Alberto da Giussano tra storia e leggenda
Il popolare condottiero, capitano della «Compagnia della Morte» alla battaglia di Legnano, è diventato l’emblema del popolo italiano nella sua lotta per la libertà. Ma Alberto da Giussano è realmente esistito?

Verso la metà del XII secolo, le città dell’Italia Settentrionale che già da tempo erano rette da consoli eletti dai tre ceti sociali dei cittadini (i capitanei, i valvassori, il popolo) stavano completando la loro emancipazione da ogni potere pubblico superiore, quello dei Vescovi così come quello di famiglie comitali o viscontili. Le «repubbliche» cittadine si riconoscevano ancora parte di un ordinamento pubblico più vasto, l’Impero, ma avevano esautorato ogni potere signorile superiore, stavano imponendo la propria giurisdizione all’aristocrazia militare delle campagne (sulla quale si fondava l’Impero) e stavano riconquistando i territori del contado (dove gli abitanti a pieno titolo delle città possedevano dominazioni signorili, terre, beni e interessi), oltre a guerreggiare tra di loro e con i signori locali. L’intransigente Imperatore Federico Barbarossa non poteva tollerare l’autonomia politica a vasto raggio che stavano realizzando i Comuni e i loro dinamici ceti dirigenti, oltretutto all’interno di un quadro internazionale che vedeva il riaccendersi del contrasto tra Impero e Papato e l’emergere dell’ostilità dei Normanni del Mezzogiorno d’Italia verso l’Imperatore Tedesco: al Sovrano spettava il diritto di nominare i magistrati pubblici, di erigere un proprio palazzo e di collocare suoi funzionari nei Comuni sottomessi. Per far questo era necessario riprendere il controllo del governo delle città, cosa che metteva l’Impero in una situazione di forte concorrenza con la vigorosa espansione dei grandi Comuni.

Vi furono guerre e stragi fino allora ignote agli abitanti d’Italia: alcune città furono private di mura e di torri, altre devastate o quasi rase al suolo (questa, per esempio, fu la punizione imposta a Milano nel 1162); grandissime risorse finanziarie furono impiegate ad apprestare strutture militari difensive ed offensive e a soddisfare la fiscalità imperiale.

Fu allora che il fronte anti imperiale raccolse le proprie forze in un organismo politico e militare di grande potenza, la Societas Lombardie o Societas et Coniunctio Lombardorum, comunemente nota come Lega Lombarda. Nata nei primi mesi del 1167 con un accordo tra i Comuni di Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova, si ingrandì progressivamente con la partecipazione di Milano, Venezia, Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Ferrara, Piacenza, Lodi, Parma, Modena, Bologna, Novara, Alessandria, Tortona, Como, Pavia, Reggio Emilia, Rimini, oltre ad alcuni membri di importanti famiglie signorili. Essa si scontrò con il Barbarossa nel maggio 1176 a Legnano, lo sconfisse costringendolo a scendere a patti e a pervenire al finale accordo di Costanza del 1183: con tale accordo non venne risolto il problema della presenza e della funzione regia in Italia, ma almeno si concludeva un conflitto trentennale che aveva già provocato troppi lutti e rovine.

Nel XII secolo difficilmente uno scontro armato poteva risolvere in modo definitivo una guerra, ma nella cultura romantica dell’Ottocento la battaglia di Legnano del 29 maggio 1176 assurse a simbolo di una Patria che si libera dagli stranieri (concetto che nessuno, a quel tempo, aveva) grazie alla guida di una figura eroica: Alberto da Giussano. Chi era costui?

Alberto da Giussano

Statua di Alberto da Giussano a Legnano (Italia)

L’emergere di un eroe chiamato «Albertus de Gluxiano» (Alberto da Giussano, appunto) si deve a Galvano Fiamma, un cronista milanese della prima metà del Trecento, frate Predicatore nel convento di Sant’Eustorgio a Milano. Si tratta di un personaggio complesso ed enigmatico, nato probabilmente nel 1283 e morto forse poco dopo il 1344. Molte sono le sue opere, per lo più cronache destinate a legittimare il potere dei Visconti, nuovi Signori di Milano, visto come restaurazione di un loro precedente dominio ingiustamente abbattuto. In questa costruzione ideologica sono importanti i ricordi della lotta dei Milanesi contro l’Imperatore Federico, considerata un momento decisivo ed esemplare.

Abbiamo difficoltà a risalire alle fonti ed alle tradizioni alle quali Galvano Fiamma poteva riferirsi o dalle quali dichiara esplicitamente di attingere: ce ne sono note soltanto alcune. Per quanto concerne la battaglia di Legnano, il frate dice di riferirsi alla Cronica Leonis.

La battaglia di Legnano compare in più opere di Galvano Fiamma, mentre Alberto da Giussano è menzionato solo in due, la Chronica Galvagnana e il Chronicon maius.

Nella Chronica Galvagnana si legge che il 29 maggio 1176, nella zona tra il borgo di Legnano e Dairago, «Alberto da Giussano ebbe il vessillo della comunità, al cui fianco erano due fratelli giganti fortissimi, ossia Ottone e Rainerio, i quali per il loro fratello portavano il vessillo. Sempre gli furono compagni sulla destra e sulla sinistra. E iniziata la battaglia, dall’altare dei sopraddetti tre martiri [i Santi Sisinno, Alessandro e Martirio] si videro volar via tre colombe e andare a posarsi sull’albero del carroccio. Viste tali cose, l’Imperatore atterrito si diede alla fuga. E perciò questo giorno fu dichiarato solenne».

Non è molto: compaiono tre fratelli «da Giussano», Alberto, Ottone e Rainerio. Il primo è il custode del vessillo, portato fisicamente dagli altri due presentati come «giganti fortissimi». Ma la loro grandezza quasi scompare di fronte all’improvvisa comparsa di tre colombe (che sembrerebbero rappresentare i tre Santi Sisinno, Alessandro e Martirio, di cui proprio il 29 maggio cadeva la celebrazione liturgica): sarebbe bastato il breve volo di queste colombe dall’altare del carroccio sin in cima all’antenna del carro bellico a provocare la fuga e la sconfitta di Federico (potrebbe darsi che davvero tre colombe, spaventate dal movimento degli armati, siano venute a rifugiarsi sull’antenna del carroccio; del resto anche nella battaglia di Rudiano, vinta nel 1191 dai Bresciani contro i Cremonesi ed altre città alleate, si disse che si era visto un uccello svolazzare intorno al carroccio, nunzio di vittoria). Il fatto delle colombe è derivato da un’importante opera agiografica milanese databile alla fine del Duecento o agli inizi del Trecento (prima comunque delle opere del Fiamma) che viene in genere attribuita, pur tra pareri diversi, a Goffredo da Bussero: il Liber notitiae Sanctorum Mediolani; forse risale alla perduta Cronica Leonis. Non siamo però in grado di affermare che anche il ricordo di Alberto da Giussano e dei suoi due giganteschi fratelli fosse compreso nella Cronica Leonis.

Il Chronicon maius, posteriore alla Chronica Galvagnana, introduce nuove informazioni a proposito di Alberto da Giussano e dell’organizzazione militare milanese: «Allora venne fatta a Milano una società detta società dei cavalieri della morte. Si trattava di novecento cavalieri che combattevano in sella a grandi destrieri i quali giurarono di opporsi all’Imperatore ovunque, sia lungo la via sia nel campo di battaglia, pronti a combattere contro di lui e a non fuggire né a voltare le spalle. E venne deciso che, se qualcuno fosse fuggito, sarebbe stato ucciso. Inoltre giurarono che non avrebbero accettato alcuna resa della città. E anelli d’oro vennero messi nelle mani di ognuno di loro e vennero reclutati come cavalieri al soldo del Comune: il loro capitano era Alberto da Giussano che teneva il vessillo della comunità. Questa fu la prima società costituita a Milano. In seguito venne fatta un’altra società composta da trecento uomini scelti tra il popolo per la custodia del carroccio i quali giurarono di preferire la morte piuttosto che la fuga dal campo. Venne inoltre fatta un’altra società di giovani scelti i quali stavano su trecento carri falcati triangolari trainati da cavalli fortissimi e in ogni carro c’erano dieci uomini e ognuno aveva una falce da prato che muoveva come i marinai agitano i remi».

Queste le descrizioni militari di Galvano Fiamma, sulla cui autenticità complessiva alcuni storici hanno sollevato critiche radicali.

Per la descrizione dei carri falcati, il frate si sarebbe basato, attraverso una lettura affrettata e talvolta arbitraria, sui Gesta Federici I Imperatoris di anonimo autore lombardo: nessuno scrittore coevo afferma che questi autentici carri armati del Medioevo fossero utilizzati nella battaglia di Legnano, anche se è assodato che vennero usati in parecchi antecedenti fatti d’arme (ne conosciamo persino l’inventore, Guintelmo, famoso ingegnere militare di quel tempo).

Più arduo sarebbe accettare il discorso sulle società militari: che in battaglia attorno al carroccio stessero le schiere dei pedoni e dei militi più esperti e valorosi è chiaro, trattandosi di difendere la cosa più cara qual era, appunto, il carroccio; ma che vi fossero, a Legnano o ancor prima, delle società strette da vincoli particolari e con speciali distintivi come le descrive il Fiamma, è altamente improbabile. Il carroccio viaggiava sempre in mezzo alla fanteria, come richiedeva la pesantezza del carro e il trainare lento dei buoi, ed era custodito da popolani, cioè da fanti, sostenuti da schiere di «milites»: esso servì a tenere compatta e disciplinata la fanteria contro la cavalleria teutonica, ma non dobbiamo pensare che vi fosse un corpo speciale di miliziani addetti alla sua difesa. Certo, società militari simili a quelle descritte dal Fiamma si ritrovano qua e là nelle città italiane, ed anche all’estero, già sul finire del XII secolo, ma ritenerle spuntate a Milano trent’anni prima è una congettura indebita: nessun cronista o documento contemporaneo ne fa menzione.

Più complesso è il discorso specifico su Alberto da Giussano: il primo a citarlo è Galvano Fiamma, che scrive 150 anni dopo gli eventi; negli scrittori che lo seguirono, la figura si arricchì di sempre nuovi particolari fino a divenire un vero e proprio «mito». Non viene ricordato da Bonvesin dra Riva, storico milanese di ben altro valore che non il Fiamma, né da altri cronisti contemporanei alla battaglia. Celebre al tempo del Barbarossa fu invece un Alberto da Carate, console più volte della città di Milano, e l’anno seguente alla battaglia di Legnano rettore della Lega Lombarda in qualità di rappresentante dei Milanesi: frate Galvano sostituì Giussano a Carate per motivi a noi ignoti, o forse per rendere omaggio al suo confratello Filippo da Giussano, divenuto priore del convento milanese di Sant’Eustorgio dei Frati Predicatori nel 1333, anno in cui lo stesso Fiamma tornò a risiedere a Sant’Eustorgio e in cui iniziò la sua attività di scrittore di cronache?  Alberto da Carate e un altro Alberto, Alberto Longo, figurano tra i firmatari, per il Comune di Milano, del patto istitutivo della Lega Lombarda: Galvano Fiamma intendeva forse parlare di uno di loro? E ha sbagliato a citarne il cognome?

Pure conosciuto dalla storia è un Ottone da Giussano, che possedeva beni in Arosio (molto vicino a Giussano) e dintorni e doveva essere una persona ricca e ragguardevole: il suo nome ricorre in atti del 1183, del 1190, del 1199 e del 1202. Non viene però specificato nei documenti se fosse fratello di Alberto e Rainerio.

Sta di fatto che, sul finire del XII secolo, un Alberto da Giussano è realmente esistito: il suo nome compare nell’elenco di una cinquantina di cittadini milanesi residenti nella zona di Porta Comacina. Il documento notarile che contiene l’elenco, non datato, è comunque attribuibile agli anni 1195-1196. La risposta degli studiosi non è però univoca: alcuni vi vedono un’attestazione indiscutibile dell’esistenza storica dell’Alberto da Giussano capo della «Società dei cavalieri della morte», mentre altri – non potendo contestare l’esistenza sul finire del XII secolo di un Alberto da Giussano – distinguono nettamente le due figure.

C’è chi ha ipotizzato che Alberto da Giussano appartenga a quella schiera di militi che, respinti dalla cavalleria tedesca all’inizio della battaglia, siano per primi fuggiti dal campo, per poi ripresentarsi all’improvviso quando intorno al carroccio più dura ferveva la mischia. Col tempo, sarebbe stato creduto lui il capo di quei soldati ed essi una compagnia ai suoi ordini, a cui verrà attribuito il nome, fantasioso ma evocativo, di «Società dei cavalieri della morte».

Ma si tratta di una speculazione. In realtà il Fiamma, parlando di Alberto, lo presenta come il custode del vessillo della comunità. Non menziona nessuna specifica azione particolarmente coraggiosa. Anzi, nella Chronica Galvagnana la sua presenza si potrebbe tranquillamente omettere. È difficile pensare che si tratti di un’invenzione, dato che non svolge alcuna funzione realmente importante: forse Galvano Fiamma ha trovato il suo nome citato in qualche cronaca a noi sconosciuta, e lo ha inserito nelle sue opere. O forse ha voluto rendere un piccolo omaggio ad un antenato dei Visconti, o ad una famiglia guelfa legata ai Visconti da vincoli di fedeltà o amicizia. Noi sappiamo soltanto con certezza che a partire dagli ultimi anni del XII secolo membri della famiglia dei da Giussano (che secondo la tradizione deriverebbe il nome da Giussano, secondogenito del Vicario Apollonio, circa nell’anno 1115) si trovavano ai vertici della società milanese e che, dunque, essa apparteneva all’aristocrazia del governo cittadino. Nel secolo che trascorse dalla sconfitta del Barbarossa fino all’insediamento dei Visconti quali Duchi di Milano – anni di indipendenza, ma insieme di molte lotte fra i cittadini –, i da Giussano esercitarono sempre in modo degno il nobile ufficio di pacificatori; molti di loro ottennero fama di ottimi cittadini e furono prescelti alle più alte cariche anche durante il dominio di Francesco Sforza. Enumerarli tutti sarebbe cosa lunga, ed esulerebbe dal nostro lavoro; si può ricordare che, verso la fine del 1300, vari rami della famiglia avevano preso stanza nei paesi vicini: quelli che più ragionevolmente potevan sostenersi provenienti dal ramo principale di Giussano, si erano domiciliati a Romanò, a Mariano e ad Arosio, mentre la «vera» famiglia dei da Giussano, quella legata ad Alberto, che ci lasciò tracce sicure del suo svolgimento dal principio del Quattrocento, alternò la sua residenza tra Giussano e Milano, nella sua casa patronale in Borgonovo. Ancora oggi, a Giussano, un palazzo fortificato – il «Casone» – mostra la dimora signorile della celebre famiglia: una costruzione rettangolare, elevata, solida, nelle antiche memorie del paese chiamata «Castrum de Gluxiano», col piano terreno in origine probabilmente tutto aperto a larghi porticati e il piano superiore che doveva avere degli ampi finestroni; dipinto sulla facciata, agli inizi del Novecento era ancora visibile lo stemma dei «da Giussano», ormai quasi scomparso. Aveva dimora anche in Milano, la casa era poco fuori dalle mura romane di Massimiliano: l’ultimo rampollo femminile della famiglia, Laura, nel 1648 vi celebrò le sue feste nuziali, mentre all’ultimo rampollo maschile, Giovan Pietro, nel 1741 vi si celebrarono i funerali. Per uscire da ambiguità, confusioni e incomprensioni si imporrebbe uno studio sistematico sulla famiglia dei da Giussano – studio che finora non si è fatto.

Ma, forse, nessuno vuole mettere a nudo la verità storiografica: lasciateci la leggenda così profondamente sentita dal Berchet nel Giuramento di Pontida o dal Carducci nella Canzone di Legnano. La poesia della leggenda è ormai divenuta patrimonio comune, e Alberto da Giussano, se pure non è mai esistito, rimarrà scolpito quale emblema di tutti quei soldati senza nome che impugnarono le armi in difesa della propria città, delle proprie famiglie, dei propri destini!

(luglio 2015)

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