Mussolini e la Chiesa
Breve sintesi del rapporto tra Fascismo e Chiesa Cattolica: dalle origini alla Repubblica di Salò

Il rapporto tra Mussolini e la Chiesa Cattolica durante il Ventennio fu costellato da frequenti ambiguità che andavano da una stretta collaborazione ad aspri scontri. Ciò fu dovuto al pensiero del Duce che, se da un lato, considerando la religione come prezioso «instrument regni», riteneva politicamente utile tessere buoni rapporti con chi rappresentava la fede professata dalla maggioranza degli Italiani, dall’altro, la sua intenzione di riformare la società plasmando l’«Uomo Nuovo» finiva per cozzare irrimediabilmente con diversi aspetti della dottrina cattolica (basta pensare al culto della guerra).

Anche l’atteggiamento della Chiesa verso il Fascismo fu ambivalente. Nei primi anni del movimento di Mussolini vi fu una dura condanna di quest’ultimo da parte della Chiesa poiché le azioni squadriste finivano spesso per coinvolgere anche ambienti cattolici: il Vescovo di Treviso, Andrea Giacinto Lopin, scrisse alla Segreteria di Stato per segnalare episodi di parroci percossi e oltraggiati da fascisti, e anche il Vescovo di Tortona, Simone Pietro Grassi, riferì di sacerdoti «lordati di olio di ricino», mentre ad Argenta, in provincia di Ferrara, verrà ucciso Don Giovanni Minzoni. Il 19 agosto 1922, il giornale «La Civiltà Cattolica» ribadì in un articolo che «i Cattolici non potevano approvare e sostenere il Fascismo» perché era un movimento «in opposizione ai più elementari principi del Cristianesimo» e che erigeva «a sistema la violenza e la ribellione, le esalta e se ne pompeggia». All’indomani della Marcia su Roma, le proteste contro le violenze fasciste verranno però bilanciate da precisazioni volte a spezzare il nesso tra quest’ultime e Mussolini, che già stava accordando alla Chiesa ampi privilegi in campo scolastico, finanziario e nel controllo della moralità. Il mutamento di rotta arrivò al punto che – dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti – «La Civiltà Cattolica» pubblicò degli articoli in cui affermava il dovere di obbedire al Governo in carica.[1]

Per cercare di compiacere il Vaticano, Mussolini iniziò infatti a introdurre una serie di normative favorevoli al Cattolicesimo (inserimento dell’insegnamento religioso nelle scuole, aumento delle congrue di preti e Vescovi, proibizione delle bestemmie…), ma accanto alla «carota», il capo del Fascismo non smise mai di lesinare anche il «bastone» per vincere la resistenza dei Cattolici antifascisti: a esempio, nel periodo della votazione della Legge Acerbo, Mussolini minacciò di fare occupare tutte le parrocchie di Roma, se il Partito Popolare non avesse sostenuto la nuova legge elettorale.

L’atteggiamento del Duce rimase immutato anche quando quest’ultimo riuscì, a metà degli anni Venti, a instaurare la sua dittatura: se da un lato Mussolini avviò delle trattative con la Santa Sede per risolvere la Questione Romana e «regolarizzerà» il rapporto con sua moglie Rachele per rafforzare l’immagine di una sostanziale intesa con la Chiesa; dall’altro, nel tentativo di monopolizzare la formazione della gioventù, si registrò in quegli anni una recrudescenza degli atti di violenza compiuti dai fascisti contro preti, militanti, insegnanti e associazioni cattoliche, soprattutto nelle provincie in cui più forte era stata la presenza del popolarismo.[2] Di fronte a questi atti la Santa Sede, pur deplorando la violenza contro persone e istituzioni cattoliche, elogiò tuttavia i governanti fascisti per i doni recati alla Chiesa e per l’ossequio pubblico manifestato verso la religione cattolica; finendo così per accreditare il mito di un Duce «buono» e dei suoi sottoposti «cattivi» che, per odio anticlericale, disobbedivano agli ordini del loro capo per impedire la riconciliazione tra Stato e Chiesa.[3]

La stipula dei Patti Lateranensi l’11 febbraio 1929, che accordavano dei grandi privilegi alla Chiesa[4], venne accolta con grande gioia dal Papa che, commentando l’accordo di fronte agli studenti e ai professori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore due giorni dopo, ebbe a dichiarare che questo aveva «ridato Dio all’Italia e l’Italia a Dio», e ciò era stato anche per merito di Mussolini («Forse ci voleva un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare»). Eppure Mussolini non smise mai nel suo tentativo di sottomettere la Chiesa, e non ebbe premura di nascondere le sue intenzioni al punto da dichiarare di fronte alla Camera, il 13 maggio 1929, che «nello Stato la Chiesa non è sovrana e nemmeno libera».

Effettivamente, negli anni successivi sarebbero continuati gli assalti squadristi alle sedi cattoliche, vennero sequestrati molti giornali cattolici, mentre la stampa fascista inizierà una violenta campagna contro l’Azione Cattolica accusata di antifascismo. Questa prospettiva indispettì molto Pio XI al punto che, come registrava il 18 giugno 1931 il Cardinale Baudrillart, annotando i commenti di Padre Agostino Gemelli, «il Pontefice… paragona Mussolini al diavolo. Che fine ha fatto l’uomo della Provvidenza?»[5]. Lo scontro riguardante l’Azione Cattolica nel 1931 fu talmente aspro che si rischiò la rottura dei rapporti diplomatici tra la Santa Sede e lo Stato Italiano. Sebbene questo non sia accaduto, la risposta del Papa alle violenze fasciste fu molto dura, e si riversò nell’enciclica Non abbiamo bisogno che, oltre alle violenze squadriste, denunciava anche le pretese totalitarie dello Stato Fascista: «Non è per un Cattolico conciliabile con la cattolica dottrina pretendere che la Chiesa, il Papa devono limitarsi alle pratiche esterne di Religione (Messa e Sacramenti) e che il resto della educazione appartiene totalmente allo Stato». Nella stessa enciclica tuttavia, il Pontefice lasciò trapelare anche una possibilità di dialogo: «Noi non abbiamo voluto condannare il partito e il regime come tale. Abbiamo inteso segnalare e condannare quello che nel programma e nell’azione di essi abbiamo veduto e constatato contrario alla dottrina e alla pratica cattolica». Il 2 settembre 1931 si giunse infatti a un accordo tra le due parti che permetterà l’esistenza dell’Azione Cattolica a patto che i dirigenti, scelti dai Vescovi, non facessero parte di partiti avversi al regime e si dedicassero esclusivamente a compiti spirituali e religiosi.

Negli anni successivi i rapporti tra il regime fascista e la Chiesa Cattolica si manterranno buoni, fino alla nuova crisi avvenuta nel 1938 dovuta sia all’avvicinamento dell’Italia alla Germania Nazista, sia alla volontà del Duce di accentuare i caratteri totalitari della dittatura. In quell’anno infatti si registrò un duro confronto tra il Pontefice e Mussolini a causa dell’introduzione di una legislazione razziale antisemita, e una nuova offensiva condotta dal Fascismo contro l’Azione Cattolica. Nella sua allocuzione del 24 dicembre 1938 Pio XI avrebbe infatti denunciato le «molteplici vessazioni – non diciamo proprio generali – ma certo molto numerose e in luoghi parecchi, contro l’Azione Cattolica… Ieri Ci si segnalavano Venezia, Torino e Bergamo; oggi è Milano e proprio nella persona del suo Cardinale Arcivescovo, reo di un discorso e di un insegnamento, che rientra esattamente nei suoi doveri pastorali, e che Noi non possiamo che approvare».[6]

La morte di Pio XI, intenzionato a denunciare a viva voce il razzismo e la «deificazione» dello Stato, e la salita al Soglio Pontificio di Eugenio Pacelli parve ristabilire i buoni rapporti tra Chiesa e Fascismo. Nonostante Pio XII fosse giudicato più cauto e diplomatico rispetto al suo predecessore, anche con Pacelli iniziarono a trapelare dei contrasti con il regime dovuti, in particolare, al fatto che Mussolini era intenzionato a fare entrare l’Italia nel Secondo Conflitto Mondiale, a fianco della Germania di Hitler. Lo attesta bene la controversia riguardante i telegrammi di solidarietà che Pio XII espresse ai Sovrani di Belgio, Olanda e Lussemburgo dopo che i loro Paesi, nonostante la loro neutralità, furono invasi dall’esercito tedesco: considerando quest’atto un segno di condanna contro la politica del suo alleato, Mussolini inviò le sue proteste al Papa tramite il suo Ambasciatore, e si registrarono anche violenze fasciste contro edicolanti e lettori del giornale ufficiale della Santa Sede, «L’Osservatore Romano», che aveva pubblicato i telegrammi di solidarietà del Pontefice.

Quando l’Italia, nonostante la contrarietà della Santa Sede, entrò nel conflitto la Chiesa Italiana – come anche le altre Chiese Nazionali appartenenti sia al campo dell’Asse che a quello degli Alleati – scelse di sostenere lo sforzo bellico del proprio Paese con inviti alla disciplina e al dovere di obbedienza all’autorità costituita e alla patria. Non mancheranno, tuttavia, anche interventi censori da parte del Governo e dei prefetti contro la stampa cattolica, specialmente dopo le prime disfatte, colpevole secondo i fascisti di disfattismo a causa dei ripetuti inviti a pregare per la pace e per la sua visione della guerra come castigo divino.[7]

Nel corso del conflitto si assistette a un progressivo deterioramento del rapporto tra il regime fascista e il Vaticano. Se Mussolini inizierà ad accusare la Santa Sede di diventare «il centro di tutti gli oppositori del Fascismo»,[8] la Santa Sede, per contro, si muoverà sottobanco per cercare di promuovere delle trattative tra diplomatici alleati ed esponenti italiani per favorire l’uscita dell’Italia dalla guerra: nel 1942 Giovanni Battista Montini (futuro Paolo VI), con il permesso del Papa, fungerà da intermediario tra la principessa Maria José di Savoia e l’inviato di Roosevelt presso Pio XII, Myron Taylor, per dei negoziati che prevedevano un cambio di Governo e l’uscita del Paese dal conflitto.[9]

A peggiorare ulteriormente i rapporti tra la Santa Sede e il Fascismo sarà la nascita della Repubblica Sociale Italiana. Nonostante la Repubblica di Salò cercasse di ottenere la benevolenza della Chiesa ribadendo che «la Religione Cattolica Apostolica Romana è la sola religione della Repubblica Sociale Italiana», la maggior parte del clero accolse sfavorevolmente il ritorno di Mussolini a causa di vari fattori: l’ostilità verso l’ideologia nazista, l’intuizione di una ormai probabile vittoria alleata, e il sentimento di stanchezza per la guerra voluta dal Fascismo. Alcuni atti rimarcheranno la distanza della Santa Sede rispetto alla Repubblica Sociale Italiana (basta pensare al riconoscimento del Governo Badoglio, negato alla Repubblica di Mussolini) e, per combattere la malcelata ostilità vaticana, i fascisti agiteranno lo spettro di uno scisma nazionale sostenendo l’opera di Don Tullio Calcagno, sacerdote sospeso «a divinis» e successivamente scomunicato, che giungerà a proporre l’istituzione di un primate italiano distinto dal Papa.[10]

Nonostante la lotta partigiana abbia riguardato solo una minoranza di Cattolici, durante la Resistenza numerose strutture ecclesiastiche forniranno asilo e protezione a molti partigiani e antifascisti, e il clero rappresentò una delle categorie professionali più colpite dalle rappresaglie nazifasciste: tra i 10.000 Italiani uccisi tra il ’43 e il ’45, sono presenti anche circa 200 sacerdoti.[11]

In definitiva, quello tra il Fascismo e la Chiesa Cattolica fu un rapporto opportunista e calcolatore che vide accordi e collaborazioni ma che, a lungo andare, si sarebbe concluso con lo scontro tra i due poiché entrambi rappresentavano una «fede» antitetica all’altra.


Note

1 Confronta Lucia Ceci, La fede armata, Il Mulino, Bologna 2000, pagine 38-42.

2 Confronta Lucia Ceci, L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini, Editori Laterza, Bari 2013, pagine 11-118.

3 Confronta Emilio Gentile, Contro Cesare. Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi, Feltrinelli, Milano 2010, pagina 173.

4 Confronta Emilio Gentile, Contro Cesare. Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi, Feltrinelli, Milano 2010, pagina 173.

5 Citato in Contro Cesare, pagina 219.

6 Il riferimento è al discorso pronunciato dal Cardinale Schuster il 13 dicembre 1938 che condannava in modo inequivocabile il razzismo.

7 Confronta L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini, pagine 284 e 288.

8 Confronta Denis Mack Smit, Mussolini, Fabbri Editori, Milano 1997, pagina 464.

9 Confronta Silvio Bertoldi, Umberto e Maria José di Savoia, Fabbri Editori, Milano 1999, pagine 123-129.

10 Confronta Silvio Bertoldi, Salò, Rizzoli, Milano 1978, pagine 344-362.

11 L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini, pagine 311-312.

(marzo 2023)

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