Spionaggio fascista in Vaticano
I riscontri. I fiduciari dell’OVRA. I collegamenti con l’intelligence nazista

Avvertenza: per ragioni di lunghezza, e in accordo con l'Autore, questo articolo è stato pubblicato privo delle note presenti nel testo originale.

Dal 1926 al 1940 (anno della sua morte) il capo della Polizia fascista fu il prefetto Arturo Bocchini. Nell’espletamento del suo mandato, volle anche annotare in un registro i nominativi dei confidenti che fornivano segretamente dati riservati su persone e movimenti politici avversi al regime. In questo registro vennero indicati anche i nomi di copertura e i numeri in codice delle singole spie. Si tratta di una grossa rubrica rilegata in pelle nera, con angoli e dorso verde, sul cui frontespizio è stampigliato il timbro «segreto». In 230 pagine sono elencati 374 nominativi di fiduciari diretti della Divisione Polizia Politica (Popol) con i recapiti ufficiali e clandestini. Il periodo considerato va dalla conquista dell’Abissinia (1935-1936) fino all’occupazione tedesca (1943). La rete dei confidenti era seguita da alcuni funzionari del Ministero dell’Interno. Anche loro erano iscritti nel registro (con la precisazione: «Non è fiduciario»).

Bocchini, primo da destra

Parata militare a Berlino, 1936; il Capo della Polizia fascista Bocchini è il primo da destra

Da Bocchini a Senise

Dopo la morte di Bocchini, il registro fu acquisito dal suo successore: il prefetto Carmine Senise. Quest’ultimo esercitò il ruolo di capo della Polizia dal 1940 al 1943. Dopo la destituzione di Mussolini, il 26 luglio 1943 il Generale Pietro Badoglio, nuovo capo del Governo, lo restituì alle sue funzioni (mantenute fino all’8 settembre 1943). Con la caduta di Mussolini (25 luglio 1943), l’allora capo dell’OVRA, Dottor Guido Leto, aderì alla Repubblica Sociale Italiana (RSI), e si trasferì a Valdagno, nella casa del conte Gaetano Marzotto. Con sé, trasportò una parte notevole dell’archivio dell’OVRA. A fine guerra, Leto fu indicato dalle autorità alleate quale conservatore e responsabile del suddetto archivio. In seguito, riprendendo le carte dell’OVRA, venne ritrovato il registro. II 31 ottobre 1945 il capo della Polizia Luigi Ferrari lo consegnò all’Alto Commissariato per la punizione dei delitti fascisti. Tale organismo aveva il compito di epurare dalla pubblica amministrazione quanti avevano interagito di nascosto con gli uffici del regime fascista addetti alle repressioni. In seguito, il registro fu custodito prima negli archivi del Ministero dell’Interno, venne poi consegnato all’Archivio Centrale dello Stato. Nell’attuale periodo, una volta desecretato, è stato oggetto di studi. Il materiale riguardante la rete dello spionaggio fascista (l’OVRA) è significativo a livello storico perché fornisce più indicazioni. Tra queste, rende noti gli articolati criteri d’inoltro della corrispondenza e delle ricompense, al fine di proteggere l’anonimato dei collaboratori, le tecniche adoperate per raccogliere notizie e – in alcuni casi – gli ordini impartiti per attuare delle provocazioni.


1946. Pubblicazione elenco confidenti dell’OVRA

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, a seguito di deliberazione del Consiglio dei Ministri, il 6 febbraio 1946 venne nominata una speciale Commissione. Tale organismo doveva, sulla base dei documenti ritrovati, pubblicare un elenco nominativo dei confidenti dell’OVRA. Erano esclusi da tale lista i deceduti e i funzionari, impiegati, sottufficiali e guardie di pubblica sicurezza, e le persone non individuate. Ai sensi dell’articolo 2 del R.D.L. 25/5/1946, numero 424, venne data facoltà di ricorrere contro tale inclusione.

Prevalevano nelle categorie professionali tra i confidenti i giornalisti e, dal punto di vista della religione, gli Ebrei. In tale contesto, si mossero più persone per far eliminare il proprio nominativo dall’elenco. Da un totale di 900 nomi si arrivò alla fine (con doppia scrematura) a divulgare 622 nominativi. Diverse persone erano riuscite a non far pubblicare il proprio nome. Per questo motivo non mancarono le polemiche. Queste ultime fecero riferimento a omissioni compiacenti, a «salvataggi» di vari personaggi. Le illazioni, poi, aumentarono perché ai ricercatori non fu permesso di accedere al «documento principe».

Tra i nomi «salvati» (che fecero scalpore) c’era quello, ad esempio, dell’ispettore generale di pubblica sicurezza Gesualdo Barletta. Era stato il capo della nona zona OVRA (Lazio Meridionale-Roma). Malgrado ciò, dopo un periodo di internamento e una fase di latitanza, fu promosso nel settembre del 1948 direttore della neo-costituita Divisione affari generali e riservati della Polizia, quindi vicecapo della Polizia (fino al gennaio 1956). Era affiancato dall’ispettore Domenico Rotondano (responsabile servizio 1), anche lui di provenienza OVRA. È pure da ricordare che, tra il 1946 e il 1953, divenne questore di Roma il commissario Saverio Polito che aveva in precedenza operato nell’OVRA.

Nel recente periodo, confrontando più elenchi, ci si è accorti che diversi giornalisti riuscirono a non essere inseriti nella lista dei fiduciari del regime. Pur segnati nella rubrica dei confidenti, furono ignorati dalla lista pubblicata nella «Gazzetta Ufficiale». Si possono ricordare alcuni nominativi: Gian Carlo Govoni, Ubaldo Silvestri e Alberto Giannini.

Govoni (fiduciario numero 770, nome in codice «Pisa») riceveva i compensi presso l’abitazione romana di Via Pisanelli. Direttore della Agenzia «International News Service», era corrispondente dei quotidiani «Tribuna», «Sera» e «Gazzetta del Popolo». Ubaldo Silvestri (796), già redattore della «Giustizia» e del «Resto del Carlino», nonché collaboratore del «Messaggero», nel dopoguerra fu segretario di redazione del «Popolo». Alberto Giannini, fondatore nel 1924 del settimanale satirico antimussoliniano «Il becco giallo», durante l’esilio in Francia aveva mutato orientamento politico e finì sul libro paga di Bocchini, insieme alla sua convivente. I compensi venivano pagati a Roma, in Corso Trieste 171.


L’individuazione dei confidenti operanti in Vaticano

Lo studio delle carte dell’OVRA ha permesso di comprendere meglio anche il disegno spionistico che il Governo fascista attuò a danno della Santa Sede. Sono così emersi i nominativi dei fiduciari dell’OVRA operanti in Vaticano. Uno di essi altro non era che il capo degli stessi servizi vaticani di sicurezza. Ciò spiega, tra l’altro, perché il Governo Italiano era in possesso del cifrario della Santa Sede. D’altra parte, lo stesso Ministro Galeazzo Ciano, nel 1940, disse a Monsignor Borgoncini Duca: «Non vi fidate dei diplomatici accreditati presso la Santa Sede, i quali, nei loro telegrammi e rapporti, danno notizie dell’Italia come apprese in Vaticano e fanno anche il mio nome. Noi leggiamo tutto ed anche Mussolini legge tutto. Bisogna che teniate conto della mia posizione, se no, non vi dico più niente».

Il Governo Italiano seguiva quindi con particolare attenzione quanto avveniva all’interno del territorio vaticano. I motivi erano evidenti: interazione della Santa Sede con diplomatici di più Paesi, presenza di tipo residenziale (durante il Secondo Conflitto Mondiale) di rappresentanti delle Forze Alleate nemiche dell’Asse, comunicazioni della Segreteria di Stato con i centri ecclesiali dislocati nei territori ove era in corso la guerra, promozione di iniziative umanitarie (a favore di Ebrei, perseguitati politici, sfollati, profughi, internati). In tale contesto, le azioni di spionaggio furono continue. Ciò fu possibile per i comportamenti posti in essere da Monsignori, personale laico vaticano, giornalisti. Tale manovra occulta si indirizzò anche nei confronti dei diplomatici accolti in Vaticano. Ad esempio, nel 1943 il Servizio Informazioni Militari (SIM) fece in modo che l’Ambasciatore Inglese, Sir Francis d’Arcy Osborne, assumesse uno dei suoi agenti in qualità di maggiordomo. Secondo le istruzioni ricevute, questi (un Italiano) rubò dal suo nascondiglio il materiale attinente al cifrario in possesso del diplomatico, mentre Osborne era uscito con il cane.


La figura della Pupeschi

In tale contesto, uno dei punti di collegamento tra spie e funzionari del regime fu costituito da due donne: la Pupeschi e la Scala. Poco più che trentenne, la Fiorentina Bice Pupeschi (di Pupo e di Pini Cesira, nata il 5 marzo 1894) era di gradevole aspetto. Possedeva una discreta intelligenza e cultura. Amava il teatro. Scrittrice. Poetessa. Aspirante attrice. Di lei si conserva una foto da cavallerizza. Bocchini era il suo amante. Risiedeva in Viale del Littorio, Grottaferrata (Roma). Si spostò poi in Via Marcello Prestinari 7 (Roma). Dalla metà degli anni Venti ai Trenta (XX secolo) interagì, con il ruolo di capogruppo, con i fiduciari del regime fascista infiltrati in Vaticano. Il suo nome in codice era: «Diana» (informatore numero 35). Riceveva 20.000 lire al mese. Ottenne dati riservati grazie ad alcuni prelati, tra questi i Monsignori Benigni e Pucci. Di tali ecclesiastici, nelle carte dell’OVRA, non sono stati trovati appunti autografi. Essi riferivano infatti le informazioni a voce. Per vie brevi erano consegnati all’attrice i documenti. Il compito di mettere per iscritto i rapporti sul Vaticano spettava alla Pupeschi (anche con riferimenti a pettegolezzi e a voci prive di riscontro). Dalla scrivania di Bocchini le relazioni finivano su quella di Mussolini. A fine guerra, la Pupeschi fu liberata per amnistia il 26 giugno 1946.


Maria Luisa Scala

Maria Luisa Scala (nome d’arte: Fulvia, Marisa Romano; informatore numero 56) nacque a Palermo l’11 febbraio del 1903. Aspirante attrice, di non debole professionalità, fu in diretto rapporto con il capo della Polizia. Pure il suo amante, il giornalista Giuseppe Mascioli, era al servizio dell’OVRA. La Scala ebbe anche un legame sentimentale con Jacopo Comin. Con quest’ultimo conviveva in un palazzo al Foro Traiano numero 1. Per la sua attività spionistica la Scala acquisiva notizie dai giornalisti Gaspare Fortini e Icilio Bucci. A soli 22 anni, nel 1925, aveva svolto un ruolo importante nello sventare un attentato a Mussolini organizzato da Tito Zaniboni e dal Generale Luigi Capello. In tale occasione si infiltrò negli ambienti massonici francesi, e nel gruppo dei cospiratori. Informò a tempo la Polizia fascista su quanto si stava tramando.


Monsignor Pucci

Mussolini, tra i suoi fiduciari segreti, poté contare fino al 1931 su Monsignor Enrico Pucci. Si trattava del prelato domestico di Pio XI, direttore dell’Ufficio stampa della Santa Sede, collaboratore del «Corriere d’Italia», e corrispondente di altri giornali. Nell’ottobre del 1927 fu inizialmente reclutato da Bocchini come fiduciario diretto (informatore numero 96). Venne poi aggregato alla rete della Pupeschi. Per la sua collaborazione riceveva ogni mese 3.000 lire. Nel 1946, il nome del Monsignore fu pubblicato nell’elenco dei confidenti dell’OVRA. In seguito, Pucci fece ricorso all’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo. E venne prosciolto da ogni accusa («Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana», numero 13, 17 gennaio 1947, pagina 147). In tempi ravvicinati, però, alcuni documenti ritrovati nell’Archivio Centrale dello Stato confermano che Pucci era un confidente di Bocchini. Alcuni studiosi ipotizzano che il prelato potrebbe aver operato d’intesa con la Santa Sede per acquisire informazioni sulla politica fascista utili al Vaticano. In tale contesto, dai documenti conservati nel suo fascicolo personale, risulta anche che Pucci avrebbe offerto informazioni ad Ambasciate straniere a 200 lire a notizia, comunicando ai Governi esteri testi di trattati della Santa Sede prima che ne avvenisse la firma.

In seguito, la collaborazione tra Pucci e l’OVRA rallentò. Il prelato, infatti, era sotto controllo in Vaticano. Malgrado ciò, il Monsignore rimase in contatto con l’Ufficio stampa di Mussolini. Dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale in poi l’attività del Monsignore si orientò a favore della Santa Sede e degli Stati Uniti. Il buon rapporto con il Cardinale Spellmann gli permise di collaborare (1941) con periodici cattolici americani (per esempio, il «National Catholic»).

Himmler, al centro

Funerali di Bocchini, Roma, 1940; il personaggio al centro è Himmler

Monsignor Caterini e Monsignor Stoppa

L’Ufficio sanzioni contro il fascismo individuò pure, tra i sub-fiduciari di Bice Pupeschi, due Monsignori: Caterini e Stoppa. È da sottolineare, però, che il Caterini a cui allude l’Ufficio sanzioni, cioè Monsignor Ernesto Caterini (1860-1926), era membro del Collegio dei Protonotari Apostolici e non minutante di Congregazione ecclesiastica come viene erroneamente indicato. Ciò fa pensare che l’informatore della Polizia politica (assunto nel 1929) non dovrebbe essere stato questo prelato, bensì il nipote, conte Stanislao Caterini. Stoppa era invece addetto all’archivio della corrispondenza dei dicasteri pontifici. Si tratta di figura minore ma in collegamento con la Pupeschi.


Il conte Stanislao Caterini

Per diversi anni un fiduciario del regime fascista fu il conte Stanislao Caterini. Era impiegato presso la Segreteria di Stato vaticana. Lavorò in Archivio, e fu addetto anche al reparto crittografico. Tenente della Guardia Nobile Pontificia. Nipote di Monsignor Ernesto Caterini. Reclutato dall’OVRA nel 1929, interagiva con la Pupeschi e con Pucci. Nel 1931 fu bruscamente allontanato dal Vaticano per l’attività spionistica che svolgeva.


Monsignor Benigni

Nel suo disegno spionistico l’OVRA poté contare anche su Monsignor Umberto Benigni (numero 42). Questo sacerdote operava con un proprio nucleo autonomo, sostenuto dalla segretaria e da un nipote (il giornalista Pietro Mataloni, attivo in Vaticano). Negli anni del Pontificato di Pio X la sua figura emerse in negativo per gli attacchi contro i cosiddetti «modernisti» e per l’avversione alla comunità ebraica. Nella Segreteria di Stato Vaticana arrivò al ruolo di Sottosegretario degli Affari ecclesiastici straordinari. Fondò il settimanale «Corrispondenza Romana» e l’organizzazione «Sodalitium Pianum» i cui membri agivano in incognito. Quest’ultimo organismo fu sciolto da Benedetto XV nel 1921. Proseguì comunque privatamente la sua attività (con sede dislocata fuori del Vaticano, in Via del Corso, «Casa San Pietro»). Nel 1923 il Monsignore fondò l’«Intesa Romana di Difesa Sociale». Tale associazione internazionale era anticomunista e antisemita. Tra i suoi obiettivi, l’appoggio al fascismo e alle forze nazionaliste di altri Paesi. Dal 1924 si concretizzò un deciso sostegno a Mussolini. Fu poi Bocchini a mettere in collegamento Benigni con la Pupeschi. Essendo deceduto nel febbraio del 1934, Benigni non venne inserito (1946) nell’elenco dei fiduciari dell’OVRA. Il lavoro intrapreso, però, non si fermò. Lo proseguì la D’Ambrosio, ex segretaria del Monsignore. Mussolini, comunque, non accolse la domanda della D’Ambrosio di sistemazione finanziaria (i debiti erano di 250.000 lire).


Bianca D’Ambrosio

Il nome della Partenopea Bianca D’Ambrosio, inserito nell’elenco dei fiduciari dell’OVRA (nome in codice: «Didone»), lo si ritrova pure in un fascicolo verde della Polizia politica. Fu la segretaria di Monsignor Benigni. Lavorava presso la Radio Vaticana. Era lei a mantenere i collegamenti tra la rete del Monsignore e i funzionari dell’OVRA. Alla morte del prelato, la D’Ambrosio assunse il coordinamento della rete, e intensificò i contatti con la Polizia politica. Nella sua attività spionistica rilevò inoltre il numero già attribuito a Benigni (informatrice numero 42).


Troiani

Una delle reti spionistiche legata all’OVRA fu coordinata dal giornalista Virginio Troiani, sedicente marchese di Nerfa (alias «Capranica», informatore numero 40). Nacque a Roma nel 1882. La sua carriera nel mondo della stampa fu modesta. Scrisse per il «Popolo Romano». Divenne cronista-capo de «Il Paese» e del «Sereno». Venne reclutato nel novembre del 1919 dai servizi politici. Troiani arrivò a interagire anche con Monsignor Fogàr. Dipendevano da lui altri giornalisti (sub-fiduciari), come Setaccioli e Fortini. Spettò, tra l’altro, a Troiani il compito di agganciare l’Avvocato Bruno Cassinelli. Quest’ultimo operò (senza esito) per compromettere l’ex Segretario del Partito Comunista d’Italia Amadeo Bordiga in prese di posizione filofasciste.


Monsignor Fogàr

Monsignor Luigi Fogàr nacque a Gorizia nel 1882 (morì a Roma nel 1971). Divenne Vescovo di Trieste e di Capodistria nel 1923. Questo presule fece della difesa dei diritti delle minoranze etniche (Croati e Sloveni) uno dei capisaldi del suo episcopato. Fu aiutato anche da Monsignor Francesco Borgia Sedej, Vescovo di Gorizia, e da Monsignor Trifone Pederzolli, Vescovo di Parenzo e Pola. Già nel 1928, sul «Bollettino» della diocesi, pubblicò una direttiva con la quale vietava mutamenti di lingua nelle funzioni sacre. Nel 1932 compilò un «memorandum» e lo indirizzò alla Corte d’Appello di Trieste per denunciare i soprusi praticati dai rappresentanti del regime ai danni dei cattolici slavi. A seguito di contrasti con il prefetto Carlo Tiengo (ex squadrista), Fogàr fu nominato Arcivescovo di Patrasso nel 1936 e trasferito a Roma. Nell’Urbe svolse funzioni di vicario del Cardinale Benedetto Aloisi Masella, arciprete di San Giovanni in Laterano. Alla morte di questo (1970) divenne canonico lateranense. Fogàr lo si ritrova anche come predicatore presso la chiesa di San Giuseppe al Trionfale, membro di tribunali ecclesiastici per le cause di beatificazione, e assistente al Soglio Pontificio.

Dai documenti dell’Alto Commissario per i reati fascisti risulta che l’alto prelato collaborò con la Polizia politica fascista dal 1939 al 1943 (informatore numero 90). In particolare, risulta una interazione con il giornalista Troiani di Nerfa.

A conclusione dell’esame della documentazione presente nel fascicolo dell’OVRA, il magistrato elencò i principali capi di accusa. In base a tale documento è scritto che Fogàr, nel solo 1943, aveva fornito alla Polizia fascista, tra l’altro, informazioni riguardanti i sentimenti filo-inglesi e antifascisti di Monsignor Luigi Santa, vicario apostolico di Gimma (Etiopia); aveva segnalato l’arrivo alla Segreteria di Stato Vaticana di dispacci segreti sui rapporti tra Londra e Ankara e riferito sull’avversione verso il regime fascista di vari alti prelati vaticani tra cui Monsignor Andrea Spada, il Cardinale Pietro Fumasoni Biondi, Monsignor Pio Rossignani, Monsignor Carlo Respighi.

Fogàr, secondo il magistrato, aveva inoltre fornito informazioni sul conto di Monsignor Antonio Santin, dei Cardinali Giuseppe Pizzardo e Carlo Salotti, e su un tentativo di mediazione diplomatica condotto dal Vaticano tra USA e Giappone. Aveva infine riferito a Bocchini le impressioni e i commenti raccolti in Vaticano sulle frequenti perquisizioni della Polizia presso persone e negli uffici dell’Azione Cattolica.

Sempre secondo il magistrato, l’attività informativa di Fogàr proseguì anche dopo il 25 luglio 1943, quando, ad esempio, trasmise alla Polizia politica «una lista di tedeschi antinazisti residenti a Roma». L’11 settembre 1943, aveva riferito le «dichiarazioni rese dall’ex deputato De Gasperi sull’andamento della guerra». L’attività di Fogàr era proseguita nel periodo della Repubblica Sociale Italiana. Egli aveva informato sulle reazioni in Vaticano alla notizia delle «atrocità tedesche» e di quelle «commesse a Ferrara dai fascisti repubblicani», e aveva rivelato «l’ingresso in Vaticano di tre soldati fuggiaschi», accolti da Osborne, Ministro Plenipotenziario Inglese presso la Santa Sede. Aveva inoltre riferito «sui propositi degli Alleati per la punizione dei criminali di guerra e le spie dell’OVRA».

Denunziato all’Autorità giudiziaria con l’imputazione «di aver contribuito con atti rilevanti, quale confidente dell’OVRA, a mantenere in vigore il regime fascista», Fogàr poté usufruire dell’amnistia decisa dall’Onorevole Togliatti (1946).


In particolare: lo studio di Guido Botteri su Fogàr

In tempi recenti, la posizione di Monsignor Fogàr è stata ripresentata in termini diversi rispetto ai resoconti della magistratura del dopoguerra. Lo studioso Guido Botteri, in particolare, ha dimostrato che sulla figura di questo prelato sono state create delle fumosità con notevoli errori storici. A smentire l’accusa di «spia fascista», infatti, sottolinea questo Autore, fu lo stesso Virginio Troiani. E ciò, malgrado il fatto che questi anche con i suoi superiori si era vantato di poter contare sulla «collaborazione» del Vescovo.

Il Troiani, processato dalla Commissione speciale contro i crimini fascisti, fece solo il nome di 10 suoi «sub-fiduciari» stipendiati (nei suoi elenchi del periodo fascista ne aveva inseriti 50), e in un memoriale autografo del 17 aprile 1945 chiese al giudice istruttore di interrogare Monsignor Fogàr: «Egli potrà illustrare alle autorità quello che io ho fatto in 15 anni nella Venezia Giulia a favore dei cattolici, degli Sloveni e di tutti i martiri della violenza fascista. Credo che Sua Eminenza Monsignor Fogàr in questo periodo di tempo mi abbia consegnato oltre 2.000 lettere da raccomandare a Sua Eccellenza Bocchini e a Sua Eccellenza Senise e allo stesso Mussolini. Si trattava di confinati, di condannati, di perseguitati, di ammoniti, di mandati in campo di concentramento, di Ebrei perseguitati e di tanti infelici, vittime della demenza fascista».

Il 14 giugno del 1945, Monsignor Fogàr trasmise al giudice De Martino, che stava istruendo la causa Cassinelli-Troiani, un memoriale di otto pagine per «fare il mio dovere, impostomi dalla coscienza, dalla riconoscenza e dallo spirito di giustizia». L’ultimo punto, il quinto, è dedicato al «conte V. Troiani»: «Conosco il Troiani da circa 20 anni. Sapevo di lui che era addetto alla Polizia e che aveva degli incarichi delicati. Credo mio dovere di coscienza di dichiarare che il Troiani, durante questo lungo periodo, mi ha aiutato per difendere tantissimi perseguitati dal fascismo, Slavi e Italiani, sacerdoti e laici e ultimamente gli Ebrei. Il Dottor Kralj [leader degli Sloveni cattolici di Gorizia, Nota del Redattore] e io stesso siamo ricorsi a lui in innumerevoli casi e molte volte con successo. Il Troiani mai ebbe la minima retribuzione. Egli dimostrava a noi sempre i suoi sentimenti antifascisti».

A questo punto, Guido Botteri afferma che le presunte informazioni e illazioni citate da Mauro Canali nel suo volume Le spie del regime, a proposito di Monsignor Fogàr, sono tutte prive di riscontro nei documenti, pur richiamati nelle note. Sostiene Botteri che Canali fa credere che Monsignor Fogàr «riferisse», «trasmettesse» direttamente «ai funzionari della Polizia Politica» informazioni e delazioni. I documenti rivelano, però, che non c’è alcun rapporto di Monsignor Fogàr nei vari fascicoli della Polizia, né tanto meno ricevute di compensi o di rimborso spese di viaggi: le relazioni sono sempre delle varie spie, che «riferiscono».

Nei documenti esaminati compaiono anche i nomi di Guido Gonella e di Alcide De Gasperi, il primo come «accompagnatore» di una dama di Corte che, il 7 settembre del 1943 (cioè il giorno prima dell’armistizio) volle conoscere Monsignor Fogàr («Il Professor Gonnella – scrive il Troiani – non ha voluto assistere per delicatezza al colloquio»). Il Vescovo le elencò «tutti gli orrori commessi dal defunto regime nella provincia di Lubiana». De Gasperi è citato in un rapporto di quattro giorni dopo, perché commentando le reazioni alla firma dell’armistizio «l’ex deputato De Gasperi dichiarava che la classe operaia si è comportata come l’ora che attraversiamo impone».

Nella documentazione su Fogàr, Vescovo di Trieste dal 1939 al 1945, fornita dalla rete spionistica fascista, sono conservati anche i rapporti di «Cirius». Si trattava dell’ex combattente Mario Rossi. Questi era stato direttore del settimanale cattolico di Gorizia. Passò poi al fascismo.

In una prima informativa del 14 ottobre 1936, Rossi-Cirius rilevò che del Vescovo dimissionario (lasciò Trieste a fine guerra) sono «amici e simpatizzanti Ebrei, socialisti e comunque dissidenti, i quali, come già è accaduto altre volte, prenderebbero questa occasione per acclamare il Vescovo e trarne una dimostrazione antifascista e anti-italiana». Tre anni dopo Rossi-Cirius, commentando anche una visita a Gorizia del «famigerato» Monsignor Fogàr, lo definisce «capo della ribellione» dei preti slavi della diocesi isontina nei confronti dell’Arcivescovo Margotti, ritenendo «inutile sottolineare la sua personalità anti-italiana e antifascista».

L’ultimo documento di «accusa», datato 8 ottobre 1942, venne intitolato dallo stesso Rossi-Cirius: Monsignor Fogàr confessa di essere il protettore dei preti ribelli slavi. «Il prelato – scrive il confidente dell’OVRA recatosi a Roma per visitarlo a seguito delle istruzioni impartitegli – che accoglie nella sua casa gli alti papaveri antifascisti del mondo cattolico romano e i preti slavi del Goriziano e del Triestino, di cui, dal giorno della sua cacciata da Trieste si è fatto protettore, parlando con Cirius ha confermato di essere lui il protettore degli Slavi. Lo si sapeva, ma non per questo la sua ammissione non è meno preziosa».

Sempre in argomento di Slavi, ma al di là del confine, egli osservò ancora: «Certo che gli Sloveni di Lubiana desideravano un’occupazione dell’Italia perché altrimenti sarebbero stati invasi dalla Germania, ma essi non possono darsi una ragione dell’annessione. E poi lo sbaglio è stato quello di voler fascistizzare subito quella popolazione, che del fascismo ha avuto sempre un gran terrore».


Zanetti

Nella rete informativa, coordinata da Troiani, operò pure Francesco Zanetti. Nel 1911 entrò nella redazione dell’«Osservatore Romano». In precedenza, aveva già collaborato con diverse testate giornalistiche («Osservatore Cattolico», «Momento» di Torino). Era noto per essere anche autore di poesie. Divenne alla fine caporedattore del quotidiano della Santa Sede. Nel suo «cursus» poté contare sul sostegno di un prelato importante: Monsignor Nicola Canali, vicino alla linea fascista. Negli archivi dell’OVRA è indicato come uno degli informatori più attivi. Interagiva con la Pupeschi e con la D’Ambrosio.


Fortini

Accanto a Zanetti, nella sede dell’«Osservatore Romano», lavorò per il Duce anche il redattore e amministratore Gaspare Fortini (pure il fratello Gabriele lavorava per l’OVRA). Il 26 settembre 1929 un’informativa anonima, manoscritta su carta intestata dell’«Osservatore Romano», denunciava alla Segreteria di Stato di Sua Santità «l’atteggiamento poco encomiabile» di uno dei redattori del giornale. «La condotta del signor Gaspare Fortini – è detto testualmente – a riguardo del segreto d’ufficio che deve essere osservato in posto così delicato è tale da non lasciare soverchie assicurazioni. Qualche volta egli, credendo la redazione deserta, è stato sorpreso ad esaminare affannosamente i manoscritti originali e le bozze di stampa che si è soliti conservare. Frequenti sue domande in gran segretezza, a questo ed a quello, intorno a fatti ed a persone, sono tali da ingenerare sospetti. Recentemente, ad esempio, ebbe a chiedere, previa offerta di un compenso, a persona degna di fede che me ne riferì poi, dati e notizie riguardanti le personalità più in vista del movimento cattolico. Alla domanda che cosa intendesse farne rispose evasivamente che si trattava di notizie per uso personale e per un’Agenzia di cui non volle dichiarare né il nome, né la qualità.

Si aggiunge che il Fortini – prosegue l’ignoto informatore – a parere concorde della Redazione, rappresenta un perfetto ingombro, essendo la sua prestazione assolutamente nulla per incapacità mentale e colturale. Certo è che la qualifica di Redattore dell’“Osservatore Romano” gli torna utile per una serie non breve di affari e di relazioni di svariato genere. Di qui la sua persistenza a non abbandonare il posto nonostante il minimo stipendio percepito.

Altro fatto degno di attenzione è l’atteggiamento dell’usciere Crescenzi Iginio che risulta essere stato assunto quale informatore dell’Agenzia l’“Informazione”, notoriamente emanazione più o meno diretta della Questura.

Così è che il contegno del giovane è niente rassicurante per il segreto che deve essere mantenuto in simili incarichi redazionali. L’impressione che elementi estranei – conclude l’informativa antispionistica – si possano comunque servire di personale addetto sia alla redazione che alla tipografia del giornale per carpire segreti ed informazioni è precisa. Un provvedimento si rende quindi urgente onde prevenire ogni increscioso incidente, tanto più alla vigilia del definitivo ingresso dell’“Osservatore Romano” nella Città del Vaticano». La riorganizzazione del giornale, di lì a poco trasferito definitivamente entro le mura vaticane, previde la rimozione del Fortini. Una rimozione che come risulta da documenti successivi, presenti nel citato fascicolo della Segreteria di Stato, si limitò all’allontanamento dalla redazione.


Bucci e Pozzi

Altri fiduciari dell’OVRA furono i giornalisti Bucci e Pozzi. Il Dottor Icilio Bucci (di Marco e Janni Virginia) nacque a Roma l’11 novembre 1881. Nel 1929 era domiciliato in Via Giulia 147. Collaborò con le redazioni di diversi periodici e riviste.

Tommaso Arrigo Pozzi ebbe una buona capacità di movimento all’interno della Santa Sede. Si mantenne vicino a Monsignor Celso Costantini. Quest’ultimo, dal 1935, fu il Segretario della Congregazione vaticana «Propaganda Fide». Pozzi poté contare su un referente molto attivo. Si trattava di Monsignor Antonio Pellizzola. Era il consigliere ecclesiastico dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede (dal 1929 al 1933).


Tavolato

Tra i giornalisti fiduciari dell’OVRA ci fu anche il Triestino Italo Tavolato. Scrittore, fu esponente italiano del Futurismo (movimento letterario, culturale e musicale). Nel 1925 curò un numero della rivista berlinese «Roland» sull’Italia di Mussolini, intitolato Das vierte Italien e sponsorizzato dall’Ambasciata Italiana di Berlino. A partire dalla primavera-estate del 1925 operò a Berlino come pubblicista. Collaborò anche con «Das Kunstblatt», scrisse recensioni per «Die literarische Welt». Dalla capitale tedesca collaborò con il quotidiano romano fascista «Il Tevere», diretto da Telesio Interlandi. Verso la metà del 1926 tornò in Italia e si iscrisse al Partito Fascista. Nel 1933 venne arruolato dalla Polizia Politica fascista come spia (alias «Tiberio», informatore numero 571). Nel dicembre dello stesso anno fu inviato in Germania per indagare sull’organizzazione della GESTAPO, di cui individuò alcuni agenti attivi in Italia; segnalò anche diversi giornalisti dell’Associazione stampa estera. Fu corrispondente romano della rivista italo-tedesca «Berlin Rom Tokio». Dopo la guerra fece richiesta, con esito negativo, di essere cancellato dalle liste degli informatori dell’OVRA.


Lolli

Cesidio Lolli ricoprì il ruolo di vice direttore dell’«Osservatore Romano». Chiamato in modo scherzoso «padre Lolli», non era né prete né genitore. Doveva correggere i discorsi del Papa, divulgati poi a livello internazionale. Concluse la sua carriera durante il Pontificato di Giovanni XXIII. Venne sospettato di doppio gioco. Riguardo a questo giornalista è difficile stabilire i confini tra l’attività spionistica e la collaborazione con media sospetti. Per molti anni nel dopoguerra fu pagato dall’agenzia americana «United Press». Era certamente in grado di avere in anticipo i discorsi dei Papi, o i documenti destinati a essere pubblicati dall’«Osservatore Romano». Negli anni di Pio XII era incaricato di andare dal Pontefice per ritirare i testi dei discorsi papali. Pacelli, poi, lo chiamava talvolta al telefono per le ultime correzioni.


Scattolini

Virgilio Scattolini fu un giornalista che lavorò come assistente di Monsignor Mario Boehm, redattore capo dell’«Osservatore Romano» (controllato dal suo collaboratore Bronzini). Monsignor Boehm, pur non essendo inserito tra i fiduciari dell’OVRA, fu in ogni caso responsabile sul piano morale dell’introduzione di Scattolini in Vaticano. Questi, all’inizio del 1930, venne reclutato dai Servizi Segreti Italiani e inserito nella rete di Pucci. Era protetto dal gerarca fascista Roberto Farinacci. Ricevette all’inizio fiducia negli ambienti vaticani. Nel 1936, ebbe pure il compito di dirigere l’ufficio stampa all’Esposizione mondiale della stampa cattolica organizzata per i 75 anni dell’«Osservatore Romano». Nel 1943, individuate le sue manovre, Scattolini fu allontanato dall’«Osservatore Romano». Dopo tale episodio iniziò a promuovere una campagna denigratoria contro la Santa Sede diffondendo falsi dossier. I suoi dispacci arrivarono all’«Associated Press», al «New York Times», all’agenzia «Havas», ad autorità statali apicali. Nell’autunno del 1944, questo giornalista fu identificato come soggetto che forniva, insieme a Filippo Setaccioli, dati spuri sul Vaticano a diversi agenti dell’«Office of Strategic Services». L’OSS acquisì le sue informazioni da due fonti separate che alla fine permisero all’agente di controspionaggio OSS James Angleton di determinarne la natura fraudolenta, ma non prima che al Presidente Roosevelt fossero fornite le relazioni come autentiche. Nel 1948 un tribunale romano condannò Scattolini per aver scritto i falsi Documenti segreti della diplomazia vaticana.


Bronzini

Carlo Bronzini lavorò come collaboratore di Monsignor Bohem presso l’«Osservatore Romano». Esplicò anche compiti di ragioniere. Il suo nome in codice era «Calò»: informatore numero 303.


Fazio

Giovanni Fazio fu il segretario dell’Ufficio di Polizia (facente parte della Gendarmeria Pontificia) della Città del Vaticano. Era il genero del Colonnello Arcangelo De Mandato della Gendarmeria. Operò come fiduciario dell’OVRA (nome in codice «Tassara», informatore numero 751). La sua posizione gli consentiva di avere accesso ai fascicoli relativi al personale religioso e laico dello Stato Vaticano. Interagiva con Pucci. Con lui operavano anche il gendarme altoatesino Anton Call e il barbiere della Gendarmeria Andrea Mondelli. Quando si arrivò a scoprire il suo ruolo di collaboratore dell’OVRA (inizio anni Quaranta), Fazio fu destituito dall’incarico ed espulso con disonore dal Corpo di sicurezza del Papa e dal territorio vaticano. Lo stesso avvenne per Call. L’Ufficio di Polizia fu soppresso. Comunque Fazio proseguì l’attività di spionaggio presso l’«intelligence» italiana fino al 1942, anno in cui fu trovato impiccato nella sua casa.


Filippi

Luigi Filippi (alias Filippo) era un Maggiore inquadrato nell’Arma dei Carabinieri. Divenne in seguito Tenente Colonnello. Prestava servizio nei pressi di San Pietro. Informatore numero 515. Occorre ricordare, al riguardo, che l’OVRA raccoglieva e regolava anche i servizi fiduciari e informativi dei Carabinieri.


Villa

Achille Villa lavorò presso la Radio Vaticana. Fece parte dell’OVRA (informatore numero 752). Era collegato alla rete spionistica di Troiani.


OVRA e «intelligence» nazista

Nel contesto fin qui delineato, occorre aggiungere un altro dato storico significativo. La rete spionistica italiana del regime fascista operò in stretto collegamento con quella nazista. Quest’ultima aveva diverse articolazioni: l’«Abwehr» fu il servizio d’«intelligence» militare tedesco dal 1921 al 1944. Operarono inoltre i servizi segreti della Polizia Politica (GESTAPO) e delle SS («Schutzstaffel»). Altre reti di informatori erano legate al Maresciallo Hermann Göring e al Ministro degli Esteri Joachim von Ribbentrop. Con il progressivo avvicinamento dell’Italia fascista alla Germania nazista, si accostarono tra loro anche le Agenzie informative dei rispettivi Paesi. In due visite ufficiali, nel 1936 (in Germania) e nel 1938 (in Italia, dal 20 al 23 ottobre), Bocchini incontrò il suo omologo tedesco Heinrich Himmler. Di concerto, coordinarono l’attività di repressione internazionale dell’OVRA e della GESTAPO contro gli avversari politici. Il 2 aprile del 1936 venne firmato dai capi delle due organizzazioni di polizia un protocollo segreto per intensificare la cooperazione.

A Roma, in particolare, nel 1943, il regista delle operazioni segrete fu soprattutto Herbert Kappler. Nel 1939 questo ufficiale fu inviato a Roma (aveva il grado di Capitano) come consigliere dell’Ambasciatore Tedesco sulle questioni di sicurezza, e per sorvegliare i Tedeschi residenti nell’Urbe (specie membri del clero, alcuni dei quali lavoravano in Vaticano). Si trattava di una copertura. In realtà, egli indagò seguendo più direzioni, e svolse attività di spionaggio nei confronti della Polizia italiana. Fu poi nominato Maggiore e, alla fine, Tenente Colonnello. All’inizio del 1944 divenne comandante del «Sicherheitsdienst» (SD) dell’Urbe. Di fatto aveva pure il controllo della Polizia italiana. Fece tra l’altro installare una potente stazione di ascolto su Monte Cavo, sopra Castel Gandolfo per captare anche i messaggi del Vaticano. Dall’ufficio che gli era stato assegnato presso l’Ambasciata Tedesca, si trasferì poi in un edificio situato a Via Tasso (che trasformò in un centro di torture e di detenzione).

Herbert Kappler, secondo da destra

Herbert Kappler (è il secondo da destra)

Sulle mosse di Kappler a Roma si possiedono diversi dati perché i suoi dispacci a Berlino furono intercettati e decifrati dall’«intelligence» inglese (che riferiva poi ai centri USA). Tra l’altro, trasmise informazioni sugli ecclesiastici tedeschi residenti a Roma, sull’Ufficio vaticano per i prigionieri di guerra, sulla Pontificia Accademia delle Scienze. Il 24 maggio del 1942 Kappler inviò al suo superiore, Heinrich Müller della GESTAPO, un’articolata descrizione del sistema con il quale venivano ricevute e spedite le comunicazioni al Papa dai Monsignori Antonino Arata, Salvatore Pappalardo, e dal Cardinale Eugène Tisserant, della Congregazione per la Chiesa orientale. Era evidente che l’ufficiale nazista poteva far affidamento su una spia interna all’ambiente vaticano. Il 3 luglio del 1943 Kappler fece anche un rapporto sull’esistenza di un «centro di spionaggio ebraico» in un convento.

Kappler, comunque, non poté fare affidamento su un alto numero di collaboratori. Per tale motivo utilizzò (talvolta con esito positivo) spie fasciste (d’intesa con l’OVRA), delatori anche occasionali (specie per la cattura di Ebrei e di avversari politici), confessioni estorte con metodi brutali, e membri delle forze dell’ordine (per esempio, il commissario Raffaele Antonio Caianello). In base alla documentazione finora studiata, Kappler mantenne collegamenti con i cittadini e i centri tedeschi dislocati da tempo a Roma (per esempio, Istituto Storico Germanico; chiesa e rettorato di Santa Maria dell’Anima, il cui responsabile era Monsignor Alois Hudal), ma i suoi veri referenti, responsabili di operazioni sotto copertura, furono altri. È noto al riguardo che i fiduciari di Kappler non trascurarono nessuna strada possibile. Oltre a seguire i percorsi ove erano già presenti agenti dell’OVRA, si cercò di coinvolgere pure uno degli assistenti di Pio XII, il Gesuita Padre Robert Leiner. Gli emissari del III Reich non riuscirono però ad acquisire notizie. Il religioso accoglieva in modo formalmente corretto gli interlocutori, e parlava degli argomenti più diversi ma taceva sui temi riguardanti il Papa e il Vaticano. Quello che i nazisti non sapevano è che un Tedesco che faceva il doppio gioco, Albert von Kageneck, aveva detto a Padre Leiber di aver ricevuto da Kappler e dal suo aggiunto Helmut Loos l’incarico di spiare anche nell’ambiente più vicino al Pontefice.

Un ulteriore tentativo di penetrazione venne attuato dagli agenti tedeschi in direzione del teologo e politico tedesco Monsignor Ludwig Kass, amico di Pio XII. Ma pure in questo caso l’azione ebbe esito negativo. Quando i Tedeschi dovettero fuggire da Roma per l’arrivo degli Alleati, Kappler, prima di salire sulla propria macchina per raggiungere Verona, cercò di distruggere con i suoi collaboratori le carte più compromettenti. Vi riuscì in parte. Comunque gli storici hanno potuto individuare alcuni suoi veri fiduciari anche in Vaticano.


Del Re

Tra coloro che lavorarono per Kappler ci fu anche l’Avvocato Friulano Carlo Del Re. Questo soggetto manifestava una viva intelligenza, aveva conseguito quattro lauree, conosceva diverse lingue straniere. Esibiva un’eleganza stravagante. Si mostrò abile nel conquistarsi la fiducia dei cospiratori antifascisti (specie il gruppo «Giustizia e Libertà»), per poi denunciarli alla Polizia. Sapeva coniugare cinismo e rispettabilità sociale. Nel 1930 sposò con rito civile una collega di lavoro. Agli inizi del medesimo anno si permise un tenore di vita superiore alle sue possibilità. Dilapidò circa 125.000 lire. Le aveva ricevute in custodia giudiziale. Il fatto venne alla luce. Per ribaltare una situazione a lui avversa, questo legale cominciò a tradire i suoi compagni di cospirazione, da lui spronati alla sovversione. La prima vittima fu un amico, Umberto Ceva. Il suo modo di collaborare con l’OVRA fu criticato perfino da Bocchini che lo definì un «filibustiere». Dopo l’8 settembre del 1943, si inserì tra i collaboratori di Kappler. Arrivò a denunciare come antinazionali pure la suocera e il cognato, pochi giorni dopo avere sposato la seconda moglie. Al riguardo, ai fini di questo studio, esiste un documento significativo. In un dispaccio di Kappler a Himmler si trova scritto: «Un Monsignore del Vaticano ha incontrato ieri Del Re (che egli conosce come fascista) per comunicargli la seguente informazione: l’Ambasciatore Inglese in Vaticano è stato informato che il Duce si trova nell’isola di Ponza».

Dopo la guerra il nominativo di Del Re fu inserito nella lista dei fiduciari dell’OVRA, pubblicata nella «Gazzetta Ufficiale». Questo fiduciario dell’OVRA e di Kappler fu amnistiato dal tribunale di Roma il 29 novembre del 1946. Venne però in seguito smascherato da Ernesto Rossi (che gli doveva nove anni di carcere e oltre tre di confino).


Qualche considerazione di sintesi

I dati riportati in questo studio non sono serviti a soddisfare delle curiosità. Essi servono piuttosto a sostenere una ricerca storica che ha fornito alcune evidenze.

1) La Santa Sede, pur posizionata in un territorio ristretto, fu oggetto di continue attenzioni da parte dei servizi informativi fascisti, nazisti (e anche comunisti, ma questa è un’altra storia).

2) La rete dei fiduciari dell’OVRA in Vaticano è stata pubblicata. Altri nominativi si trovano in ulteriori elenchi.

3) Anche di agenti nazisti è stato possibile ricostruire le mosse (all’inizio in modo indiretto, poi in una forma più diretta).

4) Pio XII dovette subire un controllo molto stretto che arrivò fino alla sua anticamera. Al riguardo, Vera Simoni, figlia del Generale Simone Simoni, arrestato da Kappler e torturato a Via Tasso, poi ucciso alle Cave Ardeatine, ricordò un fatto che la colpì. La sua famiglia aveva ottenuto un’udienza dal Papa per implorare un’azione diplomatica del Vaticano in suo favore (ci fu, ma senza esito positivo). Il Pontefice, prima di entrare in argomento, si chinò, tolse la spina del telefono che era sul tavolo, e disse «qui siamo circondati da spie».

5) In tale contesto, negli anni critici del conflitto, il Papa, consapevole di essere circondato da nemici, impartì le direttive più importanti a voce, e valorizzò l’operato di pochi fiduciari. Tra questi, i suoi due Sostituti per gli Affari Ordinari (Montini) e per quelli Straordinari (Tardini).


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Rigraziamenti

Ingegner Carlo Galeazzi, responsabile del sito web «Roma Città Aperta». Professor Peter Gumpel SI, storico della Chiesa. Dottor Carlo Maria Fiorentino, archivista e storico, Archivio Centrale dello Stato. Dottor Mimmo Franzinelli, storico, studioso del periodo fascista.

(luglio 2020)

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