La destra e il fascismo 1922-1925
La destra e la sinistra, centro compreso, furono particolarmente inefficienti nel frenare l’involuzione politica

Alle elezioni del maggio 1921 i fascisti ottennero 35 deputati e i nazionalisti prossimi a unirsi a loro 12. La destra nel suo complesso (divisa fra giolittiani e salandrini) prese 223 seggi su 535, il centro (Popolari) 108. La sinistra divisa fra socialisti e comunisti vide una riduzione significativa dei voti (139 seggi) rispetto alle elezioni del 1919 (163 seggi), particolarmente nelle zone dove si erano avuti scontri sociali e in cui si era affermato secondo una buona parte dell’opinione pubblica il terrore rosso.

Mussolini personalmente fu uno dei candidati più votati, ma come si nota facilmente i fascisti erano ben lontani da un numero di seggi tale da dominare all’interno della destra, la loro giovane età (mediamente la più bassa della Camera) e la loro inesperienza avrebbero potuto giocare a favore degli esperti «manovratori» della politica, ma l’idea che fossero i «salvatori della patria», quelli che avevano liberato il Nord dal terrore rosso come scriveva il «Corriere della Sera» e lo stesso Giovanni Amendola, giocarono fortemente a loro favore. In realtà dopo la fallita (pre) insurrezione della Occupazione delle Fabbriche realizzata con largo uso di armi, la sinistra entrò in una pesante crisi, il suo sogno di «fare come in Russia» era risultato un mito fondato sul nulla. Inoltre i continui scambi di insulti fra socialisti e comunisti lasciavano perplesso il cosiddetto proletariato, così come le violenze contro coloro che non aderivano alle agitazioni. Di fronte al clima di violenza Benito Mussolini assunse un atteggiamento apertamente ostile verso i fascisti intransigenti e si sforzò di presentarsi come un uomo rispettoso delle istituzioni e della legalità. Ricordiamo che il giovane capo del fascismo nei suoi scritti e nei discorsi era particolarmente brillante, capace di suggestionare simpatizzanti e oppositori. Un atteggiamento che oggi ci può apparire singolare, ma che all’epoca risultò efficace.

I «notabili» o galantuomini, ovvero uomini di buoni studi e appartenenti alla classe sociale elevata che aveva dominato la scena politica nell’Ottocento, accettavano di collaborare coi nuovi capi politici di estrazione popolare (moderati) entrati in Parlamento con le elezioni del 1919 attraverso un rinnovo della Camera che fu un evento dirompente per il grande successo di popolari (cattolici) e socialisti. Liberali e conservatori per la prima volta non disponevano della maggioranza e dovevano cercare un’alleanza coi moderati delle nuove forze politiche. La situazione parlamentare che si ebbe con le elezioni del ’21 fu solo in parte migliore per le forze che fino allora avevano dominato la scena politica.

Nell’ottobre 1922 si ebbe un contrasto sulla nomina a capo del governo fra Antonio Salandra, esperto uomo della politica, liberal conservatore e il giovane (con ancora qualche reminiscenza di sinistra) Benito Mussolini, di fronte all’intransigenza di quest’ultimo, l’anziano leader cedette e si formò un governo con un’ampia maggioranza comprendente liberali, conservatori, popolari ma anche una formazione minore della sinistra, i demosociali simili a quelli che furono i radicali nei recenti anni passati. I fascisti disponevano di 4 ministri su 10, quindi dovevano concordare le loro iniziative, il discorso con cui Mussolini si presentò alla Camera (18 novembre 1922) è molto conosciuto, si parlava molto di politica estera, di bilancio, ma la parte più nota è un’altra, dove si alternavano buoni propositi ad atteggiamenti pesantemente minacciosi: «Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli, potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti... Lo Stato è forte e dimostrerà la sua forza contro tutti, anche contro l’illegalismo fascista». La reazione dei partiti alleati a tale duro intervento fu decisamente modesta, molti ritenevano le affermazioni pronunciate un semplice atto di esuberanza comprensibile conoscendo il personaggio e che col tempo e l’esperienza di governo i fascisti si sarebbero ammorbiditi. Perfino uomini come Gaetano Salvemini e Francesco Saverio Nitti ritenevano che il fascismo non costituisse un pericolo e avrebbe presto smorzato i suoi atteggiamenti rivoluzionari. Lo stesso si ebbe nel Partito Repubblicano, dove vi erano esponenti che ritenevano di assumere un atteggiamento interlocutorio verso il nuovo e atipico Governo. Permetteteci una considerazione non rigorosamente storica, il movimento Cinque Stelle andando al governo nel 2018 divenne nel giro di pochi mesi un partito moderato.

Il primo atto politicamente rilevante del nuovo governo fu la costituzione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (gennaio-febbraio 1923), da una parte fu un colpo pesante all’ordinamento giuridico democratico ma dall’altra venne considerato un modo per mettere sotto controllo i focosi squadristi, mentre vennero proibiti i gruppi paramilitari. Mussolini si impegnò perché il nuovo organo fosse soggetto al controllo del governo, mentre gli intransigenti, Roberto Farinacci in particolare, intendevano che fosse soggetto al controllo del Partito Nazionale Fascista. L’opinione pubblica faceva una distinzione fra mussoliniani «normalizzatori» e favorevoli all’ordine e fascisti favorevoli alla «seconda ondata», quelli che volevano fare a meno dei conservatori e continuare il clima di violenza con gli avversari politici, un contrasto che si era aperto dall’agosto 1921 quando venne sottoscritto il cosiddetto Patto di Pacificazione.

Nello stesso periodo si ebbe la fusione fra nazionalisti e fascisti. Ricordiamo che entrambi condividevano l’ideale nazionalista ma anche le simpatie verso i sindacalisti rivoluzionari e molti dei dirigenti del Partito Nazionale Fascista erano stati militanti di tale movimento. I fascisti prevalsero numericamente sui secondi ma si ebbero due personaggi nazionalisti importanti al vertice dello stato, Alfredo Rocco e Luigi Federzoni.

Le frizioni tra fascisti e popolari iniziarono subito, ma è importante fare una premessa, il Partito Popolare Italiano raccoglieva uomini di destra come il moderato Alcide De Gasperi e di sinistra, sostenitori delle occupazioni delle terre e dell’illegalità come Guido Miglioli. Nonostante la forte personalità di Sturzo difficilmente tali personaggi potevano convivere, e sebbene il partito non fosse confessionale il forte legame con la gerarchia ecclesiastica si faceva sentire. Nell’aprile del ’23 si ebbero malumori per un possibile ritorno a un sistema elettorale maggioritario e il non abbandono dell’illegalismo da parte dei fascisti, il partito si spaccò e poco tempo dopo Sturzo anche per l’intervento del Vaticano fu costretto alle dimissioni, mentre i ministri popolari abbandonarono il governo.

A metà dell’anno si iniziò a parlare della legge Acerbo che attribuiva il 66% dei seggi della Camera alla lista di maggioranza che avesse comunque ottenuto almeno il 25% dei voti. Si trattava di un premio di maggioranza molto alto anche se come si vide nelle vicende successive non ebbe conseguenze effettive se non quelle di spingere verso una polarizzazione del voto. Non solo la destra ma anche la grande maggioranza dei popolari votarono a favore. Nello stesso periodo, nel mese di novembre si ebbe il singolare intervento parlamentare da parte di uno dei fondatori del Partito Comunista, Nicola Bombacci, a favore del governo per il riconoscimento da parte del nostro paese dell’Unione Sovietica. La situazione degenerava rapidamente ma molti sembravano non percepire i fatti.

Alle elezioni dell’aprile 1924 i fascisti decisero di presentare la loro Lista Nazionale senza accordi di coalizione con altri partiti. I demosociali rifiutarono di presentarsi all’interno di essa e anzi si allontanarono dalla maggioranza, il neonato Partito Liberale lasciò liberi gli iscritti a presentarsi in essa o dare vita a proprie liste, in pratica i giolittiani si presentarono autonomi, mentre gli uomini di Salandra entrarono nel cosiddetto «Listone» insieme ai cattolici di destra.

Il risultato fu un successo per i fascisti e la destra che ottennero il 65% dei voti e quindi la maggioranza assoluta. Il premio di maggioranza non ebbe pertanto rilevanza e si ebbe una crescita molto consistente rispetto alle elezioni precedenti, dove le due forze politiche avevano riportato circa il 40% dei voti. Come sappiamo si ebbero molte irregolarità e violenze, ma queste furono tali da alterare in maniera significativa il risultato elettorale? Lo storico De Felice citando Pietro Gobetti ritiene di no, i socialisti persero voti ma i comunisti (oltre al Partito Repubblicano) aumentarono in una certa misura, del resto la Lista nazionale riportò un successo maggiore al Sud dove gli squadristi erano numericamente inferiori rispetto a quelli del Nord. Anche i giornali cattolici (che lamentavano violenze contro di loro) riportarono che le violenze si ebbero nei piccoli centri ma non risultavano in quelli maggiori. L’affluenza fu molto elevata, quindi in qualche modo la crisi conclamata della sinistra e un certo spostamento di voti dai moderati all’estrema destra fu una realtà, anche se per ragioni non del tutto comprensibili. Può essere anche interessante notare che alle elezioni del 1929 tenute con un sistema molto particolare e che non garantiva la segretezza del voto, l’affluenza fu particolarmente alta, mentre ci si sarebbe aspettati che l’opposizione disertasse le urne.

Un altro quesito non meno importante fu il numero di eletti tra i fascisti e quelli di destra e anche su questo non c’è accordo fra gli storici (un certo numero di personaggi si erano presentati come semplici ex combattenti), anche se i primi riportarono un numero decisamente più elevato rispetto alle elezioni precedenti. Secondo Renzo De Felice «un terzo buono» degli eletti del Listone era composto da uomini di destra, quindi le possibilità di sfiduciare Mussolini dopo il delitto Matteotti c’erano, invece incredibilmente non venne mai presentata una mozione di sfiducia.

Il 10 giugno venne rapito il deputato del Partito Socialista Unitario (partito formato dagli espulsi dal Partito Socialista comprendente Filippo Turati) Giacomo Matteotti, il 26 giugno (quindi prima del ritrovamento del cadavere) le opposizioni abbandonarono la Camera e si riunirono nel cosiddetto Aventino. Una scelta politica considerata da Giovanni Giolitti controproducente in quanto si poteva lavorare in Aula per mettere in difficoltà il governo.

Lo sgomento nell’opinione pubblica e il venire meno nella fiducia della politica «normalizzatrice» dei fascisti moderati fu evidente. Il sequestro e il delitto probabilmente preterintenzionale del deputato furono secondo lo studioso Carlo Silvestri un modo di impedire un approccio fra uomini di governo e sindacalisti confederali avviato già da tempo. Allo sgomento tuttavia non seguì alcuna iniziativa politica, le proteste rimanevano individuali, non vi fu alcun tentativo di aggregazione per mettere in crisi il governo né un tentativo di far convergere i consensi su un nome che avesse potuto sottrarre voti alla maggioranza. Il 3 settembre a seguito di un duro discorso di Mussolini due ministri liberali diedero le dimissioni, la maggioranza si stava sfaldando in maniera evidente. Ma poco dopo si ebbe l’uccisione del deputato fascista Armando Casalini da parte di un militante comunista che in qualche modo dava il senso che il pericolo bolscevico non fosse scomparso. In una votazione a novembre su un provvedimento minore i due capi della destra Vittorio Emanuele Orlando e Antonio Salandra seguiti da un certo numero di deputati presero le distanze dal governo. Molti pensavano a un’azione della Corona per imporre le dimissioni al Capo di Governo, ma secondo la testimonianza di Umberto II, il padre si sarebbe mosso solo dopo un’iniziativa delle Camere che come sappiamo non ci fu. Si ebbe un invito a intervenire da parte di Vittorio Emanuele Orlando nel quale si chiedeva al sovrano di «riprendere la situazione in mano e dominarla», nell’agosto dell’anno successivo il leader diede le dimissioni da deputato e nel 1931 fu uno dei 14 professori universitari sui 1.200 a rifiutare il giuramento al regime fascista. Il gruppo di Salandra si sfaldò tra filo fascisti e liberali. Successivamente si ritirò dalla vita politica e nelle sue Memorie scrisse del pericolo bolscevico che aveva favorito l’estremismo di destra e in particolare «il duce come si lasciò di poi ufficialmente chiamare – enigmatico miscuglio o alternativa di genialità e di volgarità, sincera professione di nobili sentimenti e di bassi istinti di rappresaglia e di vendetta, di rude schiettezza e di istrionismo».

De Felice ha scritto che le opposizioni con l’Aventino «non solo si preclusero la possibilità di abbattere il governo Mussolini nell’unico modo possibile, – in pratica – impedirono a Giolitti, a Salandra, a Orlando, a Tittoni, agli stessi nazionalisti e quindi alla Corona, di sbloccare la situazione». Non sempre la storia procede, come avrebbe detto Vilfredo Pareto, su basi razionali.

Abbiamo detto che una maggioranza antifascista sia pure con uno scarto minimo di voti si sarebbe potuta realizzare, ma occorre considerare il comportamento dei socialisti massimalisti e dei comunisti. Antonio Gramsci nell’agosto 1924 sostenne «la nostra reale volontà di abbattere non solo il fascismo di Mussolini e Farinacci, ma anche il semifascismo di Amendola, Sturzo, Turati», Togliatti espresse un concetto molto simile, Mussolini, Giolitti e Sturzo erano tutti e tre rappresentanti della borghesia e nemici da eliminare. I socialisti massimalisti non manifestavano idee molto diverse. In pratica l’alternativa a Mussolini divenne del tutto impraticabile.

Molti storici ritengono il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925 come l’inizio della dittatura, ovviamente i regimi totalitari non sorgono con i discorsi, nel caso italiano si ebbe la proposta di una nuova legge elettorale che avrebbe messo in difficoltà una parte dei deputati, nonché come abbiamo visto la totale inerzia e i pesanti contrasti del fronte antifascista. Il discorso del 3 gennaio come in altri conteneva il «bastone e la carota», in esso si affermava: «La Camera dei deputati ha il diritto di accusare i ministri del re e di tradurli dinanzi all’Alta corte di giustizia», si ricordavano gli 11 fascisti uccisi in quei mesi, infine si sosteneva: «L’Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa; gliela daremo con l’amore, se è possibile, o con la forza se sarà necessario». Nei giorni successivi vennero presi provvedimenti restrittivi contro Italia Libera ritenuta associazione eversiva, ma i provvedimenti anticostituzionali («leggi fascistissime») iniziarono dopo l’attentato a Mussolini dell’ottobre 1926, soppressione della libertà di stampa e dei partiti nonché decadenza dal mandato dei 123 deputati aventiniani, l’opposizione si ridusse a soli 6 deputati fra i quali emergeva Giovanni Giolitti.

(giugno 2021)

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