Madonnina del Grappa
La grande Opera di un Cappellano militare in odore di santità: Don Giulio Facibeni

Le celebrazioni dell’unità italiana che trovano spazi tuttora frequenti nella storiografia e nella memorialistica, anche a prescindere dalle ricorrenze più significative, sarebbero più complete qualora venissero arricchite da un’attenta riflessione sulla «Quarta» Guerra d’Indipendenza, interpretata come tale da diversi storici di riferimento prioritario, come Gilles Pécout e lo stesso Benedetto Croce: in effetti, la Vittoria del novembre 1918, che parve conferire al giovane Stato Nazionale una completezza unitaria per cui erano caduti tanti patrioti e tanti combattenti, fu momento particolarmente alto nella storia d’Italia, tanto da far paragonare il «sole» di Vittorio Veneto a quello di Austerlitz.

In questo spirito, è cosa buona e giusta richiamare alla memoria comune la sostanziale conciliazione con la Chiesa che, anticipando quella del successivo Concordato (1929), aveva visto il movimento cattolico entrare nel Governo di solidarietà nazionale presieduto da Paolo Boselli a far tempo dal giugno 1916, quasi a sottolineare l’esigenza di un fronte davvero comune durante l’emergenza bellica. Erano passati 46 anni da Porta Pia, ma per qualche aspetto sembravano secoli. Il richiamo all’antica «pietas» e al vivo sentimento religioso del popolo italiano avrebbe avuto un ruolo importante, in specie dopo Caporetto, ai fini di una rapida e condivisa riscossa.

In tale opera si distinsero i tanti Cappellani militari chiamati a portare in prima linea il conforto della fede e della speranza. Tra di loro, basti ricordare Don Giulio Facibeni (nomen omen!), di cui è in corso la canonizzazione: il piccolo e umile Servo di Dio che fu sul Monte Grappa nei mesi terribili in cui sarebbe diventato la patria di tutti gli Italiani, e da cui, come sul Piave, la Vittoria avrebbe «sciolto le ali al vento». Don Facibeni fu testimone del bombardamento austriaco che avrebbe colpito l’immagine della Madonnina ospitata nel sacello che già allora insisteva sulla montagna, distruggendone un fianco assieme a parte del Bambino. Era la statua collocata sulla vetta sin dal 1901 a cura del Patriarca di Venezia, Cardinale Sarto, che due anni dopo sarebbe salito al soglio pontificio diventando Papa Pio X.

Don Giulio (1884-1958) rimase vivamente colpito e turbato da questo episodio, e naturalmente, dall’agghiacciante vicenda di dolore e di sangue sviluppatasi fino all’ottobre 1918 sulle impervie giogaie del Grappa: ne trasse un’impressione indelebile, cui fu legato il voto di onorare la memoria di tutti i Caduti con una grande Opera destinata soprattutto agli orfani, da realizzare a guerra finita. Il disegno si sarebbe realizzato presto e avrebbe proliferato con singolare rapidità: a Firenze, già dal 1924 avrebbe avuto vita l’Opera della Divina Provvidenza «Madonnina del Grappa» che si fregia del motto emblematico «Credidimus Charitati» e che oggi vanta un elevato numero di Istituzioni benefiche (Case di accoglienza, di assistenza, di riposo, e altre iniziative consimili). In proposito, è il caso di ricordare che l’Opera fondata da Don Giulio pubblica un mensile d’informazione intitolato emblematicamente «Il Focolare» nel richiamo all’omonimo movimento fondato da Chiara Lubich.

Don Giulio con due orfanelli

Don Giulio con due orfanelli dell’Opera (Italia)

Nel frattempo, sul Grappa il vecchio sacello era stato destinato a ospitare la statua della Madonna e del Bambino opportunamente restaurati, ma in modo da lasciare in evidenza le ferite della guerra; e a presiedere il grande Monumento Ossario che accoglie le Spoglie di circa 23.000 Caduti. Le cronache ricordano che nel 1921 la Madonnina del Grappa percorse l’Italia a bordo di un treno speciale, raccogliendo un grande omaggio di fede e di fiori, in tutto simile a quello che di lì a pochi mesi avrebbe caratterizzato il viaggio del Milite Ignoto da Aquileia a Roma.

Sacrario militare, Monte Grappa

Sacrario militare del Monte Grappa (Italia)

Il vincolo ideale che univa il Veneto alla Toscana nel nome del Grappa non sarebbe rimasto senza frutti, ma si sarebbe esteso anche al Mezzogiorno, diventando – non solo simbolicamente – un’ulteriore testimonianza di unità, in primo luogo spirituale e morale.

Infatti, nel 1938 Cesare Vergine, Podestà di Tuglie, città salentina di nobili origini e tradizioni, e anch’egli reduce dal Grappa, volle onorare la memoria dei Caduti programmando la costruzione di un sacello assai simile a quello della montagna cara alla Patria, con una statua della Madonnina altrettanto simile, realizzata da un artista alto-atesino di Ortisei, quasi a suggellare lo spirito unitario dell’iniziativa che ebbe completamento con la realizzazione del contiguo Parco della Rimembranza e di un’ampia zona destinata a verde pubblico, in luogo delle vecchie petraie.

I Caduti del Grappa e della «Quarta» Guerra d’Indipendenza non avrebbero potuto avere onoranze più significative, accomunando tre regioni del Settentrione, del Centro e del Sud in un solo abbraccio, che è tanto più importante ricordare quando i venti di un gretto municipalismo hanno ripreso a spirare sulle ali di aride valutazioni economiche assai lontane da quelle dell’«ethos». Il Monte Grappa, traducendosi in realtà concrete destinate alla fruizione popolare come quella di Tuglie, e soprattutto in grandi iniziative benemerite come quelle fiorentine, ha sublimato la tragedia della guerra in opere di cooperazione, di sviluppo e di progresso umano, consolidando il suo diritto a far parte del patrimonio spirituale italiano.

È un messaggio che vale la pena di sottolineare e di apprezzare nel momento in cui il confronto politico sembra ridursi a spettacolo di bassa lega, specchio di concessioni sempre più diffuse a un individualismo sostanzialmente pessimista, o peggio, a una concezione materialistica della vita. Comunque, nulla è perduto, perché l’Italia è tuttora giovane, e ricca di alti valori cristiani e civili da cui il buon seme, opportunamente coltivato, potrà trarre linfa per una nuova fioritura.

(luglio 2019)

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