Trieste
Tra passato e presente, in una bellissima – ma ai più poco conosciuta – città d’Italia

Che disdetta, ora la scopriranno proprio tutti! Trieste è finita in cima alla speciale classifica che «Lonely Planet» ha dedicato alle più belle città, meno celebrate, del mondo. Quelle snobbate dai turisti, rapiti da altri luoghi di fascino sfacciato e facile approdo.

Per anni Trieste ha vissuto nel torpore di una frontiera pesante, che ne ha segnato la storia e ne ha scritto il declino economico. «Andarci è un viaggio. È lontanissima» era, ed è ancora, il commento più diffuso. Il viaggio era, se possibile, ancor più lungo per una Friulana che nella città di Svevo e Saba ha deciso di andarci a studiare. Fuori dagli stereotipi e dalle barzellette, i 76 chilometri che separano Udine dal capoluogo giuliano racchiudono un mondo di differenze.

Panorama

Panorama di Trieste (Italia); fotografia di Simone Valtorta, 2003

Prima di tutto il mare, che ha forgiato il passato cosmopolita della città e il suo destino commerciale e culturale. Arrivando a Trieste in treno o in auto lungo la costiera, nei giorni di sole sembra di correre sul bordo di una coperta di velluto che si perde all’orizzonte, punteggiata da qualche nave, interrotta a un certo punto dal promontorio di Grignano. Lì dove lo volle Massimiliano d’Asburgo, sorge il castello di Miramare che lo sfortunato Imperatore non vide mai finito.

Miramare

Il castello di Miramare a Trieste (Italia); fotografia di Simone Valtorta, 2003

Il parco che lo cinge è uno dei posti più belli e romantici della città. La vera passione di Massimiliano: 22 ettari di alberi che arrivano da ogni parte del mondo. Molti scelti da lui stesso, in Messico, prima di morire per difendere il suo fragilissimo Impero. E poi laghetti, sentieri tortuosi, gazebo. Un giardino all’italiana con i tavolini della «Kaffehaus», dove a primavera ci si può sedere per sfogliare un libro o smarrirsi nel lembo di Adriatico che occhieggia oltre le aiuole fiorite.

Parco di Miramare

Parco del castello di Miramare a Trieste (Italia); fotografia di Simone Valtorta, 2003

Lasciato Miramare (com’è difficile farlo!) ci si avvicina alla città costeggiando la lunga camminata in pietra di Barcola. D’estate si riempie di Triestini che arrostiscono al sole, arrivando in sella a motorini talvolta davvero scassati, ma sufficientemente stabili per caricarci la sdraio.

Superata la stazione ferroviaria, e la vecchia autostazione trasformata in una deliziosa sala teatrale, si giunge alle rive, che separano il vecchio porto dalla città.

Piazza Unità d’Italia è un sontuoso palcoscenico spalancato sul mare. Da qualunque punto si guardi, lascia senza fiato. Dando le spalle al palazzo del Municipio, di fronte c’è il blu e uno spicchio di Molo Audace, a destra Casa Stratti dove si trova lo storico Caffè degli Specchi chiuso per crisi, dovrebbe riaprire presto grazie a un investimento della veneta Segafredo-Zanetti che ha battuto in corsa la triestinissima Illy. A sinistra il palazzo dei Lloyd.

Piazza Unità d’Italia non è solo il cuore e il salotto della città, ne divide in qualche modo le anime, da un lato Piazza della Borsa e il borgo teresiano, oltre il portico del municipio la città vecchia.

Piazza Unità d’Italia

Piazza Unità d’Italia a Trieste (Italia); fotografia di Simone Valtorta, 2003

L’eleganza neoclassica del quartiere voluto da Maria Teresa d’Austria intorno al Canal Grande, o meglio Ponterosso come tutti lo conoscono, opposta alle tracce del passato romano, al vecchio ghetto ebraico e alla zona dei bordelli.

Ponterosso è un quadro sospeso tra antico e moderno, uno spicchio di Balcani con il profumo di Venezia. Nelle vie adiacenti convivono negozi delle marche internazionali e piccoli antri magici, botteghe ricolme di padelle e tappi, scolapasta e grattugie affastellati in un disordine ordinatissimo.

La «cità vecia» per anni in completo abbandono è stata in parte ristrutturata e ora ospita «bed & breakfast», ristorantini, bar. Passeggiando lungo le facciate rosicchiate dei palazzi, con le porte sbarrate da assi e i tetti bucati di Cavana, si poteva quasi udire il chiasso delle 20.000 persone che affollavano il quartiere agli inizi del Novecento, quando lo scrittore James Joyce viveva a Trieste. Il dedalo di vie stipate di famiglie e marinai di molte razze e lingue, come lo ha visto e raccontato l’autore di Ulisse, non esiste quasi più. Ma a tratti quel miscuglio di suoni, odori, loschi traffici e quotidiane fatiche si può ancora percepire.

Palazzi alteri e vecchi magazzini. Uno dei quali, il magazzino 26 al Porto Vecchio, da poco è diventato un bellissimo centro espositivo.

E poi, Trieste si nutre di riti: il caffè con la panna al Cremcaffè di Piazza Goldoni. Di emozioni: il profilo del porto che guizza dopo una curva mentre si scende da Opicina, o la città che si rimpicciolisce mentre a Opicina si sale con il mitico tram. Di sfide: non perdere l’equilibrio quando si cammina nelle strade che si inerpicano sui colli, mentre sferza la bora. Di piccoli piaceri: tuffare il naso nei vecchi volumi della libreria antiquaria che fu di Umberto Saba, passare un pomeriggio al Posto delle Fragole (nel parco dell’ex ospedale psichiatrico) o prendere il sole al Pedocin, i bagni comunali dove sopravvive la separazione tra i sessi. E di feste: vivere la Barcolana, storica regata che conquista anche i digiuni di vela.

Certo è difficile capire perché Trieste sia rimasta per tanto tempo fuori dalle rotte più battute, ma in fondo chi la ama, continua a sperare con un po’ di snobismo, che non diventi mai davvero di moda.

(luglio 2016)

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