La lotta politica nel dopoguerra
Il Partito Comunista negli anni successivi alla guerra ha seguito strategie diverse senza escludere il ricorso alle azioni di lotta più dure

La politica del Partito Comunista successivamente alla sua ricostituzione nel 1944 fu formalmente molto prudente. Il forte senso di realismo di Palmiro Togliatti lo spingeva ad un atteggiamento cauto, tuttavia altre importanti voci all’interno del partito, come quella di Pietro Secchia, erano per una politica diversa. Giorgio Bocca ha scritto nella sua biografia del leader comunista che Togliatti «sa che il partito ha una sua organizzazione paramilitare basata su quadri partigiani e non ne ordina lo scioglimento; sa che Secchia prepara un apparato clandestino, pronto a ogni evenienza e lascia fare, approva».

Il dopoguerra fu un periodo molto agitato, nell’estate del 1946 alcuni gruppi partigiani ripresero le armi e si arroccarono nelle valli piemontesi dove avevano combattuto. A Milano operava fino al 1949 la «Volante Rossa» che operava omicidi contro avversari politici e devastava le sedi dei partiti politici anche moderati, nelle province di Bologna, Reggio, Modena e Ferrara gli omicidi di proprietari terrieri e parroci erano numerosi. A proposito dei comunisti scrive il giornalista Luigi Barzini: «Erano ricchi, finanziati dal pingue bottino di guerra conquistato nella Valle Padana, dai forti contributi sovietici, dalle sottoscrizioni entusiaste degli iscritti. Erano armati, più potenti delle forze armate italiane e della polizia, limitate dal trattato di pace, poiché i comunisti possedevano quasi intatto l’apparato clandestino della Resistenza, con armi e munizioni… condannavano a morte chi volevano ed eseguivano le condanne senza che la legge, lo Stato, la polizia, i tribunali potessero intervenire». È abbastanza interessante notare che alcuni degli autori delle violenze, una volta scoperti vennero fatti sparire in Cecoslovacchia grazie al sostegno dei dirigenti di partito.

Successivamente alla costituzione del Cominform, e alle dure prese di posizione di Stalin e Zdanov sul mondo occidentale, la tensione crebbe fortemente. L’episodio più grave si ebbe cinque mesi prima delle famose elezioni del 18 aprile 1948. Gruppi armati comunisti guidati da uno dei massimi dirigenti del partito, Giancarlo Pajetta, presero d’assalto la Prefettura di Milano, e contemporaneamente attaccarono la sede della RAI, del giornale «Il Mattino d’Italia» e quella del Movimento Sociale Italiano. I rivoltosi imposero numerosi posti di blocco, costringendo le forze dell’ordine sulla difensiva. Non si ebbero vittime e gli incidenti rientrarono ben presto, comunque la tensione rimase a lungo molto alta. Negli anni successivi Pajetta dichiarò che una prova di forza era essenziale in quel momento storico. La politica scarsamente democratica del Partito Comunista Italiano, gli scioperi politici contro il Piano Marshall, le ambiguità sulla questione di Trieste, e i gravi fatti di Praga dove i socialisti avevano subito pesanti vessazioni da parte dei comunisti, spinsero ad un ripensamento anche all’interno della Sinistra non comunista. A seguito di questi episodi si ebbe una rottura a livello sindacale, mentre i socialisti di Saragat e il Partito Repubblicano di La Malfa, sebbene orientati a Sinistra sulle questioni economiche, preferirono non allinearsi al Fronte Popolare. Le elezioni del ’48 segnarono un forte arretramento di socialisti e comunisti rispetto alle elezioni del ’46, dove insieme avevano riportato un numero di voti notevolmente superiore a quello della Democrazia Cristiana; specialmente nel Nord i risultati furono fortemente inferiori alle aspettative, il Paese era cosciente della necessità di una evoluzione, ma profondamente diversa rispetto a quella proposta dal comunismo.

(anno 2001)

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