La medicina dei Longobardi
Vicende note e meno note. I Santi Cosma e Damiano

Lo storico Franco Fornasco nella sua pubblicazione dal titolo La medicina dei Longobardi[1] affronta un argomento storico davvero interessante e non sempre conosciuto: il percorso che portò i dominatori longobardi ad appropriarsi delle conoscenze romane in ambito medico, facendole proprie e connotandole con nuove esperienze personalizzate. Ci fu un impatto decisivo tra la medicina ancestrale longobarda e le dotte medicine romane e bizantine. L’Autore in questo caso ha saputo cogliere il rapporto tra la medicina longobarda e le cure monastiche coeve, definendo così il ruolo delle strutture ospedaliere del tempo ed evidenziando come la pratica della medicina, non più disgiunta dal ruolo professionale e sociale di chi la esercitava, fece sì che la figura del medico venisse sancita giuridicamente nel diritto longobardo. I Longobardi si appropriarono dunque delle conoscenze mediche precedenti e privilegiarono nel dettaglio alcune specie botaniche, medicinali usati e impiegati su larga scala per il periodo. Ciò mette indubitabilmente in luce il loro vasto interesse per la materia. Così partendo da quanto Fornasco definisce, cerco qui di suggerire personali riflessioni, dettate da situazioni storiche elaborate nei miei studi nel corso del tempo.

A volte non basta in modo assolutamente scientifico definire complesse situazioni socio-culturali, come in questo caso fa opportunamente lo storico Franco Fornasco, ma desta interesse e curiosità comprendere l’altrettanto vasto contributo longobardo per i Santi Cosma e Damiano, patroni entrambi dei medici. Ciò permette di capire che accanto alla fede, c’erano anche complesse finalità sociali, ideologiche e, perché no, politiche. Un po’ come avviene adesso su larghissima scala.

Possiamo facilmente apprendere come i Santi Cosma e Damiano siano noti come Santi medici. Sono infatti stati due medici romani, gemelli, nati in Egea nel 260 dopo Cristo e morti a Cirro nel 303. La tradizione li vuole nella prima generazione di martiri durante l’Impero di Diocleziano e ricevono venerazione da tutte le Chiese Cristiane che seguono il culto dei Santi. I due medici non vollero mai denaro per le loro prestazioni. Dunque la tradizione li vuole come Santi non mercenari. Tre tradizioni storiche definiscono i due Santi: una «asiatica», ossia di Costantinopoli; una «romana» che ebbe la meglio nell’Europa Occidentale Siriana, e una «araba» diffusasi prioritariamente nell’Europa Occidentale e a Roma in particolare. Tutte hanno la stessa comune matrice nel definire i due fratelli gemelli. Evidentemente in seguito, ossia nel Medioevo, si ebbe particolarmente a cuore il ruolo dei due fratelli attingendo indistintamente dalle tre direttrici e amando indiscutibilmente un sincretismo culturale che ne contraddistinse l’operato.

I medici «cavalieri» longobardi furono tali perché indubitabilmente molti Ordini cavallereschi privilegiarono lo sforzo di sostenere i pellegrini e con essi le ferite e malattie che li accompagnarono. Penso al Tau, ai Gerosolomitani, ma agli stessi Cavalieri Templari. Alcuni si specializzarono maggiormente in ambito medico, altri invece fecero di quest’opera un’appendice alle loro imprese militari.

Ma dove, nei territori toscani, possiamo trovare importanti vestigia che ricordano una particolare affinità tra i Cavalieri del Tempio e i Santi Cosma e Damiano?

I territori ricchi di simbolismo templare sono sicuramente quelli della Val di Lima che ci conduce a ridosso dei comuni montani siti tra la provincia di Lucca e quella di Pistoia. Dai paesi di Bagni di Lucca come Vico Pancellorum, Limano, Lucchio seguendo la statale del Brennero ci troviamo a Piteglio e proseguendo in direzione pistoiese verso San Marcello ci addentriamo nei territori che rimandano alla montagna pistoiese e prima ancora alla Svizzera Pesciatina. Giungendo a Pescia troviamo l’intitolazione dell’ospedale locale proprio ai Santi Cosma e Damiano.

Perché questi territori? Vediamo di offrire una spiegazione scientificamente plausibile.

Nella Val di Lima si insediarono i Suffredinghi, la casata longobarda più diffusa durante il Ducato Longobardo Lucense.

Esattamente erano posizionati in un paese, Lugliano, dove le antiche mura romane divennero luogo privilegiato e fortificato per chi doveva come questi cavalieri difendere il territorio con i denti e con le unghie. Lugliano ha una vista panoramica assoluta tra la Valle del fiume Serchio e la Valle della Lima. L’attuale via del Brennero che conduce verso Modena e attraverso la Pianura Padana verso il Brennero e i territori tedeschi fu certamente la strada percorsa da questi gruppi parentali longobardi per giungere in epoca remota in Italia e soprattutto per mantenere i legami esistenti con le terre d’oltralpe. Dunque via del Brennero significava senza alcun dubbio strada di casa. Prendiamo un personaggio celebre che visse e regnò in questi luoghi in epoca medievale: Matilde di Canossa. Era cugina dell’Imperatore Tedesco Enrico IV. Sua madre era infatti Beatrice di Lorena, cugina di Enrico, e i Lorena, lo sappiamo, furono tra le casate europee che più sostennero l’Ordine Templare. Il matrimonio tra Beatrice di Lorena, madre di Matilde, e il padre della Grancontessa, Bonifacio, non fu casuale. La casata Attonide, a cui apparteneva Matilde, che prendeva però il via da Sigifredo Atto, conte lucchese che col suo nome si avvicinava indubitabilmente a quei Sigifredi Lucchesi o Suffredinghi così diffusi sul territorio e così all’epoca potenti, manteneva a sua volta legami stretti, anche parentali, con i territori d’oltralpe. La casata di Lorena era una delle più importanti in Europa e sicuramente gli accordi con gli Attonidi ci furono non solo perché gli Attonidi erano emergenti in Italia ma anche per legami pregressi, come accadeva sempre del resto, tra le casate di stirpe longobarda.

La Val di Lima quindi non poteva che essere luogo privilegiato per questi cavalieri. Non fu forse Baldovino Re Cristiano di Gerusalemme per antonomasia? E il suo valido cavaliere Goffredo di Buglione cugino di Beatrice di Lorena e della stessa Matilde?

Altro paese sotto l’egida di questi cavalieri era sicuramente Benabbio, sempre in Val di Lima, confinante con i territori pesciatini. Paese che si chiamò Menabbio e che fu governato dai Lupari, ma dove i cavalieri longobardi tutti poggiarono la loro benevolenza. I resti dell’imponente castello come delle restanti fortificazioni poste in ognuno di questi splendidi paesi arroccati sono testimonianza di tali passaggi. Si trattava delle loro impervie montagne ma al tempo stesso dei loro porti sicuri, dove potevano nascondersi facilmente nelle fitte boscaglie, tra i torrenti limacciosi (Lima è il nome del loro fiume torrenziale) e nello stesso tempo ricchi di sentieri che conducevano verso la Pianura Padana e l’Europa Centrale. I teschi dei Santi Cosma e Damiano sono conservati non per niente nella splendida chiesa di San Michele di Monaco di Baviera.

Ho ricordato anche in altra ricerca come Vico Pancellorum, uno di questi paesi, sia ricchissimo grazie alla sua chiesa locale di simbolismi templari. Ma altrettanto possiamo dire dei paesi a ridosso della Svizzera Pesciatina, della prima montagna pistoiese e del comune di San Marcello – Piteglio.

In direzione del Passo del Saltello, via Reggio Emilia, verso Canossa. Quella che tutt’ora viene definita come via matildica per antonomasia. Proprio su quelle strade troviamo moltissimi luoghi a simbologia templare. E i cavalierati non sono stati dimenticati in Pescia, con l’intitolazione a Cosma e Damiano dell’ospedale locale.

Ritornando a Beatrice di Lorena e alla Lotaringia come sua terra elettiva (Lorena è solo la francesizzazione di Lotaringia), qui regnarono i Franchi che come dinastia fecero spazio ai nemici Longobardi al punto che in Italia lasciarono di fatto ai vinti campo libero, permettendo loro di continuare nei secoli a governare i territori italiani.

La storia d’Europa e non solo d’Italia è fatta dunque di questo inscindibile connubio tra Franchi vincitori e Longobardi perdenti in un «unicum», anche parentale.

I cavalierati con questo connubio si crearono e rafforzarono dunque inesorabilmente, e furono non solo militari ma come ben sappiamo «sociali» là dove sostennero la salute dei pellegrini, dei viandanti ma anche della popolazione locale.

Cosma e Damiano furono quindi simbolo senza alcun dubbio di pauperismo e solidarietà, della pietà cristiana. Campeggia all’ingresso dell’ospedale di Cosma e Damiano di Pescia lo stemma di Pietro Leopoldo di Lorena che governò la Toscana come Granduca e che rimanda a questo pauperismo inseguito sin da epoca remota da chi si fece paladino, come la casata Lorenese, di questi valori. Pietro Leopoldo per tradizione familiare si ricordò perfettamente del ruolo svolto nei territori pesciatini e dell’intera Val di Lima di questi cavalieri antichi mai rimossi dall’immaginario collettivo e dalla storia della sua stessa casata. Ed anche per questo intitolò l’ospedale pesciatino ai Santi Cosma e Damiano che più di ogni altro personificavano quei luoghi e quei simboli.


Nota

1 Franco Fornasco, La medicina dei Longobardi, Biblioteca di storia alto adriatica, numero 1, collana Bsaa.

(novembre 2020)

Tag: Elena Pierotti, Santi Cosma e Damiano, Beatrice di Lorena, Cavalieri del Tau, Cavalieri Gerosolomitani, Cavalieri Templari, Baldovino del Belgio, Pietro Leopoldo di Lorena, Franco Fornasco, medicina dei Longobardi.