L’Aquila Fiumana
Simbolo di una storia complessa e di forte passione italica

Il 4 novembre 1919, il primo anniversario della Vittoria venne celebrato in tutta Italia: è facile immaginare con quale concorso di bandiere e di gagliardetti, e con quanti sacrosanti onori ai caduti, ai mutilati ed ai combattenti di quella che, a distanza di quasi un secolo, sarebbe stata considerata – quale conclusione del cosiddetto «Risorgimento lungo» – alla stregua di una vera e propria «Quarta Guerra d’Indipendenza» (la definizione è del grande storico francese Gilles Pécout).

A Fiume, che i Legionari di Gabriele d’Annunzio avevano occupato da sei settimane, si confidava in un esito conforme agli auspici di annessione all’Italia, formulati un anno prima dal Consiglio Comunale e condivisi da una larga maggioranza, anche se i problemi non mancavano, come avrebbe dimostrato la storia dell’anno successivo, conclusa con la tragedia del «Natale di Sangue». In tale situazione non fu affatto straordinario l’evento di cui si resero protagonisti due Arditi che avevano seguito il Comandante nell’Impresa di Ronchi: il tenente Guglielmo Barbieri[1] ed il tenente Alberto Tappari.

Non senza qualche rischio, i due ufficiali scalarono la Torre Civica di Fiume e tagliarono una testa dell’Aquila bicipite che costituiva l’emblema cittadino, avendo cura di inserire una Bandiera tricolore nel troncone mozzato: fu un gesto altamente simbolico la cui fotografia fece subito il giro del mondo. Infatti, l’Aquila in questione (alta due metri e 20, con un’apertura alare di tre ed un peso di 20 quintali) simboleggiava la duplice Monarchia autocratica le cui sorti erano precipitate, rapidamente ed irrimediabilmente, nel disastro del novembre 1918, quando i resti delle sue armate risalirono «in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza» (Armando Diaz, Bollettino della Vittoria).

L'Aquila di Fiume

Aquila monocipite, 4 novembre 1919, Fiume

Il taglio chiudeva una lunga epoca di dominio asburgico. Infatti, il diritto di fregiarsi dell’Aquila bicipite, simbolo della Casa Regnante, era stato riconosciuto a Fiume sin dal 1659 ad iniziativa dell’Imperatore Leopoldo I e sottolineava lo stretto legame in essere da secoli fra il capoluogo del golfo quarnerino, da una parte, e le due capitali Vienna e Budapest, dall’altra. Nel 1906, in occasione della festa patronale di San Vito (15 giugno), ad iniziativa di alcune donne fiumane, lo scultore Vittorio De Marco aveva modellato una nuova Aquila, con un’impronta meno asburgica nello sguardo univoco verso Roma, quasi a sottolineare le nuove attese, ma pur sempre bicipite; in quell’occasione, gli irredenti vollero inneggiare comunque all’innovazione, con particolare riferimento «all’ala tesa pronta a difesa della città» ed all’opportunità di far sapere ai «popoli anche lontani che qua si parla italiano».

Più tardi, nelle mutate condizioni di tempo e soprattutto di spirito, i Legionari dannunziani non guardarono troppo per il sottile, e ritennero che la presenza di una sola testa avrebbe simboleggiato meglio i valori di romanità e di italianità. Non era un’offesa alle tradizioni, ma il suggello di una Vittoria che sul piano militare era stata totale.

La storia non finisce qui: nel secondo dopoguerra, dopo la conquista di Fiume da parte delle forze di Tito e l’estremo sacrificio di tanti suoi abitanti colpevoli dell’imperdonabile «delitto di italianità» (1945), l’Aquila venne distrutta in una sorta di anacronistico furore iconoclastico ed alcuni frammenti vennero raccolti dai cittadini, prima di un Esodo che avrebbe condannato alla diaspora una larghissima maggioranza della popolazione.

Soltanto in tempi recenti, dopo oltre 60 anni di oblio, una nuova Aquila stilizzata, dalle dimensioni inferiori a quella tradizionale, è ritornata sulla Torre Civica; ma non è più quella della tradizione asburgica, e meno che mai, quella della Reggenza dannunziana.

Le vicende dell’Aquila fiumana non si differenziano troppo da quelle di tanti altri simboli ed hanno assunto connotati ed interpretazioni mutevoli secondo il fluire dei tempi. Oggi, a fronte di un giudizio storico per quanto possibile oggettivo, si riconosce in modo sostanzialmente unanime che quella monocipite deve ritenersi un emblema dell’italianità di Fiume, mentre quella bicipite, omaggio storico alla duplice Monarchia cancellata dalla Grande Guerra, ha finito per diventare un’espressione aggiornata, anche se approssimativa, di un nuovo multiculturalismo più apparente che reale perché la stragrande maggioranza dell’odierna popolazione è slavo-croata, e comunque d’importazione, mentre quella italofona si è ridotta ad una quota davvero marginale, sottolineando il carattere plebiscitario dell’Esodo.

A circa cento anni dall’Impresa di Ronchi e dalla conquista di Fiume senza colpo ferire da parte del piccolo Esercito Legionario, diversamente da quanto accadde al termine della Reggenza con lo scontro fratricida fra dannunziani e giolittiani (quasi una prova di guerra civile), non sfugge alla valutazione storiografica «senza amore e senza odio» conforme all’insegnamento di Tacito che il gesto di Guglielmo Barbieri e di Alberto Tappari non ebbe alcun carattere goliardico né tanto meno offensivo, come qualcuno ha voluto affrettatamente insinuare; al contrario, fu l’attestazione di una fede che accomunava tutti i Legionari senza distinzioni di grado, di estrazione sociale e di opinioni politiche, perché avevano un solo partito: l’Italia. Non quella delle camarille e delle consorterie ma quella vera, che aveva combattuto e sofferto eroicamente sul Grappa e sul Piave, ed era stata illuminata dal sole di Vittorio Veneto.


Note

1 Guglielmo Barbieri, oltre ad avere organizzato l’impresa del 4 novembre 1919 sulla Torre Civica, è l’Autore di una grande opera memorialistica sulla lunga vicenda dannunziana (L’Album dell’Olocausta: la passione di Fiume dal Plebiscito del XXX ottobre MCMXVIII all’Annessione, Archeo Tipografia, Milano 1932, 570 pagine). Il volume, oggi praticamente introvabile, venne stampato in 1.433 esemplari numerati e contiene, fra l’altro, l’elenco nominativo di tutti i Legionari; di particolare interesse, oltre alla ricchissima documentazione iconografica, è la riproduzione di una dedica manoscritta del Comandante «al tenente Guglielmo Barbieri, che dopo la Bicipite ha molte altre vecchie bestie da decapitare per rendere finalmente italiana Fiume d’Italia».

(febbraio 2016)

Tag: Carlo Cesare Montani, 1919, Aquila fiumana, anniversario della Vittoria, Prima Guerra Mondiale, Quarta Guerra d’Indipendenza, Gilles Pécout, Gabriele d’Annunzio, Fiume, Natale di Sangue, Impresa di Ronchi, Guglielmo Barbieri, Alberto Tappari, Aquila di Fiume, Armando Diaz, Leopoldo I, San Vito, Vittorio De Marco, Legionari dannunziani, Tito, delitto di italianità, Grande Guerra, Fiume d’Italia.