Paolo e Francesca
Una tragica storia d’amore, cantata anche da Dante

Una vicenda che, come altre, ha trovato una sua giusta collocazione nella letteratura e nella musica, è quella di Paolo e Francesca, ma di invenzione letteraria non si tratta, bensì di un reale fatto di tradimenti e di sangue. Lei era Francesca da Polenta di Ravenna, mentre lui era Paolo Malatesta di Rimini. Si trattava di giovani appartenenti a due delle più rinomate famiglie della riviera romagnola. Queste erano in continuo disaccordo fra di loro finché, per por fine a scontri vari, a malintesi e ad accuse reciproche, decisero di mettere una pietra sopra il passato e di unirsi in un’alleanza politica, ponendo fine all’instabilità che le infastidiva. Così – era l’anno 1275 – Guido Minore da Polenta, signore di Ravenna, decise di dare in sposa la giovane e bella figlia Francesca al figlio di Giovanni Malatesta, anche per ringraziarlo di averlo aiutato contro la famiglia Traversari, loro acerrima nemica, per scacciarla in modo risolutivo. Erano tempi nei quali i giovani non avevano grandi possibilità per opporsi alle decisioni matrimoniali dei genitori: dovevano semplicemente obbedire, accettarle e basta, senza tener conto dei sentimenti.

L’idea piacque a entrambe le famiglie e si stabilì che Francesca sarebbe andata in sposa a Gianciotto, il futuro erede. Però uno degli amici di Guido, che lo conosceva, lo mise sull’avviso, come ha scritto il Boccaccio: «Voi dovete sapere chi è vostra figliuola, e quanto ell’è d’altiero animo; e, se ella vede Gianciotto, avanti che il matrimonio sia perfetto, né voi né altri potrà mai fare che ella il voglia per marito».

Così i padri, potenti signori di Ravenna e Rimini, certi che Francesca, allora di 15 o 16 anni, non avrebbe accettato, senza opporsi, l’unione con quel brutto, violento e anziano Gianciotto, dedito alle armi, fisicamente menomato e culturalmente grezzo, pensarono a come imbrogliarla. Inviarono a Ravenna il figlio minore di Giovanni, cioè Paolo il Bello, definito «piacevole uomo e costumato molto», che però – lei naturalmente non lo sapeva (o fingeva di non saperlo, giacché il fatto non era segreto) – già da cinque anni era sposato con Orabile Beatrice, figlia ed erede del conte Uberto di Ghiaggiolo, rocca del Forlivese, e padre di un maschietto e di una femminuccia. A Ravenna, una damigella glielo fece spiare attraverso la fessura di una finestra e le disse: «Madonna, quegli è colui che dee esser vostro marito». Vedendolo, Francesca ne fu colpita e affascinata e, credendolo il vero e futuro marito, non ebbe esitazione alcuna a sposarlo, senza rendersi conto che il rito stava avvenendo per procura e che il bel giovane e aitante Paolo era solamente il procuratore.

Naturalmente, fu un fulmine a ciel sereno quando si rese conto che il marito non era chi aveva desiderato fosse, ma al pasticcio non c’erano possibilità di rimedio, e a Francesca non restò altro che rassegnarsi al suo triste destino. Cercò di non lasciarsi abbattere dallo sconforto e di accettare ciò che la sorte (opportunamente ammaestrata) le aveva riservato. A rallegrare la sua vita era nata la figlia Concordia e lei accettava la sua sorte di moglie di Gianciotto, anche perché lui ne era innamorato e la copriva di attenzioni e di regali.

Intanto Paolo, che aveva proprietà nei pressi di Gradara, spesso le faceva visita, sia per farsi perdonare per l’inganno al quale aveva personalmente partecipato, sia forse perché un nuovo sentimento era nato in lui. La conseguenza fu che uno dei fratelli, invece di badare ai fatti suoi, si accorse degli incontri che avvenivano segretamente fra i due, li spiò e intese cosa stesse succedendo. Era costui un tale Malatestino dell’Occhio (così denominato perché privo di un occhio, ma «da quell’uno vedeva fin troppo bene»). Gianciotto era Podestà e per questa sua funzione ogni giorno si recava a Pesaro, per rientrare solitamente a tarda sera. Un giorno di settembre del 1289, qualcuno, forse proprio Malatestino, lo avvisò che Paolo si sarebbe fermato. Gianciotto finse di partire per Pesaro, come il solito, ma rientrò e, percorrendo un passaggio segreto (pare che in tutti i castelli ce ne fossero in abbondanza), giunse alla porta, dietro la quale i due giovani stavano leggendo la vicenda di Ginevra e Lancillotto, rispettivamente moglie e paladino del Re Artù. Quando la aprì, ebbe la sorpresa di vederli scambiare un «casto bacio». L’ira scoppiò furiosa e Gianciotto estrasse la spada avventandosi contro Paolo, il quale tentò la fuga, infilandosi in una botola posta vicino alla porta, ma per sua sfortuna – secondo quanto si dice – il vestito restò impigliato in un chiodo, impedendogli di fuggire. Questo inciampo lo fece restare inerme davanti alla spada del fratello. Francesca gli si mise davanti, facendogli da scudo e Gianciotto, che stava dando il colpo con la spada, li trafisse entrambi, uccidendoli.

Paolo e Francesca

Amos Cassioli, Paolo e Francesca (titolo alternativo: Il bacio), 1870

La sommaria esecuzione dei due giovani naturalmente sollevò un grande sbigottimento fra i contemporanei. Secondo alcuni fu divulgato come il classico «delitto d’onore», una vendetta del marito offeso contro i due fedifraghi, ma ci sono altri osservatori che puntano su una scusa per il fratricidio e l’uxoricidio dettati da questioni meramente politiche e per interessi personali. Infatti, questi sono del parere che Gianciotto desiderasse allearsi con la città di Faenza e, per questo, doveva eliminare la moglie che, in fin dei conti, non lo amava e che era d’intralcio per i suoi progetti, che riguardavano le sue future nozze. Del resto, pochissimo tempo dopo il malfatto sposò la Faentina Zambrasina degli Zambrasi che gli diede ben sei figli.

Non è detto se Paolo e Francesca fossero seppelliti insieme o separatamente. Si sa, comunque, che nel 1581 in un sarcofago della chiesa di Sant’Agostino a Rimini furono trovati i corpi di due persone, che si pensa fossero quelli dei due amanti, in splendide vesti, abbracciate come lo erano state in vita.

Nella Divina Commedia, Dante li collocò insieme con i lussuriosi nell’Inferno, perché la loro colpa era gravissima, ma li ha lasciati insieme, condannati fin che si vuole, ma insieme per l’eternità: comprensione, indulgenza, pietà, immedesimazione, umanità? Chissà!

(giugno 2020)

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