La politica della razza nelle colonie italiane negli anni del fascismo
I problemi delle popolazioni indigene negli articoli de «La Stampa»

Il razzismo coloniale fascista fu caratterizzato da una stretta connessione fra i frequenti richiami all’assoluta necessità di una «politica demografica», volta alla salvezza della «razza bianca» da ogni contaminazione con razze ritenute inferiori[1], e il problema della denatalità, avvertito come sintomo evidente della pericolosa decadenza della Nazione[2]. Mussolini ebbe modo di chiarire questa sua posizione attraverso articoli sui giornali, fra cui «La Stampa», e dichiarazioni pubbliche.

Dal punto di vista legislativo, nel luglio del 1933 il regime fascista stabilì che i figli meticci nati nelle colonie d’Eritrea e Somalia da un genitore di «razza bianca», rimasto ignoto, avrebbero ottenuto la cittadinanza italiana previo possesso di specifici requisiti culturali e morali e al compimento del diciottesimo anno d’età[3]. La legge prescriveva inoltre accurati procedimenti di «diagnosi antropologica etnica», al fine di evitare di confondere un meticcio con un «bianco scuro» o un «nero bianco»[4]. Nella pratica, come ebbe modo di affermare l’allora Ministro delle Colonie Emilio De Bono, non tutti i meticci potevano accedere alla cittadinanza italiana[5]. Tale norma è ritenuta dagli storici la prima effettivamente razzista, poiché rivolta ad un intero gruppo di persone.

Nel settembre del 1934, la prima pagina de «La Stampa» si apriva con un articolo di Mussolini dall’eloquente titolo La razza bianca muore?[6]. L’articolo[7] era successivo ad un discorso pubblico del dittatore, tenuto nel marzo dello stesso anno, su «la difesa della razza»[8].

Nella prima parte del suo contributo, Mussolini ricordava che nel 1926 quando lanciò «il primo grido d’allarme sulla decadenza demografica della razza bianca» taluni lo ritennero inadeguato, ma a distanza di otto anni, si poteva chiaramente rilevare che il «fatale declino» stava coinvolgendo sempre più Nazioni. È ipotizzabile che Mussolini si riferisca al discorso tenuto alla Camera dei Deputati il 26 maggio del 1927, quindi non nel 1926, detto poi «dell’Ascensione», in cui affermò che «se si diminuisce, signori, non si fa l’Impero, si diventa una colonia»[9].

L’attenzione del dittatore si focalizzava prevalentemente sulla denatalità francese, citando a questo proposito un appello di venti personalità, fra cui Poincaré, Millerand, Herriot e il maresciallo Foch, in cui si invitava il governo francese ad imitare i vincenti ed efficaci provvedimenti italiani e tedeschi in materia di politica demografica[10]. L’appello, fortemente voluto dal partito di estrema destra francese Alliance Nationale, era stato pubblicato nel luglio del 1934[11].

Dopo aver presentato varie statiche demografiche volte alla denuncia della incipiente denatalità francese, Mussolini notava come questo fenomeno stesse coinvolgendo anche l’Inghilterra, gli Stati Uniti e il Canada.

Degna di interesse la parte conclusiva del contributo in cui il dittatore ribadiva che per «l’Italia e per gli altri Paesi di razza bianca è una questione di vita o di morte. Si tratta di sapere se davanti al progredire in numero e in espansione delle razze gialle e nere, la civiltà dell’uomo bianco sia destinata a perire». Mussolini aveva già in precedenza denunciato il decadimento demografico della «intera razza bianca, la razza dell’Occidente, che può venir sommersa dalle altre razze di colore che si moltiplicano con un ritmo ignoto alla nostra. Negri e gialli sono dunque alle porte?»[12].

È importante sottolineare che la politica antimigratoria fascista era improntata all’idea che gli Italiani non dovevano rafforzare altre Nazioni demograficamente povere, intendendo evidentemente la Francia, méta tradizionale di emigrazione[13].

Pochi giorni dopo, il giornalista Carlo Antonio Avenati recensì il saggio Europa senza Europei[14] del dirigente fascista Guglielmo Danzi, con prefazione di Benito Mussolini, che aveva il merito, a giudizio dell’articolista, di affrontare «il fondamentale problema della drammatica decadenza demografica». Avenati descriveva la composizione del saggio: la prima parte era dedicata alla scoperta della cause che portavano alla morte una razza, la seconda si occupava della situazione italiana. Questa razza destinata alla morte, così incapace di accorgersi del pericolo incombente, era «la razza bianca […] il sale e la gloria della terra». «La cupidigia dell’oro, la ricerca delle ricchezze, la voglia insaziabile di godimenti, l’assillo del comfort» avevano potentemente sviluppato l’egoismo degli uomini, tanto da provocare «un capovolgimento inaudito dei tradizionali valori etici che costituiscono il fondamento della millenaria civiltà occidentale». Dopo aver affrontato la «drammatica condizione demografica» degli Stati Uniti, dell’Inghilterra e della Francia, il saggio si occupava della situazione italiana, non certo rosea; infatti, si rilevava che anche nell’Italia fascista «l’americanismo, la legge del comfort, la teoria del figlio unico, il trionfo dell’egoismo individualista alleato naturale del più rozzo materialismo» avevano fatto breccia. Nella parte conclusiva dell’articolo, Avenati elencava i vari provvedimenti che il regime aveva adottato per scongiurare la decadenza demografica, come le Leggi protettive per la maternità e l’infanzia, ma soprattutto esortava «l’Europa a combattere, con tutti i mezzi, per difendere la sua civiltà, il suo primato nel mondo». Infine, concludeva retoricamente: «Chi non vede che il primato europeo si raccomanda soprattutto alla risorta iniziativa italiana, vale a dire all’idea fascista? Un popolo di cinquanta milioni, con popolazione crescente e con un capo come Mussolini può serenamente affrontare il destino, può anche piegarlo». Agli Italiani spettava di decidere il proprio avvenire.

Nell’estate del 1935, Mussolini esplicitò ancora più chiaramente le sue idee razziste iniziando a studiare provvedimenti ancora più severi contro il meticciato, infatti chiese al Ministero delle Colonie di preparare «d’urgenza un piano d’azione per evitare il formarsi di una generazione di mulatti in Africa Orientale»[15]. Il nuovo ordinamento dell’Africa Orientale Italiana, varato nel giugno del 1936, escludeva la possibilità per i meticci nati da un genitore di razza bianca rimasto ignoto di ottenere la cittadinanza italiana[16]. Nel gennaio del 1937, fu approvato un progetto di legge denominato Provvedimenti per i rapporti fra nazionali e indigeni che vietava ogni rapporto di indole coniugale fra cittadini italiani e sudditi dell’Africa Orientale Italiana. È importante rilevare che, nonostante il titolo originario Provvedimenti per l’integrità della razza fosse stato modificato su richiesta del Ministro delle Finanze Paolo Thaon di Revel, la dizione «difesa della razza» comparve ugualmente sui giornali. Il Ministero della Stampa e della Propaganda invitò un numero selezionato di giornali a commentare il nuovo provvedimento[17]; tra di essi vi fu «La Stampa» che ospitò in prima pagina il durissimo scritto Gli Italiani nell’Impero. Politica di razza[18] del Ministro delle Colonie Alessandro Lessona sulla «separazione netta ed assoluta fra le due razze»[19], e «Il popolo d’Italia» che titolò Energici provvedimenti a tutela della razza nelle terre conquistate.

Lessona iniziava il suo intervento rammentando come, durante un convegno svoltosi pochi mesi prima, avesse richiamato l’attenzione dei presenti sul problema della razza; era necessario che l’Italia s’imponesse una rigida «politica di razza» volta ad evitare ogni promiscuità, poiché non aveva aspettato per mezzo secolo la sua «ora coloniale» per favorire o tollerare un popolo di meticci. I popoli colonizzatori che avevano preceduto l’Italia nell’impresa coloniale erano consapevoli della gravità del problema, ed avevano cercato di risolverlo in vario modo; la tendenza generale era quella di facilitare il riavvicinamento alla condizione europea paterna dove possibile, o in caso contrario rassegnarsi al riassorbimento nell’ambiente indigeno materno.

Il Ministro si soffermava sul caso dei colonizzatori iberici, i creatori delle popolazioni meticcie, cercando non di scusarli ma di comprendere le cause del loro comportamento, che consistevano: nell’emigrazione di uomini soli; nella grande lontananza delle navigazioni; nel favore accordato dalle autorità agli incroci per incrementare la razza; infine, nel patrocinio dato dalla Chiesa ai matrimoni misti. A proposito dell’ultima causa sopra menzionata, il Ministro chiarì nella relazione di accompagnamento al progetto legislativo del gennaio del 1937 che il mancato divieto dei matrimoni misti era «dovuto a considerazioni di opportunità in rapporto allo spirito informatore dei Patti Lateranensi»[20], evidentemente tali considerazioni scomparvero quando nel novembre del 1938 il regime vietò i matrimoni misti.

Il meticciato era una «piaga dolorosa, una sorgente di infelici e di spostati, spiacenti a dominati e a dominatori, causa di irrequietudini e di debolezze per la compagine coloniale», di conseguenza la creazione di una «casta meticcia», in cui alcuni avrebbero visto un utile intermediario, era un’utopia politica e sociale.

Nella parte conclusiva dell’articolo, il Ministro riaffermava i principi del regime fascista: «a) separazione netta ed assoluta tra le due razze; b) collaborazione senza promiscuità; c) umanità nella considerazione degli errori passati; d) severità implacabile per gli errori futuri». Inoltre, era assolutamente necessario che il popolo italiano avesse «l’orgoglio della propria razza e la volontà di difenderla […]. L’accoppiamento con creature inferiori non va considerato solo per l’anormalità del fatto fisiologico e neanche per le deleterie conseguenze che sono state segnalate, ma come scivolamento verso una promiscuità sociale, conseguenza inevitabile della promiscuità familiare nella quale si annegherebbero le nostre migliori qualità di stirpe dominatrice. […] l’avvenire prossimo e immancabile sarà una rigogliosa colonizzazione familiare, quale è consentita e garantita, con privilegio sopra tutti gli altri popoli, dalla fortunata esuberanza demografica nazionale, dalle secolari tradizioni di sanità, di compattezza e fecondità della famiglia italiana, dalle favorevoli condizioni ambientali che attendono i nuclei di domani. Questo avvenire non sarà compromesso».

È importante ricordare altri tre provvedimenti legislativi destinati ad affermare la supremazia della razza italiana e la netta separazione dalle popolazioni ritenute inferiori: il Regio Decreto Legislativo 19 aprile 1937, numero 880, Sanzioni per i rapporti d’indole coniugale tra cittadini e sudditi; Legge del 29 giugno 1939, numero 1004, Sanzioni penali per la difesa del prestigio di razza di fronte ai nativi dell’Africa italiana; Legge del 13 maggio 1940, numero 882, Norme relative ai meticci. Il primo provvedimento, fortemente voluto dal Ministro delle Colonie Lessona al fine di imporre «una rigida politica di razza con l’esclusione di ogni indulgenza verso la promiscuità»[21], stabiliva la reclusione fino a cinque anni per il cittadino riconosciuto colpevole di intrattenere relazioni sessuali con un indigeno, contemporaneamente i governatori di Eritrea e Somalia si impegnarono a proibire comportamenti giudicati inopportuni per la popolazioni italiana, come pernottare in quartieri indigeni, frequentare locali pubblici indigeni e usare mezzi di trasporto con gli indigeni[22]. Per quanto concerne gli altri due provvedimenti legislativi, è interessante soffermarsi sull’ultimo con il quale la popolazione italo-africana fu equiparata a quella indigena, vedendosi così escludere la possibilità di frequentare le «scuole e gli altri istituti di carattere sociale ed educativo che storicamente avevano servito le comunità a retaggio misto»[23].

In conclusione, possiamo affermare che, ben prima della legislazione razziale contro gli Ebrei del 1938, il regime fascista aveva attuato provvedimenti razzisti e segregazionisti verso popolazioni considerate inferiori, quindi le diatribe pubbliche di Mussolini contro il razzismo tedesco devono essere correttamente riferite al fatto che «questo era contro tutti e tutto e al suo mancare di senso di equilibrio»[24], non certo al suo considerare ineluttabile una ferrea gerarchia fra le razze.


Note

1 Confronta Giulia Barrera, Colonial affairs: italian men, eritrean women and the construction of racial hierarchies in colonial Eritrea (1885-1941), Ph. D. dissertation, Northwestern University, 2002, pagina 1.
Ester Capuzzo, Sudditanza e cittadinanza nell’esperienza coloniale italiana dell’età liberale, in «Clio», XXXI, numero 1 (gennaio-marzo 1995), pagine 73-77.
Gianluca Gabrielli, Prime ricognizioni sui fondamenti teorici della politica fascista contro i meticci, in Alberto Burgio-Luciano Casali (a cura di), Studi sul razzismo italiano, Bologna, Clueb, 1996, pagine 61-88.
Ibidem, Un aspetto della politica razzista nell’Impero: il problema dei meticci, in «Passato e presente», XV, numero 41 (maggio-agosto 1997), pagine 79-80, 85-87.
Ibidem, Il matrimonio misto negli anni del colonialismo italiano, in «I viaggi di Erodoto», XIII, numeri 38-39, (giugno-novembre 1999), pagine 80-89.
Barbara Sorgoni, Parole e corpi. Antropologia, discorso giuridico e politiche sessuali interrazziali nella colonia Eritrea (1890-1941), Napoli, Liguori, 1998, pagine 91-114.

2 Francesco Cassata, Molti, sani e forti. L’eugenetica in Italia, Torino, Bollati Boringhieri, 2006, pagine 20-21, 220-257.
Carl Ipsen, Dictating demography. The problem of population in fascist Italy, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1996.

3 Legge 6 luglio 1933 numero 999, Ordinamento organico per l’Eritrea e la Somalia, articolo 18.

4 Confronta Ernesto Cucinotta, La prova della razza, in «Rivista delle colonie italiane», VIII, numero 8, settembre 1934, pagine 743-751.

5 Emilio De Bono, Presentazione del disegno di legge: ordinamento per l’Eritrea e la Somalia, 20 aprile 1933; citato in Gianluca Gabrielli, Un aspetto della politica razzista nell’Impero: il problema dei meticci, citato, pagina 86.

6 Benito Mussolini, La razza bianca muore?, «La Stampa», 5 settembre 1934.

7 L’articolo era stato pubblicato per la prima volta sul «Sunday Express» di Londra. Prima di pubblicarlo sulla prima pagina, «La Stampa» si era premunita di informare il pubblico sull’apprezzamento anche all’estero per le considerazioni del dittatore. Confronta MPG, Il pericolo della denatalità. La Francia dà ragione a Mussolini, «La Stampa», 31 agosto 1934.

8 Benito Mussolini, Opera Omnia, Firenze, La Fenice, 1951-1963, volume XXVI, pagine 185-193.

9 Confronta Benito Mussolini, Opera Omnia, Firenze, La Fenice, 1951-1963, volume XXII (1957), pagina 367.

10 Confronta Susan Pedersen, Family, dependence, and the origins of the Welfare State, New York, Cambridge University Press, 1995, pagine 368-370.

11 Confronta Appel à la Nation, «Revue», numero 264, luglio 1934, pagine 193-195.

12 Benito Mussolini, Il numero come forza, in «Gerarchia», VIII, numero 9, settembre 1928, pagina 677.

13 Emilio Franzina-Matteo Sanfilippo (a cura di), Il fascismo e gli emigrati. La parabola dei fasci italiani all’estero (1920-1943), Roma-Bari, Laterza, 2003.

14 Carlo Antonio Avenati, Europa senza Europei?, «La Stampa», 13 settembre 1934.

15 Confronta Archivio dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito, Roma, reparto DI, raccoglitore 110, fascicolo 7, fascicolo 64.

16 Barbara Sorgoni, Parole e corpi. Antropologia, discorso giuridico e politiche sessuali interrazziali nella colonia Eritrea (1890-1941), Napoli, Liguori, 1998, pagine 150-152.

17 Archivio Centrale dello Stato, Agenzia Stefani-Manlio Morgagni, b. 70, fascicolo IX, fascicoli 2/4.

18 Alessandro Lessona, Politica di razza. Gli Italiani nell’Impero, «La Stampa», 9 gennaio 1937.

19 Luigi Goglia, Note sul razzismo coloniale fascista, in «Storia contemporanea», XIX, numero 6, dicembre 1988, pagine 1238-1240.

20 Archivio Centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Atti 1937, Ministero dell’Africa Italiana, fascicolo 135, schema di Regio Decreto Legislativo Provvedimenti per l’integrità della razza e relativa relazione.

21 Luigi Goglia, Note sul razzismo coloniale fascista, in «Storia contemporanea», XIX, numero 6, dicembre 1988, pagina 1238.

22 Per una discussione su queste norme confronta Luigi Goglia, Note sul razzismo coloniale fascista, in «Storia contemporanea», XIX, numero 6, dicembre 1988, pagine 1248-1250.
Barbara Sorgoni, Parole e corpi. Antropologia, discorso giuridico e politiche sessuali interrazziali nella colonia Eritrea (1890-1941), Napoli, Liguori, 1998, pagine 141-170.

23 Gian Paolo Calchi Novati, L’Africa d’Italia. Una storia coloniale e post coloniale, Roma, Carocci, 2011, pagina 246.

24 Confronta Benito Mussolini, Teutonica, «Il popolo d’Italia», 26 maggio 1934.

(gennaio 2012)

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