«La Stampa» e i protestanti nel 1929
Un «riavvicinamento tattico» alla Chiesa Cattolica determina una scelta decisiva nel confronto fra il regime fascista e i culti non cattolici

Nel biennio 1923-1924, il regime fascista realizzò una serie di iniziative tese ad attuare un progressivo riavvicinamento alla religione cattolica; l’attribuzione di festività civili per alcune solennità cattoliche[1], l’abolizione della possibilità di divorziare per i cittadini acattolici di Trento, Trieste e Fiume[2], l’inserimento del solo vilipendio della religione di Stato tra quelli specificatamente puniti dalla nuova legge sulla stampa[3]. La diversa tutela giuridica delle altre fedi trovò compimento nel Testo unico delle Leggi di pubblica sicurezza del novembre 1926 e nel nuovo Codice penale, reso noto nel 1927 ma varato nel 1930[4]. Il Trattato stipulato l’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e il regime definì il Cattolicesimo «sola religione di Stato», e il contemporaneo Concordato pose «l’insegnamento della religione cattolica a fondamento e coronamento di tutta l’istruzione pubblica»[5]. Il Governo fascista, dopo la firma del Concordato, sottopose i culti non cattolici, definiti culti ammessi nel Regno, a regole molto rigorose e a forti limitazioni per quanto concerneva l’organizzazione interna[6]. Il cambiamento del regime nei riguardi della Chiesa Cattolica fu dovuto a diverse motivazioni, «connesse alla crescita della presenza dei Cattolici e delle loro istanze nel Paese, alla battaglia del Partito Nazionale Fascista contro le loro organizzazioni, alla costruzione di un’ideologia nazionalista-cattolica, al ruolo che Mussolini assegnava alla Chiesa Romana»[7].

Che effetti ebbe questa nuova linea politica sull’atteggiamento verso i protestanti di un giornale importante come «La Stampa»? Rispondere a questa domanda ci permetterà di conoscere ancora meglio il ruolo dell’informazione durante il fascismo.

I provvedimenti emanati nel biennio 1923-24 non trovano riscontro nelle pagine del giornale, individuiamo contribuiti significativi invece nel 1929, l’anno del Concordato con la Santa Sede. I commenti che prenderemo in esame sono tutti anonimi, tuttavia, data la posizione in prima pagina è possibile attribuirli al direttore del tempo, Curzio Malaparte (al secolo Kurt E. Suckert), il quale avrebbe messo da parte in questa occasione, ubbidente alle direttive del regime, la sua vera e propria fobia anti protestante[8].

La Legge sui culti ammessi destò particolare preoccupazione fra i protestanti italiani[9], tanto che il Governo si affrettò a dissiparne l’allarmismo facendo pubblicare proprio su «La Stampa» un rassicurante articolo, Il Concordato e i protestanti in Italia, successivamente Mussolini tenne alla Camera due discorsi, il 10 marzo e il 13 maggio, in cui «si negava che i Patti Lateranensi avessero fatto dell’Italia uno Stato confessionale e si affermava di voler difendere lo Stato contro il pericolo della sua clericalizzazione»[10]. È presumibile che il puntuale intervento governativo fosse volto a tranquillizzare principalmente gli ambienti finanziari americani, decisivi per l’economia italiana, e i tories inglesi, il cui appoggio durante la vicenda Matteotti era stato molto utile al regime.

L’articolo sopra citato, non firmato e pubblicato nella prima pagina del quotidiano[11], iniziava affermando di voler dissipare ogni dubbio che il Concordato con la Santa Sede avrebbe modificato la posizione dei culti non cattolici.

Dopo aver elencato sommariamente le Chiese Protestanti presenti in Italia, l’articolista focalizzava la sua attenzione su un aspetto economico, a suo giudizio rilevante; lo Stato Italiano corrispondeva un assegno annuo «cospicuo» alla Chiesa Valdese per i beni incamerati dal Governo napoleonico. Questo trattamento di privilegio non era il solo, poiché secondo il giornalista solo il Concordato aveva sanato una situazione che vedeva il clero della Chiesa Cattolica sottoposto a tasse e ad imposte gravanti «pesantemente sullo scarso reddito dei Vescovi e dei parroci», cui non erano soggetti i ministri degli altri culti acattolici. In ogni modo, l’articolista ribadiva ancora che gli accordi fra «l’Italia e la Santa Sede contenuti nel Concordato riguardano unicamente la Chiesa Cattolica, […] né il Concordato nel fare della Chiesa Cattolica la Chiesa dello Stato Italiano, tocca in alcun modo le Chiese Protestanti, le quali conservano immutata la loro libertà».

Degna di interesse è la parte conclusiva, in cui si fa diretto riferimento all’articolo 1 del Concordato che recitava: «In considerazione del carattere sacro della Città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e méta di pellegrinaggi, il Governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che può essere in contrasto con detto carattere»[12]. A parere del giornalista «era stato ispirato evidentemente, e più che altro, da certi ricordi e fatti del passato, come la erezione del monumento a Giordano Bruno[13], ed altri simili manifestazioni di settarismo anticlericale, che il regime liberale permetteva che si svolgessero a Roma, con grave offesa verso la Santa Sede e verso i sentimenti della enorme maggioranza degli Italiani». Tuttavia, il giornalista si affrettava ad affermare nuovamente che non era certo «nello spirito del Concordato, e delle due alte parti che lo hanno firmato, il proposito di modificare la posizione delle Chiese non cattoliche di fronte alle leggi italiane».

Tra il febbraio e il giugno del 1929 vi fu un intenso dibattito tra giornali fascisti o fascistizzati, come «La Stampa», «Il Giornale d’Italia» e «Il Regime Fascista», e giornali clericali, come «L’Unità Cattolica» e «Il Corriere d’Italia»; i primi affermavano che lo Stato Italiano non era divenuto uno Stato confessionale con la firma del Concordato e difendeva i diritti degli acattolici, mentre i secondi facevano appello «al braccio secolare dello Stato per combattere l’insidia protestante»[14]. Segnaliamo che la stampa cattolica, già prima del Concordato, reclamava vivamente una legislazione molto restrittiva per i protestanti[15].

L’articolo, non firmato e pubblicato in prima pagina[16], era una risposta diretta ai giornali clericali e ai loro giudizi estremamente critici sulla Legge sui culti ammessi. Alcuni organi di stampa cattolici erano fortemente turbati dallo «spirito liberale» alla base delle Leggi appena approvate; con «spirito liberale» il giornalista intendeva riferirsi alla «libertà di coscienza, conquista irrevocabile del pensiero moderno». A parere dell’articolista, il liberalismo politico non sarebbe mai arrivato alla pacificazione religiosa, data la sua natura anticlericale; in verità, il liberalismo non aveva come caratteristica principale e fondante l’anticlericalismo[17].

I Cattolici non dovevano sentirsi inquieti dal conferimento degli effetti civili ai matrimoni acattolici; dalla possibilità per gli altri culti di erigersi in enti morali; dalla libera discussione in materia religiosa; dalla possibilità per i genitori degli alunni che frequentavano le scuole pubbliche, in cui era impartita l’istruzione religiosa, di chiederne la dispensa; ed in ultimo, ma non di minor importanza, dalla nuova denominazione dei culti acattolici, non più «tollerati», «secondo l’antica e non simpatica espressione dello Statuto», ma «ammessi». Il giornalista seguitava dichiarando che una legislazione in una materia così importante come quella religiosa non poteva contenere alcuna norma a danno delle altre religioni, i privilegi conferiti alla Chiesa Cattolica dovevano essere controbilanciati da un diritto comune in cui non vi fossero differenze di alcun genere con le altre confessioni. Con un ragionamento piuttosto oscuro, l’articolista proseguiva considerando l’uguaglianza giuridica il presidio più sicuro dei privilegi mediante i quali lo Stato onorava la religione cattolica, la più sicura garanzia della loro stabilità.

Tuttavia, Stato concordatario non significava Stato chiesastico, «il trattamento di favore che lo Stato, qualsiasi Stato, può fare alla Chiesa, non può essere mai motivato da ragioni teologiche o soprannaturali, ma da considerazioni di ordine storico e umano». Uno Stato chiesastico non avrebbe avuto la forza e l’autonomia necessarie per difendere la Chiesa e la religione. I Cattolici, d’altra parte, non dovevano aspettarsi tutto dallo Stato, chiedendogli di farsi loro alleato nella lotta contro le altre confessioni o contro certe filosofie e di assumerne la direzione, non dovevano inoltre essere atterriti dalla libertà di coscienza e dalla libertà religiosa, dovevano avere una fede intrepida.

Pochi giorni dopo, «La Stampa» pubblicava un nuovo contributo[18]. Nelle prime righe, l’anonimo giornalista scriveva che il quotidiano poteva considerarsi soddisfatto della replica del foglio cattolico «Il Momento»[19] all’articolo scritto il 7 maggio, e se si insisteva ancora era solo per chiarire ulteriormente le idee e le posizioni. Non era comprensibile la preoccupazione che coglieva certi ambienti cattolici quando si parlava dello Stato, dei suoi diritti, della sua autonomia, della sua coscienza morale. L’articolista rammentava varie personalità cattoliche, fra cui Manzoni, Tommaseo, Rosmini e Gino Capponi che non avevano avuto alcun problema a riconoscere allo Stato autonomia morale, diritti autonomi e morale propria. Era utile che «Il Momento» si chiedesse perché solo con Mussolini era stata possibile la conciliazione tra Stato e Chiesa; secondo il giornalista la causa della mancata conciliazione durante i Governi precedenti era da individuare nell’anticlericalismo, «un motivo di vita, l’unica ragione ideale» dello Stato unitario, «così faticosamente formatosi attraverso la rivoluzione unitaria». Lo Stato fascista, nuovo, forte e con piena coscienza di sé aveva rinunciato all’anticlericalismo, giudicato un residuo anacronistico e ridicolo. L’articolista si chiedeva retoricamente se un simile Stato, lo Stato fascista, che aveva dimostrato la sua forza con la conciliazione, non avesse forza propria, morale autonoma e dovesse quindi vivere di riverbero o di riflesso come avrebbe voluto «Il Momento». Le espressioni che avevano provocato la replica de «Il Momento», come «conquista del pensiero moderno, libertà di coscienza che nessuno Stato potrebbe ripudiare, diritti intangibili dello Stato, principio della libertà religiosa che permane rispettata», si trovavano anche nelle relazioni del guardasigilli finalizzate ad illustrare i disegni di Legge per l’attuazione del Concordato.

In seguito, i rapporti fra il regime e il Vaticano ebbero momenti di forte tensione, ricordiamo il sequestro di un numero de «La Civiltà Cattolica» nel luglio del 1929, le violenze contro l’Azione Cattolica e contro la F.U.C.I. (Federazione degli Universitari Cattolici Italiani) e il consecutivo scioglimento di tutte le organizzazioni giovanili non facenti capo al Partito Nazionale Fascista e all’Opera Nazionale Balilla nell’estate del 1931, un atto, quest’ultimo, chiaramente rivolto contro le organizzazioni cattoliche.

La Legge sui culti ammessi aveva destato un entusiasmo eccessivo fra i protestanti, ed in effetti fu grande la delusione quando nel febbraio del 1930 furono pubblicate le norme di attuazione della Legge, tanto era evidente il carattere restrittivo di molte norme; per esempio, gli avvisi per annunciare i culti o le funzioni religiose evangeliche potevano essere affissi esclusivamente all’interno delle chiese, si svilupparono controversie logoranti sul carattere pubblico o privato delle riunioni, nel caso che gli inni fossero udibili dalla strada si trattava di una riunione pubblica, soggetta all’obbligo di presentazione di un preavviso di tre giorni, come indicava la Legge di Pubblica Sicurezza.

La piccola comunità protestante italiana si apprestava a vivere momenti difficili, essendo oppressa da un regime dittatoriale liberticida e offesa da una stampa cattolica reazionaria; a questo proposito, segnaliamo che nel 1932 la Chiesa Valdese fu definita da «L’Osservatore Romano», organo di stampa ufficiale del Vaticano, «un’associazione a delinquere»[20].


Note

1 Regio decreto legislativo 30 dicembre 1923 numero 2859, Elenco dei giorni festivi a tutti gli effetti civili, delle feste nazionali e delle solennità civili.

2 Regio decreto 20 marzo 1924 numero 352, Estensione al territorio di Fiume dell’ordinamento dello stato civile ed estensione a tutti i territori annessi al Regno delle disposizioni del Codice civile italiano in materia di matrimonio […]; confronta Ester Capuzzo, Dal nesso asburgico alla sovranità italiana. Legislazione e amministrazione a Trento e a Trieste (1918-1928), Milano, Giuffrida, 1992, pagine 143-148, 159-162.

3 Regio decreto legislativo 15 luglio 1923 numero 3288 (articolo 2).

4 Regio decreto 6 novembre 1926 numero 1848 (articoli 114, 232); Codice penale, 19 ottobre 1930 (libro II, titolo IV, capo I, articoli 402-406).

5 Legge 27 maggio 1929 numero 810, Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l’Italia, l’11 febbraio 1929 (articolo 1 del Trattato e articolo 36 del Concordato).

6 Legge 24 giugno 1929 numero 1159, Disposizione sui culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi (in particolare articolo 3); Regio decreto 28 febbraio 1930 numero 289, Norme per l’attuazione della Legge 24 giugno 1929 numero 1159, sui culti ammessi nello Stato e per il coordinamento di essa con le altre Leggi dello Stato (in particolare articolo 14).

7 Michele Sarfatti, Gli Ebrei nell’Italia fascista, Torino, Einaudi, 2000, pagina 57.

8 Confronta Kurt E. Suckert, Il dramma della modernità, in «La Rivoluzione Liberale», anno I, numero 22, 16 luglio 1922, pagina 59.
Kurt E. Suckert, Il desiderio anglosassone del divino. Le ultime eresie d’Occidente, in «La Rivoluzione Liberale», anno I, numero 24, 13 agosto 1922, pagina 87.
Kurt E. Suckert, L’Europa vivente. Teoria storica del sindacalismo nazionale, con prefazione di Ardengo Soffici, Firenze, «La Voce», 1923.
Curzio Malaparte Suckert, Italia barbara, Torino, Piero Gobetti Editore, 1925.

9 Confronta Giorgio Spini, Italia di Mussolini e protestanti, Torino, Claudiana, 2007, pagine 123-134.

10 Confronta Giorgio Spini, Italia di Mussolini e protestanti, Torino, Claudiana, 2007, pagina 126.

11 Anonimo, Il Concordato e i protestanti in Italia, «La Stampa», 7 marzo 1929.

12 Nonostante le preoccupazioni delle Chiese Evangeliche, l’articolo in questione fu nella realtà disatteso completamente. Confronta Giorgio Spini, Italia di Mussolini e protestanti, Torino, Claudiana, 2007, pagina 126.

13 Il monumento a Giordano Bruno, opera dello scultore Ettore Ferrari, fu fortemente voluto dal sindaco di Roma Ernesto Nathan, ebreo, massone e radicale, una figura di grande politico risorgimentale. Su Ernesto Nathan confronta Massimo Teodori, Risorgimento laico. Gli inganni clericali sull’unità d’Italia, Soneria Mannelli, Rubettino, 2011, pagine 75-78.

14 Confronta Giorgio Spini, Italia di Mussolini e protestanti, Torino, Claudiana, 2007, pagine 130-131.

15 Confronta Giorgio Spini, Italia di Mussolini e protestanti, Torino, Claudiana, 2007, pagine 130-131.

16 Anonimo, Fede non intrepida, «La Stampa», 7 maggio 1929.

17 Massimo Teodori, Risorgimento laico. Gli inganni clericali sull’unità d’Italia, Soneria Mannelli, Rubettino, 2011.

18 Anonimo, Dare e avere, «La Stampa», 11 maggio 1929.

19 Giornale cattolico fondato da Angelo Mauri nel 1903 a Torino.

20 Articolo citato da «La Luce», anno XXV, numero 47, 23 novembre 1932, pagina 2, nella rubrica «Leggendo ed Annotando».

(dicembre 2011)

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