Un «conquisteremo Roma» del X secolo nella storia della Sicilia Musulmana
Nel X secolo, un esercito musulmano si mise in marcia dalla Sicilia per conquistare Roma, secondo un progetto che l’Islam seguiva dal suo sorgere e non ha ancora abbandonato

In questi giorni gira nel mondo globale dell’informazione un antico monito, un leitmotiv che ricorre in tutte le guerre scatenate nel Medioevo contro il Cristianesimo, promosse dall’Islam sin dal suo apparire sullo scenario storico: «Conquisteremo Roma e il Mondo». A lanciarlo, oggi, è lo «Sceicco Ibrahim», al secolo, al Baghdadi, leader di uno Stato Islamico (IS), fondato su gran parte dei territori dell’Est della Siria e dell’Ovest dell’Iraq e autoproclamatosi Califfo dei Musulmani nonché capo delle milizie Jadiste. Ed in questo, colui che già definiscono «il Califfo Nero», non è troppo dissimile da tanti condottieri islamici che nella storia, travagliata e, insieme, gloriosa dell’Impero Islamico, hanno proclamato la lotta lungo il sentiero tracciato da Dio contro i nemici dell’Islam. Uno dei tanti «ghd» (gihad) fu proclamato sullo spirare del 900 dopo Cristo da Ibraim-ibn-Ahmed, signore di Kairouan (città tunisina posta a poca distanza dalla costa orientale) e governatore, per conto del califfato Abbaside di Baghdad, dell’Africa del Nord (l’Ifriqiyyah musulmana). Furono gli stessi storici arabi del Medioevo a dipingerlo come uno dei più sanguinari e temibili capi musulmani per la spietatezza utilizzata nel reprimere i suoi avversari sia interni che esterni. Scritti raccolti e tradotti dal grande studioso Michele Amari (1806-1889) nella monumentale opera, Storia dei Musulmani di Sicilia in tre volumi, editi a partire dal 1854. Fu proprio nel reprimere una delle tante rivolte del Magreb berbero che Ibraim si macchiò di colpe gravi nei confronti dei suoi stessi correligionari: massacrò intere famiglie musulmane di oppositori oltre a rendere schiave le donne, anch’esse di fede islamica. Ciò comportò l’intervento diretto del Califfo di Baghdad che, dopo i numerosi richiami verbali caduti nel vuoto, passò alle vie di fatto intimando ad Ibraim di abdicare in favore del figlio maggiore e di recarsi immediatamente a Baghdad per rispondere delle accuse. Il signore di Kairouan, per tutta risposta, indossò povere vesti e andò in pellegrinaggio a Susa, città santa del Maghreb islamico, e qui iniziò a predicare la guerra santa contro gli infedeli. Dando fondo alle sue immense ricchezze private, Ibraim in pochi mesi raccolse ed armò un imponente esercito e prima di salpare per la Sicilia inviò una missiva ufficiale al Califfo Abbaside con la quale lo informava che avrebbe ubbidito agli ordini. Infatti, lasciò la carica di governatore al figlio maggiore che era anche a capo dell’Emirato Siciliano. Si sarebbe recato pure a Baghdad, ma prima desiderava raccogliersi in preghiera sui luoghi santi della Mecca e per giungervi non avrebbe seguito la via normale e più breve che attraversava l’Egitto, bensì avrebbe intrapreso la via di terra più lunga: quella della Sicilia passando da Roma. Così riporta l’Amari le parole del jaista: «[…] m’aspetti Roma, la città del vecchierello Pietro con i suoi mercenari germanici e franchi; e poi verrà l’ora di Costantinopoli […]». La conquista di Roma, sede del Papato, e di Costantinopoli, capitale dell’Impero Cristiano di Bisanzio erano gli obiettivi sbandierati dall’intrepido Ibraim.

Passò in Sicilia con l’esercito e, dopo essersi proclamato Emiro dell’isola e aver ingrossato le proprie schiere con le milizie siciliane, si scagliò sugli ultimi centri abitati che nell’isola resistevano da quasi cento anni alla conquista musulmana, Taormina, Mico (?), Rèmata (Rometta) e Demenna (?). Taormina fu la prima ad essere investita dall’offensiva araba. E nonostante la guarnigione bizantina, con coraggio, fosse uscita fuori dalle mura ad affrontare l’armata nemica, Ibraim riportò una vittoria schiacciante costringendo i Taorminesi a rifugiarsi nell’imprendibile rocca di Castel Mola, fiduciosi in possibili aiuti da parte dell’Impero Romano d’Oriente. L’impresa non poteva aspettare. Il condottiero musulmano ordinò alle sue fedeli guardie personali di trovare una via per espugnare la fortezza nemica altrimenti avrebbero perso le proprie teste. In una notte, gli arditi soldati riuscirono a scalare una delle più scoscese pareti rocciose di Castel Mola, proprio quella da dove i difensori non si aspettavano attacchi. Fu la fine. Tra i prigionieri di Ibraim, anche il Vescovo di Taormina, Procopio, al quale lo stesso principe dell’Islam propose l’abiura della fede cristiana con la successiva nomina ad alto dignitario con poteri eccezionali, tali da risultare secondo solo allo stesso Ibraim. L’anziano Vescovo rifiutò e fu ucciso. Sul suo corpo, ad uno ad uno, furono decapitati tutti gli abitanti superstiti: «[...] fece trucidare con gli uomini da portar armi, anco le donne, i bambini, i chierici, cui la legge musulmana perdona la vita; fece porre fuoco alla città; dar la caccia ai fuggenti per le foreste di quei monti ed entro le caverne […]». Gli altri centri abitati cristiani della Val Demona, caduta Taormina, furono costretti alla resa divenendo tributari dell’Emirato di Sicilia. Condizione che si protrarrà sino al 962, quando Taormina e Rèmata (oggi Rometta) rigetteranno i patti di sottomissione impugnando le armi della rivolta. E questa volta, Taormina assediata da un nuovo esercito musulmano, capitolerà senza resistere nel dicembre dello stesso anno, mentre Rometta resisterà, dopo due anni di assedio, sino al maggio del 965, quando gli ultimi difensori ormai allo stremo, dopo aver fatto uscire dalle mura donne e bambini che saranno accolti nel campo islamico, cadranno con le armi in pugno battendosi sino all’ultimo uomo pur di non sottomettersi.

Conquista di Taormina

La conquista di Taormina, miniatura tratta dal Codex Skylitzes Matritensis del XII secolo, Biblioteca Nacional de España, Madrid (Spagna)

Il 3 settembre del 902, Ibraim, dopo aver ridotto all’obbedienza gli ultimi focolai di resistenza cristiana di Sicilia, attraversò lo Stretto di Messina e, travolgendo nella sua avanzata verso Roma ogni resistenza delle città calabre, giunse a Cosenza, la quale coraggiosamente resistette ai primi tentativi di assalto dell’armata musulmana. Qui, il condottiero arabo ponendo l’assedio, ribadì i suoi obiettivi di conquistare Roma e Costantinopoli. Ma successe l’inevitabile. Sotto le mura di Cosenza, il temibile e ambizioso Ibraim fu colto da un’improvvisa febbre che all’età di 53 anni lo condusse alla tomba. Il suo vice, che assunse il comando dell’armata islamica, più realista, reputò opportuno ritirarsi in Sicilia, carico di bottino e di prigionieri, che continuare oltre l’ambiziosa impresa di Ibraim-ibn-Ahmed.

(febbraio 2015)

Tag: Piero Gazzara, Islam, Medioevo, X secolo, Roma, Michele Amari, Sicilia Musulmana, guerra santa, gihad, musulmani contro Roma, Ibraim-ibn-Ahmed, Emirato di Sicilia, Taormina, Rometta, Costantinopoli, Impero Bizantino.