Persecuzioni razziali a Milano. La posizione dell’Università Cattolica
Lo stato delle ricerche. Le evidenze. Considerazioni di merito

Avvertenza: per ragioni di lunghezza, e in accordo con l'Autore, questo articolo è stato pubblicato privo delle note presenti nel testo originale.

Durante il Secondo Conflitto Mondiale, con l’acuirsi delle persecuzioni razziali, diverse persone – in modo spontaneo e a rischio di ritorsioni – aiutarono gli Ebrei a sfuggire alla cattura, all’internamento e alla deportazione. Tra questi salvatori ci furono anche docenti, studenti e laureati dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Gesù. L’Ateneo (Rettore era Padre Gemelli) venne inaugurato a Milano il 7 dicembre del 1921. La sua prima sede si trovava in Via Sant’Agnese presso il palazzo di Luigi Canonica. Si attivarono all’inizio due facoltà: Filosofia (poi Lettere e Filosofia; preside Padre Gemelli) e Scienze Sociali (con successive modifiche; preside Pietro Bellemo). Gli studenti iscritti al primo anno accademico (1921-1922) erano 68. Nello stesso anno, in Germania, Adolf Hitler veniva eletto presidente del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi. Nel 1932 l’Università si trasferì accanto alla basilica di Sant’Ambrogio nel monastero cistercense ove si trova attualmente.


1938. Censimento degli Ebrei. Situazione a Milano. Leggi razziali

Il 5 agosto del 1938 il Ministro Edoardo Alfieri (detto Dino) ordinò ai prefetti di vietare alle riviste e ai giornali cattolici di pubblicare i discorsi di Pio XI contro il razzismo. Tale provvedimento costituì un vantaggio per la fazione razzista, e dette l’impressione che il Papa, per motivi politici, non prendesse posizione su una materia così grave.

Il 22 agosto del 1938 si svolse anche a Milano un censimento degli Ebrei. Nel capoluogo lombardo furono distribuite 3.788 schede, per ogni nucleo familiare. Risultò alla fine una presenza di 10.591 persone. L’iniziativa anticipò una serie di provvedimenti persecutori. In autunno, nello stesso anno, il regime fascista emanò le cosiddette «leggi razziali». Introducevano discriminazioni tra chi faceva parte della «azza ariana» e i non ariani, in particolare gli Ebrei. Nel frattempo arrivò nel capoluogo lombardo un consistente flusso di immigrati ebrei. Provenivano dalle comunità minori italiane. Cercavano protezione dopo le misure governative antisemite.


1938. Contro la Chiesa Cattolica. Farinacci a Milano

Dopo il 20 ottobre del 1938 (data in cui uscì il numero 6 del periodico «La difesa della razza»), fu redatta presso la Segreteria di Stato Vaticana una nota. Vi si legge tra l’altro: «Sarebbe opportuno inviare in via riservata – non per posta però perché controllata – istruzioni speciali o a tutti i Metropoliti o almeno ai Cardinali Arcivescovi, da comunicarsi poi a tutti i Vescovi, perché: a) prevengano il Clero di non inviare adesione alcuna alla Rivista “La Difesa della razza”».

Il 7 novembre del 1938, il gerarca fascista Roberto Farinacci tenne a Milano una conferenza (presso l’Istituto di Cultura Fascista). In quella occasione volle contestare le posizioni della Chiesa Cattolica, che aveva protestato contro l’impostazione razzista delle leggi antisemite. Farinacci in pratica accusò la Chiesa di parteggiare per gli Ebrei. Affermò tra l’altro: «Ora sono terribilmente chiari, le parole, gli intenti della Internazionale Ebraica, ora è evidentissimo l’odio di questa razza contro gli Stati fascisti e il proposito non più dissimulato di corrompere dissolvere e fiaccare le energie nazionali, la missione storica, la eroica volontà di due fra i più grandi popoli della terra: l’italiano e il tedesco. Che cosa è avvenuto, ché la Chiesa ufficiale si sente oggi non più antisemita, ma filosemita?». Quello di Farinacci costituì però una specie di autogol. Indirettamente ammise, davanti a un vasto uditorio, l’esistere di dissensi in Italia in merito alle leggi razziali. Il regime cercò di oscurare in seguito tale vicenda.

Il 13 novembre 1938, l’Arcivescovo Schuster, che era già intervenuto sul tema ebraico il 7 novembre citando San Paolo, tornò sull’argomento in modo ancor più esplicito in un’omelia. Nel duomo di Milano (domenica; inizio dell’Avvento) definì il razzismo «un’eresia antiromana e anticristiana» (lo ripeté tre volte). Il quotidiano «L’Italia» riferì sulla posizione del presule. Le reazioni del regime furono dure. La posizione del Cardinale venne difesa dall’«Osservatore Romano» e dall’«Avvenire d’Italia». Il Ministro Nazista della Propaganda, Joseph Goebbels, al contrario, descrisse sul proprio organo di stampa («Der Angriff»; «L’attacco») l’Ordinario della diocesi milanese come «il portavoce di una cricca clericale che da un anno a questa parte si è proposta il compito di distruggere l’Asse Roma-Berlino». Lo spionaggio fascista accentuò i controlli in direzione della Curia.


1938. L’assistenza ebraica

Il 20 novembre 1938 venne costituito a Milano il Comitato di Assistenza per gli Ebrei in Italia (Via Amedei, 3). Lo scopo era di aiutare i profughi ebrei che fuggivano dai Paesi dominati dal III Reich. Nel 1939 (dopo il 1° luglio) la sede venne spostata a Viale Vittorio Veneto, 12. Nel mese di agosto il Comasebit venne sciolto. A dicembre fu fondata la DELASEM (Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei).


1939. La Santa Sede contro «La Difesa della Razza»

Il 20 marzo del 1939 la Segreteria di Stato Vaticana trasmise all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede una nota che faceva riferimento al periodico «La Difesa della Razza». Nella missiva era allegato un «Pro Memoria». Con tale iniziativa si vollero evidenziare affermazioni che la Santa Sede condannava perché esprimevano gravi offese alla Religione cattolica, errori ed eresie. Si riportano i punti 6-7 del «Pro Memoria»:

«6) Crudeltà ariana e crudeltà semitica. “Per l’Ariano l’universo è una architettura… E la crudeltà è essenziale al divino inno della vita, la spada deve essere snudata quando il destino lo vuole, con quella serena salute virile onde chi snuda la spada e la tuffa nel sangue del nemico sente di adempiere anche così alla divina armonia di una più vasta giustizia cosmica. Il Semita è tutt’altro. Egli desidera snudare la spada per vendetta ed odio, e per dominare egli solo sulla morte di tutto”. (Anno II, fascicolo 1, pagina 13).

7) Religione come derivazione dalla psicologia razzista. “La fede del popolo giudaico non riconosce all’individuo libertà alcuna, sia pure in grado minimo ed estirpa dalla sua coscienza il sentimento dell’onore concepito arcanamente, in quanto nega ogni onore a tutti gli altri popoli. Poiché ogni popolo ha la religione che deriva direttamente dalla sua psicologia razzista”. (Anno II, fascicolo 1, pagina 36)».

La Chiesa respinse queste affermazioni in modo netto.


1939. «Critica Fascista» contro i Cattolici

Il 15 giugno 1939, il periodico quindicinale «Critica Fascista» si rivolse con durezza ai Cattolici. Quest’ultimi, anziché ignorare o criticare il razzismo, «cerchino di approfondirne il senso e come possa essere armonizzato con il nostro patrimonio religioso. Ma soprattutto pensino che la nostra rivoluzione, fatta da un genio e dal popolo italiano, innestata sul tronco di una civiltà tre volte millenaria, non può essere assolutamente arbitrio».


1940. Milano. L’Arcivescovo a favore degli Ebrei

Nel 1940, la situazione della Comunità ebraica nel milanese si aggravò. In tale contesto il Cardinal Schuster invitò più interlocutori a mettersi «a disposizione della Chiesa per la difesa dei diritti degli Ebrei facendo loro avere tutto quello di cui necessitano per i loro bambini e per i loro vecchi…» Tra questi uditori ci fu Aldo Varisco che operava nell’area di Sesto San Giovanni. Era membro dell’Azione Cattolica. Divenne anche presidente della Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC), e propagandista della zona che circondava Sesto. Nella sua testimonianza, egli ricorda quel 1940 e il suggerimento dell’Arcivescovo: «Prendi qualche sacerdote coraggioso che ti possa aiutare». E fece esplicitamente il nome di Don Ambrogio Verderio, presente a Cassina de’ Pecchi (vicino a Milano). «Mi sono incontrato con questo sacerdote e abbiamo iniziato la nostra opera segreta alla Cassina de’ Pecchi, fuori dall’occhio di tutti. Si trattava di fornire carte annonarie falsificate a chi non ne aveva diritto, perché ebreo o perché ricercato. Si lavorava di notte e talvolta tutta la notte. I parroci mi segnalavano, oltre agli Ebrei, i partigiani feriti, ammalati, che avevano nascosto nelle loro canoniche. Don Ambrogio ha sempre avuto un coraggio da leone, rischiava molto, e con la grande influenza che aveva su tutta la popolazione, riusciva a coinvolgere in questa testimonianza di carità tutto il suo popolo». L’attività clandestina venne poi scoperta. Aldo Varisco subì l’arresto e la tortura presso il comando della Legione Muti. A fine guerra ricevette la medaglia d’oro della Resistenza.


1941. Critiche di Attolico a Schuster. Soppressione dei periodici cattolici

In questo periodo, tra le critiche rivolte all’Arcivescovo di Milano, si trova nell’archivio della Curia anche quella dell’Ambasciatore Italiano presso la Santa Sede, Bernardo Attolico. Questi, trasmise una protesta al Cardinale per il «carattere pacifistico» della stampa cattolica «non corrispondente agli intendimenti del Governo e ai bisogni del momento». L’episodio è significativo. Implica un progressivo scollamento del mondo cattolico dalla politica bellica e di aggressione del fascismo. Nello stesso anno il regime arrivò a sopprimere perfino un periodico religioso, «L’Eco di San Gabriele dell’Addolorata», perché un articolo (dal titolo Attualità) fu accusato di «disfattismo».


1942. Radiomessaggio di Pio XII

Nel radiomessaggio natalizio del 24 dicembre 1942, Pio XII fece riferimento a quelle «centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento». Il 27 dicembre 1942, il dipartimento Praga della Direzione generale per la Sicurezza del Reich riferì: «Il Papa ha ripudiato il nuovo ordine europeo nazionalsocialista... Sta praticamente accusando il popolo tedesco di ingiustizia nei confronti degli Ebrei e si fa portavoce dei criminali di guerra ebraici». Pochi mesi dopo, il Papa si riferì alle deportazioni con queste parole: «Non vi meraviglierete, venerabili Fratelli e diletti Figli, se l’animo Nostro risponde con sollecitudine particolarmente premurosa e commossa alle preghiere di coloro che a Noi si rivolgono con occhio di implorazione ansiosa, travagliati come sono, per ragione della loro nazionalità o della loro stirpe, da maggiori sciagure e da più acuti e gravi dolori, e destinati talora, anche senza colpa, a costrizioni sterminatrici».


1943. L’occupazione tedesca a Milano

Il 13 settembre del 1943 Theodor (Theo) Emil Saevecke ricevette la nomina a responsabile per la Lombardia del comando della Polizia tedesca e del SD (sede a Milano). Il suo ufficio si trovava presso l’albergo «Regina & Metropoli» (Via Santa Margherita, 16). Il «servizio sicurezza» delle SS aveva sede in Corso Littorio 10 (divenuto poi Corso Matteotti), 5° piano. Il giornale delle «SS italiane» era il settimanale «Avanguardia», con redazione in Viale Monte Santo, 3. Saevecke mostrò di essere una persona puntigliosa. Controllò di persona gli arresti di numerosi partigiani. Fu inoltre responsabile della fucilazione di 15 partigiani a Piazzale Loreto (10 agosto 1944), della strage di Corbetta (estate 1944), e di trattamenti disumani inflitti ai prigionieri detenuti nei locali dell’albergo «Regina» e nel carcere di San Vittore (Piazza Filangieri, 2). Con Saevecke interagirono:

– granatieri della Divisione corazzata (Panzer Division) della Waffen-SS «Leibstandarte Adolf Hitler». Entrarono a Milano il 10 settembre 1943; il loro comando era presso l’albergo «Regina»;

– una speciale sezione dell’SD (intelligence nazista; in posizione autonoma) con sede in Via Mozart, 6. Era diretta dal maggiore Thun (un conte austriaco). Questi, poteva contare sull’aiuto di un certo «dottor Kaum» (o «capitano Kaum», o «Komm»), del sergente Bury (alias «dottor Pucci») e di Pasquale Isopi (alias «dottor Fausto Rossi»; addetto con altri alle torture);

– la Legione autonoma mobile «Ettore Muti»: comandata dall’ex caporale del Regio Esercito Francesco Colombo. Si trattava di un pregiudicato per reati comuni, nominato vicequestore dal Ministro degli Interni (si auto-promosse colonnello). Il vice di Colombo fu il maggiore Bruno De Stefani. La Muti aveva due sedi: in Via Rovello 2, e presso la caserma Salinas, in Via Tivoli 1 (responsabile, il capitano Pasquale Cardella);

– il Comando regionale dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana (Via del Carmine, 6);

– la Guardia Nazionale Repubblicana, e il suo Ufficio Politico Investigativo (UPI). Svolgeva compiti di polizia giudiziaria e di polizia militare. Nella Guardia Nazionale Repubblicana confluirono le Camicie nere della Milizia e i Carabinieri. Il comando dell’UPI provinciale si trovava in Corso di Porta Venezia, 32 (capitano Ferdinando Bossi);

– il Servizio Ausiliario Femminile: istituito con decreto ministeriale numero 447 del 18 aprile 1944;

– la Xª Flottiglia MAS (dal 1° maggio 1944, con l’unificazione di vari battaglioni, fu rinominata Divisione fanteria di marina Xª, anche nota come Xª MAS). Distaccamento «Milano». Responsabile il capitano Gennaro Riccio. Aveva sede nell’albergo Nord, accanto al comando della Wermacht, in Piazza Fiume (divenuta in seguito Piazza della Repubblica);

– la Brigata Nera «Aldo Resega» (Corpo ausiliario volontario). Costituita nell’estate del 1944 (Via Cadamosto, Via Fabio Filzi 44);

– le guardie del carcere di San Vittore. Nel IV e nel VI raggio erano rinchiusi i detenuti politici. Nel V raggio si trovavano gli Ebrei;

– il Gruppo Servizi Autonomi (servizio di controspionaggio della Repubblica Sociale Italiana) comandato da Tommaso David (nome di copertura: «colonnello De Santis»). Aveva sede a Milano presso Villa Hike (Corso Ravizza). Qui, avveniva la preparazione delle spie fasciste chiamate «volpi argentate».

Si trattava di donne molto giovani. Una delle più attive fu Carla Costa (17 anni). Alcuni militari tedeschi (professor Reiner, dottor Martell, un tale Caprini, forse di nazionalità italiana, e altri) svolgevano il compito di istruttori. Del gruppo faceva parte anche un certo dottor Kurt Cora, tedesco (28-30 anni). Aveva un ufficio nei pressi di Porta Nuova. Fidanzato con Katia (o Sardonia; 18 anni): studentessa in ingegneria, svolse compiti per la GESTAPO nell’Italia liberata;

Carla Costa

Carla Costa (1927-1980), membro delle Volpi argentate

– la banda (Reparto Speciale di Polizia Repubblicana) di Pietro Koch: aveva come base operativa Villa Fossati. Lo stabile era situato in Via Paolo Uccello, 9 (quartiere San Siro). L’edificio divenne noto come «Villa Triste» per le torture che vi si praticavano. Avvenne poi un fatto. Tensioni e attriti che dividevano le diverse polizie italiane e tedesche causarono lo scioglimento della banda Koch. Il 25 settembre del 1944 il gruppo fu arrestato da una compagnia della Legione Muti al comando del questore Alberto Bettini (ex colonnello dell’Aeronautica, mutilato di guerra). Con l’aiuto dei Tedeschi, Koch riuscì a evadere il 25 aprile 1945. Da Milano si spostò a Firenze. Qui venne arrestato mentre tentava di scagionare la sua amante (fermata). Fu poi processato a Roma (4 giugno 1945). Condannato a morte. Fucilato a Forte Bravetta il 5 giugno 1945;

– il nucleo dei delatori.


La persecuzione ebraica

Con riferimento alla Shoah, Saevecke si rese responsabile della deportazione di 896 Ebrei verso i lager di sterminio (solo 50 persone sopravvissero). Dal 6 dicembre del 1943 fino al gennaio del 1945 partirono dal binario 21 della Stazione di Milano Centrale 23 convogli. Su questo dramma si conserva ancora l’annotazione (inizio dicembre 1943) di Michela Fernanda Momigliano nel suo diario:

«Circolano per le strade di Milano gli sgherri della repubblica fascista in automobili, con armi spianate, alla ricerca di Ebrei. È stato fissato un premio di 9.000 lire per ogni Ebreo che viene consegnato, anche per i bimbi… Salgono su tutti i treni, entrano in tutte le portinerie, dove contrattano per dividersi i guadagni, ma sono ancora molti i posteri delle “cinque giornate”».

SS-Panzer-Division Leibstandarte

Panzer IV, SS-Panzer-Division Leibstandarte a Piazza del Duomo (Milano, settembre 1943)

In tale contesto occorre pure ricordare quello che avveniva nel carcere di San Vittore e l’opera dei delatori.

1) Al loro arrivo nel penitenziario milanese gli Ebrei non venivano registrati con nome e cognome ma solo con la lettera E seguita da un numero (E1, E2, E3…): niente più identità, isolamento totale. Per gli Ebrei, San Vittore ebbe funzione di campo di concentramento provinciale, nonché di raccolta per quelli arrestati nelle zone di frontiera con la Svizzera e nelle grandi città del Nord (Torino e Genova). Agli Ebrei erano negati i pochi diritti concessi agli altri prigionieri politici e comuni, cioè l’ora d’aria in cortile, l’assistenza sanitaria, la possibilità di ricevere lettere e pacchi e di acquistare generi alimentari allo spaccio del carcere. Degli Ebrei di san Vittore, sette morirono in carcere, tre per causa ignota. Nel carcere operava anche un tribunale tedesco.

2) L’azione degli informatori ebbe esiti tragici. Essi conoscevano gli Ebrei e i loro nascondigli. Nel proprio lavoro usavano modi di approccio diversi. Tra questi individui si ricorda la figura di un Genovese: Luca Ostéria (noto anche come dottor Ugo Modesti, abbreviato in dottor Ugo). Assunto dal servizio di spionaggio politico nell’ottobre del 1928. Venne infiltrato tra coloro che militavano nelle file del Partito Comunista d’Italia (clandestino). Fu poi inserito tra i membri antifascisti di «Giustizia e Libertà». Questa spia ideò pure un’operazione a danno dei servizi segreti britannici. Le sue informazioni ebbero effetti rovinosi per molte persone (internate, eliminate). Costituitasi la Repubblica Sociale Italiana, Ostéria operò a Milano. Lavorò in stretto accordo con l’OVRA, la Polizia segreta politica. Quest’ultima, aveva un proprio ufficio riservato. I poliziotti (in borghese) erano addetti allo spionaggio. La sede rimaneva celata dietro una società di comodo, la Società Anonima Vinicola Meridionale (Via Sant’Orsola, 7). Gli agenti dovevano combattere l’antifascismo e proteggere i gerarchi.

Ostéria, oltre che con i fascisti, collaborò anche con Saevecke in più operazioni, e ne divenne un diretto fiduciario. Dal febbraio del 1944, però, consapevole dell’imminente sconfitta dell’Asse, mutò radicalmente comportamento. Cominciò a interagire con quelli che fino a poco tempo prima erano gli avversari. Ricercato dai suoi ex camerati, riuscì a nascondersi e a raggiungere la Svizzera (febbraio 1945). In seguito (giugno 1945), fu pronto a sostenere le iniziative dell’Onorevole Ferruccio Parri. Dopo la caduta del Governo Parri, Luca Ostéria visse a Milano con la famiglia. Lavorò come ispettore per l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani. Nel 1985 tornò a vivere nella natia Genova (vi morì a 83 anni).

Tra gli informatori che operarono a Milano si può anche ricordare la figura di Mauro Graziadio Grini. Si mise a disposizione di Karl Otto Koch (sottufficiale della GESTAPO). Su questo delatore è scritto in un rapporto: «Grün di Trieste. Ebreo. Si fa chiamare Grini o Verdi o dottor Manzoni. È al servizio della SS tedesca e si è specializzato nella cattura dei correligionari da lui precedentemente conosciuti. A Milano ha un ufficio in Via Albania 34. Ha fatto catturare circa 300 Ebrei di Trieste, un centinaio a Venezia ed a Milano continua alla media di due al giorno… percepisce 7.000 lire per ogni Ebreo che fa arrestare. A Milano va sempre in compagnia di due Tedeschi e gira per il centro, specie in Galleria».


Minaccia di fucilazione per chi nascondeva Ebrei

La persecuzione anti ebraica promossa a Milano e in molte altre località fu sostenuta dai gerarchi della Repubblica Sociale Italiana. Ad esempio, dopo l’ottobre del 1943, la radio trasmise in più occasioni discorsi dell’Onorevole Farinacci. Erano segnati da un acceso antisemitismo. Chi aiutava connazionali ebrei, chi li nascondeva in casa, sarebbe stato fucilato.


La rete delle azioni umanitarie

Nel periodo bellico, specie nel 1943-1945, furono promosse negli ambienti della Cattolica (all’interno e all’esterno) azioni umanitarie a tutela dei colpiti dagli effetti della guerra e dalle persecuzioni razziali. Tali iniziative dovettero affrontare continue criticità. Si pensi ad esempio alle politiche anti ebraiche (in particolare dal 1938 in poi), allo spionaggio dell’OVRA, ai ripetuti bombardamenti (la Cattolica venne colpita nell’ottobre 1943), ai rastrellamenti tedeschi a Milano (e aree lombarde), alle lotte tra i diversi schieramenti politici. Su tali vicende sono state raccolte e pubblicate numerose testimonianze. Anche le recenti ricerche riguardanti Milano hanno confermato più dati. Ad esempio: l’operato di infiltrati del regime, la rete di aiuti ai perseguitati del tempo. Tali soccorsi furono legati a vari supporti che inclusero:

persone dell’Università Cattolica (che operavano «in team» con il Rettore):

– Ezio Franceschini: Ordinario di Letteratura latina medievale, facoltà di Lettere e Filosofia. Persona consacrata. Esponente della Resistenza;

– Padre Carlo da Milano OFMCapp: laureato in Lettere presso la Cattolica; autore di varie opere religiose. Colpito nel 1944 da mandato di arresto per l’aiuto a Ebrei e ad altri perseguitati;

– Armida Barelli: persona consacrata. Non volle prendere la tessera del Partito Nazionale Fascista. Nei vari incarichi che ricoprì si batté per non lasciare al fascismo un totale controllo della coscienza privata dei cittadini (come, al contrario, pretendeva la voce «Dottrina del fascismo» pubblicata nell’Enciclopedia italiana, firmata da Mussolini ma preparata nelle linee fondamentali dal filosofo Giovanni Gentile);

– Mario Apollonio: iniziò la sua collaborazione con la Cattolica nel 1939. Divenne Ordinario di Letteratura Italiana nel 1942. Fu tra gli animatori dell’«Uomo», il giornale clandestino sorto nel settembre 1943 negli ambienti vicini alla Cattolica. Nell’ottobre del 1944 venne preso a pugni e malmenato, con pericolo di vita, da repubblichini (all’inizio) e poi anche da due Tedeschi (la sua «colpa» fu quella di offrire delle mele a dei deportati, mal vestiti, tra cui alcuni preti e donne);

– Giorgio Balladore Pallieri: Ordinario di Diritto Internazionale (dal 1935). Insegnò anche Diritto Costituzionale e Dottrina dello Stato. Preside di Giurisprudenza nel 1943-1945. Il 26 ottobre 1944, nella sede clandestina della Democrazia Cristiana (Corso di Porta Vercellina), fu arrestato insieme a Enrico Mattei (futuro presidente dell’ENI), Pier Maria Annoni, Mario Ferrari Aggradi, Piero Mentasti (segretario della Democrazia Cristiana di Brescia). Si riuscì a liberarlo. Fu ancora preside nel 1949-1978;

– Padre Jiří (Giorgio) Maria Veselý OP: sacerdote domenicano. Professore di filologia slava. Sostenne l’Opera di San Venceslao (aiuti agli Ebrei Cecoslovacchi): e altri;

Curia di Milano: (Piazza Fontana 2, a 200 metri dall’albergo Regina, sede dei comandi tedeschi):

– Cardinale Ildefonso Schuster: denunciò il razzismo nella predica del 13 novembre 1938. La religiosa Teresa Frigerio (delle Suore di Maria Bambina) della Casa Santa Maria (Via Orti, 27) ha testimoniato, con riferimento agli Ebrei, che il presule «chiamava al telefono, alla sera, quasi sempre verso le 23, e la parola d’ordine era: “Arriva la Madonnina del Duomo!” e poco dopo arrivavano loro, in piccoli gruppi. Li trattenevano fino a quando avevano procurato loro il biglietto per il transito in Svizzera». Il 17 gennaio del 1944 l’autorità tedesca chiese all’Arcivescovo informazioni sulla ripartizione territoriale dell’arcidiocesi e sulla composizione personale delle diocesi. Il Cardinale Schuster non rispose. Il presule si adoperò poi per una resa nazifascista a Milano senza spargimento di sangue;

– Monsignor Giuseppe Bicchierai: responsabile attività assistenziali e caritative diocesane;

– Don Ecclesio Terraneo: segretario del Cardinale Schuster; in stretto collegamento con l’avvocato Giuseppe Sala e la San Vincenzo; e altri;

movimento dei sacerdoti:

– Don Eugenio Bussa: vice direttore del Patronato Sant’Antonio nel quartiere «Isola Garibaldi», poi parroco della chiesa del Santo Volto; per l’aiuto dato a Ebrei è stato riconosciuto «Giusto tra le Nazioni»;

– Don Carlo Gnocchi: nel 1944 entrò in contatto con la Resistenza attraverso le Fiamme Verdi (partigiani cattolici) e i Reali Carabinieri (una struttura clandestina). Ebbe il compito di preparare documenti falsi per Ebrei e perseguitati politici. Svolse attività di collegamento con gli Alleati (nome in codice: «Chino»). Fece la spola tra la Lombardia e il Canton Ticino. Il 17 ottobre subì l’arresto a opera di SS. Detenuto a San Vittore. Gli venne poi applicato un regime di polizia. Dopo una fuga, rimase latitante fino al termine del conflitto; e altri;

attività dei religiosi:

– i religiosi cappuccini:

Fra Giannantonio Agosti da Romallo OFMCap: per l’aiuto offerto a famiglie ebree e ad altri ricercati venne arrestato dai Tedeschi (13 giugno 1944), incarcerato a San Vittore, interrogato da Karl Koch. Subì la deportazione (Flossenbürg, Dachau);

Fra Carlo da Milano OFMCap: stretto collaboratore di Padre Gemelli;

Fra Genesio da Gallarate OFMCap: dalla Comunità Ebraica ricevette un attestato di riconoscenza (aprile 1950) per l’opera svolta a favore dei perseguitati dalle lezzi razziali;

Fra Cecilio Maria da Costa Serina OFMCap: ospitò in convento e sfamò diversi Ebrei ed emarginati; intervenne a tutela di poveri e sfollati durante i bombardamenti;

– Don Paolo Liggeri (e collaboratori), membro dell’Istituto Secolare Compagnia di San Paolo. Il 24 marzo del 1944 agenti dell’Ufficio Politico Investigativo, con il sottufficiale delle SS Karl Koch, lo arrestarono con 14 Ebrei. Dopo un interrogatorio, furono tutti trasferiti nel braccio IV di San Vittore. Accusato di aver fornito aiuto a Ebrei e a renitenti alla leva, Don Liggeri venne trasferito nel campo di Fossoli (giugno 1944), in seguito a Bolzano (luglio). A fine agosto fu assegnato al lager di Mauthausen, e poi nel sottocampo di Gusen. Fu internato infine a Dachau (dicembre);

– i religiosi Servi di Maria:

Padre Davide Maria Turoldo OSM: durante l’occupazione nazista di Milano collaborò con il gruppo OSCAR e con la Resistenza. Dal suo convento distribuiva il periodico clandestino l’«Uomo»;

Padre Camillo De Piaz OSM: venne incaricato dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia di assistere le famiglie dei perseguitati politici. Fece amicizia con Eugenio Curiel, giovane fisico ebreo triestino, protagonista della Resistenza Milanese, abbattuto da una raffica di mitra in Piazzale Baracca (24 febbraio 1945);

– Istituto delle Missioni Estere (PIME): Padre Aristide Pirovano; per salvare dalla morte Ebrei e perseguitati politici, finì nel carcere di San Vittore. Fu bastonato e torturato dai Tedeschi perché non volle rivelare i nomi di altri «ribelli»;

– Comunità dei Padri Barnabiti (Via della Commenda, 5): in questi religiosi il filosemitismo fu aperto dal Padre Giovanni Semeria B. Durante il Secondo Conflitto Mondiale si distinsero per le azioni di carità Padre Nazareno Marinelli di Perugia B. e Padre Mario Salvadeo di Lomello B.;

– Don Francesco Beniamino Della Torre SDB («Don Della»): laureato in lettere presso la Cattolica di Milano (1938). La comunità salesiana di Via Copernico, vicina alle sedi dei comandi tedeschi e fascisti, ospitò le riunioni degli esponenti politici della Resistenza. Il «Bollettino Salesiano» del 1° aprile 1947 (pagina 76) ricorda l’opera svolta da più sacerdoti dell’Istituto Sant’Ambrogio a favore di gente in pericolo, di famiglie ebree; e altri;

attività delle religiose:

– Suor Enrichetta Alfieri: suora della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret. Assisteva le carcerate a San Vittore con 11 consorelle. Per le sue azioni umanitarie svolte in incognito fu accusata di spionaggio. Arrestata il 23 settembre 1944. Subì il carcere;

– Madre Donata Castrezzati, superiora delle Poverelle dell’Istituto Palazzolo di Milano (Via Gattamelata 73, Via Aldini 72); aiutò Ebrei e perseguitati politici con l’aiuto di Suor Simplicia Vimercati e Suor Clara Filippini (subirono il carcere). Madre Donata venne poi arrestata, subì il carcere; e altre;

– Suore Orsoline di San Carlo (sede di Milano: Via Lanzone, 53): svolsero un’intensa attività di aiuto verso gli Ebrei sull’intero territorio lombardo; e altre;

figure di laici:

– Ingegnere Carlo Bianchi: marito e padre di famiglia. Attivo nell’Azione Cattolica e nella FUCI. Accogliendo l’invito del Cardinale Schuster, aiutò – attraverso l’istituzione denominata «La carità dell’Arcivescovo» – quanti chiesero sostegno, specie gli Ebrei. Collaborò, con Teresio Olivelli, alla redazione del foglio clandestino «Il Ribelle», e con lui scrisse la preghiera Ribelli per amore. Venne fucilato dai nazifascisti nel luglio del 1944 a Fossoli (Modena);

– Signor Andrea Schivo, guardia del carcere di San Vittore. Di nascosto portò del cibo a una famiglia ebrea. Scoperto, fu deportato a Flossenbürg dove morì. È stato proclamato «Giusto tra le Nazioni»;

– Professoressa Fernanda Wittgens: direttrice Pinacoteca di Brera, Sovrintendente delle Gallerie della Lombardia. Il 14 luglio 1944, a causa della delazione di un collaborazionista (un giovane Ebreo Tedesco a cui aveva organizzato l’espatrio), venne arrestata. Condannata a quattro anni di prigione (a Como, poi a Milano). Riconosciuta nel 2014 «Giusta tra le Nazioni»;

– Dottoressa Adele Cappelli Vegni (amica della Wittgens): medico e volontaria in Istituti di assistenza e Opere Pie. La sua villa sul lago di Como costituì un’importante base logistica per l’espatrio di Ebrei e perseguitati politici provenienti da tutta la Lombardia;

– Sorelle Zina e Mariarosa Tresoldi (amiche della Wittgens): due maestre elementari che ospitarono in casa (Via Verga, 15) con gravissimi rischi Ebrei e ricercati politici destinati alla fuga;

– Professoressa Angela Crippa Leoni: aiutò almeno un centinaio di Ebrei a fuggire verso la Svizzera. Riconosciuta nel 1978 «Giusta tra le Nazioni»;

– Gianni Mattioli: cugino della Professoressa Wittgens. Collaborò nell’organizzare la fuga in Svizzera di Ebrei perseguitati;

– Achille Malcovati: militare (pluridecorato). Nella sua casa milanese nascose Ebrei e partigiani; e altri;

membri delle forze dell’ordine:

– Dottor Carmelo Mario Scarpa: funzionario della Pubblica Sicurezza di origini salernitane. Il suo ufficio era presso la Questura di Milano. In precedenza, aveva conosciuto a Fiume il dottor Giovanni Palatucci. Nel capoluogo lombardo si adoperò per proteggere la fuga anche di due Ebrei Fiumani (Americo Ermolli ed Ernesto Laufer; inverno del 1944). L’operazione venne attuata d’intesa con il frate minore Padre Enrico Zucca OFM (superiore del convento di Sant’Angelo). Al riguardo occorre ricordare che repubblichini e Tedeschi consideravano la Questura «marcia», «dominata» dall’antifascismo;

– guardie di Finanza: facilitarono la fuga in Svizzera di Ebrei e di perseguitati politici;

organismi resistenziali (promossi per difendere anche gli Ebrei perseguitati):

– la rete (Società di San Vincenzo de’ Paoli), promossa da Giuseppe Sala (con studio a Milano in Via Borgonuovo, 18) che subì due mesi di carcere e interrogatori per l’aiuto offerto ai ricercati. Questo avvocato poté contare anche sull’aiuto di Piero Gnecchi Ruscone (Patronato di San Vincenzo per giovani operai), e del presidente del consiglio centrale di Milano della San Vincenzo, ingegnere Bruno Setti;

– l’Opera Scoutistica Cattolica Aiuto Ricercati (OSCAR; mutò poi denominazione). Nata il 12 settembre sul nucleo del gruppo scout «Aquile Randagie». Vi operavano una quarantina di membri (sacerdoti e laici). Questo nucleo di resistenti si riuniva di frequente in Corso del Littorio 14, oggi Corso Matteotti (convento dei Servi di Maria adiacente alla chiesa di San Carlo al Corso). La OSCAR aveva tre distaccamenti: Milano Crescenzago, Varese città e Varese zona. I suoi animatori principali furono:

Don Andrea Ghetti («Baden»); laureato in filosofia con Padre Gemelli (tesi di psicologia sperimentale; si rifiutò nella sessione di laurea di indossare l’obbligatoria camicia nera fascista); definito dai fascisti «traditore da capestro»; aiutò numerosi Ebrei, perseguitati politici e militari alleati;

Giulio Cesare Uccellini («Kelly»): impiegato alla Banca d’Italia. Lasciò il suo lavoro per dedicarsi allo scoutismo. Favorì l’espatrio in Svizzera di ex prigionieri alleati e salvò dalla deportazione piccoli Ebrei;

Don Enrico Bigatti;

Don Aurelio Giussani;

Don Natale Motta (laureato in lettere alla Cattolica con le congratulazioni di Padre Gemelli); e altri.


La reazione del regime

La posizione dei repubblichini, e dei Tedeschi, fu molto dura verso i Cattolici che proteggevano gli Ebrei. Si riporta al riguardo un passo tratto da un rapporto della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) del 2 febbraio 1945: «I peggiori nemici del regime sono innanzitutto l’Azione Cattolica e la OSCAR e poi la Società di San Vincenzo de’ Paoli maschile e femminile. […] Si può affermare, senza pericolo di essere smentiti, che il 70% degli abbietti Israeliti è passato per le loro lunghe mani per essere poi portato a salvamento dai loro ribelli o banditi». Nella relazione, il Pontificio Istituto delle Missioni Estere (PIME) veniva definito «un covo di serpi velenose», e «infido» era ritenuto anche l’Istituto dei Barnabiti di Via Della Commenda. Al riguardo, è utile ricordare che nell’Azione Cattolica operavano molte figure presenti nell’Università fondata da Padre Gemelli: la Barelli (ramo femminile), Giancarlo Brasca, Giuseppe Lazzati e altri.

Con riferimento alle reazioni del regime verso i Cattolici che proteggevano Ebrei, e che sostenevano la Resistenza, si possono ricordare due fatti:

1) il disappunto del console generale tedesco Gerhard Wolf, assegnato a Milano (novembre 1944-maggio 1945), che lamentò il «comportamento di numerosi Ecclesiastici nei riguardi del ribellismo, condotta che dà a divedere (sic) un atteggiamento di aperta ostilità allo Stato da parte di certi Circoli del Clero Italiano»;

2) il rapporto confidenziale redatto dal tenente colonnello G. Zanuso, comandante militare di zona delle Brigate Nere di Monza. Il testo fu redatto il 21 febbraio 1945. Venne indirizzato al Comando provinciale del Corpo Ausiliario delle Brigate Nere. Vi si legge tra l’altro: «Vi è un gruppo veramente pericoloso, composto da uomini, sacerdoti e no, con una preparazione culturale, con programmi chiari per il futuro, che non speriamo prossimo: gente che non si compera e non si vende». Zanuso si riferisce ai preti, attivisti e semplici fedeli che nel Milanese si stavano battendo per opporsi alle violenze nazifasciste, per proteggere Ebrei, fuggiaschi, partigiani e soldati alleati finiti oltre le linee nemiche.


Padre Gemelli ofm

Per seguire un criterio storico è utile iniziare dalla figura di chi ha realizzato l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Gesù: Padre Agostino Gemelli ofm. Nel periodo di fondazione questo religioso cercò di ottenere dallo Stato Liberale il riconoscimento ufficiale dell’Ateneo. Non avendolo ricevuto, fu costretto ad aspettare fino al 1924. Non sono quindi esatte le affermazioni di importanti autori che restringono le istanze del Francescano ai soli anni del fascismo. Padre Gemelli, in particolare, si trovò a fronteggiare nel tempo più ostacoli.

1) Da una parte, il regime aveva istituiti (1920) i Gruppi Universitari Fascisti (GUF). Dipendevano dal segretario del Partito Nazionale Fascista. Furono impegnati in attività politico-culturali, sportive e assistenziali. Nel 1927 era stato sciolto il Movimento Scoutistico. Il fascismo aveva poi approvato progressivamente una serie di norme che, in ambito cattolico, lasciarono alla fine in vita (dopo il 2 settembre 1931) solo le associazioni di Azione Cattolica.

2) Dall’altra, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (Ateneo non statale), per poter muovere dei passi, ebbe necessità di approvazioni giuridiche e di nulla osta per le singole attività istituzionali. Per non subire accentuate costrizioni, Padre Gemelli, sostenuto da Monsignor Francesco Olgiati, Ludovico Necchi, Armida Barelli ed Ernesto Lombardo, sostenne una linea in tema di diritti dell’Ateneo. Difese in particolare l’autonomia di governo. La nomina degli elementi di governo e l’amministrazione dell’Ateneo doveva rimanere di competenza del consiglio di amministrazione dell’UCSC (emanazione dell’Istituto Giuseppe Toniolo; la nomina dei membri era soggetta ad approvazione della Santa Sede). Nel mantenere tale posizione Padre Gemelli poté contare sull’appoggio di Pio XI.

Unitamente a ciò, il Rettore Francescano non tagliò i canali di comunicazione con le autorità del tempo. Lo fece per evitare ispezioni, attriti, provvedimenti censori e scontri.

Il regime, comunque, pur gestendo una linea dettata da pragmatismo, «sopportò» la nascita della Cattolica e considerò – di fatto – Padre Gemelli un soggetto da tener d’occhio. Informatori (in talune occasioni poliziotti) riferirono dal 1929 fino al 1944 al Ministero dell’Interno i suoi interventi e le azioni promosse. Tale linea si spiega facilmente. Del Rettore era noto, infatti, il carattere non debole. Si conosceva, in particolare, la sua allergia a ogni imposizione di idee altrui, da applicare senza discutere a ogni ambito socio-culturale. Ciò lo si evince dai comportamenti del Francescano, dai documenti del tempo, e dalle stesse vicende legate al 1925.


1925. Dichiarazione dell’8 ottobre. La festa liturgica di Cristo Re

Il 1° ottobre del 1925, il quotidiano «L’Italia» riportò delle dichiarazioni di Padre Gemelli. L’articolista riportò anche questa affermazione del Francescano: «Io non sono fascista». Per questo episodio il direttore del giornale venne rimosso dal suo incarico.

L’11 dicembre del 1925 Pio XI stabilì la festa liturgica di Cristo Re con l’Enciclica Quas Primas («Nella prima...»). In un periodo segnato da diversi totalitarismi tale decisione trasmise anche un messaggio: ogni regno umano è destinato a crollare. Solo quello di Cristo è superiore a ogni iniziativa umana e rimane eterno. In particolare, il Papa volle fissare la festività all’ultima domenica di ottobre, e cioè in corrispondenza con l’anniversario della «marcia su Roma». Da questo momento in poi Padre Gemelli e le persone a lui vicine accentuarono in ogni occasione il tema della Regalità di Cristo. Vennero promossi un convegno internazionale (1926), un’apposita Opera e due Istituti di laici consacrati. Nel canto Noi vogliam Dio, inoltre, furono inserite strofe di contestazione velata a chi era divenuto il Duce in assoluto:

«Noi vogliam Dio – a lui giuriamo
serbar fedeli – la mente e il cuor,
servirlo liberi – tutti vogliamo,
sia questo il nostro – supremo onor!

RITORNELLO. Deh! benedici, o Madre,
al grido della fe’,
noi vogliam Dio – ch’è nostro Padre,
noi vogliam Dio – ch’è nostro Re».


1926-1934. Le criticità del tempo

Il 9 novembre del 1926, con decreto del prefetto di Roma, fu sciolto d’autorità il Partito Popolare Italiano. Il regime eliminava ogni opposizione. Padre Gemelli si adoperò per salvaguardare le idee di questa formazione, e accolse in Cattolica elementi provenienti dalle fila dello schieramento di Don Luigi Sturzo.

Nel 1929, durante i lavori del VII Congresso Nazionale di Filosofia, Padre Gemelli respinse una osservazione di Mussolini sull’insegnamento della filosofia nella Cattolica definendo le «parole del Capo del Governo [...] un’offesa».

Nel 1931 fu imposto ai professori universitari il giuramento di fedeltà al regime fascista. Pio XI era contrario. Si arrivò alla fine a un compromesso: i professori cattolici potevano giurare, ma con la riserva di non contraddire i princìpi cattolici. Il Papa incaricò poi Padre Gemelli di trattare con Balbino Giuliano e con Mussolini l’esclusione dal giuramento dei soli professori dell’Università Cattolica. La deroga venne concessa, ma con un’altra riserva (da parte del regime fascista): si doveva proporre ai docenti della Cattolica un giuramento volontario. Tutti giurarono volontariamente (con la riserva indicata da Pio XI), tranne quattro professori. Tra questi Padre Gemelli.

Nel 1934, il giornalista padovano Arrigo Pozzi (informatore numero 390; diversi i suoi rapporti a Mussolini) riferì agli uffici della Polizia politica delle affermazioni ascoltate nell’ambiente della Cattolica: «Non è questione di tempo, è questione di preparazione. Il tempo è nelle mani di Dio. Si può aspettare senza impazienza. Questa resistenza al fascismo non è nuova. È la più grave e la più diffusa. Il fascismo è cosa di uomini, quindi mortale, la Chiesa è cosa di Dio, quindi immortale. Non si tratta altro che di attendere e di restare sempre pronti per la successione. Quindi nessun contributo fattivo al regime, ma ossequio formale e attesa non disgiunta da preghiere perché Dio liberi al più presto o per il meglio. Colla preghiera così concepita si organizza la resistenza degli animi, la resistenza morale».

Nel 1934 (settembre) Monsignor Montini scrisse a Padre Gemelli: «Le rimetto la lettera del Signor Rodolfo Wreszinski, studente ebreo, del quale ebbi l’onore di parlarLe il 31 agosto u.s. Le sarò grato se Ella vorrà rimetterla al Professor Calderini, e se vorrà poi farmi avere un cenno per la risposta allo scrivente».

Il Rettore rispose: «Reverendissimo Monsignore, mi pregio avvertirla che il Preside della Facoltà di Lettere e filosofia, Professor Calderini, si è messo direttamente in rapporto epistolare con il padre del signor Rodolfo Wreszinski». Nell’ottobre 1934 Padre Gemelli scrisse a Monsignor Montini sulla questione del signor Wreszinski. C’era un motivo. Alla Cattolica serviva il nulla osta per accogliere un corso del Professor Wreszinski. Questi, membro di una Confessione non cattolica, aveva bisogno di una autorizzazione vaticana.

Si riporta il testo della lettera:

«Tempo fa Ella mi fece scrivere dal signor Wreszinski, il quale si mise in comunicazione col nostro Preside della facoltà di Lettere e Filosofia, Professor Calderini Aristide, e che come suo padre è professore di Egittologia alla Università di Berlino.

Lo scopo di costui era di tenere un breve corso nel nostro Ateneo. Le trattative hanno condotto a buon fine ed hanno concluso per un corso da tenersi nel prossimo inverno. Se non ché io non posso far tenere alcun corso ad altro professore, se non vi è il nulla osta della Santa Sede, rilasciato dalla Santa Congregazione dei Seminari e delle Università degli studi.

Poiché, come Ella sa, il Wreszinski è israelita, mi trovo in qualche difficoltà a domandare il nulla osta, e perciò ritengo opportuno che come Ella ha presentato la cosa a me, ora la presenti a Sua Eminenza il Cardinale Bisleti e ottenga che Egli mi dia il nulla osta. Il Wreszinski è scienziato di valore e parlerà, come si capisce, soltanto di questioni riguardanti la sua scienza».

Tale documentazione rimane significativa. Attesta in Padre Gemelli la disponibilità a interagire con un professore ebreo nell’ambito delle iniziative culturali della Cattolica. Solo le normative fasciste del momento costrinsero il Rettore a suggerire a Monsignor Montini di coinvolgere Monsignor Bisleti per rendere più forte il sostegno.


Eventi successivi. 1938

Nel fascicolo numero 7 del 1938, la rivista «Vita e Pensiero» (diretta da Padre Gemelli), pubblicò un articolo del dottor Mario Turla dal titolo: I Protocolli dei saggi di Sion. Fu una dura critica contro il periodico «La vita italiana» (diretto da Giovanni Preziosi, acceso antisemita). Nel testo si affermò che costituiva un «dovere di giustizia» affermare l’inautenticità, la grossolanità e la contraddittorietà sconfinante nella «stupidità» dei ben noti Protocolli.

Il 30 agosto del 1938, il fondatore della Cattolica scrisse a Pio XI per informare di un fatto. Si riporta qui di seguito il testo della nota vaticana che riferisce l’episodio.

«Scrive Padre Gemelli al Santo Padre che il Prefetto di Milano ha chiamato il redattore capo delle pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e lo ha obbligato a sottoscrivere la dichiarazione che non pubblicherà il discorso del Santo Padre sul razzismo del 28 luglio.

La cosa è tanto più enorme trattandosi di una Università e di una scuola Pontificia. Pur troppo (sic) fu fatto anche in altri casi, ma questi possono tenersi rappresentati dal caso presente quando si pensi che cosa è l’Università Cattolica per il Papa. Quindi o lui provvede, o provvede il Santo Padre, parlando o scrivendo come crederà bene. Lo si deve alla Chiesa».

Tale documento conferma una linea seguita da Padre Gemelli: egli si oppose al riconoscimento di politiche eugenetiche offensive della dignità umana (in sintonia con l’Enciclica Casti Connubii di Pio XII), avversò i programmi di sterilizzazione e le pratiche abortive, non fu mai un teorico della scienza razzista.


Eventi successivi. 1939-1945

Nel 1939, quando la Germania nazista invase la Polonia, Padre Gemelli tenne un discorso nell’Aula Magna della Cattolica a difesa dei diritti della Nazione aggredita. I giornali fascisti protestarono.

Nel medesimo anno l’avvocato Cutelli scrisse a Padre Gemelli presentando una nuova rivista fascista: «Il diritto razzista». Contestualmente si chiedeva l’adesione. Il 31 luglio Padre Gemelli rispondeva a Cutelli con una breve lettera. E annotò: «Non posso, secondo il Vostro desiderio, mandarvi la mia adesione».

Nel 1940 l’Italia entrò in guerra. Padre Gemelli veniva seguito da informatori del regime. Furono registrati discorsi, iniziative, attività.

Dopo l’8 settembre 1943 la Wehrmacht occupò gran parte dell’Italia Centro-Settentrionale. Si acuirono le persecuzioni razziali (rastrellamenti, internamenti, deportazioni). D’intesa con il Rettore, alcune persone a lui vicine, nascosero famiglie ebraiche nel seminterrato e nel rifugio antiaereo del collegio universitario «Marianum» (Via Ludovico Necchi, 1), situato accanto alla Cattolica.

In questo periodo Padre Gemelli si attivò per aiutare il matematico Professor Vito Volterra, Carlo Foà (maestro del fisiologo Enoch Peserico) e altri. Ricevettero sostegno anche due docenti espulsi dall’Università di Vienna (1934): il Professor Rudolf Allers (psicologo e psichiatra; emigrò in USA), e la Professoressa Carla Zawisch (istologa).

Sul piano accademico, l’Università Cattolica, pur gravemente colpita dai bombardamenti, attivò quanto previsto nel calendario accademico (5 novembre 1943). Riaperte le iscrizioni, ripresero le lezioni, le sessioni d’esame e le sedute di laurea, ma non furono rilasciati diplomi di alcun tipo ma semplici dichiarazioni di segreteria. Tale espediente permise di non dover rilasciare alcun documento ufficiale nel nome del nuovo Governo Repubblicano Fascista (Repubblica Sociale Italiana). Contravvenendo alle direttive della Repubblica Sociale, le segretarie accettarono le iscrizioni di studenti ricercati per l’attività di resistenza al regime.


In particolare: Padre Gemelli e Gino Sacerdote

Gino Sacerdote fu un ingegnere ebreo. La sua attività scientifica riguardò le aree della fonetica, dell’audiologia, della metrologia.

Nel 1938, a motivo delle leggi razziali, dovette lasciare la collaborazione con l’Istituto Elettrotecnico Nazionale «Galileo Ferraris».

Durante il periodo bellico frequentò il laboratorio di psicologia della Cattolica. Nel 1941 collaborò con Padre Gemelli alla pubblicazione del lavoro: Un metodo per l’analisi statistica dell’intensità sonora del linguaggio. Questo studioso, a fine conflitto, riconobbe la protezione ricevuta dal Rettore della Cattolica. Ricordò anche un fatto. Nel gennaio del 1944 si trovava «relegato in una stanzetta del laboratorio [dove Odaliso Galli lo ricorda nascosto] quando fu annunciata una visita di Farinacci. Dopo un’inquieta attesa vedo tornare il Rettore Padre Gemelli, il quale racconta di un vano tentativo di farlo aderire a Salò, cui aveva risposto sviando il discorso, esprimendo la cattiva impressione provocata dalla fucilazione di Ciano». Il Professor Sacerdote morì nel 1997. Aveva 92 anni.


In particolare: Padre Gemelli e Cesare Musatti

In tale contesto, occorre anche ricordare un fatto. Padre Gemelli non ebbe difficoltà a interagire con una figura particolare: quella del Professor Cesare Musatti. Questi era ateo (non battezzato e non circonciso), padre ebreo, madre cattolica non praticante.

Il Senato accademico dell’Università di Padova lo sospese dall’incarico (in applicazione delle leggi razziali), nell’anno accademico 1938/1939, perché insegnava una «scienza ebraica». Il docente ripresentò la domanda d’incarico nell’anno accademico successivo. La commissione competente istituita presso la Direzione generale per la demografia e la razza aveva comunque stabilito che lo psicoanalista nonostante non fosse stato circonciso, doveva essere considerato «ebreo» perché nato «da almeno un genitore ebreo». Nella facoltà di Lettere Musatti aveva sostenitori. In Senato accademico, però, il Rettore Carlo Anti si oppose per una ragione di «opportunità politica» (mai precisata, stando ai verbali), nel corso del dibattito (14 luglio e 6 ottobre 1939). Per avvalorare la posizione del «no» all’ingresso di Musatti nell’Ateneo, il Rettore chiese chiarimenti anche al Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai.

Alla fine lo psicoanalista non ebbe il posto. Secondo il Senato accademico (tesi del Rettore Anti) esisteva una «contingente inopportunità politica». La «colpa» politica di Musatti era quella di portare «un illustre e inequivocabile nome ebraico» – che gli era stato trasmesso per di più da un padre deputato socialista – e di insegnare una «scienza ebraica». L’ostilità verso un suo reincarico era stata infatti apertamente motivata in Senato accademico dai rappresentanti delle facoltà di Legge e Medicina con «l’indirizzo spiccatamente psicoanalitico del suo corso».

In tale contesto, il Rettore della Cattolica invitò Musatti (1939) a partecipare ai lavori della Commissione permanente per le applicazioni della psicologia, istituita presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). In seguito gli chiese di tenere relazioni (a pagamento) ai «seminari del venerdì» organizzati presso il Laboratorio di psicologia della Cattolica. Nel 1944, l’avvocato padovano Paolo Toffanin aiutò Musatti a trasferirsi a Ivrea. Nel 1947 l’accesso dello psicoanalista alla cattedra dell’Università di Milano (facoltà di Lettere e Filosofia) fu sostenuto da Padre Gemelli.

Padre Gemelli con il Professor Cesare Musatti

Padre Gemelli (a destra) con il Professor Cesare Musatti negli anni del dopoguerra

1945. Ultimi attacchi alla Cattolica. La lettera di Cadorna

Contro Padre Gemelli e la sua Università la stampa fascista («Repubblica fascista», «Brigata Nera», «Libro e Moschetto», la «Leonessa» di Brescia, la «Crociata italica» di Cremona, e altri) accentuò gli attacchi. Si arrivò alla proposta di sopprimere l’Ateneo, come si rileva nel libro del Professor Luigi Pareti (Università di Napoli) dal titolo: L’Università futura (Edizioni Civiltà Fascista, Brescia, marzo 1945).

Il 10 maggio del 1945, il Generale Raffaele Cadorna scrisse una lettera a Padre Gemelli ove evidenziò il fatto che il Rettore nei mesi dell’occupazione tedesca aveva fatto della propria Università un rifugio per gli antifascisti. Al riguardo, si ricorda che – in periodo bellico – le riunioni del Corpo Volontari della Libertà, ospitate in Cattolica, non vennero proseguite perché l’Ateneo fu sospettato dalla Polizia di essere un centro di antifascismo.


1945. Le commissioni di epurazione

Alla fine del Secondo Conflitto Mondiale si vollero allontanare dai propri ruoli lavorativi quanti avevano sostenuto il fascismo. Si istituirono così delle commissioni di epurazione. Queste si occuparono anche delle Università. In un clima generale segnato da dure contrapposizioni ideologiche, rappresaglie ed esecuzioni sommarie, si esaminò anche il ruolo svolto da Padre Gemelli. Durante il Ventennio il Rettore Francescano aveva mantenuto un ruolo di «protezione» dell’Università Cattolica, e «di copertura» delle azioni a favore dei perseguitati dall’ex regime. Per svolgere tale compito aveva sviluppato una politica di «apparenze» che dovevano «convincere» i gerarchi che l’Università Cattolica non era una «nemica». Dopo gli approfondimenti di merito il fondatore della Cattolica fu confermato nel suo ruolo.

In particolare la seconda commissione di epurazione (con Ezio Franceschini, Melchiorre Roberti e Giovanni Soranzo) riferì al comando alleato in questi termini:

«Quando fu chiamato da Pio XI a fondare e a presiedere la Pontificia Accademia delle Scienze, nella quale entrarono subito 11 Premi Nobel e non vi fu distinzione di religione e di razza, Padre Gemelli non esitò ad accogliere Ebrei messi al bando dalla vita civile italiana, come S. E. Levi Civita, e S. E. Volterra. Alla loro morte Padre Gemelli fu l’unico che ne tessé pubblicamente l’elogio come Presidente della Pontificia Accademia, alla presenza di Sua Santità Pio XII, e fra il silenzio unanime e codardo della stampa italiana asservita al regime.

Essendo stata la famiglia del celebre Hertz ridotta alla miseria dai nazisti, in un’adunanza della Pontificia Accademia Padre Gemelli presentò a Sua Santità Pio XI il manoscritto di un lavoro postumo dell’illustre scienziato e ottenne dal Pontefice una somma rilevante per sovvenire alle necessità della famiglia. Di questo atto a favore di un Ebreo egli diede relazione fra gli applausi di un pubblico dibattito ammirato nell’aula dell’Università Cattolica nel febbraio del 1939 [...].

Iniziatasi ufficialmente anche in Italia la persecuzione razziale Padre Gemelli protesse, salvò, aiutò nella fuga o nella sistemazione all’estero, o clandestina, in patria molti Ebrei, fra i quali si possono ricordare per il loro valore scientifico e per la loro fama il Professor Carlo Foà, il chirurgo Professor Mario Donati, il Professor G. Todesco, il Professor Gino Sacerdote, in collaborazione con il quale egli pubblicò anche un lavoro scientifico nel 1941 [...], quando il solo nome di autori ebrei non si poteva citare neppure in libri scientifici, e il farlo poteva comportare gravi sanzioni [...]».


Professor Franceschini

Tra le persone che furono a più stretto contatto con Padre Gemelli figura il Professor Ezio Franceschini. Nacque nel Trentino (Villa Agnedo), in Valsugana. Dopo la laurea in lettere (1928), fu assistente universitario volontario presso la cattedra di Letteratura latina di Padova (1931-1934). Ottenne poi la libera docenza in Letteratura Latina Medievale e ne fu nominato professore incaricato.

Nel 1938 vinse il primo concorso in Italia per una cattedra di Letteratura Latina Medievale. Dall’anno successivo fu titolare di quell’insegnamento (che già deteneva per incarico dal 1936) all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Quando si acuirono le persecuzioni antiebraiche e altre operazioni nazifasciste, questo docente si attivò con vari conoscenti (incluse persone della Cattolica) per organizzare una rete di protezione a favore delle vittime del regime.

Ezio Franceschini

Ezio Franceschini (fototessera per la carta d’identità falsa, al nome Andrea Zanoni, utilizzata durante la Resistenza)

Contemporaneamente, con altri professori di diverso orientamento ideologico e politico, sostenne il movimento resistenziale (nei territori veneti e lombardi). A Padova, in particolare, venne promosso un organismo della Resistenza: il gruppo FRA.MA. Tale acronimo derivava dalle iniziali dei Professori Franceschini e Concetto Marchesi. Questo nucleo operava tra Padova e la Svizzera, attraverso lo snodo fondamentale di Milano. Aveva propri informatori nelle file dei Tedeschi e dei repubblichini. Inoltre era in stretto collegamento con i servizi segreti elvetici, inglesi (SOE), e statunitensi (OSS). Tra coloro che sostennero il passaggio in Svizzera dei perseguitati del tempo ci fu la signora Giuseppina Giovanna Panzica (medaglia d’oro al merito civile alla memoria).

A Padova, il coordinatore principale del FRA.MA. era il Professor Marchesi. Illustre latinista, Rettore dell’Università di Padova, esponente del Partito Comunista Italiano. Tale organismo condannò la sua scelta di restare Rettore anche con il Governo Fascista di Salò e lo sospese di fatto dal partito. Per la sua resistenza al regime, fu ricercato dai nazifascisti. Dovette lasciare Padova e raggiungere Milano. Prima di fuggire, diffuse un appello (5 dicembre 1943) agli studenti spronandoli all’insurrezione. Franceschini interagì con Marchesi (clandestino) nel capoluogo lombardo. In seguito, lo aiutò a raggiungere la Svizzera (febbraio 1944). A Padova comunque il locale gruppo FRA.MA. non rimase inattivo. Si occupò pure dei militari prigionieri di guerra, d’intesa con il nucleo di Milano.

Nel frattempo Franceschini, utilizzando il laboratorio di psicologia di Padre Gemelli, ospitò alcune riunioni del comando Corpo Volontari della Libertà. In vari scritti usò firme false (Ettore, Zia Maria, Andrea Zanoni...). Verso la fine del conflitto nascose tra le ossa di 50 scheletri del Settecento (nei locali seminterrati dell’Ateneo) una cassetta. Conteneva importanti documenti sulla Resistenza e sul gruppo FRA.MA. All’operazione fu presente Marisa Scolari, la segretaria di Padre Gemelli.

Il 4 dicembre 1944, un gruppo di Tedeschi e di repubblichini subito dopo la giornata inaugurale dell’anno accademico 1944-1945, fece irruzione in Cattolica. Comunque, il 2 dicembre 1944 una sconosciuta aveva fatto avere a Franceschini un biglietto anonimo che lo avvisava di scappare subito. Era ricercato dai nazisti e dai repubblichini. Poche ore dopo il docente fuggì. Riparò in casa di Melchiorre Moranti. Si tagliò la barba. Divenne «Andrea Zanoni di Tolentino». Sospese l’insegnamento e proseguì l’impegno nella Resistenza. Era diventato ancora più guardingo. Portava in tasca una foto di Mussolini. Quando la sera veniva fermato (e capitò) la baciava al cospetto dei poliziotti e gridava «Viva il duce». Per il suo impegno resistenziale, Franceschini fu poi membro della commissione di epurazione che presentò al comando USA la relazione che scagionò Padre Gemelli.

Dal 1953 al 1965 fu preside della facoltà di Lettere della Cattolica. Alla morte del Professor Francesco Vito, venne eletto terzo rettore della Cattolica (1965-1968). Nel 1968 una trombosi cerebrale a Solda segnò l’inizio di un cammino di sofferenza. Il docente, comunque, rallentò gli impegni ma andò avanti. Dal 1977 al 1980 scrisse anche per il giornale dei ragazzi «Giovani Amici» (UCSC) alcuni simpatici racconti. Tra questi: Incontro con Padre Gemelli.

In ambito religioso, fece parte (dal 1932) dell’Istituto dei Missionari della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, fondato da Padre Gemelli (1928). Toccò poi a lui il compito di rifondare l’Istituto in qualità di presidente (1942). Morì nell’ospedale di Padova (21 marzo 1983). Nel discorso che fece in occasione del suo collocamento fuori ruolo (1976), disse ai presenti: «Una cosa sola posso dire. Ho odiato l’ingiustizia e l’iniquità e l’ho combattuta dovunque mi si è rivelata. Ho odiato la menzogna e l’insincerità e le ho combattute dovunque le ho trovate. Ho amato tutti. Non ho alcun nemico. Non c’è stato giorno di questa mia vita, spesso faticosa, in cui non sia stato pienamente e completamente felice. Lo dico con trepidazione e tremore: felice. Sempre».


Il religioso cappuccino Padre Carlo da Milano

Padre Gemelli e il Professor Franceschini, nel periodo più drammatico della guerra, ricevettero un notevole aiuto anche da un sacerdote milanese, il frate cappuccino Padre Carlo da Milano (al secolo Domenico Varischi).

Questi risiedeva nel convento di Viale Piave. Già negli anni della sua formazione aveva avuto occasione di conoscere Monsignor Francesco Olgiati. Laureato in teologia (1931), si laureò pure in Lettere presso la Cattolica (1934). Conseguì anche altri titoli accademici. Padre Gemelli, che lo stimava sul piano spirituale e scientifico, lo volle nominare (aprile 1939) Assistente Ecclesiastico dell’Associazione «Ludovico Necchi». Tra le sue molteplici attività organizzò pure (giugno 1943) l’«Opera Assistenza Spirituale Incursioni» a favore delle vittime dei bombardamenti (sostenuto da Padre Gemelli e dal Cardinale Schuster).


Pio XII. Protezione degli Ebrei

Il 13-19 settembre 1943 Padre Carlo da Milano, per incarico di Padre Gemelli, si recò in Vaticano per ricevere direttive da Pio XII. Poté consultare l’allora Giovanni Battista Montini e alcuni Cardinali. Il 16 settembre fu ricevuto da Pio XII. Il Papa dette questa direttiva: «Dite a Padre Gemelli di continuare più che si può e meglio che si può, a mantenere in vita l’Università, senza far rumore e senza fare assolutamente della politica. Per questo egli deve rimanere sul luogo, in attesa di giorni migliori...». La disposizione lasciava quindi al Rettore pieni poteri, salvo poi riferire alla Santa Sede. A questo viaggio ne seguirono altri due dal 4 al 10 e dal 21 al 30 ottobre dello stesso anno.

Nel mese di dicembre del 1943 il Cardinale Schuster mandò il Padre Carlo a Merano, con lettera di un alto prelato del Vaticano, per far ricerche su una decina di Ebrei Romani. Il viaggio, rischioso e faticoso, non dette esito positivo. Già da tempo il Padre Carlo si interessava agli Ebrei, ma l’ultimo viaggio a Roma e questo di Merano, lo resero ancor più informato della loro situazione e lo convinsero ad affrontare un’attività clandestina: salvare gli Ebrei e i perseguitati politici. Sostenuto da persone della Cattolica, nascose almeno un centinaio di Ebrei in case di religiosi, di laureati, di amici, in cantine, cascine in campagna, e anche nel piano seminterrato e nel rifugio antiaereo del collegio universitario «Marianum». Non bastava comunque celare la presenza di Ebrei. Servivano documenti falsi. A questo punto venne organizzato l’ufficio «falsi» della Cattolica.

Per alcuni mesi fu inserito in un locale messo a disposizione da Padre Gemelli. Con riferimento a questa fase storica rimane significativa la testimonianza del Professor Franceschini:

«Qui da noi fu Padre Carlo “da Milano” che nell’ottobre del 1943, venuto per primo a conoscenza delle imminenti azioni di persecuzione contro gli Ebrei, fece del suo ufficio il centro anche di questa opera di carità. Si trattava di assisterli, di sistemarli, di trovare loro rifugio o di avviarli subito, nei casi più urgenti e più gravi, alla frontiera, in maniera possibilmente sicura.

[...] Un centinaio ne sistemò, direttamente o indirettamente, Padre Carlo, cercando rifugi, nascondigli e anche, per chi non ne aveva, mezzi finanziari. Da rifugio tutto poteva servire: case di religiosi, di laureati, di amici, i locali sotterranei del devastatissimo “Marianum” (il nostro collegio universitario delle signorine), cantine in città, cascine in campagna.

Venivano qui da tutte le parti; ed io penso che il caro amico non dimenticherà facilmente quella giornata, proprio dell’8 dicembre, di due anni or sono, che gli portò contemporaneamente, e senza preavviso, sei o sette comitive di Ebrei sfuggiti a Padova alla caccia delle SS tedesche e indirizzate a lui da quel Padre Cortese, dei Conventuali del Santo, che più tardi pagherà anche questa sua opera con l’arresto, la tortura e la morte».

Il Professor Franceschini, nelle sue memorie, descrisse l’agire di Padre Carlo da Milano con sottolineature rapide. Incisive. Con riferimento all’ufficio del Francescano annotò: «Lì era possibile vedere un frate cappuccino tirar fuori dai nascondigli più impensati, e fin dal cappuccio della sua tonaca, carte d’identità, timbri, fotografie, lasciapassare italiani e tedeschi, chissà come e dove santamente rubati. I documenti arrivavano ad esempio dal Distretto Militare di Milano, allora di sede ad Abbiategrasso, da un nostro laureato, il dottor Giancarlo Brasca (poi direttore di sede) che vi prestava servizio anche con questo intento, mentre altri giungevano dal Distretto di Sondrio, tramite un altro nostro laureato, il dottor Filippo Ponti».

Padre Carlo da Milano, per gli espatri dei perseguitati, ricevette aiuto anche da Giuseppe Dossetti (futuro membro della Costituente, poi sacerdote), e dalla giovane Leonilde (Nilde) Iotti (futuro membro della Costituente, e Presidente della Camera dei Deputati).


Alterne vicende

Gli Ebrei avvicinati da Padre Carlo e dai suoi collaboratori furono quindi un centinaio, di cui una cinquantina raggiunsero la salvezza in Svizzera. A questi si deve aggiungere un alto numero di persone (anche inglesi) sfuggite al controllo dei repubblichini e dei Tedeschi. Non mancarono però le ore critiche. Si riferisce un episodio a titolo di esempio. Nel giugno del 1944, un confratello di Padre Carlo, il Padre Giannantonio Agosti da Romallo, confessore di lingue estere nel duomo di Milano, fu arrestato dai Tedeschi (13 giugno) per il sostegno offerto a Ebrei. Interrogato dal sottufficiale della GESTAPO Otto Kock, subì il carcere e la deportazione in un lager nazista. Nel frattempo, Padre Carlo fu informato da Padre Gemelli che era ricercato dai Tedeschi. Per questo motivo fuggì (19 giugno 1944) nel Bergamasco, rimanendo in clandestinità.

Si riporta, ancora, un altro fatto. Uno dei collaboratori del gruppo FRA.MA., Romeo Locatelli, importante staffetta tra Milano e la Svizzera, venne arrestato il 20 novembre 1944 in Via Marcora (Milano) a seguito di un tranello teso dai militi della Legione Muti. Da San Vittore il 15 gennaio 1945 fu deportato a Bolzano, (matricola 8458; Blocco D). Quindi il 1° febbraio 1945 subì l’internamento a Mauthausen. Morì nel campo di concentramento di Gusen (9 aprile 1945).

In tale contesto, malgrado l’assenza da Milano di Padre Carlo, l’ufficio «falsi» dell’Associazione «Ludovico Necchi», proseguì comunque la sua attività con il Professor Franceschini fino al crollo del regime nazifascista. Alle carte di identità con timbri autentici o falsi, si unirono i documenti bilingui di lavoro e certificati militari di tutte le specie; dai fogli di permesso e di licenza, per convalescenza o altri motivi, a quei fogli di congedo che erano molto utili per i numerosi renitenti alle successive chiamate fasciste e per i partigiani.


Resistenza. Operazioni nazifasciste. Rappresaglie

Nel periodo in esame si verificarono ulteriori fatti. Li ricorda la studiosa Anna Lisa Carlotti: «Centinaia e centinaia furono inoltre i laureati e gli studenti dell’Ateneo che soffrirono nei campi di concentramento tedeschi. Il Professor Franceschini accenna al numero di 85 (di cui 11 caduti). Di molti è impossibile precisare anche il nome. In un solo campo, 40 di essi vollero ricordare, nel giugno del 1944, la festa del Sacro Cuore con un messaggio a Padre Gemelli, ringraziandolo “per l’apostolico zelo e la paterna sollecitudine avuta nella loro educazione intellettuale e morale”, ed esprimendo la certezza che la prova a cui la divina Provvidenza li aveva sottoposti sarebbe stata “la premessa indispensabile per la ricostituzione di un’Italia migliore”». Riguardo agli studenti della Cattolica, eliminati perché attivi tra i partigiani, rimane significativa la figura di Emiliano (Emi) Rinaldini. In tale contesto, Padre Gemelli, in più occasioni, cercò di avere notizie dei propri studenti.


Il ritorno di Padre Carlo da Milano

Padre Carlo da Milano rimase nascosto nel Bergamasco fino al 24 aprile 1945. Non interruppe i contatti con i suoi collaboratori. Tentò in più modi di proseguire la sua opera. Tornato a Milano riprese la sua attività come Assistente Ecclesiastico dell’Associazione «Ludovico Necchi» (UCSC). In seguito ricevette nuovi incarichi da Padre Gemelli e da altri responsabili (Assistente Ecclesiastico delle signorine studenti e del «Marianum»; vice Assistente Ecclesiastico della «Necchi»; collaboratore ufficio propaganda della Cattolica; predicatore tra le Missionarie dell’Opera della Regalità...). Il suo legame con l’Ateneo proseguì nel tempo. Morì a Bergamo. Aveva 87 anni. Ha lasciato in Cattolica un memoriale di grande interesse. Altre carte si trovano presso l’Archivio Provinciale dei Cappuccini Lombardi (Milano).


Qualche considerazione di sintesi

Esaminare un tema quale «l’Università Cattolica del Sacro Cuore e le persecuzioni ebraiche», implica uno studio attento a più realtà.

1) Si avverte intanto l’utilità di oltrepassare due estremi: l’esaltazione di figure dell’Ateneo, e l’avversione ad alcune persone, anche importanti, dell’Università.

2) Sarebbe anche da preferire l’uso di categorie non rigide (fascista – antifascista; filosemitismo – antisemitismo, e altre). Tali schemi, presentati come immutabili, sembrano non adatti a comprendere la complessità di talune vicende, e l’orientamento di passi attenti ai pericoli del momento.

3) La ricerca su dati personaggi non può inoltre essere avulsa da un contesto «di rete». In particolare, nessuna opera a favore di Ebrei, si realizzò per iniziativa di un’unica persona. Si resero necessari supporti di varia natura (incominciando dai silenzi strategici). Lo ammise lo stesso Padre Gemelli.

4) Emerge pure l’utilità di proseguire più piste di ricerca. Ci si limita a qualche esempio:

– il rapporto tra Padre Gemelli e i Francescani che operarono a Milano (e in area lombarda). Proprio il Rettore – per meglio seguire gli studenti – volle ad esempio chiamare Padre Carlo da Milano (difensore di Ebrei);

– l’interazione tra Padre Gemelli e Armida Barelli (e collaboratrici). Attraverso di lei fu possibile attivare una molteplicità di contatti (persone che difesero Ebrei), e acquisire informazioni delicate. Sarebbe utile focalizzare meglio i singoli interlocutori della «Sorella maggiore»;

– i contatti intercorsi tra Padre Gemelli e gli esponenti dell’Azione Cattolica milanese (e nazionale). È vero che talvolta negli archivi prevale il materiale di natura pastorale, ma è anche vero che proprio diversi esponenti dell’Azione Cattolica furono tra coloro che sostennero gli Ebrei perseguitati;

– i collegamenti tra Padre Gemelli e il Cardinale Schuster (e collaboratori). L’Arcivescovo di Milano fornì aiuti a quanti difendevano Ebrei. Lo fece in modo non appariscente. Si mosse tenendo conto delle criticità del tempo;

– gli aspetti meno noti dell’animo di Padre Gemelli. Tale impegno avrebbe il pregio di spiegare meglio il pensiero del fondatore. Si pensi, ad esempio, ad alcune pagine del suo libro Francescanesimo. In taluni passaggi è molto chiaro l’approccio dell’Autore al progetto di vita di ogni persona.


Università Cattolica e rete solidale

Ciò premesso, non è difficile individuare nel periodo delle persecuzioni antiebraiche una rete di solidarietà che a Milano (e altrove) cercò di proteggere molti Ebrei. Nell’ambito di questa rete si ritrovano anche professori e studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Gesù. L’orientamento di base, da un punto di vista cattolico, ebbe come motivo ispiratore la Figura di Cristo, «Re dell’Universo» e «Sacro Cuore».

1) Dalla riflessione sulla Regalità del Figlio di Dio derivò la memoria: dei crolli di «potenze» umane, della transitorietà di «glorie», della povertà di «trionfi» terreni. E si accentuò il tema della Presenza divina accanto a ogni figlio in pericolo.

2) Dalla meditazione sul Sacro Cuore di Gesù si accentuò il tema della misericordia e l’urgenza di diventare le mani pietose del Buon Pastore. Tale linea non rafforzò un confessionalismo ma aperse piuttosto gli animi dei membri della Cattolica e dei soci dell’Azione Cattolica alla visione dell’umanità redenta dal Sangue dell’unico Salvatore. Si superarono in tal modo confini e barriere umane per attivare una «charitas» rivolta a ogni sofferente e perseguitato.

Questi due aspetti furono recepiti dai fedeli. Ne è prova, ad esempio, una strofa del canto Pietà Signor del nostro patrio suolo:

«L’Italia vera, che Ti adora, o Dio;
che ti proclama suo Signor, suo Re;
alle fraterne colpe eterno oblio,
fidente implora, o dolce Cuor, da Te.
Dio di clemenza Dio Salvator
salvate Italia nostra pel vostro sacro Cuor».


Aspetti del primo Rettore della Cattolica

Nel contesto delineato rimane poi significativa la figura di Padre Gemelli. Seguendo un metodo storico, si possono individuare nel primo Rettore della Cattolica più aspetti: 1) quello del fondatore, 2) quello del cavaliere pronto alla battaglia, 3) quello di un sostenitore della dottrina cattolica, 4) quello di un difensore dei perseguitati. Sono quattro realtà da non separare tra loro ma da studiare in modo congiunto.

1) Il fondatore

Fondare una Università come la Cattolica di Milano non fu né semplice, né rapido. Tra gli oppositori si contestava la nascita di quello che si riteneva un neoguelfismo. Era considerato un tentativo per eliminare altre correnti di pensiero. E per accentuare un confessionalismo. Diversi esponenti del libero pensiero accusavano Padre Gemelli di regressione. Contestavano l’avvicinamento tra «fides et ratio». Lo interpretavano come un ritorno immotivato e deleterio a posizioni medievali (San Tommaso).

A questo punto, toccò a Padre Gemelli dimostrare che fede e ragione non sono tra loro incompatibili. Ai massoni e agli anticlericali contestò l’identificazione di «Religione» con «ignoranza». Spiegò il valore della fede. E chiarì anche l’importanza del contributo delle diverse aree scientifiche. Proprio su quest’ultimo punto esisteva una situazione difficile. L’Italia aveva dimostrato in anni precedenti di offrire un debole apporto culturale. Si ricorda al riguardo che negli ultimi anni dell’Ottocento i Cattolici Italiani godevano in Europa di un credito limitato nel campo degli studi. Al congresso internazionale degli scienziati cattolici del 1897 (Friburgo, 16-20 agosto), lo storico belga Godefroid Kurth rivolse dure critiche. A chi proponeva di scegliere Roma per la riunione degli scienziati da tenersi l’anno successivo rispose: «Il nostro è un congresso scientifico. Ora io vi domando: ci vien forse da Roma e dall’Italia la luce scientifica? Dove sono le sue alte scuole, i suoi istituti, le sue pubblicazioni?».

2) Cavaliere pronto alla battaglia

Padre Gemelli ricevette dalla natura un carattere forte. Non facilmente domabile. Pronto al confronto immediato. Tale aspetto emerge ogni volta che il fondatore trattò temi sensibili. Egli non esitò ad affrontare in termini critici la dottrina socialista, quella massone, il positivismo senza fede, l’esaltazione dell’uomo priva dei riferimenti a Dio creatore e padre, le violenze ai perseguitati. Cercò inoltre di fronteggiare un pensiero filosofico segnato dall’idealismo, presente in Italia con le Scuole di Croce e di Gentile. Più in dettaglio, avversò l’idealismo materialistico intriso di «agnosticismo e ateismo», che aveva creato lo smarrimento interiore dell’uomo moderno. Dette battaglia contro la riduzione della psicologia a biologia, o contro l’opposta assimilazione, tentata dagli idealisti, della psicologia a scienza dello spirito.

Il Rettore Francescano accolse con favore il superamento della «Questione romana» (Concordato, 1929), la ricollocazione dei crocifissi nelle scuole e negli ospedali, l’introduzione nella scuola primaria della religione cattolica, l’istituzione dell’esame di Stato per le scuole medie, la riforma dell’ordinamento universitario (permise nel 1924 all’Università Cattolica di essere riconosciuta dallo Stato). Mutò poi la linea benevola con un orientamento pragmatico privo di calore. Ciò avvenne quando il regime andò perdendo i caratteri democratici, quando si allineò con la politica hitleriana, quando furono resi più costrittivi i provvedimenti statali, quando si acuirono le azioni punitive verso persone innocenti, e verso lo stesso mondo cattolico milanese.


Le omissioni sugli studi su Padre Gemelli

In tempi successivi, si vollero vedere in Padre Gemelli limiti nell’approccio con altre religioni, e nel comportamento verso giovani comunisti. Però, chi criticò il fondatore non parlò mai di alcune evidenze.

1) Ad esempio: diversi aspetti riguardanti un filosofo ebreo, Felice Momigliano, vennero taciuti. Questo Autore, accogliendo un neoidealismo, volle spingere in direzione di una nuova religiosità. Tale orientamento avrebbe consentito, nelle intenzioni dell’Autore, di armonizzare tra loro lo spirito nazionale, la giustizia sociale e l’afflato religioso. Padre Gemelli non condivise tale posizione, inoltre avversò l’anticlericalismo. In tale contesto, c’è anche da ricordare che il Momigliano, essendo un esponente del libero pensiero, contrastò le istituzioni culturali confessionali (e quindi anche l’Ateneo di Padre Gemelli), e le correnti antimoderniste (nelle istituzioni ecclesiastiche vigeva il giuramento antimodernista). Si rivelò inoltre molto duro lo scontro tra questo Autore e l’Ebraismo istituzionale. Vicino a protestanti e a massoni, Momigliano presentò – insieme ad altri – Gesù di Nazareth come un semplice profeta. Ciò non poteva trovare consenso nel mondo cattolico. Padre Gemelli, dopo il suicidio di Momigliano, scrisse in modo estemporaneo delle annotazioni che attestavano animosità. In seguito, in modo umile, volle scusarsi pubblicamente. In definitiva, per il Rettore, il filosofo era stato un avversario sul piano scientifico, ma non un nemico.

2) Anche la vicenda di due giovani comunisti (Giuseppe Boretti ed Eugenio Giovanardi) è citata da più autori cancellando evidenze significative. Già dal 1923 il Governo Mussolini aveva cominciato a processare esponenti del comunismo (proseguendo nel tempo tale politica). Ma c’è un altro fatto. I soggetti erano stati già arrestati dalle forze dell’ordine in due occasioni: nel 1931 (manifestazione di solidarietà con il maestro Arturo Toscanini), e nel giugno 1932 (incontro con Giorgio Amendola). Risultavano quindi segnalati e schedati. Avevano ricevuto «ammonizioni». Erano sorvegliati. A questo punto, nel 1933, come membri del Partito Comunista Clandestino, vollero inserirsi pure in Cattolica per svolgere attività antigovernativa. Distribuirono un foglio clandestino («Unità antifascista»). Furono presto individuati da più persone (non da Padre Gemelli che lavorava in ufficio). Il Rettore si trovò in una situazione difficile (mese di febbraio). Da una parte non poteva disconoscere un episodio critico (c’era la flagranza), dall’altra doveva proteggere la vita di un Ateneo giovane, ed evitare dure rappresaglie del regime contro i due attivisti. La soluzione individuata evitò il peggio agli arrestati. La loro dimostrazione fu considerata non pericolosa perché non violenta. Ciò aprì la strada al provvedimento amministrativo (non penale) di confino (Isola d’Elba). In pratica fu evitato il Tribunale Speciale (tale organismo colpì al contrario duramente proprio nel 1933 il Movimento Guelfo d’Azione), e il carcere. Comunque, la resistenza dei due giovani al regime proseguì. Boretti, alla fine, morì combattendo in Spagna (brigata «Garibaldi»). Giovanardi partecipò anche lui alla guerra civile spagnola (fu ferito). Divenne in seguito un funzionario del Partito Comunista Italiano.

3) Padre Gemelli e il magistero pontificio

Occorre ancora sottolineare un punto significativo. Nel suo operato Padre Gemelli fu strettamente vicino ai Pontefici. Li sostenne nelle ore più critiche (ad esempio nel 1931, questione dell’Azione Cattolica). Con Pio X difese il principio «Salus extra ecclesiam non est». Con Pio XI respinse l’ateismo, l’agnosticismo, la filosofia del materialismo dialettico (portatrice automatica dell’ateismo filosofico in ambito comunista), la dottrina della razza (stirpe) e del sangue, e accolse Ebrei nella Pontificia Accademia delle Scienze. Con Pio XII partecipò a progetti umanitari anche a favore di Ebrei con l’aiuto di professori, studenti e laureati della Cattolica, e di altri volontari. Al riguardo, si comprende bene l’orientamento di Padre Gemelli se si leggono alcuni passaggi dell’Enciclica Quas primas. In questo documento Papa Ratti scrisse che la solennità di Cristo Re doveva essere «un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società. La peste dell’età nostra è il cosiddetto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi incentivi». «Perché più abbondanti siano i desiderati frutti – aggiungeva il Pontefice – e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile». Nell’Enciclica Quas primas Pio XI volle evidenziare che la regalità di Cristo implicava per i Cattolici il dovere di operare in modo da tendere verso l’ideale dello Stato Cattolico: «Accelerare e affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo] coll’azione e coll’opera loro, sarebbe dovere dei cattolici».

4) La lettura della storia ebraica

Sull’Ebraismo Padre Gemelli seguì una lettura storica. Questa, teneva conto delle vicende di un popolo disperso, segnato da tragedie: la migrazione in Egitto, il dominio degli Assiri, l’invasione dei Caldei di Babilonia, l’occupazione romana, le guerre giudaiche, la grande diaspora... In questo guardare a molteplici fasi temporali trovava collocazione anche la «Passio Christi» (Vangelo secondo Matteo 27,25). Nel 1939 Padre Gemelli volle far memoria di quel «filo rosso» che attraversava le vicende della dispersione ebraica in più Paesi. Lo fece a Bologna (9 gennaio). Si trattava di un convegno universitario su Guglielmo da Saliceto. Questo «Magister in physica» («physicus»: «medico»), divenuto anche «empiricus» (chirurgo), esercitò la professione in più località a causa in parte dell’instabilità politica del tempo. E pure un suo allievo, Ugo Lanfranco di Milano, sempre per criticità politiche, fu costretto alla fine a trasferirsi in Francia. Anche in questi casi era possibile individuare un «filo rosso» che segnava una mobilità sofferta. In definitiva, a Bologna, Padre Gemelli intese evidenziare l’erranza ebraica, da intendere come stato di penosa incertezza. Il 7 gennaio 1939, due giorni prima del convegno di Bologna, il primo Rettore della Cattolica, che nel 1938 non pose la sua firma sotto il Manifesto della Razza, aveva scritto una lettera riservata al Cardinale Giovanni Mercati (Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana). Raccomandava il Professor Gino Sacerdote, Ebreo. Nella missiva chiedeva di trovare per questo studioso, già Direttore dell’Istituto di Elettro-Acustica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, una sistemazione in grado di fargli proseguire i suoi studi.

5) Difensore di perseguitati

In Padre Gemelli l’idea di perseguitare delle persone per il solo motivo della razza era da considerare un assurdo, una bestialità. Nel periodo precedente la sua conversione religiosa, si inserì tra i socialisti proprio per difendere il valore di ogni persona, specie in un periodo di scontri sociali. In tal senso fu inizialmente vicino al pensiero di Filippo Turati.

Esiste poi un altro aspetto poco evidenziato. Nel 1909 fondò la «Rivista di filosofia neoscolastica» e nel 1914 la rivista «Vita e Pensiero». Con tali pubblicazioni sostenne un ritorno a posizioni gnoseologiche ed epistemologiche tomiste. Divenne in tal modo uno dei principali esponenti del neotomismo italiano, noto anche come neoscolastica. Tale linea si contrappose alle dominanti dottrine filosofiche di stampo idealista. La neoscolastica fu elaborata soprattutto per contrastare la «Weltanschauung» positivista e materialista. Padre Gemelli, infatti, non poteva accogliere un materialismo che privava la persona di una propria dignità originaria e di un fine ultraterreno. In tal senso egli si oppose a qualsiasi approccio meccanicistico all’uomo, e tornò a ri-sottolineare il valore di ogni essere umano (a prescindere dalla religione professata).

Quando venne fondata la Cattolica, Padre Gemelli interagì senza problemi con diversi interlocutori, e invitò ai «Venerdì della Cattolica» anche relatori figli di Ebrei (Musatti).

L’acuirsi delle persecuzioni antiebraiche vide Padre Gemelli, pur segnato nel fisico dalle conseguenze di infortuni, in posizioni distanti da quelle del regime. Non approvò le normative esistenti, le violenze in corso, sostenne canali resistenziali (Franceschini, Padre Carlo da Milano e altri), intervenne presso la Santa Sede per avere notizie dei suoi allievi internati. Nel maggio del 1957 venne istituito presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano un posto convenzionato di professore di ruolo per l’insegnamento di ebraico e lingue semitiche comparate. Padre Gemelli morì nell’ospedale «San Giuseppe» dei Fatebenefratelli: 15 luglio 1959, ore 9,23. Non poté vedere l’inaugurazione (5 novembre 1961) della facoltà di Medicina a Roma (i cui laureati dovevano essere capaci di aiutare ogni sofferente).


Dopo la Shoah. Il caso del comandante SS di Milano

Theodor Emil Saevecke

Il comandante SS di Milano, Theodor Emil Saevecke

All’inizio di questo saggio è stata ricordata la figura del comandante SS Theodor Emil Saevecke. Per motivi non chiari, mentre a Milano si discuteva se determinate figure (anche religiose) erano state antisemite e collaborazioniste dell’ex regime, si faceva però stranamente silenzio proprio su colui che a Milano e nell’area lombarda era stato uno dei più feroci persecutori di Ebrei. È corretto, quindi, riferire alcuni dati.

In patria non subì mai alcun processo. In Italia, e questo può sorprendere, questo ufficiale nazista – acceso antisemita e responsabile di deportazioni e di stragi – fu processato (in contumacia) solo negli anni Novanta. Il tribunale militare di Torino lo riconobbe colpevole di «violenza con omicidio in danno di cittadini italiani». Il 9 giugno 1999 fu emessa una sentenza che lo condannava all’ergastolo. La corte escluse, con una motivazione particolare e specifica, l’applicabilità in favore dell’imputato delle cause di giustificazione tanto della «rappresaglia» quanto della «sanzione collettiva». Avvenne però un fatto. Il Governo Federale Tedesco respinse la richiesta di estradizione. In tal modo, l’ex ufficiale nazista, rimase libero fino alla morte.

Ma come si arrivò a istruire il processo solo negli anni Novanta? Tale evento fu possibile perché per decenni vennero occultati documenti chiave. L’individuazione di questi atti avvenne perché il procuratore militare Antonino Intelisano, durante il processo all’ex nazista Erich Priebke (1994), fece svolgere delle ricerche anche in una stanza di Palazzo Cesi. In tale occasione venne individuato un armadio con lo sportello rivolto verso il muro. Vi erano celati 695 fascicoli riguardanti le stragi nazifasciste avvenute in Italia. Tali procedimenti non avevano avuto un seguito. In tale occasione si ritrovarono anche i faldoni relativi ai crimini di Saevecke.

Le indagini, a questo punto si estesero. Grazie al Freedom of Information Act fu possibile consultare documenti declassificati dal Dipartimento di Stato USA, dall’«Office of Strategic Services» (OSS) e dalla CIA. Si riscontrò che Saevecke fu reclutato dai servizi USA a fine conflitto. Nome in codice: «Cabanio». A motivo di tale ruolo, le indagini relative al suo caso, istruite già alla fine della guerra dallo «Special Investigation Branch», furono accantonate. Tale decisione venne adottata malgrado le foto degli eccidi, le oltre 40 testimonianze, e la confessione di Saevecke ai militari americani d’occupazione (stragi di Piazzale Loreto e di Corbetta).

Saevecke venne poi inserito tra gli effettivi della Polizia della Germania Ovest. Fece carriera senza problemi. Divenne vicedirettore dei servizi di sicurezza del Ministero degli Interni. Nelle ore notturne del 27 ottobre 1962 si verificò un episodio. L’ex ufficiale delle SS guidò un’irruzione (non legale, con intenti intimidatori) ai danni dei redattori di «Der Spiegel» (Bonn e Amburgo). Ci furono reazioni contro Saevecke. Gli inquirenti formularono accuse anche riguardo alla sua partecipazione a crimini di guerra in due Paesi (Tunisia e Italia).

A questo punto, le autorità tedesche dovettero chiedere informative a interlocutori italiani sull’operato di Saevecke durante la guerra. Dalle indagini espletate da un giudice milanese (Guido Salvini) risultò un fatto. Nel 1963, a motivo della richiesta tedesca, la Procura generale militare e il Gabinetto del Ministero della Difesa si scambiarono il fascicolo dell’ufficiale nazista per un non breve periodo di tempo. E non lo trasmisero a Bonn. Il 20 maggio 1963 l’incartamento fu archiviato. In tal modo, l’ex comandante delle SS di Milano poté proseguire il suo lavoro in Polizia fino alla pensione (1971). Morì (2004) nella sua casa a Bad Rothnfelde (Bassa Sassonia). Aveva 93 anni.


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L. Realini, Milano, fronte interno 1941-1943 Ebrei, antifascisti, clero e militari nelle segnalazioni dell’Uoc, in: «Italia Contemporanea», fascicolo 258, 2010, pagine 108-125

Redazione, A lezione di ebraico. L’amicizia tra Alessandro Elishà da Fano e Achille Ratti, in: «L’Osservatore Romano», 9-10 dicembre 2013

G. Romanato, Gemelli e Pio XI: due progetti coincidenti, in: Autori Vari, «Agostino Gemelli e il suo tempo», Vita e Pensiero, Milano 2010 (atti convegno 2009; inseriti nel VI volume della «Storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore», a cura di M. Bocci)

G. Rumi, Dalle carte di Armida Barelli l’«immensa opera» di una donna ambrosiana, in: G. Rumi, Milano Cattolica nell’Italia Unita, NED, Milano 1983, pagine 209-238

M. Tenconi, La guerra silenziosa per salvare gli Ebrei, in: «Storia in Network» (on line), numero 89, marzo 2004

P. Trionfini, L’«antifascismo cattolico» di Gioacchino Malavasi, Edizioni Lavoro, Roma 2004

G. Vecchio, Lombardia, 1940-1945. Vescovi, preti e società alla prova della guerra, Morcelliana, Brescia 2005

P. Zerbi, Il beato Cardinale Ildefonso Schuster e l’Università Cattolica, in: «Vita e Pensiero», marzo 1996.


Alcuni archivi

(con documenti che riguardano anche Milano e la Cattolica, periodo bellico)

– Archivio Provinciale Cappuccini Lombardi (Milano)

– Archivio Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Milano)

– Archivio Storico della Resistenza Bresciana e dell’Età Contemporanea (Brescia)

– Archivio Centrale dello Stato (Roma).


Libri in PDF

https://www.comune.cinisello-balsamo.mi.it/pietre/IMG/pdf/Hitler_a_Milano_I_crimini_di_Theodor_Saevecke-2.pdf


Pietre d’inciampo a Milano

http://www.pietredinciampo.eu/milano/


Ringraziamenti

Professoressa Maria Bocci, Ordinario di Storia contemporanea presso la facoltà di Scienze della formazione dell’UCSC (Milano). Dottor Maurizio Romano, Archivio Storico Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Dottoressa Velania La Mendola, Responsabile Comunicazione e Ufficio Stampa della Casa Editrice «Vita e Pensiero» (Milano). Avvocato Andrea Patanè, Direttore del Collegio «Augustinianum» (Milano). Frate Costanzo Cargnoni, Responsabile Archivio Provinciale Cappuccini Lombardi, Biblioteca Francescano-Cappuccina provinciale (Milano). Monsignor Bruno Maria Bosatra, Responsabile Archivio Storico dell’Arcidiocesi di Milano. Dottor Daniele Clarizia, Presidenza Associazione «Agostini Semper» (Milano). Dottor Stefano Bodini, Storico, Biblioteca Padri Barnabiti (Milano). Dottoressa Laura Brazzo, Responsabile Archivio Fondazione Centro Documentazione Ebraica Contemporanea (Milano). Dottoressa Elena Stefanelli, Fondazione Ezio Franceschini onlus-Archivio Gianfranco Contini (Firenze). Dottor Nicola Gadaleta, Dipartimento di Storia, Università della Repubblica di San Marino (Città di San Marino). Professor Paolo Trionfini, Direttore dell’Istituto per la Storia dell’Azione Cattolica e del Movimento Cattolico in Italia Paolo VI (Roma). Dottoressa Simona Ferranti, dell’ISACEM (Roma).

(novembre 2020)

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