Bonifica dell’Agro Pontino: una storia complessa
Pagine plurisecolari di una difficile redenzione umana e civile

Il problema delle paludi pontine infestate dal fango e dalla malaria fu conosciuto sin dai tempi antichi in tutta la sua drammatica realtà infrastrutturale, strategica e sanitaria: i primi ad affrontarlo in maniera costruttiva furono i Romani, già dall’epoca repubblicana, soprattutto per rendere più agevole e funzionale il percorso della Via Appia elidendo la strozzatura di 19 miglia che imponeva un transito per via d’acqua a monte di Terracina, con tempi globali di percorso fortemente rallentati. In questa ottica si debbono ricordare i tentativi compiuti da diversi Imperatori, quali Giulio Cesare, Traiano e Nerva, per colmare le zone acquitrinose dell’Agro, poi frustrati dalla decadenza politica e militare e da lunghi periodi di totale incuria[1].

In particolare, Giulio Cesare aveva compreso la necessità di risolvere il problema della viabilità lungo l’Appia facendo costruire un canale contiguo alla strada consolare: intuizione magistrale sia dal punto di vista dei collegamenti, sia da quello di un’infrastruttura che anticipava di un millennio e mezzo un’idea di Leonardo da Vinci, e di due millenni il principio fondamentale della bonifica del Novecento, relativo alla necessità di convogliare le acque verso il mare.

Dopo la caduta dell’Impero Romano, un nuovo esperimento bonificatore coronato da qualche effimero successo fu dovuto a Teodorico, il condottiero degli Ostrogoti destinato alla celebrità soprattutto per il suo Mausoleo di Ravenna[2]: lo ricordano due epigrafi poste sulla vecchia strada consolare, ma anche questo progetto di risanamento ebbe breve durata, vanificato dalla natura ostile. Toccò ai Pontefici del secondo millennio – ormai diventati «autentici Sovrani temporali» – il compito di tentare il recupero della palude, tanto più arduo per i limiti dei mezzi a disposizione e per l’opera degli agenti atmosferici che avrebbe richiesto, dopo l’intervento iniziale, grandi lavori di manutenzione. Un progetto piuttosto ambizioso, pur essendo limitato al comprensorio Nord-Orientale dell’Agro, fu quello di Bonifacio VIII, il noto protagonista dell’oltraggio a opera di Sciarra Colonna e contemporaneo di Dante, mentre un secolo più tardi altre esperienze bonificatrici furono compiute da Martino V, che avrebbe tentato l’escavazione del Rio omonimo.

L’impresa era dura: dopo alcuni approcci di minore impatto, un nuovo programma impegnativo di bonifica venne avviato all’inizio del XV secolo da Leone X, appartenente alla grande famiglia fiorentina dei Medici, fra i più grandi banchieri dell’epoca, che vide nell’impresa la speranza di prosciugare la palude, ma anche la ripresa dell’economia e in prospettiva, una redditizia speculazione agraria.

Infatti, i lavori vennero affidati alla sovrintendenza di Giuliano de’ Medici, fratello del Papa, con costi a suo carico, ma in cambio del diritto di proprietà sui terreni bonificati. L’opera si avvalse della collaborazione di Leonardo da Vinci che ne fece menzione nel suo trattato Del moto e misura dell’acqua e provvide a scavare il Canale Portatore, con un discreto risultato temporaneo ma nello stesso tempo con forti malcontenti dei Terracinesi che avevano venduto a poco prezzo i propri terreni, salvo vederne crescere a dismisura le quotazioni, tanto da decidere per l’ostruzione della foce, che avrebbe vanificato i benefici ottenuti. La scomparsa di Papa Leone diede luogo a ulteriori ostacoli che compromisero la prosecuzione dei lavori, ma resta il fatto che la grande bonifica del Novecento, almeno a grandi linee, e in particolare nella realizzazione del grande canale scolmatore, si sarebbe ispirata proprio alle intuizioni di Leonardo.

Alla fine del Rinascimento, il problema pontino venne affrontato nuovamente da Sisto V, che si era prefisso di bonificare anche il falsopiano di Orvieto e le coste della Romagna, impegnandosi personalmente nel controllo dei lavori dalle alture circostanti l’Agro e nella lotta contro il brigantaggio: verso il 1589 erano al lavoro nelle paludi circa 2.000 operai. Tuttavia, l’iniziativa fu fatale allo stesso Pontefice che durante un sopralluogo in zona venne colpito dall’infezione malarica, cui avrebbe dovuto soccombere in tempi brevi: all’epoca, non c’erano antidoti nemmeno per i Papi.

Seguirono decenni di sostanziale disimpegno nonostante i tentativi di coinvolgere i privati nell’impresa bonificatrice, a cominciare da quelli della famiglia Odescalchi, che furono costretti a confrontarsi con ostacoli di vario genere, alcuni dei quali piuttosto forti: fra gli altri, l’opposizione dei pescatori di palude, che non vedevano con favore la concorrenza di attività difformi dal loro pur precario interesse e dalla loro unica fonte di sostentamento.

Nel frattempo il territorio era diventato oggetto di crescenti insediamenti temporanei nelle capanne (le cosiddette «lestre») dove la vita si svolgeva in condizioni di assoluta miseria, e dove le condizioni igieniche inducevano una mortalità particolarmente alta. D’altra parte, l’economia di sopravvivenza tipica del comprensorio produceva – paradossalmente – importanti motivi di ostracismo ai tentativi di bonifica che non potevano essere accettati in quel sistema primitivo, lontano da qualsiasi parvenza di organizzazione giuridica ed economica della società. Fra le opposizioni si deve segnalare anche quella dei cacciatori che scendevano dai villaggi collinari per rapide incursioni nelle paludi[3].

In siffatta condizione marginale, fallirono ulteriori tentativi di buon rilievo come quello di Clemente XIII intorno alla metà del XVII secolo, mentre più tardi ebbe qualche maggior fortuna, sia pure limitata, quello di Pio VI, che si era affidato a uno scienziato di chiara fama quale l’Abate Leonardo Ximenes e a tecnici provetti come l’idraulico bolognese Gaetano Rippini o il geometra pontificio Angelo Sani, con l’ausilio di oltre 4.000 operai: sono di quest’epoca le iniziative coltivatrici di terreni bonificati, con l’intervento di almeno 15 imprese agricole, alcune delle quali indigene e altre emiliane e romagnole, in questo precursori del Novecento.

Anche i tentativi di Pio VI non ebbero molta fortuna perché gli interventi di bonifica avrebbero avuto bisogno di maggiori supporti strutturali e finanziari, comunque aleatori nella logica di una Monarchia assoluta ma non ereditaria come quella dello Stato Pontificio, in quanto tale mutevole, e inidonea a programmare interventi a lungo termine, viste le diverse vocazioni di parecchi Papi in materia di investimenti.

Il breve periodo napoleonico, nonostante taluni programmi di ampio respiro, non vide alcun progresso sostanziale mentre i tempi della Restaurazione furono dedicati a lucrare le rendite e a compiere opere di manutenzione sui vecchi lavori di Pio VI. Grandi speranze emersero anche per l’Agro nel lungo Pontificato di Papa Mastai Ferretti, quel Pio IX «innovatore» che avrebbe voluto programmare lavori importanti nonostante l’opposizione degli enfiteuti, salvo dovervi rinunciare per le difficoltà finanziarie che caratterizzarono – in maniera più pesante di prima – gli ultimi anni del potere temporale. Nel 1862, superando non poche polemiche, il Papa fece costituire il «Consorzio Idraulico della Bonificazione Pontina» chiamando alla sua presidenza il marchese Giuseppe Ferrajoli, ai cui figli sarebbe succeduto nel 1895 il principe Felice Borghese: ma si trattò di un atto formale con poca valenza concreta, pur nell’ambito di una fortunata proiezione avvenire.

Con l’avvento di Roma capitale dello Stato Italiano Unitario (1870-1871) vennero avviati nuovi progetti di bonifica integrale dell’Agro, ma all’atto pratico fu possibile eseguire soltanto ulteriori lavori di manutenzione. Nel 1900 il territorio pontino venne inserito in prima categoria fra quelli che la nuova legge in materia ammetteva alla fruizione di «più larghe provvidenze» e due anni dopo venne presentato un progetto di spesa specifica per tre milioni e mezzo di lire, ma nel 1917 si doveva constatare che nessun importante lavoro «sia tecnico sia economico era stato svolto». Ciò, anche a fronte delle spese belliche che avevano sottratto quote rilevanti delle disponibilità finanziarie destinate alle opere pubbliche, e più generalmente, alla politica di sviluppo.

Nella sostanza, anche nello scorcio iniziale del Novecento la vita nella palude andava continuando nelle orribili fattispecie ereditate dai secoli precedenti e dava luogo a condizioni socio-economiche di accentuato sottosviluppo e di mera sopravvivenza, se non anche di degrado, tristemente simboleggiate nell’omicidio di Maria Goretti (1902) che qualche decennio più tardi sarebbe stata elevata alla gloria degli altari[4] da Papa Pio XII.

I grandi sacrifici umani indotti dalla Grande Guerra ebbero conseguenze indirette ma importanti per il futuro dell’Agro. Infatti, con l’istituzione dell’Opera Nazionale Combattenti venne statuito il principio straordinario di distribuire la terra ai reduci dal fronte, che non ebbe apprezzabile seguito immediato – anche per l’opposizione dei grandi proprietari agricoli – nonostante l’impellente necessità di assicurare un avvenire dignitoso a milioni di ex combattenti, ma non fu estraneo ai successivi sviluppi della bonifica pontina nel quadro della politica agraria perseguita dal Governo Italiano e dei conseguenti sviluppi dell’edilizia, tradotti nella realizzazione, non soltanto sul territorio metropolitano, di ben 147 «Città di fondazione»[5].

Sin dal 1924 il problema del risanamento pontino era stato affrontato con l’acquisto, da parte dello Stato Italiano, di 20.000 ettari di proprietà Caetani (gli ultimi eredi di Bonifacio VIII) situati nella zona attualmente compresa fra Cisterna e Latina, e col conseguente avviamento di alcuni tentativi di bonifica nell’ambito dell’apposito Consorzio di Piscinara. Una svolta radicale, peraltro, si ebbe dopo altri quattro anni con la Legge 24 dicembre 1928 numero 3.134, in cui veniva statuita la facoltà di procedere a esproprio per i terreni abbandonati o improduttivi situati nell’Agro: un provvedimento dirompente, in cui non era azzardato ravvisare l’influsso della Carta del Carnaro di Gabriele d’Annunzio (1920) dove i proprietari «infingardi» erano suscettibili di revoca per pubblico interesse.

Il salto definitivo di qualità per la realizzazione di un’iniziativa efficace e duratura (la cosiddetta bonifica «integrale» che avrebbe programmato un risanamento finalizzato ai successivi insediamenti dei coloni) venne compiuto durante il periodo fascista, con particolare riguardo agli anni Trenta, sotto l’energica guida del conte Valentino Orsolini Cencelli, grande mutilato, fratello di un ufficiale scomparso durante il conflitto, deputato della XVII legislatura, Commissario straordinario dell’Associazione Famiglie dei Caduti, ma soprattutto, grande organizzatore e uomo di notevole apertura sociale. In qualche misura, nell’Agro ebbe luogo una vera epopea, a cui si sarebbe guardato con significativo interesse anche da parte di altri Stati (secondo le notizie dell’epoca, non meno di una dozzina).

Nella lunga storia della bonifica pontina[6] quella del Novecento costituisce – in ultima analisi – la parte oggettivamente e giustamente più nota, anche per il determinante contributo ai lavori offerto dall’immigrazione interna, con riguardo prioritario a quella in arrivo dal Friuli e dal Polesine; e nello stesso tempo, per essere riuscita a superare senza danni duraturi il disastro della Seconda Guerra Mondiale, dei drammatici combattimenti che nel 1944 fecero seguito allo sbarco anglo-americano di Anzio, e dei danni provocati alle opere infrastrutturali, con particolare riferimento al complesso regime idraulico. Ciò significa che i lavori della grande bonifica erano stati compiuti con mezzi adeguati, con imponente concorso di manodopera collaborativa, e soprattutto con una volontà politica unitaria suffragata dal consenso popolare.

L’attesa plurimillenaria dell’Agro Pontino, piena di delusioni e illusioni, era destinata a concludersi in modo irreversibile proprio nel cosiddetto «secolo breve»: laddove poco o nulla avevano potuto gli Imperatori Romani e una lunga serie di Pontefici, grazie all’energico impegno governativo e all’impetuosa immigrazione programmata, in tempi brevi sarebbero sorti – oltre ai numerosi Borghi che ricordano nei loro nomi tante gloriose vicende della Grande Guerra – parecchi nuovi aggregati urbani di rilievo come quelli del capoluogo Littoria (l’attuale Latina – rinominata come tale nel 1945), nonché di Aprilia, Pomezia, Pontinia e Sabaudia; e si sarebbe compiuta una grande rivoluzione civile, economica e umana.


Note

1 La questione delle bonifiche italiane, vecchia di millenni, non ha coinvolto soltanto l’Agro Pontino: basti pensare alle analoghe esigenze che storicamente si sono manifestate in altri comprensori di rilievo quali Delta del Po, Maremma, Tavoliere, Campidano, Bassa Friulana, Istria. Nondimeno, quella dell’Agro ha suscitato maggiori attenzioni politiche e storiografiche, sia per la vastità del territorio, sia per l’ampiezza dei problemi infrastrutturali, oltre che per quelli d’immagine derivanti dalla contiguità con la provincia di Roma, e il conseguente aspetto prioritario che tali questioni assunsero in epoche sia pontificie che unitarie. È da aggiungere che, fatta eccezione per la Maremma e le sue bonifiche avvenute in tempo granducale a iniziativa dei Lorena, gli interventi risolutivi compiuti negli altri distretti appartengono invariabilmente al Novecento. A livello europeo, si deve sottolineare che soltanto in Olanda sono state effettuate bonifiche di maggiore entità territoriale rispetto a quelle italiane: il problema strategico venne proposto in termini operativi e programmatici sin dal 1898 con l’istituzione dell’apposita «Società per gli Studi sulla Malaria» a cura di Giustino Fortunato, Leopoldo Franchetti e Angelo Celli, e una decina d’anni dopo, con l’istituzione del Magistrato alle Acque, che avrebbe dovuto coordinare le opere di bonifica nell’intento di risanare i territori avviandoli all’attività agricola, ma soprattutto di tutelare la salute pubblica; nondimeno, risultati probanti vennero conseguiti solo in distretti dalle dimensioni limitate come le Valli Veronesi e una parte del Polesine, anche alla luce del massiccio drenaggio finanziario richiesto dalla Guerra di Libia, dalla Grande Guerra e dalla successiva ricostruzione (confronta Elisabetta Novello, La bonifica in Italia: Legislazione, credito e lotta alla malaria dall’Unità al fascismo, Edizioni Franco Angeli, Milano 2003, 320 pagine).

2 Il Mausoleo di Teodorico, a prescindere dai valori artistici, si distingue per caratteri tecnici e strutturali di particolare rilievo come il grande «coperchio» costituito da un monolite in pietra dell’Istria per un peso di circa 400 tonnellate, tanto più ragguardevole alla luce degli enormi problemi di trasporto che fu necessario affrontare e risolvere per consentirne la messa in opera.

3 La caccia era formalmente vietata ma tale norma era puramente deontologica. Del resto, l’abbondanza della fauna non attirava soltanto butteri e villici delle colline, ma anche i nobili romani che, ospiti dei Caetani, si dilettavano in lunghe battute. Il più celebre «cacciatore» dell’Agro fu Wolfgang von Goethe, che rimase entusiasta dell’avventura, sino al punto di definire quel territorio come luogo di particolare fascino.

4 Maria Goretti (oggi Patrona di Latina e dell’Agro Pontino) venne uccisa nel 1902 non ancora dodicenne; fu beatificata nel 1947 e proclamata Santa il 24 giugno 1950 davanti a un’immensa folla convenuta in Piazza San Pietro. Il suo assassino, Alessandro Serenelli, che Maria aveva perdonato in punto di morte e che si sarebbe convertito in carcere, venne condannato a 30 anni di reclusione, e graziato dopo averne scontati 27. Sulla vicenda della Santa, venerata nel Santuario di Nettuno, esiste una bibliografia piuttosto vasta (senza dire di un film interpretato da Claudia Koll e Massimo Bonetti): per la maggior parte, si tratta di testi a carattere agiografico, come quelli di Giovanni Alberti, Dino De Carolis, Paolo Padoan, e soprattutto del Cardinale Angelo Comastri. Improntata ad altra valenza storiografica e critica è l’opera di Giordano Bruno Guerri, Povera Santa, povero assassino: la vera storia di Maria Goretti, Bompiani 2008 (già uscita nel 1985 per i tipi di Mondadori).

5 Sull’argomento, confronta Antonio Pennacchi, Fascio e martello: Viaggio per le Città del Duce, Edizioni Laterza, Bari 2008, XX-342 pagine. L’opera si estende anche alle Città di fondazione create in altre Regioni Italiane e nelle Colonie, inquadrandosi nella produzione specialistica dell’Autore, dedicata alle vicende della sua terra pontina, cui si riferisce prioritariamente, fra i vari titoli, il celebre Canale Mussolini (in due volumi concernenti rispettivamente l’epoca fascista e quella successiva, e oggetto di varie ristampe).

6 La bibliografia concernente la storia dell’Agro e del suo sofferto risanamento, nonostante l’importanza dell’argomento è relativamente ampia ma non immensa. Al riguardo, un’opera di costante riferimento è quella prodotta dall’Istituto di Studi Romani, La Bonifica delle Paludi Pontine, con scritti di Giulio Alessandrini, Roberto Almagià, Enrico Clerici, Fabrizio Cortesi, Araldo di Crollalanza, Pietro Frosini, Giuseppe Lepri, Valentino Orsolini Cencelli, Manlio Pompei, Natale Prampolini, Giuseppe Tommasi, Alberto Paolo Torri, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 1935-XIV, 332 pagine. Della stessa epoca, confronta Valentino Orsolini Cencelli, Le Paludi Pontine attraverso i secoli (Conferenza del 24 gennaio 1934), Edizioni Novecento, Latina 1994, 80 pagine; e la suggestiva silloge di Corrado Alvaro, Terra Nuova: prima cronaca dell’Agro Pontino, Istituto Nazionale di Cultura Fascista, Roma 1934 (oggetto di ulteriori pubblicazioni tra cui quella a iniziativa della Casa di edizioni «Vita Felice», Roma 1989). Un testo più recente, agile ma esaustivo, si deve a Francesco D’Erme, Storia della Bonifica Pontina, Edizioni Sabino Vona, Latina 2010, 152 pagine. A 85 anni dall’elevazione di Littoria al rango di Capoluogo della nuova Provincia Pontina (18 dicembre 1934) è d’uopo rammentare anche: Littoria, una storia per immagini, a cura di Massimiliano Vittori, Edizioni Novecento / Fratelli Alinari, Latina / Firenze 2010, 232 pagine (con ampia documentazione fotografica). Non mancano le testimonianze dirette di protagonisti della bonifica: un esempio particolarmente significativo è quello di Vincenzo Rossetti, Dalle paludi a Littoria – Diario di un medico, Casa Editrice Palombi, Latina 2018, 324 pagine (quinta edizione di un’opera coinvolgente e documentata, che vide la luce per la prima volta nel 1936 ed è stata oggetto di successivi aggiornamenti e integrazioni). Nella stessa ottica, e con un occhio di riguardo alle drammatiche conseguenze che il Secondo Conflitto Mondiale indusse in terra pontina a seguito del parziale allagamento voluto dalla Wehrmacht per frenare lo sbarco alleato di Anzio, e che avrebbero potuto compromettere gravemente la bonifica qualora non fosse intervenuto il successivo risanamento con aiuti americani, confronta Pier Giacomo Sottoriva, I giorni della guerra in provincia di Littoria e nell’Agro Pontino, Edizioni Cipes, Latina 1974.

(novembre-dicembre 2019)

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