Le autostrade medievali: la Brancoleria e l’Europa
Luoghi cari a Matilde di Canossa e ai suoi cavalieri

Chi pensa di incontrare Matilde di Canossa solo nel Reggiano si sbaglia: se vogliamo incontrarla dobbiamo venire in Brancoleria.

Sei paesi dove il tempo si è fermato. Rifacendomi a un bellissimo articolo apparso sul quotidiano «Il Tirreno» del 26 maggio 2014 mi appresto qui a far conoscere la vera anima matildica, quella che solo occhi attenti possono conoscere.

«Con Lucca alle spalle ti inoltri in Brancoleria. È sulla strada statale della Garfagnana, prima di Ponte a Moriano. Terra di cacciatori e di pievi rupestri. Ha due tesori: la pieve di Brancoli e il convento dell’Angelo. La prima contiene un Luca della Robbia spettacolare, con San Giorgio che trafigge il dragone. Il secondo è un edificio realizzato da Lorenzo Nottolini, il grande architetto di Elisa Bonaparte Baciocchi, che fece di Lucca la seconda capitale del neoclassico in Europa».

La Brancoleria sono sei paesi,[1] che portano tutti la dizione di Brancoli perché il territorio ha una sola identità. Apparteneva a un’unica famiglia patriarcale, adesso è meta dei Nordeuropei. Ti spingi su stradette impervie, fino ai cocuzzoli. Il convento dell’Angelo che apparteneva ai Padri Passionisti è stato preso dal maestro salisburghese Gustav Kuhn che ne ha fatto un’Accademia di Montegral dove vengono a studiare musicisti d’Europa ed è stata sovvenzionata da soci come Pavarotti e Lucio Dalla.

Altro personaggio della Brancoleria è l’antiquario Massimo Romanini, amico di Vittorio Sgarbi. Romanini qui visse da bambino e adesso opera tra Avignone, la Germania e Ferrara. Ma è di casa in Brancoleria.

Da questi territori è possibile, in lontananza, nelle belle giornate limpide, scorgere anche la Gorgona.

Nella Brancoleria sono moltissimi gli edifici religiosi di indubbio interesse. Ne cito solo alcuni: San Lorenzo in Corte, del 1260, che ha un campanile bucato sotto cui passava la strada che dal fondovalle in Vinchiana giungeva sin là. Possiede, questa chiesa, una scultura invetriata di Andrea Della Robbia. Altre chiese stupende davvero sono la pieve di San Giorgio, già nota nel 770, di impianto romanico a tre navate con un fonte battesimale esagonale; poi c’è San Pietro d’Ombreglio, sorta nel 1199, con tavola di Pietro da Lucca.

La più grande è la pieve di Brancoli. Questa pieve è un tesoro. Possiede un pulpito sorretto da leoni levigati in pietra scolpita, raffigurante l’immagine di Matilde di Canossa, che qui regnò. Poi vi è la pala del Della Robbia. Vi era inoltre un’acquasantiera da museo con l’effige del papà di Matilde, il marchese Bonifacio. Pezzo questo, trafugato qualche anno fa, di cui resta solo il ricordo. Poco più avanti troviamo la celebre trattoria «Da Erasmo», frequentata a partire dal 1760[2] dai lumi del pensiero liberal-progressista italiano, da Pannunzio ad Arrigo Benedetti. Ma anche Eugenio Scalfari, Mario Tobino, Mario Soldati, solo per citarne alcuni. Qui Lorenzo Viani aveva disegnato per pagare il conto e Pascoli vi giungeva col suo calesse.

Pulpito

Pieve di Bracoli, pulpito

Acquasantiera

Pieve di Brancoli, dettaglio dell'acquasantiera risalente al 1000

Ma per osservare tutto questo dal fondovalle bisogna conoscerne l’esistenza perché geograficamente la Brancoleria è luogo defilato, quasi nascosto. Dall’alto però possiamo osservare tutta la piana lucchese e arrivare con lo sguardo anche al Centro-Sud della Toscana. Un luogo dove ai Lucchesi facilmente era possibile osservare quanto accadeva nei territori limitrofi. Dove ora sorge una croce, a circa 800 metri sul livello del mare, costruita nel 1900 e la cui prima pietra portava l’epigrafe di Papa Leone XIII,[3] in passato c’era una importante torre di avvistamento, fatta costruire dall’allora Repubblica di Lucca sin dal 1594, che con molte altre torri sparse sul territorio rappresentava un valido strumento della Repubblica per avvistare e segnalare i nemici alle porte.

Panorama

Panorama dal piazzale del ristorante «La Tosca» a Pieve di Brancoli

Perché Matilde in Brancoleria? Perché i suoi cavalieri qui dovevano spesso recarsi?

Questo territorio era compreso entro i confini delle Sei Miglia dalla città capoluogo (Lucca). Si trattava di un’area suburbana, su cui la città ebbe piena giurisdizione. Le chiese citate dipendevano in origine dalla pieve di Sesto di Moriano. Nell’XI secolo, vari documenti attestano ripetuti soggiorni nella zona sia di Matilde di Canossa che dell’ex Vescovo Lucchese Anselmo da Baggio, cosa che permetterà alla chiesa di San Giorgio di diventare lo scrigno che oggi possiamo ammirare.

Già, da lui dobbiamo partire per comprendere Matilde e il ruolo dei suoi cavalieri.

Se il Nord Europa ama ancora oggi così tanto la Brancoleria, ciò non è dovuto unicamente all’amenità dei luoghi. A volte comprendere i cavalieri è più semplice di quanto non venga descritto, persino sul piano storiografico.

Anselmo da Baggio apparteneva alla nobile famiglia Baggio, che era radicata proprio in quel luogo, vicino a Milano. Qui nacque nel 1036. Compì i suoi studi nella scuola cluniacense di Lanfranco di Pavia presso l’abbazia di Notre Dame du Bes, in Normandia. Fu ordinato sacerdote nel 1055. E nel 1057 venne nominato Vescovo di Lucca, carica che terrà anche durante il Papato. Nel periodo in cui fu Vescovo sostenne Ildebrando di Soana. La sua ascesa al soglio pontificio fu opera dello stesso Ildebrando, primo Papa a essere eletto da un consesso di principi della Chiesa, senza interferenze del potere imperiale. Non rinunciò mai alla cattedra lucchese, che mantenne fino alla morte. Al momento della sua elezione non era Cardinale. La sua elezione non venne sancita dalla reggente del Sacro Romano Impero, Agnese di Poitou, vedova dell’Imperatore Enrico III e madre del futuro Imperatore Enrico IV.

Agnese nominò infatti dalla Germania, come già era accaduto per elezioni precedenti, un altro candidato, Cadalo, Vescovo di Parma, che venne proclamato in un concilio a Basilea e che prese il nome di Onorio II. Questi marciò su Roma, e per un lungo periodo compromise la posizione del rivale. Tuttavia sorsero dei contrasti tra Agnese e la nobiltà germanica. Fu convocato un concilio a Mantova (territorio metilico per eccellenza) nel 1064, presieduto dall’Arcivescovo di Colonia, Annone II, subentrato ad Agnese nella reggenza del futuro Imperatore Enrico IV. L’assemblea scagionò completamente Anselmo da Baggio.

Il rapporto esistente tra l’abbazia di Bes (sita a Le Bec Hellouin in Normandia) e Anselmo e la sua politica, di avvicinamento soprattutto una volta divenuto Pontefice a Costantinopoli, è esemplificativo e spiegabile con la formazione dello stesso a Bec.

L’abbazia di Bes fu fondata nel 1039 da Erluino, un cavaliere normanno che nel 1031 lasciò la Corte di Gilberto di Brionne per dedicarsi alla vita monastica.

Il comune di Le Bec Hellouin conserva il suo nome. Nel 1042, con l’arrivo di Lanfranco di Pavia, il monastero divenne il principale centro di vita intellettuale dell’XI secolo. Lanfranco, già famoso per la scuola di lettere di Avranches, dopo la decisione di farsi monaco, venne a insegnare come abate a Bec. La fama dei suoi insegnamenti attirò numerosi allievi tra i quali nel 1059 anche Anselmo d’Aosta. Nel 1062 Lanfranco lasciò il monastero per diventare abate a Caen e successivamente Arcivescovo di Canterbury. Gli succedette come abate Anselmo che diventerà anch’egli Arcivescovo di Canterbury. Il quinto abate, Teobaldo di Bec, seguì i predecessori a Canterbury. Molti Vescovi, fra cui il futuro Papa Alessandro II, si formarono alla scuola di Bec. I successori di Guglielmo il Conquistatore arricchirono l’abbazia con estesi possedimenti e altri beni in Inghilterra. Il villaggio – oggi un sobborgo di Londra – Tooting Bec, fu così chiamato perché l’abbazia ne possedeva il terreno. L’abbazia fu danneggiata durante le guerre di religione e seguì un lento declino, tanto che dopo la Rivoluzione Francese non ne rimasero che rovine. Nel 1948 il sito fu restaurato e riaperto con il nome di abbazia di Nostra Signora di Bec da alcuni monaci benedettini guidati da Dom Grammont. L’abbazia è nota per i suoi legami con l’Anglicanesimo ed è stata visitata da diversi Arcivescovi di Canterbury.

A Pavia l’8, il 9 e il 10 aprile 2010 si è tenuto un convegno internazionale a cura di Anna Segogni Malacart e Luigi Carlo Schiavi dal titolo «Architettura dell’XI secolo nell’Italia del Nord» dove, oltre a citare l’abbazia di Notre Dame du Bec, viene citato Piero Brancoli Busdraghi, discendente di una nobile famiglia lucchese che aveva anche nella Brancoleria le sue radici. Piero Brancoli Busdraghi pubblicò un libro dal titolo Patti di assistenza giudiziaria e militare in Toscana fra XI e XII secolo.[4]

Che legame passa tra i vincoli feudali di Papa Alessandro II, alias l’allora Vescovo Lucchese Anselmo da Baggio, e la famiglia Brancoli? E la stessa Matilde di Canossa?

E quali legami potevano mai esserci tra questi e il Nord Europa di Notre Dame du Bec, in Normandia?

Ricordo che Matilde di Canossa volevano darla in sposa a un principe inglese ma poi il matrimonio sfumò. Ricordo che in Brancoleria le vestigia delle principali chiese, non ultima San Giorgio di Brancoli (San Giorgio è il Santo più caro alla Corte Inglese) portano la firma del Vescovo Anselmo e di Matilde, che con Alessandro II fu decisamente in simbiosi.

Tutto riconduce ai Maestri Comacini e alla volontà del Papa Alessandro II di costruire una nuova e forte identità alla Chiesa Lucchese e al Papato nel suo insieme. Non dimentichiamo che Papa Alessandro II fu fautore di un riavvicinamento con Costantinopoli. Tale universalismo non era caro alle nascenti Monarchie Europee, e non lo sarà poi soprattutto per la Francia di Filippo il Bello, che intenderà sciogliere all’inizio del Trecento l’Ordine Templare, troppo ingerente negli affari interni della Corona Francese, teso a fare del Papato l’ago della bilancia dell’intera Europa.

I Brancoli erano cavalieri matildici? E dunque cavalieri papali? Facevano parte di Ordini cavallereschi?

I Busdraghi datano al XII secolo secondo quanto i documenti al momento attestano. Questi erano dediti ai commerci e alle ambascerie. Furono gonfalonieri, anziani della Repubblica Lucchese. Mercanti della seta, ebbero nel corso dei secoli rapporti con le Fiandre e con Anversa. Alcuni di loro sono sepolti in San Frediano di Lucca, basilica esoterica con chiari riferimenti, a partire dal suo fondatore, ai Paesi d’oltremanica.

I Busdraghi si estinsero nel 1836, ma prima di scomparire del tutto, venne loro incontro il Duca Lucchese Carlo Ludovico di Borbone. Egli era in odore di Protestantesimo. Non per questo evitò di sostenere importanti famiglie cittadine. Nello specifico lo troviamo intento a fare in modo che i Brancoli, ormai imparentati con i Busdraghi, aggiungessero al loro cognome quello dei Busdraghi. E ciò anche in futuro i loro eredi.

I Brancoli provenivano in origine da Gignano di Brancoli e avevano sin dal Quattrocento migliorato visibilmente la loro condizione, divenendo una famiglia nobile cittadina.

La famiglia Brancoli a partire dalla sua origine che si attesta ufficialmente dal Trecento, è distinta in due rami. Ottenne privilegi da Ludovico il Bavaro nel 1328. Ebbe nel corso del tempo anziani e gonfalonieri nella Repubblica Lucchese. Nel suo percorso la ritroviamo a fine XIX secolo sempre più radicata sul territorio. In quel periodo l’UDC è guidata in Lucca dal canonico Fambrini e dal giovane Nicolao Brancoli Busdraghi.[5]

Come accadeva nel Medioevo, i cavalieri della Brancoleria (supponiamo che i Brancoli, viste le vestigia matildiche ivi presenti, fossero soprattutto validi cavalieri) in epoca moderna si presero a cuore i territori rurali di Mutigliano, luogo limitrofo a Lucca, sostenendolo sia logisticamente che finanziariamente.[6] Segnali incoraggianti, tali da mettere in luce la grande volontà della stessa città lucente di agevolare bene queste signorie rurali. E i Brancoli furono una famiglia rurale dunque, anche quando il loro radicamento era ormai cittadino. Anselmo da Baggio, Matilde e poi nel corso dei secoli una Repubblica anima delle stesse famiglie nobili ex rurali. Quelle furono le famiglie dei cavalierati, che nel caso dei Busdraghi e dei Brancoli in particolare poterono contare anche sui commerci su larga scala e di divenire conosciute in Europa e sostegno nella stessa Repubblica Oligarchica Lucchese. Se Piero Brancoli Busdraghi fu così interessato e nel contempo capace di scrivere un saggio corposo sulle signorie rurali, una ragione ci sarà. Non così complessa da individuare. I suoi avi furono parte di queste incredibili realtà cittadine. L’Autore ne conosceva dal di dentro i passaggi, le diverse fasi del loro potere dentro e fuori le mura cittadine.[7]

Proviamo a immaginare il percorso: potenti cavalierati che di fatto si trasformano in banchieri internazionali, facendo le fortune della stessa Repubblica Lucchese. Pure fantasie? Non direi. Lo stesso Castruccio Castracani ne fu fulgido esempio. Proveniva da una famiglia di banchieri che aveva praticato in passato l’arte del cavalierato. Castruccio si dedicò non ai commerci su larga scala, ma fece rinverdire le qualità militari che erano già in precedenza appartenute alla sua famiglia. Un percorso, il loro, che vide nelle stesse vicende politico-religiose europee motivo di profondo cambiamento. Se i territori d’oltralpe, e in specifico d’oltremanica, legarono Lucca e i suoi cavalieri-banchieri alle principali piazze del continente, le stesse inesorabili vicende religiose legarono poi la città al Protestantesimo e alla tradizione protestante. Solo così possiamo spiegare il riferimento ancora nel XIX secolo alla Rerum Novarum di Leone XIII in Nicolao Brancoli Busdraghi e contemporaneamente il richiamo dello stesso alla nascente UDC, nel solco della tradizione. Tradizione bianca ma anche nera in Lucca, tradizione indipendentista e al contempo di corpo. Nel corso del XIX secolo Carlo Ludovico di Borbone tentò un approccio politico non ben riuscito con quel mondo europeo svincolato dalla tradizione cattolica più ortodossa, approccio che la famiglia Brancoli Busdraghi nella sua stessa comunione col Duca Borbonico non poté di certo ignorare. E che probabilmente, visti i precedenti, non aveva ignorato neppure nel corso dei secoli. Un membro della famiglia Busdraghi fu nel Seicento membro della congregazione dell’Indice. Si chiamava Domenico Busdraghi e morì in odore di santità. La Repubblica aveva dentro queste organizzazioni i suoi riferimenti certi. Ma furono soprattutto diplomatici nelle varie Corti Europee, cosa che permise loro di sostenere la Repubblica Oligarchica, che molto doveva all’operato di questi uomini di frontiera.


Note

1 Deccio, Gignano, Piazza, Pieve, Sant’Ilario, Ombreggio.

2 La trattoria è sita nella località di San Gimignano di Moriano.

3 Fu fatta saltare durante la Seconda Guerra Mondiale perché qui passava la Linea Gotica e ricostruita subito dopo il conflitto.

4 Gli studi di Piero Brancoli Busdraghi sono stati ripresi e pubblicati in Melange de l’Ecole francaise de Rome – Moyen Age, pagine 122-123, nel 2011. Simone Collavini, I signori rurali in Italia centrale (secoli XII-metà XIV): profilo sociale e forme d’interazione, pagine 301-318.

5 I tempi della Rerum Novarum, a cura di Gabriele De Rosa.

6 Qui è sorto un Istituto agrario e qui anche molto recentemente si è assistito a un valido sostegno sia economico che culturale da parte di un membro della famiglia Brancoli Busdraghi.

7 Piero Brancoli Busdraghi, Patti di assistenza giudiziaria e militare in Toscana fra XI e XII secolo, in I ceti dirigenti toscani.

(gennaio 2021)

Tag: Elena Pierotti, Matilde di Canossa, Papa Alessandro II, Brancoli, Busdraghi, Carlo Ludovico di Borbone, Elisa Bonaparte Baciocchi, Lorenzo Nottolini, Ludovico il Bavaro.