana avevano legami stretti con i loro compari lucchesi. Ma soprattutto l’ingegner Rodolfo Pierotti di Lucca, ma nativo di Benabbio, Bagni di Lucca, qui aveva corpose proprietà e qui è sepolto. In Benabbio. Fu eroe di Goito nella Terza Guerra d’Indipendenza e per sei legislature nel neonato Parlamento Italiano con Toniolo. Era per certo cugino di Cesare, l’amico del Popolo.

Strane assonanze, comunioni parentali, politiche, culturali. Da dove provenivano, dal Bec?

Proviamo a rispondere. Se rimasero sempre fedeli alla Roma Cattolica, sicuramente abbracciarono l’Europa e le sue riforme. Infatti operarono a lungo con i rivoluzionari Bonaparte, ma soprattutto un loro congiunto, Padre Gioacchino Prosperi, il personaggio della mia tesi, vissuto dal 1795 al 1873, nativo di Lucca ma con corpose proprietà proprio in quei Monti di Villa, località Corsena, cui ho ripetutamente accennato, fu intimo di Luciano Bonaparte e dei suoi figli di secondo letto quando erano dei rifugiati mazziniani, peraltro proprio in quel di Benabbio.

E collaborò, Padre Prosperi, a lungo, da ex Gesuita e poi Padre Francescano, con Monsignor Bartolomeo Pacca che cita nelle sue lettere. Il Pacca infatti fu intimo di Luciano Bonaparte e le vicende rivoluzionarie del Prosperi bene mettono in luce i riferimenti cui ho fatto cenno e che ho ripetutamente pubblicato in rete. In Saint Jacques du Haut Pas, a Parigi, riposa il massimo collaboratore di Giansenio. Prosperi venne ripetutamente accusato di giansenismo. Ed era in effetti anche in via parentale legato ad Alessandro Manzoni, essendo la madre di Padre Prosperi Maria Angela Castiglioni. Ricordando cioè da vicino quell’Olona da cui provenivano i fratelli Verri. Notevoli sono i riferimenti a Beccaria e ai suoi legami parentali sia con Padre Prosperi che con i Pierotti menzionati.

Parlano i documenti. Il giansenismo fu un modo di rispondere, soprattutto in Francia, a questo bisogno della Chiesa Romana di affrancarsi da un isolamento affatto produttivo. Probabilmente queste frange lottarono per tali idealità. Ricordando la grande Matilde. E con lei Pagano da Corsena. Giuseppe Pierotti di Castelnuovo Garfagnana, uno di loro, scrisse all’amico Gino Capponi nel 1856, come appare in una lettera rintracciata, presente alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ricordando scavi archeologici del 1200 proprio in Castelnuovo Garfagnana: «Capponi mio, il cavaliere è tuo, non è mio».[1] I Capponi furono a lungo i Gran Maestri del Tau, l’Ordine altopascese che riuscirono a salvare fino al Cinquecento lottando contro Cosimo de’ Medici. Ordine che aveva in Saint Jacques du Haut Pas una chiesa molto amata e sentita dai Parigini. Mai violata questa chiesa, né dai rivoluzionari, né dai Bonaparte.

Giuseppe e la sua famiglia, per sua stessa ammissione, erano giovanniti. Altri documenti vedono questa famiglia nel XIX secolo presente a Malta. Ce lo ricorda il botanico e linguista fiorentino Attilio Zuccagni Orlandini, che in una sua pubblicazione celebra tale giovane fiorentina Elena Pierotti, che tradusse per lui dal maltese idioma scritti che si apprestava a pubblicare, perché vissuta per un certo periodo a Malta. Anno 1864.[2] E nel 1870 Giuseppe Pierotti viveva a Firenze, Via delle Ruote, Fortezza da Basso, come sta scritto in una lettera presente alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze indirizzata a Telemaco Signorini.[3] Solo assonanze? Forse, anche qui ho pubblicato in rete. Ipotesi e documenti di cui ho chiesto a storici illustri un vaglio che fino a ora non ho ricevuto. Certo è che il Generale dei Domenicani, il Cardinale Raffaele Pierotti, era cugino di mio padre e teneva ancora nel 1890 i rapporti con Padre Henry Newman, ex membro del Movimento di Oxford, che aveva voluto affrancare la Chiesa Romana nella prima metà del XIX secolo, proiettandola nella ricerca spasmodica di un’unità nazionale italiana.

Anno 1860. Giuseppe Pierotti in Londra scolpisce il busto di Sir James Charles Fox, zio di quel Sir Henry Holland che tutto diede alla causa italiana. Busto presente oggi nei locali dell’Università di Oxford. Solo coincidenze? Non direi. Quelli del Bec. Di Pagano, di Matilde, dei suoi cugini fanti. Fanti che con Pagano con ogni probabilità, viste le situazioni politiche descritte in questo breve saggio, furono avversari costruttivi, direi avversari che continuarono a praticare quella strada che unisce ancora Anchiano, in quel di Borgo a Mozzano, Media Valle del Serchio, con la Brancoleria Lucchese, la terra di Anselmo da Baggio, di Matilde, di Pagano da Corsena, ma soprattutto Suffredinga. Perché mai quella strada, oggi regno dei ciclisti e degli escursionisti, venne abbandonata. E mai la schiatta longobarda più potente sul territorio si sentì estromessa dalla Brancoleria, da Lucca, e dal potere che ne derivava.


Note

1 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Carte Capponi, riferimento IX

2 Attilio Zuccagni Orlandini, raccolta di dialetti con indicazioni etnologiche, Firenze 1864.

3 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Carteggi Vari, 471,62.

(dicembre 2022)

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