Un settantennio elettorale in Italia (1948-2018)
Regresso partecipativo e consultazioni politiche anticipate


Il popolo italiano, dal dopoguerra in poi, è stato chiamato alle urne 18 volte per eleggere la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica (senza contare la consultazione del 1946 per la Costituente abbinata al referendum istituzionale): in tutta sintesi, ogni tre anni e nove mesi, anche se la scadenza naturale delle legislature è fissata in cinque anni. Infatti, per ben otto volte, e quindi nel 45% dei casi, è stato necessario ricorrere al voto anticipato per risolvere sopraggiunti problemi d’ingovernabilità delle Assemblee legislative e di stabilità dell’Esecutivo, cosa che – a prescindere da qualsiasi valutazione politica – esprime un giudizio sostanzialmente automatico sulla precarietà del sistema. Verosimilmente, questa è una ragione non marginale fra quelle che hanno dato luogo alla costante riduzione delle quote di votanti, scese dal 92,1% del 1948, e dal massimo del 93,8 che fu conseguito cinque anni dopo, al 73% del 2018, con una flessione netta di oltre 20 punti, pari alla quinta parte dei votanti.

La storia delle 18 consultazioni politiche tenutesi in Italia durante l’ultimo settantennio è documentata con ampia dovizia di particolari, a cominciare dagli Archivi parlamentari, ma alcune considerazioni essenziali possono essere compendiate nell’ambito di un’informazione d’approccio, sempre utile almeno per i non addetti ai lavori, e quindi per la grande maggioranza del popolo italiano.

La crescente disaffezione nei confronti delle urne è il fenomeno su cui la classe politica dovrebbe sentirsi impegnata a riflettere prioritariamente. Bisogna aggiungere che almeno in due occasioni le sorti di una nuova legislatura furono affidate a uno sparuto numero di voti, quasi a confermare la validità del vecchio assunto secondo cui ogni espressione anche minima della volontà popolare è importante, a prescindere dal suo significato prioritario dal punto di vista dell’uguaglianza e del libero confronto democratico. La prima volta accadde nel 1953, quando il meccanismo di un ampio premio di maggioranza a favore della coalizione dei partiti che ottenesse quella assoluta dei suffragi non andò a buon fine per uno scarto di poco superiore ai 50.000 voti, mentre la seconda occasione si ebbe nel 2006, quando il centro-sinistra prevalse alla Camera per 24.000 voti, pur facendo registrare al Senato una minoranza ugualmente ristretta ma comunque più alta, e conquistando una precaria vittoria per il meccanismo di ripartizione dei seggi.

A proposito di quest’ultima consultazione, giova aggiungere che fu la sola a essere contraddistinta da un momentaneo recupero della percentuale di votanti, sia pure circoscritta a due soli punti, e – cosa non meno degna di nota – dal forte ridimensionamento delle schede bianche e nulle, che complessivamente scesero al 2,9% rispetto al 7,2 del 1996, evidenziando il carattere molto elastico di un sostanziale voto di protesta come quello espresso da tali schede «inutilizzate». In ogni caso, è bene rammentare che quest’ultimo, nella storia elettorale della Repubblica, è stato sempre limitato a cifre relativamente circoscritte, a più forte ragione limitate nei momenti di maggiore accentuazione del confronto tra le diverse proposte elettorali. In entrambi i casi citati, fu decisivo il ruolo esercitato dalle liste non apparentate: accadde nel 1953 per Alleanza Democratica Nazionale (senza dire di altre minori) con circa 100.000 voti, e nel 2006 con Progetto Nord-Est che ne ottenne 90.000, confermando l’assunto secondo cui l’ago della bilancia può spostarsi da una coalizione all’altra grazie alla presenza di formazioni effimere come quelle in questione.

Non serve precisare che i sistemi elettorali sono cambiati più volte, nel difficile intento di assicurare la massima rappresentatività di Camera e Senato, ma più spesso in quello non dichiarato, ma ugualmente palese, di soddisfare le esigenze dei maggiori partiti, fino al punto da escludere il voto di preferenza ai singoli candidati, pur motivato da conclamati episodi di clientelismo. Invece, è d’uopo ricordare che, col passare del tempo, il campo delle possibili scelte è cambiato in maniera totale, nel senso che i partiti del 1948 e di parecchie consultazioni successive non esistono più, avendo lasciato spazio a nuovi soggetti, in parecchi casi del tutto innovativi, e negli altri con richiami sempre più sfumati e marginali a quelli originari. Ciò sembra corrispondere a un’esigenza riveniente dalle mutate condizioni ideologiche, socio-economiche e culturali, ancor prima che strettamente politiche, non senza avvertenze di migliore presentabilità, alla luce di una naturale modificazione del «Volksgeist» popolare, del ruolo esercitato dai cosiddetti poteri forti, e per taluni aspetti, dalla dinamica dei rapporti internazionali.

Una nota di qualche rilievo riguarda le cadenze mensili di chiamata alle urne, che finora hanno avuto riguardo al periodo compreso tra i mesi di febbraio e giugno, con larga prevalenza per la primavera, e con due consultazioni nel tardo inverno. Ovviamente, ciò corrisponde all’opportunità di promuovere una maggiore partecipazione al voto: non a caso, nelle elezioni del 2013 e del 2018, quando i comizi sono stati convocati, rispettivamente, per il 24 febbraio e per il 4 marzo, le percentuali sono scese a nuovi minimi.

In conclusione, la storia elettorale dell’ultimo settantennio evidenzia, come fattore prioritario, quello di un crescente individualismo che conduce a una sorta di «laisser faire» equivalente a una delega in bianco, e nella sostanza delle cose, a una triste deresponsabilizzazione assunta quasi fatalmente da quote sempre maggiori della cittadinanza. Si tratta di un fenomeno comune a diversi Paesi maturi, fra cui parecchie democrazie che vanno per la maggiore, ma ciò non significa che il problema non sussista: anzi, le sue dimensioni si ampliano quasi a dismisura, dimostrando che la questione ha assunto caratteri di rilevanza mondiale, chiamando a riflettere sulla necessità, oggettivamente assoluta, di recuperare un’etica della politica travolta come non mai dal «particulare» di Francesco Guicciardini e di tanti epigoni, ma non avulsa dalla trepida attesa di un convinto recupero dei «valori non negoziabili» e della legge morale intesa come imperativo categorico.

ELEZIONI POLITICHE ITALIANE: QUOTE DEI VOTANTI


Date

Camera
Senato
Camera
Senato

18.04.1948

92,2
92,1
-
-

07.06.1953

93,8
93,8
1,6
1,7

25.05.1958

93,8
93,9
-
0,1

28.04.1963

92,9
93
- 0.9
- 0,9

19.05.1968

92,8
92,7
- 0,1
- 0,3

07.04.1972

93,2
92,7
0,4
-

20.06.1976

93,4
93,3
0,2
0,6

03.06.1979

90,6
90,4
- 2,8
- 2,9

26.06.1983

89
88,6
- 1,6
- 1,8

14.06.1987

88,9
88,4
- 0,1
- 0,2

05.04.1992

87,3
86,8
- 1,6
- 1,6

27.03.1994

86,1
85,8
- 1,2
- 1

09.04.1996

82,9
82,2
- 3,2
- 3,6

13.05.2001

81,4
81,3
- 1,5
- 0,9

09.04.2006

83,6
83,5
2,2
2,2

13.04.2008

80,5
80,4
- 3,1
- 3,1

24.02.2013

75,2
75,1
- 5,3
- 5,3

04.03.2018

72,9
73
- 2,3
- 2,1
(settembre 2022)

Tag: Carlo Cesare Montani, elezioni in Italia, Assemblea Costituente, Camera dei Deputati, Senato della Repubblica, Archivi parlamentari, Alleanza Democratica Nazionale, Progetto Nord-Est, Francesco Guicciardini, elezioni italiane.