Il Regno meridionale degli uomini settentrionali
Nell'XI e XII secolo, i Normanni fondarono in Italia Meridionale un Regno prospero e fiorente

Negli anni in cui l’Italia Settentrionale era dilaniata dalle lotte tra l’Impero e il Papato prima, tra l’Impero e i Comuni poi, l’Italia Meridionale conosceva un’epoca di grande prosperità grazie ad un popolo di origine scandinava: quello dei Normanni, parola che significa genericamente «uomini del Nord» e che comprendeva le popolazioni Danesi, Svedesi e Norvegesi più note col nome di Vichinghi.

Verso l’VIII secolo dopo Cristo, i Normanni erano ancora un popolo incivile e feroce. Poiché il clima rigido dei loro territori rendeva difficili l’agricoltura e l’allevamento del bestiame, il mare divenne per loro l’unica risorsa di vita: abilissimi navigatori, abbandonarono le loro terre e si diressero in tutte le direzioni, raggiungendo Costantinopoli attraverso le pianure russe, l’Islanda, la Groenlandia, le coste settentrionali dell’Africa. Erano il terrore di tutte le genti dell’Europa Occidentale: sbarcavano in un paese, saccheggiavano ed uccidevano, poi, carichi di bottino, ripartivano subito. Nel 911 il Re di Francia Carlo il Semplice concedette un feudo a Rollone perché difendesse quella terra dagli altri invasori: la regione in cui si stabilì prese il nome di Northmannia, cioè «terra degli uomini del Nord», ma poi il nome fu abbreviato in Normannia o Normandia. Qui i Normanni si convertirono al Cristianesimo e ingentilirono di molto i loro costumi, adottando la lingua e lo stile di vita francesi. Nel 1066 sconfissero i Sassoni e in pochi anni si impadronirono dell’Inghilterra: fu la loro conquista più famosa. In un’antica Storia dei Normanni di un abate di Montecassino si legge che «si sparsero qua e là per diverse contrade, e non fecero come molti che vanno per il mondo per porsi al servizio degli altri, ma vollero avere tutti gli altri in loro potere» – veramente, dovunque misero piede, i Normanni riuscirono a sottomettere le popolazioni del luogo e a costituire dei potenti Stati.

E il Regno normanno più florido, anzi, lo Stato più ricco d’Europa, sia dal punto di vista economico, sia da quello artistico e culturale, fu quello impiantato in Italia Meridionale.


La conquista dell'Italia Meridionale

Nell’XI secolo, prima della conquista normanna, l’Italia Meridionale era divisa in tanti piccoli principati. I principali erano l’Emirato arabo di Sicilia, il Catapanato (dal greco «katá», su, e «pán», tutto, cioè dominio su ogni cosa) bizantino di Puglia e Calabria, i principati longobardi di Benevento e di Capua, i ducati di Napoli, Gaeta, Sorrento e Amalfi. La maggioranza della popolazione era cattolica; alcuni Stati, come la Puglia, erano abitati da Greci ortodossi, mentre in Sicilia molti erano i musulmani provenienti dall’Africa Settentrionale. Nel secolo precedente, due principi longobardi, prima Pandolfo Testadiferro e poi Guaimaro V, avevano tentato di trasformare l’Italia Meridionale in un unico Regno, ma non erano riusciti nel loro intento.

I primi Normanni a metter piede sulle coste della Penisola non furono conquistatori: provenienti dalla Normandia, transitavano attraverso l’Italia per recarsi a Gerusalemme come pellegrini.

Molti di essi non tardarono però ad accorgersi che i territori dell’Italia Meridionale, sconvolti dalle continue lotte tra i vari principi, si prestavano facilmente ad una conquista. Bastava saper trovare il modo più opportuno. Nel 1016, racconta il monaco di Montecassino Leone Ostiense nella Chronica Monasterii Casinensis, «quaranta Normanni, tornando da Gerusalemme in abito da pellegrini, sbarcarono a Salerno: uomini in verità alti di statura, belli di aspetto ed eccezionalmente esperti d’armi. Trovarono Salerno assediata dai Saraceni e le loro anime si accesero per voler di Dio: chieste armi e cavalli a Guaimario il Vecchio, che allora era signore di Salerno, si scagliano su costoro e riportano una vittoria miracolosa, col favore di Dio, uccidendo una quantità di nemici e mettendo in fuga il rimanente […].

Affermando di avere fatto questo soltanto per amore di Dio e della religione cristiana, rifiutano ogni dono e dicono di non potersi trattenere colà. Perciò il principe, consigliatosi con i suoi, insieme a questi stessi Normanni, invia dei propri ambasciatori in Normandia e manda colà delle frutta, degli agrumi, delle mandorle, delle noci dorate, delle vesti di porpora, dei finimenti da cavallo ornati di oro finissimo.

Così non solo invitò ma trascinò costoro a passare in una terra che produceva tali cose».

Da quell’anno, infatti, molti altri guerrieri normanni vennero nell’Italia Meridionale per mettersi al servizio dei vari principi che vi governavano come soldati mercenari. Era una tattica che presto o tardi doveva dare i suoi frutti: infatti, qualora un capo normanno fosse riuscito ad ottenere per un principe una grande vittoria, avrebbe certamente avuto come compenso un territorio in Italia. Fu il caso di Arnolfo Drengot che, per essersi distinto nella guerra tra il principe longobardo di Capua e il duca di Napoli, ebbe in dono da quest’ultimo, nel 1030, la fortezza di Aversa e la terra circostante, in Campania: la prima contea normanna in Italia. Dopo il successo di Arnolfo, altri capi normanni decisero di recarsi in Italia per procurarsi terre e danaro.

Le grandi conquiste dei Normanni nell’Italia Meridionale furono opera principalmente di una sola famiglia, quella di Tancredi di Altavilla o Hauteville, una località nei pressi di Coutances in Normandia.

Tancredi si era sposato due volte ed aveva avuto undici figli. Poiché non era ricco, alla sua morte i figli non potevano aspettarsi granché: fu per questo che cinque di loro decisero di cercare fortuna in Italia.

Un figlio, Guglielmo, soprannominato «Braccio di ferro» per aver ucciso con una sola mano l’Emiro di Siracusa durante una battaglia, svolse le sue vittoriose imprese in Puglia: sconfitti i Bizantini in tre grandi battaglie (1041), egli riuscì ad impadronirsi della parte settentrionale della regione, divenendo conte. Un giorno, benché fosse malato, uscì dalla tenda e con grande valore guidò i suoi uomini alla vittoria contro i nemici.

Un altro figlio, Roberto il Guiscardo cioè «l’Astuto» (1015-1085), nei primi anni che era in Italia faceva il ladro di bestiame, ma si guadagnò anche la fama di soldato coraggioso. Alla morte di Unfredo, avvenuta nel 1057, combatté in Calabria e, dopo una serie di scontri, riuscì a togliere ai Bizantini l’intera regione.

Le conquiste dei due Normanni allarmarono il Papa Leone IX, che vedeva minacciato da vicino il ducato di Benevento, appartenente alla Chiesa. Stipulata un’alleanza con i Bizantini, il Pontefice si decise a dichiarare guerra ai Normanni. Ma in una grande battaglia, combattuta nel 1053 sul fiume Fortóre, presso Foggia, l’esercito alleato venne completamente distrutto dalle truppe di Roberto e lo stesso Papa fu fatto prigioniero.

Ma Leone IX fu quasi immediatamente liberato: con questa decisione, i due fratelli normanni vollero dimostrare di non essere nemici della Chiesa. Infatti, nel 1059, Roberto non esitò a firmare col Papa Niccolò II un accordo mediante il quale si riconosceva «vassallo di Santa Chiesa» e giurava di porsi in avvenire al suo servizio. Nello stesso anno, il Papa non solo concedeva a Roberto il titolo di duca di Calabria e di Puglia, ma gli riconosceva il dominio su tutti gli altri territori che fosse riuscito in seguito a strappare ai Bizantini e agli Arabi della Sicilia, mentre la città di Benevento rimase in possesso della Chiesa.

Così, in pochi decenni, i Normanni, da semplici soldati mercenari, erano divenuti padroni di buona parte dell’Italia Meridionale. E ciò che più importava era il fatto che il loro dominio, riconosciuto dalla suprema autorità della Chiesa, otteneva anche il riconoscimento di tutti gli Stati Europei.

Da astuti guerrieri quali erano, i Normanni non intraprendevano mai un’impresa se non quando essa presentava buone probabilità di successo: l’invasione della Sicilia fu iniziata nel 1061, quando l’isola, sconvolta dalle lotte fra i vari Emirati arabi, sembrò prestarsi ad una facile conquista. L’impresa venne condotta soprattutto da Ruggero I (1031-1101), il fratello più giovane di Roberto il Guiscardo: occupata Messina, Ruggero iniziò la conquista dell’interno servendosi di truppe pugliesi e calabresi, poste al comando di capi normanni. Fu un condottiero molto popolare perché era bello, astuto e coraggioso; partecipò a quasi tutte le battaglie. Un inverno, nell’assedio di Troina durato quattro mesi, lui e la moglie Giuditta avevano una sola coperta per ripararsi. Nel 1071 Roberto prese la città di Bari, dove l’Imperatore Bizantino aveva una base da più di cinquecento anni, espellendo del tutto i Bizantini dalla Penisola; dopo pochi mesi fece vela per la Sicilia con una flotta di cinquantotto navi con obiettivo il porto di Palermo. Mentre Ruggero attraversava l’isola per la via di Troina e poneva l’assedio a Palermo da terra, Roberto bloccava l’accesso al porto dal mare; dopo un assedio di alcuni mesi, i due fratelli riuscirono a conquistare la città. Nel 1085, dopo un ennesimo assedio, presero un altro grande porto, Siracusa. Ma la lotta in Sicilia fu più dura di quanto potesse sembrare: gli Arabi si difesero tenacemente e solo nel 1091 i Normanni riuscirono ad estendere il loro dominio su tutta l’isola; alla fine, Ruggero prese per sé il titolo di conte di Sicilia.

Se la conquista della Sicilia fu considerata una specie di Crociata, perché gli Arabi erano di religione islamica, molti baroni, cavalieri e fanti normanni parteciparono alla Prima Crociata in Terrasanta. Il più importante di loro fu Boemondo il Gigante (1056-1111), figlio di Roberto il Guiscardo. Una principessa bizantina, che lo incontrò quand’era ancora giovane, scrisse di lui molti anni dopo: «Era così alto da sovrastare anche le persone più alte. I suoi occhi grigio-azzurri avevano molta dignità, ma nei momenti d’ira lanciavano lampi tremendi». Nel 1098, Boemondo cinse d’assedio la grande e prosperosa città di Antiochia; dopo molti mesi d’assedio, i Crociati decisero di conquistare la città con uno stratagemma: una sera al tramonto finsero di abbandonarla, ma tornarono con il favore delle tenebre. Al mattino, sotto la guida di Boemondo e con l’aiuto di un complice dentro la città, riuscirono a sferrare un attacco tanto violento quanto inaspettato, una battaglia sanguinosa durante la quale vennero massacrati moltissimi Turchi, anche donne e bambini; poco dopo, sopra le mura della città sventolava il vessillo purpureo di Boemondo. Circa due settimane dopo, l’intero esercito di Boemondo uscì da Antiochia e sconfisse un numeroso contingente di Turchi. Fu la vittoria più importante riportata dai Cristiani in una battaglia durante la Prima Crociata, anche se è improbabile che la conquista della città abbia aiutato molto i Crociati nella loro marcia verso Gerusalemme. Poi, mentre il resto dell’esercito crociato puntava su Gerusalemme che fu conquistata l’anno successivo, Boemondo rimase ad Antiochia di cui divenne principe, fondandovi un nuovo Stato Normanno la cui durata fu di quasi duecento anni.

Nel 1101, unico capo dei Normanni rimase Ruggero II, figlio del conquistatore della Sicilia. Di tutti i possedimenti normanni in Italia, che comprendevano la Sicilia, la Calabria, la Puglia e la Campania (più, dal 1147, l’isola di Corfù da lui occupata), egli decise di formare un’unica grande Monarchia: il Regno di Sicilia. Nel giorno di Natale del 1130 Ruggero II si fece incoronare Re di Sicilia nella Cattedrale di Palermo.

Territori normanni

I territori normanni in Italia Meridionale

La cerimonia per l’incoronazione fu particolarmente fastosa. Il nuovo Re Normanno si avviò verso la Cattedrale preceduto da tutti i baroni e i cavalieri del Regno. Questi procedevano a due a due, su cavalli rivestiti di finimenti d’oro e d’argento. Seguivano poi i cortigiani in abiti smaglianti.

Nella Cattedrale, addobbata sontuosamente, Ruggero II venne consacrato Re dagli Arcivescovi di Palermo, Benevento, Capua e Salerno. Il ricevimento che seguì al palazzo reale fu talmente sontuoso, da superare in splendore persino quelli della sfarzosa corte bizantina di Costantinopoli.

Per i successivi cinquant’anni, ed oltre, il Regno di Sicilia fu il più grande Regno d’Europa: di carattere per metà orientale e per metà europeo, fu un Paese ricco culturalmente, politicamente e finanziariamente. In nessun altro Regno uomini di tante lingue e religioni diverse riuscirono a convivere pacificamente.


La civiltà normanna in Italia

«I Normanni» scrisse Goffredo Malaterra, uno storico italo-normanno dell’XI secolo, «sono un popolo astuto e vendicativo… Le armi e i cavalli, il lusso nel vestire, gli esercizi della caccia in genere e della caccia col falco, sono la delizia dei Normanni; ma in caso di necessità sono capaci di sopportare con incredibile pazienza ogni inclemenza del clima e le fatiche e le privazioni della vita militare».

Questo popolo rude e tenace non si comportò però come altri conquistatori, che tendono ad opprimere i propri sudditi imponendo la loro lingua e i loro modi di vivere; i Normanni ebbero la rara accortezza di permettere che Arabi, Greci, Longobardi e Latini continuassero a parlare la loro lingua e rimanessero fedeli alla loro religione e alle loro tradizioni. Se ne può avere la prova nella seguente dichiarazione di Ruggero II: «Non sarà portato nessun attentato agli usi, ai costumi e alle leggi dei popoli sottomessi al nostro potere. Ebrei, Greci, Arabi, Longobardi e Latini saranno giudicati ciascuno secondo la propria legge». Questo modo così saggio di governare, procurò all’Italia Meridionale e alla Sicilia un periodo di grande prosperità. Non sentendosi oppresse, le popolazioni locali non pensarono di ribellarsi alla Monarchia normanna, ma contribuirono al progresso del Regno.

Si può anche leggere la descrizione che Amato, monaco di Montecassino, fa di Roberto il Guiscardo nella sua Historia Normannorum, presentandolo come un vero e proprio campione della Fede: «Questo duca fu dotato di ogni virtù e sorpassò in tutti i modi gli altri; perché era tanto umile che, quando stava tra la sua gente, non sembrava il signore ma uno dei suoi cavalieri. E non vi fu alcuno, fosse povero, donna, vedova o fanciullo, che non potesse rivolgersi a lui e manifestargli tutta la sua misera condizione. Era giudice giusto di quanti avevano a che fare con lui; e, giudicando secondo giustizia, distribuiva il perdono e la pietà. Onorò i Sovrani Pontefici e difese e conservò i loro possessi, e diede loro del suo. E riveriva Vescovi e abati, e temeva Cristo in coloro che ne sono i vicari. Non volle, come qualche principe, ricever servizio da questi prelati, ma s’inchinò a servirli.

[…] Ma chi potrà descriverne il gran cuore? Perché le minacce dell’Imperatore non gli incutevano spavento; le risoluzioni dei rivali non gli provocavano turbamento, né lo intimorivano i castelli ben muniti e forti. Le armi di tutti i suoi nemici non lo facevan fuggire; lui invece faceva paura a tutti e nessuno perturbava la sua prosperità e la sua buona fortuna.

[…] Un monaco del monastero di San Lupo, il quale monastero si trova dentro la città di Benevento, dopo il mattutino si trattenne in chiesa a dire le orazioni. E d’un tratto si addormentò. E vide in sogno due campi pieni di gente; e di questi campi, uno era molto grande, l’altro piccolo. E molto si meravigliò il monaco, e si chiese di dove venisse tanta gente. Allora venne a lui uno, e gli disse: “Queste sono le genti che la Maestà di Dio ha assoggettate a Roberto Guiscardo; e questo campo più grande è quello della gente che a lui deve essere sottoposta, ma ancora non lo è”. E poi si svegliò il monaco, e si meravigliò molto di questa visione».

Capo supremo dello Stato era il Re, al quale spettava anche il comando dell’esercito. Due organi principali dello Stato normanno erano il «Consiglio privato» e la «Curia regis» (curia del Re): il «Consiglio privato», composto da funzionari nominati direttamente dal Re, era addetto all’amministrazione dello Stato; la «Curia regis» era il tribunale supremo dello Stato e giudicava i sudditi secondo le leggi del loro popolo. Le terre dello Stato furono distribuite come feudi ai nobili, ma ai contadini che erano proprietari di poderi non venne tolto nulla.

I Normanni si adoperarono in ogni modo per dare pace e benessere al nuovo Regno; la Sicilia, che già al tempo degli Arabi aveva goduto di grande prosperità, conobbe un benessere ancora maggiore. Palermo, la capitale, raggiunse uno splendore e una ricchezza eccezionali; l’Arabo Ibn Giobair, che ebbe occasione di visitarla, rimase talmente ammirato da scrivere: «È la più vasta e la più bella metropoli del mondo, la città di tutte le eleganze, della quale non si finirebbe mai di enumerare gl’incanti». La città era allora formata da tre grandi quartieri: al centro, circondati da alte mura fortificate, si elevavano la Cattedrale e il Palazzo Reale, fiancheggiato dalla Torre Pisana e da quella Greca. Nel Palazzo Reale, di un fasto inaudito, erano comprese le abitazioni degli ufficiali e dei servitori.

I Normanni non ebbero un loro proprio stile architettonico, ma seppero combinare in modo originale e geniale gli elementi arabi, bizantini e romani: per esempio, la chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi a Palermo, eretta nel XII secolo, ha le cupole bizantine e gli archi normanni. Si venne così a creare un’arte che viene chiamata siculo-normanna e che vanta numerosi capolavori: è d’obbligo citare a Palermo la Cattedrale, la chiesa di San Giovanni degli Eremiti, la chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, il Palazzo della Favara, la Cappella Palatina; a Cefalù la Cattedrale; a Monreale la Cattedrale e il Chiostro.

Cattedrale di Palermo

La Cattedrale, Palermo (Italia); fotografia di Simone Valtorta, 2008

Venuti a contatto con civiltà diverse, i Re Normanni ne subirono l’influsso: soprattutto negli abiti e nel cerimoniale talvolta imitarono gli Arabi, tal’altra i Bizantini. Così ora si cingevano il capo con una corona rotonda di tipo bizantino, ora con una specie di tiara di tipo orientale. Ora indossavano la dalmatica bizantina, ora invece si ricoprivano le spalle con l’ampio mantello color terra portato dagli Emiri.


La fine dei Normanni

Il fatto più misterioso della storia dei Normanni è la loro scomparsa dalla scena europea: per ben duecento anni avevano influenzato la storia dell’Europa. Storici famosi come Goffredo Malaterra scrissero che i Normanni, dovunque andassero, si consideravano sempre un popolo distinto e separato.

Ma, durante la metà del XII secolo, qualcosa cambiò: i Normanni cominciarono a considerarsi Francesi, Inglesi, Italiani, non più Normanni.

Fu probabilmente la propensione a mescolarsi agli altri popoli con il matrimonio che fece perdere ai Normanni la propria identità: Roberto il Guiscardo ripudiò la moglie normanna per sposare un’Italiana e Boemondo, principe d’Antiochia, sposò la figlia del Re di Francia.

Molti Normanni preferirono abitare nei loro nuovi possedimenti situati in Inghilterra, in Italia e in Sicilia, dove potevano condurre un tipo di vita molto più comodo di quanto non avrebbero fatto in Normandia. Alcuni, come Ruggero II di Sicilia, in Normandia non avevano mai messo piede. In generale parlavano la lingua della gente con cui erano venuti a convivere e ne condividevano le abitudini.

La scomparsa dei Normanni può essere datata in base ad alcuni avvenimenti precisi: in Inghilterra nel 1154, con l’ascesa al trono di un conte d’Angiò; in Sicilia nel 1194, con l’avvento di un Sovrano Tedesco (nel 1185 l’ultima erede al trono, Costanza d’Altavilla, si era unita in matrimonio con Enrico VI di Svevia, figlio di Federico Barbarossa, perciò il Regno Normanno entrava a far parte dell’Impero Germanico); in Normandia nel 1204, con la conquista del Paese da parte dei Francesi. Per quanto riguarda gli eredi di Boemondo, benché abbiano continuato a regnare su Antiochia durante il XIII secolo, persero definitivamente ogni legame con i Normanni degli altri Paesi.

(settembre 2012)

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