La caduta del Regno Normanno d’Italia
La fine del Regno delle Due Sicilie segna il termine del periodo più florido dell’Italia Meridionale

L’Imperatore Federico II si spegne di dissenteria nel 1250. Il suo Regno è molto vasto: comprende quasi mezza Italia, da Napoli fino a tutta la Sicilia. Morendo, egli lascia uno Stato in perfetta efficienza: le finanze sono floride, l’esercito è bene organizzato, il sistema per riscuotere le tasse abbastanza moderno (o almeno il più moderno che ci sia), gli impiegati sono ben pagati e scelti con criterio. Con le buone relazioni di Federico II con i Saraceni – dai quali nel 1229 ha ottenuto la libertà di culto e di pellegrinaggio a Gerusalemme – possono godere un po’ di tregua le coste, tormentate fino allora da assalti improvvisi, incendi e distruzioni.

Questo Regno non regge però alla morte di Federico II: comincia lentamente a decadere, a spegnersi. L’Imperatore ha avuto due corone sul capo: la prima, appunto, d’Imperatore di Germania; e la seconda, di Re delle Due Sicilie. La prima l’ha portata sul capo malvolentieri, la seconda con molto entusiasmo. Tutta la vita Federico ha dovuto combattere per il suo Regno; soprattutto, contro il Papato: alla sua morte, la guerra tra guelfi (sostenitori del Papa) e ghibellini (sostenitori dell’Imperatore) giunge alla sua fase cruciale.

Il figlio di Federico, Corrado IV, divenuto Imperatore riconquista le terre che gli sono state prese. Manfredi, altro figlio (illegittimo) di Federico, scelto come reggente d’Italia, ottiene vittorie su vittorie; la più grande battaglia la vince a Montaperti, nel 1260, contro le truppe del Papa e riesce a procurare così al suo Regno qualche anno di pace. Intanto Corrado IV è già morto, di malaria (maggio 1254).

Manfredi può dedicarsi alla caccia, al canto e alla poesia; «non vi era alcuno al mondo» disse Dante «di lui più capace nel suonare strumenti a corda». Una raffigurazione lo mostra come un giovane falconiere con un profilo finemente delineato sotto i capelli biondi, e con una veste verde sotto il mantello rosso. Abile politico, continua l’opera del padre; il suo capolavoro diplomatico è l’accordo con le città marinare rivali di Genova e Venezia: in cambio di numerosi privilegi commerciali e nuovi insediamenti nel Regno, Venezia gli restituisce gioielli del valore di 25.000 lire d’argento che Bertoldo di Hohenburg ha depositato lì e Genova gli consegna un trono che a suo tempo Federico II ha lasciato in pegno.

Ma già i suoi nemici si vanno riorganizzando.

A Roma, siede sul soglio di Pietro il Papa Clemente IV. Questi non ha forze sufficienti per combattere Manfredi e chiede aiuto al Re di Francia, Luigi IX, sul trono dal 1226 al 1270. Luigi ha un fratello che si deve sistemare, Carlo d’Angiò… e per sistemarlo, nulla di meglio di un ghiotto «boccone», la corona di Re delle Due Sicilie. Carlo arruola un esercito di 30.000 uomini, scende in Italia nel 1265 e a Benevento il 26 febbraio 1266 si scontra con Manfredi. La battaglia è sanguinosa, migliaia di soldati restano sul terreno; quando gli assalti dei suoi primi due schieramenti sono battuti, Manfredi stesso si getta nella battaglia per imprimere una svolta al culmine del terzo assalto; ma i baroni del Regno e le loro truppe si rifiutano di seguirlo, cosicché il Re si spinge da solo nel combattimento e cade. Carlo rimane vincitore, l’intero Regno delle Due Sicilie passa nelle sue mani.

Ma prima di finire del tutto, il Regno di Federico manda gli ultimi sprazzi. Corrado ha lasciato un figlio, Corradino, un ragazzo di appena quindici anni. Dalla Germania, Corradino scende in Italia, ma ha con sé un esercito debole e male armato; a Tagliacozzo, nel 1268, affronta Carlo d’Angiò e viene sconfitto. Non perisce sul campo, tenta invano la fuga: viene consegnato prigioniero da un suo vassallo infedele. Malgrado abbia una faccia infantile e sia ancora imberbe, Carlo lo fa trasportare in catene a Napoli, e sulla piazza del Mercato lo fa decapitare.

Aleardo Aleardi ne canta la tragica fine nella ballata Corradino di Svevia:

«Un giovinetto
pallido e bello, con la chioma d’oro,
con la pupilla del color del mare,
con un viso gentil da sventurato,
toccò la sponda dopo il lungo e mesto
remigar de la fuga. Avea la sveva
stella d’argento sul cimiero azzurro,
aveva l’aquila sveva in sul mantello;
e, quantunque affidare non lo dovesse,
Corradino di Svevia era il suo nome.
…La più bella città de le marine
vide fremendo fluttuar un velo
funereo su la piazza: e una bipenne
calar sul ceppo, ove posava un capo
con la pupilla color del mare,
pallido, altero, e con la chioma d’oro…».

Con la sua morte e, quattro anni dopo, con la morte di Enzo, da tempo prigioniero dei Bolognesi, la dinastia degli Hohenstaufen infelicemente si spegne; il Sacro Romano Impero non sarà più che un nome da cerimonia e la Francia si appresta a divenire la maggiore potenza europea.

Carlo resta padrone assoluto di quello che fu il Regno di Federico II. Con lui comincia l’epoca delle invasioni straniere: d’ora in avanti, nei momenti difficili, le maggiori città italiane – Firenze, Milano, Venezia, Roma – chiameranno in aiuto – magari per combattersi tra loro – gli eserciti di altre Nazioni. L’Italia sarà percorsa da Francesi, da Spagnoli, da Tedeschi. Fino a quando, i Savoia la riuniranno sotto la loro bandiera; ma, per questo, bisognerà attendere ancora numerosi secoli.

(maggio 2013)

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