I gerarchi del fascismo
Un gruppo di uomini intraprendenti su alcune questioni ma che sentivano un notevole senso di inferiorità verso il Duce

I regimi totalitari del Novecento si caratterizzarono per la presenza di leader autorevoli e trascinatori circondati generalmente da uomini di scarsa personalità, scelti più per il loro spirito di subordinazione che per le loro capacità. Anche il fascismo italiano non fece eccezione, su questo tema, interessante quanto scritto da Giuseppe Bottai in Venti anni e un giorno sugli aspetti più grotteschi del regime. Se gli uomini che attorniavano il Duce si guardavano bene dal contrariarlo, sia sotto il lato politico che dei rapporti personali, va comunque detto che molti dei gerarchi si caratterizzarono per un certo grado di intraprendenza durante la Grande Guerra, un certo spirito idealista o almeno un senso di disprezzo per la politica di basso livello.

Da questa breve esposizione emerge quanto messo in luce da altri studi in tempi recenti, la presenza di due anime del fascismo mai integratesi tra loro, quella movimentista, intransigente e talvolta violenta e quella dei restauratori dell’ordine, cioè di quegli uomini che ritenevano che una volta respinto il bolscevismo (fenomeno consistente nel cosiddetto Biennio Rosso) fosse necessario se non un ritorno allo stato liberale una certa continuità con esso. Non dimentichiamo che il fascismo nacque dalla sinistra interventista, i cui esponenti si riconoscevano maggiormente nella prima delle due correnti e dagli uomini della destra confluiti progressivamente nel movimento mussoliniano che mantenevano innato un certo rispetto della legalità.

I gerarchi fascisti non costituivano un gruppo omogeneo, in diversi casi erano divisi fra di loro per ragioni politiche o per motivi carrieristici. Alcuni particolari comunque accomunavano molti dei gerarchi, gli studi giuridici e l’attività giornalistica intrapresa anche su testate non particolarmente importanti, la loro origine da città di piccole dimensioni maggiormente del Nord, furono inoltre quasi tutti militanti politici già in giovane età e fascisti della prima ora. Diverse invece le classi sociali di provenienza, questione che influì sulle loro scelte politiche. In questa breve trattazione non ci soffermiamo su tutti gli aspetti biografici ma cerchiamo di mettere in luce le caratteristiche politiche dei vari esponenti.

Cesare De Vecchi, monarchico, rappresentò la corrente non estremista del fascismo anche se il personaggio si caratterizzò per eccesso di protagonismo e temperamento instabile, fu un affermato avvocato, nel 1922 fu promotore di un governo Salandra-Mussolini, negli anni successivi venne allontanato da incarichi di rilievo per problemi caratteriali e in particolare per contrasti con il Duce.

Edmondo Rossoni, proveniente da una famiglia proletaria, fu sindacalista rivoluzionario e anche negli anni del regime fu fautore di un ruolo di rilievo del sindacato nella politica italiana all’interno del quale svolgeva un importante ruolo, per tale ragione venne visto come un personaggio eccessivamente ambizioso dagli altri gerarchi.

Volpi di Misurata, figlio di un ingegnere garibaldino, fu uno dei più capaci esponenti dell’imprenditoria italiana di quegli anni. Dopo il settembre ’43, avendo espresso sfiducia nell’andamento della guerra, fu arrestato per un breve periodo dalle SS.

Luigi Federzoni, brillante giornalista, fu tra i fondatori dell’Associazione Nazionalista nel 1910, movimento anomalo nel campo della destra in quanto contrario all’economia di libero mercato. Fu favorevole alla fusione coi fascisti ai quali riconobbe di aver posto un freno «all’assalto bolscevico», ma contrario alla continuazione dell’azione squadrista quando tale pericolo venne meno. Federzoni si impegnò nelle trattative che diedero vita ai Patti Lateranensi, fu contrario alle leggi razziali e all’entrata in guerra dell’Italia. Nel dopoguerra continuò l’attività culturale e in parte quella politica coi monarchici.

Vittorio Cini, imprenditore legato a Volpi di Misurata, non ebbe incarichi di rilievo, viene però ricordato come personaggio particolare, espresse sfiducia nell’andamento della guerra, venne per questo arrestato. Liberato, collaborò col Comitato di Liberaziona Nazionale.

Alfredo Rocco, dirigente nazionalista, fu uno dei maggiori giuristi italiani di quegli anni, favorevole a uno stato accentratore, ma nei codici legislativi di cui fu autore si ispirò a moderni principi liberali.

Giovanni Gentile, non fu un gerarca ma un importante filosofo, lo ricordiamo qui per la sua attività culturale, non disdegnava il liberalismo, era considerato un moderato ma nelle sue opere si avvicinava al pensiero socialista riguardo al ridimensionamento dell’autonomia del cittadino e alla presenza di un potente e invadente Stato dai connotati etici.

Giuseppe Bottai, fu contemporaneamente uomo d’azione e il principale intellettuale fra le alte sfere. Sostenne con scarso successo l’idea di una organizzazione corporativa non legata al partito e indipendente dalle direttive dall’alto. Fu un personaggio atipico in quanto si avvalse nelle riviste da lui fondate di grandi uomini di cultura anche antifascisti e fu lontano dagli atteggiamenti fideistici di molti militanti di partito. Dopo la caduta del fascismo, fatto decisamente singolare, entrò nella Legione Straniera per combattere i tedeschi.

Italo Balbo, di famiglia borghese ma rimasto orfano da bambino, fu inizialmente vicino al partito repubblicano, capo squadrista, da subito venne considerato un personaggio autonomo e scomodo, in aperto contrasto con Farinacci. Le sue trasvolate atlantiche riportarono un eccezionale successo, tale forse da dare fastidio a Mussolini. È stato uno dei pochi a esprimere apertamente la sua contrarietà all’alleanza con la Germania e all’entrata in guerra dell’Italia. Morì in volo abbattuto dalla contraerea italiana, fatto che fece sospettare un assassinio deciso dai vertici politici.

Galeazzo Ciano, figlio dell’illustre ammiraglio Costanzo Ciano, fu il promotore del Patto d’Acciaio ma poco dopo espresse le sue notevoli riserve sugli alleati tedeschi, nel 1942 manifestò la sua opinione che la guerra fosse perduta, per tale ragione venne allontanato dal ministero che dirigeva. I suoi diari costituiscono una fonte storica di notevole rilevanza e mettono in luce alcune debolezze del Duce e del regime.

Emilio De Bono, figlio di un ufficiale dell’esercito, fu anch’egli militare. Per tale suo ruolo ebbe modo di fare carriera all’interno del nascente regime nonostante non fosse uno dei fascisti più convinti. A causa del delitto Matteotti dovette dimettersi dall’incarico di capo della polizia sebbene non avesse responsabilità. Partecipò con un ruolo importante nella conquista dell’Etiopia, ma per divergenze con Mussolini sulla gestione dell’impresa venne rimosso. Nel ’40 fu contrario all’entrata in guerra a fianco della Germania, non aderì alla Repubblica Sociale e venne fucilato insieme agli altri firmatari della mozione di sfiducia a Mussolini del 25 luglio 1943.

Diversamente dai partiti comunisti, il partito nazional-fascista non aveva poteri, Giovanni Gentile propose addirittura di abolirlo, i suoi segretari nazionali furono in maggioranza esponenti di scarso rilievo, lo stesso Mussolini non rivestì mai tale incarico. Segretari e membri di direttivi in assenza di essi furono numerosi, uno studio comunque sugli stessi può essere interessante per analizzare le diverse tipologie dei militanti di quel movimento.

Miche Bianchi, (segretario 1921-1923) nato in un piccolo centro della Calabria, fu redattore dell’«Avanti» e sindacalista rivoluzionario, conobbe diversi arresti per tale attività. Partecipò alla prima riunione fascista di Piazza San Sepolcro, negli stessi anni prese parte direttamente a diversi scontri con gli avversari politici. Come per molti altri leader dell’estrema sinistra, la scelta a favore dell’interventismo favorì il suo spostamento a destra sia pure in maniera anomala, nel ’22 si oppose duramente alla formazione di un governo Mussolini con conservatori e liberali. Per tale ragione venne allontanato da importanti incarichi, morì nel 1929 a soli 48 anni.

Nicola Sansanelli, (segretario 1923) figlio di un notaio della Basilicata, fu un moderato di sentimenti monarchici, la sua attività di segretario non fu caratterizzata da fatti notevoli, negli anni Trenta venne rimosso da incarichi politici e divenne dirigente d’alto livello di diverse società commerciali. Nel dopoguerra fu un sostenitore del leader monarchico Achille Lauro.

Francesco Giunta, (segretario 1923-1924) fu legionario fiumano e un dirigente dell’Associazione Nazionale Combattenti, la sua figura è legata all’episodio dell’incendio dell’Hotel Balkan del 1920 che a Trieste ospitava la sede di organizzazioni slave, l’episodio avvenne in seguito all’uccisione da parte di slavi di alcuni marinai italiani. Uomo d’azione come amava definirsi, nel 1932 lasciò la politica e la riprese più tardi per aderire alla Repubblica Sociale.

Roberto Forges Davanzati, (membro del collegio direttivo 1924) proveniente da una famiglia di notabili pugliesi, aderì comunque al socialismo e scrisse per l’«Avanti», verso i trent’anni si spostò su posizioni nazionaliste e successivamente fu sostenitore della fusione fra nazionalisti e fascisti. Morì nel ’36 all’età di 56 anni.

Cesare Rossi, (membro del collegio direttivo 1924) fu socialista e scrisse su diversi giornali di tale tendenza, fu sindacalista e interventista, un passo comune a molti di quelli che aderirono al fascismo della prima ora. Divenne uno dei diretti collaboratori di Mussolini e con Giovanni Marinelli uno degli organizzatori della cosiddetta Ceka fascista, l’organizzazione responsabile dell’uccisione di Giacomo Matteotti. Quando avvenne il delitto accusò lo stesso Mussolini e dovette fuggire all’estero per tale ragione. Nel secondo processo riguardante il crimine tenutosi dopo la guerra venne comunque assolto.

Giovanni Marinelli, (membro del collegio direttivo 1924) apparteneva a una famiglia della media borghesia agraria e fu socialista di tendenze sindacaliste rivoluzionarie, interventista fu tra i primi aderenti al movimento di Mussolini. Venne indagato per il sequestro di Matteotti in quanto membro della già nominata Ceka senza comunque subirne conseguenze. Sebbene non moderato, firmò la mozione del 25 luglio che doveva portarlo alla fucilazione eseguita dalle autorità della Repubblica Sociale.

Alessandro Melchiori, (membro del collegio direttivo 1924) figlio di un ufficiale dell’esercito, fu tra gli uomini che seguirono D’Annunzio a Fiume. Aderì alla Repubblica Sociale.

Pier Arrigo Barnaba, (membro del collegio direttivo 1924) di nobile famiglia, fu attivo in politica solo in alcuni periodi, amico di Italo Balbo, nel ’44 fu arrestato dai tedeschi con l’accusa di aver aiutato i partigiani. Nel dopoguerra militò nel partito monarchico e successivamente nel Movimento Sociale Italiano.

Amedeo Belloni, (membro del collegio direttivo 1924) giornalista e uomo d’azione, partecipò nel ’22 alla estromissione attraverso l’uso della forza del sindaco socialista di Novara, negli anni successivi si trovò duramente in contrasto con Farinacci.

Alfredo Cucco, (membro del collegio direttivo 1924) fu uno dei medici più stimati di quel periodo, nazionalista e anticomunista già nel Primo Dopoguerra, fu vicino alla destra moderata ma contrario alla politica clientelare praticata in Sicilia. La sua carriera politica venne stravolta e subì l’espulsione dal Partito Nazionale Fascista per l’accusa di collusione con la mafia sebbene scarsamente provata. Nel 1937 rientrò in politica, successivamente nonostante la sua collocazione non estremista aderì alla Repubblica Sociale e nel ’46 fu tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano.

Felice Felicioni, (membro del collegio direttivo 1924) avvocato, fu amico di Farinacci anche se non possedeva la sua esuberanza, si occupò di organizzazioni culturali promuovendone la loro fascistizzazione.

Italo Celestino Foschi, (membro del collegio direttivo 1924) figlio di un maestro elementare, fu interventista e nazionalista, partecipò a diversi scontri con avversari politici e nel corso della sua vita affrontò diversi duelli, ma fu soprattutto uno sportivo e un dirigente di tale settore. Aderì alla Repubblica Sociale.

Dino Grandi, (membro del collegio direttivo 1924) per un breve periodo sindacalista rivoluzionario e cattolico di sinistra, come molti dei fascisti fu acceso interventista, per un certo periodo sostenne la linea dura dei «ras» di provincia favorevoli alla continuazione dello scontro violento con gli estremisti di sinistra e subì un attentato da parte degli avversari politici, ma successivamente maturò posizioni moderate e come ambasciatore e ministro degli esteri si dimostrò favorevole a una politica di buone relazioni con l’Inghilterra. Per un certo periodo venne visto come un possibile candidato alla sostituzione del Duce anche per la sua vicinanza alla Casa Savoia. Fu il promotore insieme a Bottai dell’ordine del giorno di sfiducia verso Mussolini dopo l’invasione della Sicilia, iniziativa promossa probabilmente non per fini personali ma convinto che fosse necessario un passo indietro di fronte al disastro in cui stava precipitando il nostro paese. Negli anni del dopoguerra intraprese una brillante carriera economica in Brasile.

Giuseppe Caradonna, (membro del collegio direttivo 1924) nel 1912 fu volontario in Grecia impegnata in un conflitto con l’Impero Turco, interventista e presidente dell’Associazione Mutilati della sua città Cerignola, squadrista, nel 1926 Mussolini tentò di allontanarlo dalla politica attiva. Aderì alla Repubblica Sociale, il figlio fu parlamentare del Movimanto Sociale Italiano.

Maurizio Maraviglia, (membro del collegio direttivo 1924) sebbene proveniente da una ricca famiglia, fu esponente del partito socialista e sindacalista rivoluzionario, ma nel 1910 divenne uno dei fondatori dell’Associazione Nazionalista Italiana e all’interno della stessa assunse una posizione estremista, antibolscevica e antiliberale, implicato in una frode bancaria, vide per tale ragione la conclusione della sua vita politica.

Sergio Panunzio, (membro del collegio direttivo 1924) di famiglia alto borghese, fu comunque esponente del sindacalismo rivoluzionario, rappresentò uno degli intellettuali del fascismo, sostenitore di un ruolo notevole del sindacato che avrebbe dovuto dare vita a una Repubblica Sociale del Lavoro, fu come altri esponenti considerato un fautore della statolatria, la tendenza di fare dello Stato un organismo in cui l’individuo si annullasse, in una delle sue numerose opere scrisse: «Per certi aspetti il Fascismo è ultraconservatore: ad esempio, nella restaurazione dei valori famigliari, religiosi, autoritari, giuridici, attaccati e distrutti dalla cultura enciclopedica, illuministica, che si è trapiantata arbitrariamente, anche nell’ideologia del proletariato, vale a dire nel socialismo democratico, che è il più grande responsabile della corruzione contemporanea. Per altri aspetti, il Fascismo è innovatore, e a un punto tale che i conservatori ne sono spaventati, come per esempio per la sua orientazione verso lo “Stato sindacale”».

Giuseppe Frignani, (membro del collegio direttivo 1924) figlio di un agiato commerciante, affiancato dal banchiere Ettore Renzo Morigi e da Volpi di Misurata, sostenne la necessità di un controllo statale della finanza, si trovò in quanto moderato in contrasto con un altro esponente di rilievo della sua stessa città Ravenna, Ettore Muti. Non aderì alla Repubblica Sociale e ciò gli consentì di svolgere la sua attività nel settore bancario anche negli anni del dopoguerra.

Alessandro Melchiori, (segretario 1924-1925) figlio di un ufficiale, fu legionario fiumano, aderì alla Repubblica Sociale, dopo la fine della guerra fu internato a lungo in un campo di concentramento, successivamente come altri preferì espatriare.

Roberto Farinacci, (segretario 1925-1926) proveniente da una famiglia della piccola borghesia, iniziò la sua attività politica come socialista, aderì al sindacato estremista dell’USI, interventista, divenne uno dei principali capi dello squadrismo contrario al Patto di Pacificazione voluto da Mussolini nel 1921. A partire dal 1925 il suo carattere estremista e irruento (sosteneva insieme ad altri la necessità di una seconda ondata rivoluzionaria che eliminasse totalmente dallo stato il retaggio liberale) lo pose in diverse occasioni in contrasto con molti gerarchi e lo stesso Mussolini e nel corso degli anni il suo giornale subì diversi sequestri. Fu antisemita, filo tedesco e favorevole all’entrata in guerra, questione sulla quale diversi alti esponenti del regime avevano (anche se non espressi pubblicamente) dei dubbi. Aderì alla Repubblica Sociale, ma forse per il suo carattere eccessivamente riottoso non ebbe alcun incarico di rilievo.

Augusto Turati, (segretario 1926-1930) nato da una famiglia della sinistra moderata, fu sindacalista e successivamente squadrista ma non legato agli agrari, venne chiamato da Mussolini nel 1926 per porre fine all’estremismo all’interno del partito in conseguenza della passata gestione, condannò pubblicamente un certo grado di corruzione nel partito fascista e si mise in contrasto con altri alti dirigenti di partito, evento che lo condusse alla sua defenestrazione, conobbe l’arresto e venne allontanato dal partito successivamente al 1933.

Giovanni Battista Giuriati, (segretario 1930-1931) figlio di un deputato della sinistra moderata, fu nazionalista ed ebbe un ruolo di primo piano nell’avventura di Fiume, come segretario del partito diede vita a una consistente epurazione e a contrasti con l’Azione Cattolica che intendeva svolgere le sue attività sociali. Aderì alla Repubblica Sociale Italiana, ma senza incarichi.

Achille Starace, (segretario 1931-1939) proveniente da una famiglia borghese meridionale, dimostrò un carattere irruento già durante la giovinezza, nel 1928 fu inviato a Milano per rimettere ordine nella federazione. Il personaggio è legato soprattutto all’imposizione di stili di vita ritenuti più consoni al modo di essere fascista. Per tale ragione divenne oggetto di satira popolare e lo stesso Mussolini dovette intervenire varie volte per frenarne gli eccessi. Fu filo tedesco, razzista e antisemita. Fu il segretario di partito con maggiori anni di attività, ma per contrasti personali venne rimosso, criticò infine la gestione della guerra in Grecia. Aderì alla Repubblica Sociale Italiana ma appena tollerato da Mussolini e dagli altri gerarchi. Singolare la sua cattura da parte dei partigiani, mentre faceva jogging a Milano quando la violenza dilagava in città, prima della fucilazione subì pesanti umiliazioni pubbliche.

Ettore Muti, (segretario 1939-1940) fu decisamente un uomo d’azione, pluridecorato, condannò l’arrivismo di certi gerarchi, fu vittima nel ’27 di un attentato dai connotati non chiari. Dopo il 25 luglio venne ucciso in circostanze altrettanto misteriose mentre veniva arrestato dalle nuove autorità.

Adelchi Serena, (segretario 1940-1941) avvocato, all’interno del partito nazional-fascista si interessò di questioni sociali e nel 1938 firmò il Manifesto della Razza, come capo del partito attuò una politica di accentramento direttivo, tuttavia non aderì alla Repubblica Sociale.

Aldo Vidussoni, (segretario 1941-1943) fu uno dei più giovani esponenti politici, divenne capo del partito a 27 anni, Ciano espresse l’opinione che fosse un estremista dalle scarse capacità intellettuali. Aderì alla Repubblica Sociale.

Carlo Scorza, (segretario 1943) squadrista, fu il responsabile dell’aggressione al liberale Giovanni Amendola, fu sostanzialmente estraneo agli eventi che portarono alla caduta del regime fascista, ritornato al suo paese natale (Paola) assistette all’uccisione di suo figlio da parte di estremisti politici di sinistra.

Da quanto sopra emerge un dato singolare e significativo, l’alto numero di dirigenti fascisti provenienti dall’estrema sinistra. Per comprendere tale fenomeno dobbiamo considerare l’elevata contrapposizione all’interno della stessa fra interventisti e neutralisti (l’assalto all’«Avanti» dell’aprile 1919 venne condotto da futuristi, arditi, neo nati fascisti, tutti schierati a sinistra), nonché certi aspetti psicologici degli estremisti. Nel caso di Benito Mussolini, lo storico Emilio Gentile ritiene che la sua contrarietà alla rivoluzione leninista abbia influito sul suo progressivo spostamento a destra. Possiamo infine ricordare che il senso di uno stato potente e di una economia soggetta al controllo dello stesso, fece del fascismo un movimento in cui permanevano alcuni caratteri del socialismo.

(maggio 2020)

Tag: Luciano Atticciati, gerarchi fascisti, ras, Cesare De Vecchi, Michele Bianchi, Luigi Federzoni, Alfredo Rocco, Giovanni Gentile, Giuseppe Bottai, Italo Balbo, Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Cesare Rossi, Giovanni Marinelli, Dino Grandi, Sergio Panunzio, Roberto Farinacci, Achille Starace, Ettore Muti, gerarchi del fascismo.