I Castracane degli Antelminelli
Un nome, una dinastia, la nostra storia nazionale

Quando parliamo di Castruccio Castracane degli Antelminelli pensiamo comunemente al Castruccio condottiero e poi Signore di Lucca che con altri personaggi analoghi del suo tempo fece dei liberi Comuni diniego, impostando quelle Signorie di cui lo stesso Niccolò Machiavelli ampiamente tratta nel suo celebre Principe. Il Castruccio del Trecento è in buona compagnia: Matteo Visconti a Milano, Cangrande della Scala a Verona, sono solo alcuni dei più noti che con Castruccio segnarono la vita d’Italia. Castruccio Castracane fu per tradizione ghibellino, e per ghibellino nel suo caso dobbiamo intendere la volontà di affrancarsi da Roma al punto che considerò questa possibilità come l’unica chance in grado di aggiudicare alla propria città, Lucca, indipendenza ed onori.

La sua famiglia ha antica tradizione, anche se gli storici sono sempre stati combattuti nell’attribuire una antica nobiltà ai Castracani, definiti sovente come banchieri «convertiti» all’arte della guerra. Si aprirebbero qui spunti di analisi interessanti, ma ciò che più conta è che la dinastia dei Castracane non si è estinta con Castruccio. Dalla sua discendenza collaterale, in specifico da Francesco, Castruccio ha ancora oggi i suoi discendenti, che dimorano nelle Marche e sono i Castracane degli Antelminelli da Fano.

C’è nel XIX secolo un Castruccio Castracane degli Antelminelli, omonimo del più celebre Castruccio, altrettanto significativo per la nostra storia nazionale. Fu un Cardinale che si trovava a Palestrina come Vescovo quando Garibaldi vi giunse con le sue truppe, essendo egli deceduto nel 1852, all’età di 72 anni. Era un Padre Gesuita, nato a Urbino il 21 settembre 1779. Nominato Cardinale da Gregorio XVI durante il Concistoro del 15 aprile 1833; di lui, stranamente, dicono gli storici, lo stesso Martina, storico dell’Ordine Gesuita, non fa menzione nei suoi testi.

Metterò a confronto i due Castracane omonimi che in epoche successive e molto lontane cronologicamente ma non proprio storicamente, hanno segnato la nostra storia nazionale.

Andare a ritroso nel tempo in questo caso è essenziale. «A rébour», come dicono i Francesi, che non sono affatto estranei, per la verità, alle vicende che sto per descrivere.

Durante il Risorgimento, nel 1849, gli storici ricordano che il tenente Luigi Cucelli si distinse a Palestrina, accompagnando la ritirata di Garibaldi che difendeva la Roma Repubblicana del triumvirato Saffi, Mazzini, Armellini. Chi era davvero il Padre Gesuita Castruccio Castracane degli Antelminelli? Aveva la sua famiglia d’origine contatti con quei patrioti lucchesi cui ho fatto in alcuni scritti riferimento, di estrazione cattolico liberale?

I contatti familiari c’erano. I Castracane degli Antelminelli da Fano sono tutt’ora i Signori di Coreglia Antelminelli, piccola frazione della Media Valle dove durante il Risorgimento questi patrioti operarono ampiamente. Basta ricordare che la prima maschera funebre dedicata a Cavour fu commissionata proprio a Coreglia, limitrofa per altro alla Bagni di Lucca «sovversiva» ed «inglese» ed alla Barga del patriota garibaldino e prodittatore della Sicilia ai tempi della spedizione dei Mille, Antonio Mordini.

Castruccio Castracane degli Antelminelli da Fano non poteva non avere contatti ad esempio con Terenzio Mamiani, che proveniva geograficamente dalle stesse terre marchigiane e che con Lucca e la Toscana mantenne vivi rapporti.

Era padre Castruccio Castracane degli Antelminelli da Fano un Gesuita «sano di mente», per dirla con le parole dell’ex confratello lucchese, Padre Gioacchino Prosperi, alla De Ravignan e alla Boero[1] o piuttosto «intransigente» alla Padre Melia? Possiamo supporre che la sua nomina a Palestrina, centro limitrofo alla Capitale, potesse essere stata strategica, sia che il nostro fosse intransigente oppure no. In entrambi i casi conosceva perfettamente quei cattolici liberali così desiderosi di cambiare le «magnifiche sorti e progressive» e quindi rappresentare quel di più di cui in ogni caso c’era bisogno per salvaguardare il retroterra della Capitale. A ben riflettere potrebbe essere una chiave di lettura, e la dimenticanza nel rammentarlo dello storico Martina forse, dico forse, un lapsus non del tutto ingiustificato.

Perché a questo punto un documento presente all’Archivio di Stato di Lucca inquadra bene tutto il contesto. Sir Panizzi, ossia il patriota Antonio Panizzi, divenuto a Londra protestante e tanto caro a Sua Maestà Britannica e a tutta la nomenclatura londinese, scrisse nel 1874 all’amico fraterno Raffaelli di Castelnuovo Garfagnana, cattolico liberale, il cui padre era stato suo compagno di studi a Modena. Il tono della confidenziale lettera non lascia dubbi. I Savoia sono gli intrusi del Quirinale. Panizzi lascia intendere di aver perso la faccia a Londra, nonostante la considerazione in cui qui è tenuto e in cui lo tengono anche gli stessi Savoia. Panizzi non si ritiene responsabile, e lo fa capire a chiare lettere al Raffaelli, di quanto è accaduto con l’Unità Italiana. L’antica amicizia e confidenza con i Raffaelli lo mette nella condizione di parlar chiaro in privato.

Gli accordi con Londra non erano precisamente quelli che poi hanno prodotto l’Unificazione con l’impresa garibaldina. Vale a dire che certamente Garibaldi andò in Sicilia col beneplacito di Londra, ma con tutta probabilità, vista l’intrusione dei Savoia al Quirinale, le gesta avrebbero dovuto salvaguardare in ogni caso il Pontefice nel suo potere temporale. A questo punto, siccome sappiamo da tutti gli studi storici oggi accreditati che in origine il processo d’Unificazione prevedeva unicamente un forte Stato nel Nord Italia per i Savoia, ed ancor più una presa d’atto della chiusura ermetica della Chiesa nel caso in cui non ci fosse stato accordo tra le parti su come organizzare politicamente le fasi «calienti» dell’Unificazione, viene da pensare che non solo la presa di Porta Pia fosse considerata illegittima dagli stessi Inglesi che avevano finanziato l’impresa unitaria originale, ma che sin da subito, in tale impresa, si potesse prospettare la sola cacciata dei Borboni, una Sicilia indipendente, magari sotto l’egida inglese, e un’estensione ipotetica dello Stato Pontificio al resto del Sud, senza stravolgimenti totali sul piano politico dell’intero territorio. Gli Inglesi dovettero prendere atto di ciò che era avvenuto a cose fatte e chi, come Panizzi, si adoperò perché giungessero i finanziamenti e si mantenessero buoni rapporti con Parigi, ossia con l’ex mazziniano Luigi Napoleone Bonaparte, ormai divenuto l’Imperatore dei Francesi col nome di Napoleone III, difensore, almeno sulla carta, degli interessi pontifici, rimase deluso e amareggiato. Le stesse identiche frasi pronunciate al Raffaelli, Panizzi le pronunciò anche in documenti presenti al Centro Panizzi di Reggio Emilia, così come il dottor Marcuccio mi ha gentilmente documentato.

Da quanto Padre Gioacchino Prosperi, cui ho fatto cenno, denuncia, non ci fu alcuna unità d’intenti neppure nel mondo cattolico, men che mai nell’Ordine Gesuita. I Padri Gesuiti ufficialmente presero le distanze dalla modernità nel 1850 con la nascita di «Civiltà Cattolica», ma ufficiosamente dovettero sostenere una situazione un po’ diversa. Ecco perché una Marchesa Bernardini in Lucca, vicina agli ambienti ecclesiastici, proteggeva a Marsiglia ancora nel 1854 Giovanni Bezzi, mazziniano.[2]

Una rilettura della nostra Unificazione Nazionale? Non dobbiamo accontentarci. Dunque, se torniamo a ritroso nel tempo e cerchiamo risposte nel Medioevo alla nostra Unità Nazionale, anche nella tradizione familiare dei Castracane degli Antelminelli, col Castruccio Signore di Lucca, ci accorgiamo che non ci discostiamo molto, paradossalmente, dai fatti del XIX secolo.

Castruccio Castracane

Supposto ritratto di Castruccio Castracane, condottiero medievale, dal camposanto di Pisa (Italia)

Castruccio Castracane degli Antelminelli è stato un condottiero italiano, nato a Lucca il 29 marzo 1281 ed ivi deceduto il 3 settembre 1328. La sua era l’importante famiglia ghibellina degli Antelminelli.

«È stato scritto di lui che è più citato che conosciuto: forse come argomenta con lucidità Giovanni Boccardi[3] nella sua introduzione, anche poco amato. È dunque necessario capire meglio la natura dell’uomo, il suo ruolo nella storia d’Italia e d’Europa tra basso Medioevo e rinascimento aurorale, e la successiva “damnantio memoriae” calata su di lui.

Castruccio era figlio di Puccia degli Streghi andata in sposa al ricco mercante Gaio Castracani.[4] Castruccio fu capo ghibellino e sconfisse i guelfi di Firenze guidati da Filippo d’Angiò e i loro alleati napoletani nella battaglia di Montecatini del 1315. Dal 1316 fu Signore di Lucca soppiantando Uguccione della Faggiuola, grazie ad una rivolta popolare. L’Imperatore Ludovico IV il Bavaro lo nominò Duca e Vicario Imperiale nel 1327: valoroso condottiero, politico abile, fu il primo a tentare la creazione di una Signoria Territoriale Toscana, come più di un secolo più tardi faranno i Medici, ma non potette proseguire nella creazione di uno Stato Regionale perché morì, probabilmente di malaria, nel 1328. Quasi contemporaneamente fallì il tentativo dell’Imperatore Arrigo VII (1275-1313) di ristabilire la propria autorità in Italia: qualche anno più tardi Ludovico il Bavaro (1287-1347) riuscirà sì a farsi incoronare Imperatore a Roma (1328) ma per un breve volgere di tempo, dovrà rinunciare ai propri progetti e ritornare in Patria. E il suo successore Carlo IV, sarà costretto a prendere atto dell’impossibilità di restaurare l’Impero: la Bolla d’Oro del 1356, definendo una volta per tutte i sette grandi Principi Tedeschi cui spettava il diritto di eleggere l’Imperatore, ridurrà, di fatto, l’Impero a una questione interna alla Germania. La crisi dei due grandi principi universalistici, la Chiesa e l’Impero, che avevano retto l’Europa per circa mezzo millennio, era comunque destinata a liberare energie nuove, a favorire processi inediti: nell’Europa Occidentale andranno a formarsi gli Stati Nazionali; in Italia, soprattutto al Centro e al Nord, si costituiranno Stati Signorili a dimensione regionale.

In molte città del Centro e del Nord si assisterà alla definitiva crisi delle istituzioni comunali che, nell’ambito dell’organizzazione civile e politica del vecchio Comune, risulteranno ormai ingovernabili. Il Signore finirà per concentrare su di sé tutta l’autorità e amministrerà l’intero potere attraverso un apparato che risponde unicamente a lui. Le libertà comunali vennero soppresse, mentre risultarono rafforzati vecchi particolarismi feudali, mai del tutto aboliti dalle istituzioni comunali: gli storici parlano in proposito di una “rifeudalizzazione” fatta di antichi diritti feudali, di nuove forme di potere personale da un Signore, forte di una organizzazione statale più organica, centralizzata, unitaria e moderna nel rispetto dell’autorità».

Castruccio Castracani in particolare aveva un forte passato alle spalle: era stato cacciato da Lucca nel 1300 dalla fazione dei Neri, guidati da Bonturo Dati. Inizialmente visse in esilio a Pisa. Visse poi a lungo in Inghilterra, dove la sua abilità ad usare le armi gli procurò la vittoria in alcuni tornei, e si ingraziò i favori del Re Edoardo I. Fu un omicidio commesso per motivi di onore a costringerlo ad abbandonare la terra d’Albione per spostarsi in Francia, dove Filippo il Bello aveva necessità di uomini d’arme. Dopo aver partecipato ad alcune battaglie in qualità di comandante della cavalleria, fece ritorno in Italia, trattenendosi a Verona e Venezia. Quando Arrigo VII, l’Imperatore, scese nella Penisola, il nostro si aggregò (siamo nel 1314) alle truppe ghibelline di Uguccione della Faggiuola, che era il capo riconosciuto dei ghibellini toscani e Signore di Pisa e di Arezzo. Con lui Castruccio partecipò alla presa e al successivo sacco di Lucca, retta sino ad allora dalla parte guelfa. In quel frangente combatté come comandante dell’esercito ghibellino nella battaglia di Montecatini (1315) in cui, con l’aiuto dei soldati dell’Imperatore, fu il principale artefice della vittoria ghibellina sui Fiorentini della Lega Guelfa. Gli storici Giovanni Villani, Scipione Ammirato, Niccolò Machiavelli ricordano i danni prodotti dalle truppe di Castruccio al territorio fiorentino. Quando Uguccione della Faggiuola lo percepì come un concorrente lo fece cadere in disgrazia, imprigionandolo. Ma grazie ad una rivolta popolare a Lucca e Pisa, Uguccione dovette fuggire e Castruccio, liberato, fu acclamato Capitano Generale della città di Lucca, e poco dopo (12 giugno 1316) Console a vita. Il consolidamento del suo potere avvenne negli anni successivi quando, nel 1320, egli riprese le ostilità contro Firenze. Nello stesso anno l’Arciduca d’Austria, Federico II d’Asburgo, lo nominò Vicario di Lucca, Lunigiana e Val di Nievole, incarico che fu riconfermato nel 1324 dall’Imperatore Ludovico il Bavaro, suo amico ed alleato.

Nella battaglia di Altopascio del 22 e 23 settembre 1325 sconfisse ancora i Fiorentini di parte guelfa, riuscendo a divenire, su nomina imperiale, Duca di Lucca. Con l’aiuto di Filippo Tedici assoggettò Pistoia. Durante un soggiorno romano fu nominato addirittura dall’Imperatore Ludovico il Bavaro Grande Legato per l’Italia. Tentò anche di mettere a punto un piano per allagare Firenze. Come Ludovico il Bavaro, Castruccio fu scomunicato dal Pontefice nel 1327. Quando si preparava a riprendere le armi contro Firenze fu vinto dalla malaria, nel 1328.

Le sue gesta da sole, per quanto importanti, poco dicono dei reali coinvolgimenti di Castruccio non solo in Italia, ma in Europa. Dobbiamo così cercar di interpretare il «dietro le quinte» di simili gesta, anche in questo caso.

La famiglia Castracane è ufficialmente attestata in Lucca dai primi del Duecento giungendo, alla fine del XIII secolo, ad occupare un posto di primo piano fra le aziende commerciali e finanziarie lucchesi che operavano in Europa. Fin dall’inizio del secolo i Castracane risiedevano nella Curtis Sancti Martini, nei pressi della Cattedrale Lucchese, ed erano proprietari urbani e «campsores»: vale a dire esercitavano in Lucca il cambio al minuto. In breve tempo tuttavia si occuparono anche di attività creditizie dapprima in città, poi su piazze straniere, costituendo regolari Compagnie che vedevano associati i singoli membri della famiglia ad altri mercanti. I depositi raccolti in Lucca alimentavano non solo i prestiti e il cambio su scala internazionale, ma anche le attività commerciali. Alla fine del Duecento i Castracane erano ormai a capo di una delle grandi organizzazioni bancario-mercantili che da Lucca estendevano i loro affari a tutta l’Europa Occidentale, particolarmente alla Francia e alle Fiandre. A questo punto però dobbiamo anche precisare che in sede locale molte erano le loro attività ed i loro legami tradizionali, per cui non sembra plausibile definirli uomini che si sono fatti da soli. Gli storici ricordano che notevoli erano i possessi fondiari della famiglia nel contado già alla metà del Duecento, che, tuttavia, un’analisi sistematica di queste proprietà è ancora da compiere, ma che certo il ricordo di beni posseduti sia nelle immediate vicinanze della città di Lucca che nella lontana Garfagnana fa pensare ad acquisizioni di antica data.[5]

Erano nobili convertiti presto alla mercatura oppure mercanti giunti rapidamente agli investimenti immobiliari? Lo storico Michele Luzzatti sottolinea come ciò abbia poca importanza al tardivo riconoscimento ed aggiunta del cognome Antelminelli (antica Casata) a quello di Castracane.

Inserirei viceversa alcune osservazioni proprio in merito, che pongono un continuum con il XIX secolo.

Nel paese di Ghivizzano, non distante da Coreglia, Castruccio ed i suoi eredi posero mano all’incastellamento e tutt’ora vi è conservata la celebre Torre di Castruccio. Qui troviamo, in data 1035, documenti cui fa riferimento lo storico Eugenio Lazzareschi, di famiglie i cui riscontri storici si hanno anche nei secoli successivi a Castruccio, fino ad arrivare al XIX secolo con partecipazioni degli stessi al nostro Risorgimento.[6] Sempre in Ghivizzano troviamo i Ghivizzeni, i cui eredi pare siano i Prosperi cui ho fatto cenno talvolta nei miei scritti, vicini anche in sede parentale a coloro cui si riferiscono le carte dello storico Lazzareschi. E i Castracane, anche loro in Ghivizzano? Una Castracane fu in Lucca la prima moglie di Paolo Guinigi, ultimo Signore cittadino. Quest’ultima è sepolta in San Francesco di Lucca, dove sono sepolti anche tutti i Prosperi. Compreso il celebre musicista Luigi Boccherini, figlio di Carola Prosperi. Che poi altri non sono che i cugini di Eleonora Bernardini, la Marchesa «amica» dei patrioti mazziniani del XIX secolo. Tutti cattolici liberali «ante litteram»? Potrebbe sembrare un paradosso, ma forse non lo è. Non dimentichiamo quanto riportato nella celebre pubblicazione Templari a Lucca, curata dallo storico Franco Cardini: a Lucca i Templari universalisti, una volta sciolto l’Ordine, continuarono a svolgere le stesse mansioni. Sono i tempi di Castruccio, che ben conosceva la Francia e Filippo il Bello. Sarebbe da chiedersi fino a che punto fu il Papato piuttosto che il Signore di Lucca, in quel momento così potente, a riconvertire i membri dell’Ordine. E quanto la forza dell’indipendenza lucchese incise nel pensiero universalista del mondo cattolico che certe frange avevano alimentato, anche nei secoli successivi.


Note

1 Padre Gioacchino Prosperi una volta divenuto francescano definisce i suoi ex confratelli distinguendoli in due categorie: i «sani di mente» che sanno misurarsi con la modernità come il Genovese Padre Boero o il Francese naturalizzato Torinese Padre De Ravignan, e coloro che, come Padre Melia, Siciliano, vogliono mantenersi ancorati ai principi d’Antico Regime.

2 Giovanni Bezzi nasce nel 1833 a Trento e diventa uno dei Mille con Garibaldi. Nel 1867 da Lugano aiuterà Mazzini nelle imprese post unitarie e morirà nel 1920. C’è anche a Londra un Giovanni Bezzi D’Aubrey, che compare nelle lettere pubblicate da Luigi Fagan, amico di Panizzi e di Mazzini, esattamente lo scopritore del ritratto di Dante al Bargello, che morirà nel 1874. Nella lettera rinvenuta della Marchesa Bernardini presente all’Archivio di Stato Lucchese non possiamo saper di quale Giovanni Bezzi si tratta, ma la matrice è in ogni caso, dei due, comune.

3 Giovanni Boccardi, La vita di Castruccio Castracani degli Antelminelli narrata da se stesso medesimo, Lucca, Maria Pacini Fazzi editore, con commento all’edizione del professor Luciano Luciani.

4 Sulle origini della Casata avrò modo di chiarire in seguito.

5 Analisi storica dello storico Michele Luzzatti.

6 Mi riferisco alle carte Lazzareschi presenti all’Archivio Storico di Lucca degli eredi Pierotti. Nel 1369 uno di loro fu rettore dell’Ospedale di San Luca. Nel XIV secolo, Pierotto Pierotti rettore della Misericordia cittadina. Presenti diversi membri in un Ordine regolare cittadino fondato alla metà del Cinquecento e nei secoli successivi. Senza contare le varie diramazioni patriottiche del XIX secolo degli stessi.

(agosto 2015)

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