Centenario del Milite Ignoto: il dovere della memoria
Approfondimenti e riflessioni attuali in onore di tutti i Caduti per la Patria, e dei valori inalienabili per cui fecero Olocausto della vita

Trascorso un secolo dal terzo anniversario della Vittoria italiana nella Grande Guerra (1921) a completamento del lungo e difficile percorso risorgimentale, è cosa buona e giusta rammentare soprattutto alle giovani generazioni troppo spesso ignare, e non certo per propria colpa prioritaria, la grande epopea del Milite Ignoto, conclusa in tale data con l’inumazione al Vittoriano. Al pari di quanto accadde in altri Paesi belligeranti, si ritenne di proporre come espressione di nuove speranze questo simbolo dei valori nazionali e patriottici posti a base della società civile, maturata nell’auspicio che l’immane conflitto appena concluso fosse stato davvero l’ultimo. Era una grande illusione, ma erano parecchi milioni i Caduti di tutto il mondo che, assieme alle rispettive famiglie, chiedevano conto del proprio drammatico sacrificio: in Italia erano stati circa 650.000, cui si sarebbero aggiunti quelli dovuti ai postumi delle ferite e delle malattie contratte in guerra, nella misura di oltre 100.000 Vittime (senza contare quelle dell’epidemia «spagnola» pervenute a non meno di mezzo milione).

All’informazione storica, oltre che a quella riveniente dalle varie esperienze personali, per non dire dei nuovi strumenti audiovisivi, fu conferito un ruolo di particolare rilevanza mediatica. Ciò ebbe luogo nell’intento di perseguirne una diffusione ad ampio raggio, soprattutto fra coloro che, come oggi, poco o nulla conoscevano della grande storia nazionale, con particolare riguardo alle pagine cruente ma gloriose che condussero al «sole» di Vittorio Veneto. Contestualmente, con quelle iniziative si contribuiva, sia pure in maniera non programmata, alla vera unità della Nazione, emersa valorosamente dal fango delle trincee sul Carso, sul Piave e sul Monte Grappa, e consolidata dallo spirito patriottico pressoché unanime che permise di esorcizzare il dramma di Caporetto, e prima ancora, di tante famiglie.

Oggi, nel centenario del Milite Ignoto, in coincidenza con quello delle celebrazioni che si tennero a tre anni dalla Vittoria, non è cosa retorica, né tanto meno formalmente ripetitiva, evocare quelle giornate straordinarie, a loro modo unitariamente commosse, ma nello stesso tempo «radiose», come da immaginifica definizione dannunziana. Non a caso, diversi Comuni Italiani hanno colto l’occasione del centenario per deliberare l’istituzione di altrettanti monumenti in onore del Milite, e del grande sacrificio collettivo che simboleggia.

L’idea di onorare tutti i Caduti della Grande Guerra con il Soldato Sconosciuto (da destinare in un primo momento al Pantheon) giunse a maturazione durante un rapido decorso parlamentare nell’estate del 1920, fino alla promulgazione della legge che ne statuiva i dettagli[1] con riguardo prioritario alla sepoltura in quello che sarebbe diventato l’Altare della Patria, meglio accessibile a grandi folle, e più visibile dello stesso Pantheon che restava riservato ai Sovrani di Casa Savoia. L’idea originaria era stata di un ufficiale patriota, il Colonnello Giulio Douhet, che si era comportato valorosamente ma che aveva dovuto scontare un anno di fortezza nel duro reclusorio di Fenestrelle a causa dei contrasti avuti con il Generale Luigi Cadorna, Comandante Supremo delle Forze Armate nella prima fase del conflitto, e che solo in tempi successivi era stato pienamente riabilitato, e promosso al grado superiore.

La Commissione militare incaricata di cercare le Spoglie dei Caduti fra cui si sarebbe dovuta scegliere quella destinata ad assumere il ruolo simbolico di Milite Ignoto non ebbe molto tempo a disposizione, perché era stato fissato il termine del 4 novembre, prossimo anniversario della Vittoria, quale data della grande cerimonia conclusiva sul Vittoriano. A più forte ragione, avrebbe lavorato alacremente nel breve periodo disponibile dopo l’approvazione della legge, visitando 11 luoghi dove nel corso della Grande Guerra si erano avuti combattimenti di particolare intensità o rilevanza, con perdite conseguentemente importanti: Alpi Dolomitiche, Altopiano di Asiago e Monte Ortigara, Basso Isonzo, Basso Piave, Cadore, Castagnevizza, Gorizia, Monte Grappa, Montello, Rovereto, San Michele. Proprio per questo, i feretri portati ad Aquileia, dove si sarebbe svolta la toccante cerimonia di scelta del Milite Ignoto tramite la madre di un Caduto dell’Italia irredenta decorato al Valor Militare, furono 11, avendo cura di salvaguardare la presenza di Spoglie appartenenti a tutte le Armi impegnate nel conflitto, e soprattutto la necessità di prevenire qualsiasi rischio di un pur improbabile riconoscimento.

A distanza di 150 anni dall’Unità d’Italia, nel 2010 fu prodotto un lungo filmato (Vie della Gloria) con la regia di Lucio Fabi, che conserva sempre invariata una straordinaria suggestione evocativa. Si tratta di un sentimento tanto più attuale in coincidenza col centenario del Milite Ignoto e delle iniziative che ebbero luogo in Italia fra il 29 ottobre e il 4 novembre 1921, in previsione dell’anniversario della Vittoria, culminate nell’omaggio popolare ai Caduti, agli Invalidi, ai Combattenti, alle tante Medaglie e decorazioni al Valor Militare. In qualche misura, si era trattato di un atto dovuto, che traeva spunto prioritario dagli originali dell’epoca.

L’opera in questione è sempre di alto valore maieutico. La prima parte è dedicata alla Basilica di Aquileia e al contiguo «Cimitero degli Eroi» dove Maria Bergamas, madre del Volontario triestino decorato di Medaglia d’Argento, di cui si diceva, scelse in un clima di straordinaria commozione, fra gli 11 feretri provenienti dalle varie zone di guerra, le Spoglie del Caduto che sarebbero state trasferite nel Vittoriano a perenne memoria degli immensi sacrifici di lacrime e sangue che l’immane conflitto aveva comportato. Poi, il filmato prosegue con le immagini del lungo viaggio ferroviario fino alla capitale e dei grandi omaggi popolari, mentre le conclusioni documentano in maniera probante le solenni esequie in Santa Maria degli Angeli e l’inumazione in quello che sarebbe diventato «ipso facto» l’Altare della Patria, alla presenza di Vittorio Emanuele III di Savoia e delle massime cariche dello Stato.

Scorrendo le immagini del documentario, di straordinario interesse sociale, storico e iconografico, e fonte di riflessioni non effimere, è facile pensare che la proiezione di quelle immagini dovrebbe essere programmata, almeno nelle parti più rilevanti, in tutte le scuole italiane: sarebbe un tempo pur sempre limitato ma di eccezionale valore formativo. Basti pensare all’immagine di Maria nel fervido abbraccio al feretro del Caduto che con quel gesto diventava il Milite Ignoto, e nello stesso tempo all’anabasi compiuta dal treno speciale, condotto da una squadra di ferrovieri combattenti della Grande Guerra e decorati di Medaglie al Valor Militare[2].

Le immagini si soffermano sulla partenza da Aquileia; sulle soste più importanti, fra cui quelle nelle stazioni di Udine, Codroipo, Pordenone, Conegliano, Mestre, Venezia, Padova, Montegrotto, Pontelagoscuro, Ferrara, Bologna, Firenze, Arezzo, Orvieto; sul passaggio del Tagliamento e del Piave (erano stati programmati quattro pernottamenti a Venezia, Bologna, Arezzo e Roma Tiburtina). Particolare rilievo è naturalmente dedicato all’arrivo a Roma Termini fra una selva di bandiere, fino alla tumulazione del feretro, portato a spalle da un gruppo di Medaglie d’Oro, alla presenza di Vittorio Emanuele III e di una folla straordinariamente e soprattutto sinceramente commossa, che avvertiva davvero l’importanza di ritrovarsi «una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cuore» (come da celebre affermazione poetica di Alessandro Manzoni). Dove il Risorgimento era riuscito in misura parziale e selettivamente minoritaria, stava riuscendo l’Italia della trincea e del sacrificio, facendo giustizia di ogni disputa intestina e di antinomie fra campanili, ormai anacronistiche.

L’Unità Nazionale, realizzata definitivamente in trincea, si consolidava su quel treno carico di fiori e di lacrime, suscitando, accanto al dolore, elette speranze, fra cui quella, coltivata nell’illusione di una definitiva palingenesi, che la guerra appena vinta dall’Italia aprisse le porte a un futuro di pace, prosperità e progresso. Ogni sosta, anche nelle stazioni secondarie e in quelle più piccole, vedeva i militari che presentavano le armi mentre i civili, dagli adulti ai bambini, erano tutti in ginocchio per esprimere al Milite Ignoto, e suo tramite a tutti i Caduti, a tutti i feriti e a tutti gli invalidi della Grande Guerra, la gratitudine di un intero popolo, e con essa, la partecipazione al dolore composto e consapevole delle madri, delle spose vedove e di tanti figli orfani. Del resto, l’omaggio aveva luogo dovunque: il convoglio procedeva spesso e volentieri a passo d’uomo, onde permettere a tutti, lungi da ogni differenza politica o sociale, di onorare il Milite con un fiore, una genuflessione, una preghiera.

Una pioggia di fiori cadeva sul carro speciale che trasportava il feretro, mentre sul Piave quella pioggia fu indirizzata dal treno sulle acque del fiume diventato sacro per la Patria. Chiunque ne aveva la possibilità correva a fare ala al passaggio, partecipando alle cerimonie che si svolgevano nelle varie città. Fra le tante, vale la pena di segnalare in modo specifico Udine, la «capitale» non solo morale della Guerra, sfregiata dalla lunga occupazione nemica dopo la ritirata; Venezia, con la partecipazione di Raffaele Rossetti e Raffaele Paolucci, gli Eroi che avevano affondato la corazzata asburgica Viribus Unitis nella munita piazzaforte di Pola, ritenuta inviolabile; Firenze, con il Gonfalone del Comune in marcia verso la stazione, seguito da una folla strabocchevole.

Le città escluse dall’itinerario del convoglio (Milano, Torino, Bergamo, Genova, Napoli, Palermo, Catania e via dicendo) non furono da meno. Dovunque, il 4 novembre si svolsero cerimonie in onore della Vittoria e del Milite Ignoto, e sempre con una straordinaria presenza popolare senza dubbio ancora più toccante degli interventi ufficiali, comunque sempre commossi (in specie nel Duca d’Aosta, Emanuele Filiberto, il Comandante della leggendaria Terza Armata, e nella Regina Elena di Savoia). Tutte quelle cerimonie si strinsero in un abbraccio che, anche da questo punto di vista, fece segnare un momento di osmosi e di condivisione, non facilmente ripetibili. Non mancarono, come si vede ben evidenziato nelle immagini, gli onori tributati ai 10 soldati italiani ugualmente ignoti, rimasti ad Aquileia e tumulati presso la grande Basilica paleocristiana dove molti anni più tardi sarebbero stati raggiunti proprio da Maria Bergamas, simbolicamente assurta a madre di tutti i Caduti[3].

Il documentario è preceduto da un’idonea introduzione con linguaggio sentitamente essenziale, ma senza dimenticare le cifre di un sacrificio collettivo davvero tragico. Basti dire che furono almeno 200.000 i Caduti Italiani rimasti ignoti: compresi quelli scomparsi nei campi di prigionia dell’Austria, dell’Ungheria e degli altri Paesi che facevano parte dell’Impero Asburgico; e che furono circa 1.500 i cimiteri militari oggetto di ristrutturazioni e trasferimenti nell’ambito di un’opera ciclopica che avrebbe richiesto parecchi anni, durante i quali si costruirono e sistemarono i grandi ossari (Redipuglia, Oslavia, Caporetto, Udine, Timau, Maserada, Nervesa della Battaglia, Fagarè, Monte Grappa, Pasubio, Rovereto, Asiago, Pocol, San Candido, Passo del Tonale: ecco un elenco quasi interminabile di dolore, di «compassione» e di gratitudine da proporre attraverso il nobile messaggio della pietra al ricordo degli anziani e alla conoscenza di tanti ignari, oltre che dei giovani). La semplice elencazione dei nomi conferma, da parte sua, quale straordinaria ampiezza di combattimenti e di lutti abbia contraddistinto, anche sul piano geografico, gli spazi del conflitto sul fronte italiano, dallo Stelvio al mare.

Lungi da ogni espressione retorica, le cifre fanno veramente pensare. Il grande conflitto del 1915-1918 è stato causa della scomparsa di tanti Caduti senza croce che ne ricordi almeno il nome, in misura pari a circa un terzo di quanti s’immolarono nella «Quarta Guerra d’Indipendenza» (di cui all’immaginifica ma pertinente definizione dello storico francese Gilles Pécout o del Generale Riccardo Basile, compianto Presidente della Federazione Grigioverde). Infatti, questi Caduti sono rimasti senza un sasso idoneo a far udire, se non altro, il «sospiro che dal tumulo a noi manda natura» di cui ai celebri versi di Ugo Foscolo. Anche da questo punto di vista, non può certo ritenersi un caso che il Santo Padre Benedetto XV, già nel corso del conflitto, avesse parlato di «inutile strage» e che quell’appello fosse rimasto, nonostante l’incredibile sacrificio dei Combattenti, una «Vox clamantis in deserto» al pari di quanto, ancora oggi, continua ad accadere nel mondo.

L’opera di documentazione sulle vicende della Grande Guerra e su quella del Milite Ignoto ha compiuto un percorso lungo e meritorio, ormai comparabile con quella della storiografia e di una memorialistica sempre molto diffusa. In effetti, il trasporto del Milite Ignoto da Aquileia a Roma è stato oggetto di frequenti, sebbene frettolosi passaggi televisivi, tanto più sintetici alla luce della conservazione non ottimale delle pellicole.

Le Vie della Gloria – ecco una titolazione pertinente come non mai – hanno perfezionato un restauro molto apprezzabile anche dal punto di vista tecnico e professionale, muovendo da almeno quattro filmati originali dell’epoca, di varia provenienza e mettendo a disposizione degli storici, degli appassionati, dei patrioti e dei cittadini un documento audiovisivo sempre attuale che non è azzardato definire straordinario e che costituisce un ottimo esempio di cooperazione fra testimonianze, politica ed «ethos». Un documento che bisogna vedere, rivedere, conservare e apprezzare, anche per «trarne gli auspici», e che nello stesso tempo costituisce un contributo ragguardevole al difficile lavoro di recupero della dignità nazionale, di memorie meno formali e di una matura consapevolezza dei valori fondanti di una civiltà autenticamente degna di questo nome.

Si diceva della grande cerimonia d’inumazione del Milite nel sacello che era stato predisposto nel Sacrario del Vittoriano, il discusso monumento a Vittorio Emanuele II inaugurato 10 anni prima in un tripudio di folla, dopo parecchi decenni di lavori e di polemiche, tra cui quelle per la scelta del marmo: contrariamente alla logica che lo avrebbe voluto in travertino, se non altro per la vicinanza alle cave di Tivoli e per la sua millenaria compatibilità con l’architettura e l’ambiente di Roma, il Presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli aveva «imposto» il botticino bresciano, materiale estratto nel suo collegio elettorale[4]. In realtà, la destinazione del Milite Ignoto al complesso del Vittoriano era stata facilitata dall’avervi trovato una struttura architettonica già pronta, ivi compreso il monumento equestre al «Re galantuomo», come da paziente e dettagliata rivisitazione storica nella Patria di marmo di Marcello Venturoli (Nistri & Lischi, Pisa 1955, riveduta nella seconda edizione, Newton Compton, Roma 1995).

Quella del 4 novembre 1918 è una data che ha assunto un ruolo fondamentale nella storia italiana e che dimostra pur sempre di averne fatto tesoro. Infatti, la Vittoria nella Grande Guerra costituisce una svolta straordinaria perché coincide con l’acquisizione di una consapevolezza, finalmente matura, della Nazione intesa come Stato, nei suoi valori morali e civili, conquistati a prezzo di sacrifici immani. Degno corollario è il 4 novembre 1921, perché in tale data lo Stato e la Nazione pervengono, attraverso il simbolo del Milite Ignoto affidato all’Ara della Patria, al riconoscimento di tali sacrifici come momento costituente di una sintesi ormai inscindibile di valori civili, storici e patriottici, affidata alla continuità del tempo tramite le onoranze dei padri e le riflessioni dei figli [5].

Questi sentimenti trovarono una sintesi di oggettiva e specifica efficacia nella motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare, dettata da Giovanni Giuriati, che fu conferita al Soldato Sconosciuto: «Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie, e cadde combattendo senz’altro premio sperare che la Vittoria e la grandezza della Patria. 24 maggio 1915-4 novembre 1918». Come non è difficile rilevare, si tratta di una motivazione senza dubbio semplice ma proprio per questo, idonea a far comprendere a chiunque la grandezza, e soprattutto l’esemplare «gratuità» del sacrificio.

Le conseguenze della Grande Guerra, oltre alla somma incommensurabile di dolori e di lutti, diedero luogo a effetti negativi di lungo periodo anche nella struttura demografica degli Stati coinvolti nel conflitto, e massimamente in quella dell’Italia, Paese giovane e quindi in via di sviluppo, inducendo difficoltà ragguardevoli per le successive azioni di crescita economica e sociale. Eppure, la Vittoria del 1918 e le celebrazioni del Milite Ignoto ebbero un ruolo importante nel superare il trauma delle perdite, o per lo meno nell’assimilarlo e nel farne arra di progresso umano e civile, se non altro per rispetto ai troppi Caduti (ben diverse sarebbero state le conseguenze della sconfitta e della guerra civile occorse dal 1943 in poi, in un crescendo oltremodo drammatico: ma questa è un’altra storia).

Conviene aggiungere che il Milite fu onorato dall’Italia con una partecipazione popolare davvero plebiscitaria alla luce di valori che nella percezione comune appartenevano sia al momento religioso, sia a quello laico, in una rinnovata sintesi ispirata al tanto, o meglio, al troppo sangue versato, che aveva sostanzialmente trasferito nella sfera dei ricordi le antiche pregiudiziali dell’opposizione cattolica. Del resto, non è forse vero che i Cappellani Militari avevano condiviso con i soldati e gli ufficiali tutti i rischi e tutti i disagi della vita al fronte?

La memorialistica e la storiografia, dal canto loro, continuano a proporsi quali strumenti di alto significato etico, prima ancora di esprimersi quali mezzi informativi di valore scientifico non esente da quello dell’oggettività. C’è soltanto l’imbarazzo della scelta: qui, nell’ambito di fonti ormai sostanzialmente illimitate, basti citare, a titolo di esempi probanti, Pagine sulla Guerra – L’Italia dal 1914 al 1918 di Benedetto Croce (Laterza, Bari 1950); Momenti della vita di guerra di Adolfo Omodeo (Einaudi, Torino 1968), Il mito della Grande Guerra di Mario Isnenghi (Il Mulino, Bologna 1989); Naissance de l’Italie contemporaine di Gilles Pécout (Editions Nathan, Paris 1997); Storia d’Italia dal Risorgimento ai nostri giorni di Sergio Romano (Longanesi, Milano 1999). In queste opere come in parecchie altre un minimo comune denominatore è ravvisabile nei richiami al diuturno, allucinante impegno sacrificale dei Combattenti, completato da quello di un Paese in armi, o comunque nell’emergenza, e dall’avvento di nuove sensibilità etiche e politiche, ma nello stesso tempo, dalla maturazione di una vera coscienza nazionale, e di notevoli interessi comuni anche nell’ambito delle classi popolari.

La Grande Guerra, giova confermarlo, fu una grande tragedia collettiva, ma come spesso accade proprio nella sventura, ne emersero valori ormai consolidati, a cominciare da quelli dell’Unità Nazionale e dell’uguaglianza fra tutti i cittadini, comprese le donne, chiamate a sostituire gli uomini al fronte in tante mansioni da cui erano state sempre escluse, come quelle di pubblico servizio e lo stesso lavoro nelle fabbriche e negli stabilimenti industriali. Da questo punto di vista, andava a compiersi una rivoluzione non cruenta, e soprattutto non effimera, tanto da diventare irreversibile sia nella prassi, sia nell’inconscio collettivo. Considerazioni analoghe valgono per il pieno recupero della socialdemocrazia, delle forze laiche e dello stesso movimento cattolico, ormai libero, come si diceva, dalle pregiudiziali del «non expedit» vaticano: in questo senso, la vita politica italiana aveva assunto innovazioni fondamentali, assieme all’avvento di attese diverse ma non meno importanti come quelle espresse dal futurismo e dal modernismo, anche nell’ambito culturale.

Prove difficili attendevano ancora l’Italia, ma l’esperienza, la maturità e il patriottismo promossi durante la Quarta Guerra d’Indipendenza (1915-1918) indussero il successo di valori essenziali come la solidarietà e la forza morale necessarie a confrontarsi positivamente con l’avversa fortuna. La Patria, e cioè la «Madre benigna e pia che copre l’uno e l’altro mio parente» (di cui ai celebri versi di Francesco Petrarca), per simbolica intercessione etica del Milite Ignoto[6] non era più il «vaso di coccio» in mezzo a quelli di ferro, ma poteva guardare all’avvenire in un clima di rinnovata fiducia e di serena consapevolezza delle sue ecceità, dei suoi diritti e delle sue legittime attese.


Note

1 Il decorso parlamentare della Legge istitutiva del Milite Ignoto, e del suo culto, fu molto rapido. Presentata verso la fine del giugno 1920 dall’Onorevole Cesare Maria De Vecchi (il futuro quadrumviro della Marcia su Roma), ottenne l’approvazione della Camera dei Deputati il 5 agosto, con 199 voti a favore e 35 contrari, dopo che il Ministro della Guerra Luigi Gasparotto aveva invitato l’Assemblea di Montecitorio a prescindere da tanti interventi sostanzialmente pleonastici. Il voto favorevole del Senato fece seguito dopo sei giorni con l’adesione del Generale Armando Diaz, che nel frattempo era stato nominato Duca della Vittoria, e con l’emendamento del Senatore Antonio Fradeletto, che confermava la sepoltura nell’Ara della Patria. L’indomani, 11 agosto, fecero seguito la promulgazione e la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale».

2 L’organizzazione del viaggio ferroviario fu opera complessa anche dal punto di vista tecnico, se non altro alla luce di una rilevante lunghezza del convoglio e delle pendenze in alcuni tratti della linea: al riguardo, si può ricordare che strada facendo il numero dei carri andò incrementandosi per ospitare tutti gli omaggi floreali raccolti durante il percorso, specialmente nelle soste; e che fra Bologna e Pistoia fu necessario scindere il treno, dotandolo di due locomotrici, per consentire il più agevole superamento dell’Appennino (in assenza della successiva «direttissima» realizzata negli anni Trenta).

3 Nell’ambito della bibliografia dedicata al Milite Ignoto, e più specificamente alle Spoglie custodite nel Vittoriano, assume importanza prioritaria l’opera di Bruno Tobia, L’Altare della Patria, Il Mulino, Bologna 2011, 144 pagine. Il volume, corredato da un’esauriente documentazione di supporto, anche di filmografia, e da una bella documentazione fotografica, riassume in felice sintesi le vicende principali del Sacrario, dalle difficoltà finanziarie in corso d’opera alle discussioni circa la sistemazione della statua di Vittorio Emanuele II. Lo stesso può dirsi per la memorabile inaugurazione e per l’utilizzo sistematico che ne fu fatto durante il periodo fascista, con una lunga serie di presenze «eccellenti» (ivi compresa la visita di Adolf Hitler del 4 maggio 1938), per finire a quello, tardivo e sofferto, ripreso a parecchi anni da fine guerra dopo avere superato non senza difficoltà le diffuse pregiudiziali antimilitariste dell’epoca e riscoperto il valore patriottico e simbolico del Soldato Ignoto. A prescindere dalle contingenze storiche, Tobia non ha mancato di mettere in luce che quella dell’Altare è «una continuità senza tempo» appartenente alla coscienza collettiva certamente trasversale, o meglio universale, perché oggi tanti Paesi onorano il proprio Milite Ignoto quale simbolo di valori perenni. Nella stessa ottica si pone, sempre di Tobia, la sintesi del Vittoriano, in Luoghi della Memoria: simboli e miti dell’Italia Unita, a cura di Mario Isnenghi, Editori Laterza, Roma-Bari 2010, pagine 289-300. Vi si esprime, fra l’altro, l’idea oggettivamente condivisibile secondo cui la tumulazione del Milite Ignoto nell’Altare della Patria sarebbe stata la cerimonia più importante «dell’intera epoca liberale» in un quadro politicamente e psicologicamente nuovo, dove il Soldato Sconosciuto sottrae al Sovrano «l’onore di sintetizzare i valori nazionali» (Ibidem, pagina 298).

4 Un riferimento senza mezzi termini all’intervento risolutivo nella scelta del materiale che sarebbe stato attuato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli, è quello formulato da Silvio Negro («Corriere della Sera») nelle testimonianze critiche poste in premessa alla seconda edizione della Patria di marmo di Marcello Venturoli. Un’interpretazione analoga, sebbene più sfumata, è quella proposta nella stessa sede da Elena Craveri Croce («Il Punto»). Sta di fatto che la decisione favorevole al botticino, a prescindere dalle valutazioni tecnologiche ed estetiche, diede luogo a costi ben maggiori, a cominciare da quelli del trasporto ferroviario di 10.000 metri cubi netti di pietra (pari a quasi 30.000 tonnellate) tramite centinaia di convogli da Rezzato (Brescia) a Roma, e dalla necessità di costruire un adeguato scalo d’arrivo in zona Ostiense dove era stato predisposto un grande cantiere di trasformazione e finitura.

5 Non erano stati da meno i primi due anniversari, anche se quello del 1921 divenne particolarmente memorabile per l’inumazione del Milite Ignoto nel Vittoriano. Come ebbe a ricordare il Presidente del Consiglio in carica durante quest’ultima occasione, Ivanoe Bonomi, il 4 novembre 1920 egli stesso, allora Ministro della Guerra, nella cerimonia tenutasi sul grande monumento che un anno dopo sarebbe diventato l’Altare della Patria, ebbe l’onore di «illustrare il grande significato della nostra Vittoria, e di esaltare il valore delle forze armate italiane» non senza salutare «la riscossa spirituale del Paese» che ne era scaturita, dando un contributo di alto rilievo a quella del «sentimento nazionale» (confronta Ivanoe Bonomi, La politica italiana dopo Vittorio Veneto, Einaudi, Torino 1953, pagina 157). In realtà, non mancavano parecchie ombre, essendo in corso le trattative che nel giro di qualche giorno avrebbero portato alla firma del trattato di Rapallo fra Italia e Regno degli Slavi del Sud (la futura Jugoslavia), e nel successivo dicembre, al Natale di Sangue fiumano e alla fine dell’Impresa di Gabriele d’Annunzio; ma il valore simbolico e maieutico della ricorrenza era già consolidato nell’anima popolare ancor prima che nell’Italia ufficiale. In quest’ultimo ambito, una svolta importante era nell’aria: con la scomparsa di Papa Benedetto XV (22 gennaio 1922) e l’avvento al Soglio Pontificio del successore Pio XI, l’Arcivescovo di Milano Achille Ratti, l’atteggiamento del Partito Nazionale Fascista, costituito a Roma nello scorcio conclusivo del 1921 in sostituzione della precedente strategia movimentista, promosse la nuova immagine di un Mussolini pronto a tessere gli elogi del defunto Pontefice sollecitandone la commemorazione a Montecitorio. L’assunto vale a più forte ragione per l’atteggiamento nei riguardi del nuovo Papa, cogliendo l’occasione per rammentarne l’atteggiamento favorevole ai gagliardetti fascisti proprio in occasione della cerimonia per il Milite Ignoto che si era svolta nella Cattedrale di Milano. Ciò, senza dire che il futuro Duce approfittò dell’occasione per auspicare l’avvento di rapporti migliori fra Italia e Vaticano, aprendo la strada agli sviluppi che avrebbero portato alla Conciliazione, tanto più che, come non era più accaduto da Porta Pia in poi, il nuovo titolare della Cattedra di San Pietro avrebbe dato inizio al Pontificato benedicendo il popolo dalla loggia esterna della Basilica di San Pietro.

6 Dopo il 1921, le celebrazioni del Milite Ignoto assunsero carattere rituale, sia pure con rilevanti partecipazioni popolari. Un’eccezione contraddistinta da rinnovati livelli di consenso fu quella del 18 dicembre 1935 per la «consegna dell’oro alla Patria» quale risposta alle sanzioni che un mese prima la Società delle Nazioni aveva decretato nei confronti dell’Italia, a seguito della sua «avventura etiopica». La Regina Elena, in quell’occasione, fece dono della propria fede nuziale proprio sull’Ara della Patria come risposta agli «imperialismi delle Nazioni plutocratiche», con un esempio largamente seguito in tutto il Paese (per ogni maggiore dettaglio, confronta Bruno Tobia, L’Altare della Patria, pagine 105-107). Soltanto in tempi più recenti, l’omaggio al Milite sarebbe ripreso in misura conforme alle fervide tradizioni iniziali. Dopo l’avvento della Repubblica col «referendum» del 1946, al difficile superamento delle forti discrasie lasciate dalla grande tragedia della guerra, e soprattutto di quella civile, sarebbe arrivato in soccorso «ancora una volta il Fante Ignoto», dando al Vittoriano – «indiscutibilmente e per sempre» – il compito di attestare la ritrovata «unità nazionale» (Ibidem, pagina 109), in cui la statua del «Gran Re» Vittorio Emanuele II di Savoia ha finito per diventare «ornamento del piccolo Sepolcro» che intende onorare tutti i Caduti.

(gennaio 2022)

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