Nave Achille Lauro
Tragico transatlantico

L’Achille Lauro è stato un transatlantico teatro di un famoso e tragico dirottamento avvenuto il 7 ottobre 1985, alle ore 13:07, mentre stava effettuando una delle sue crociere. In quel momento, si trovava in pieno Mediterraneo, al largo delle coste egiziane di Alessandria.

La nave, con il nome Willem Ruys, era stata costruita nel 1938 nei cantieri navali Damen Schelde Shipbuilding per conto della società Koninklijke Rotterdamsche (KRL) della città olandese di Flessinga; però fu varata solamente a metà del 1946, sia perché il vararla subito l’avrebbe messa immediatamente sotto il mirino dei bombardieri o del periscopio dei sottomarini nemici, sia perché, pur al riparo nel cantiere, per ben due volte aveva subito danneggiamenti durante bombardamenti, rendendole inattuabile la navigazione.

Il suo tragitto normale era quello legato al trasporto di passeggeri e merci fra l’Europa e l’Australia, per poi dedicarsi a crociere solamente nel Mediterraneo. Nel 1964, fu acquistata dalla Flotta Lauro e battezzata, in onore del suo Presidente, Achille Lauro, appunto. Fu messa a punto nei Cantieri Navali Riuniti di Palermo e nel 1966 fu in grado di riprendere il mare come nuova, a disposizione dei crocieristi.

Purtroppo, non sempre tutto scorre liscio senza lasciare memoria di sé: infatti, nel mese di aprile 1975 nel Golfo dei Dardanelli entrò in collisione con la nave da trasporto bestiame Yousset, che ebbe la peggio e affondò.

In ogni modo, rimessa in sesto, riprese la sua ripetitiva attività. Durante una delle sue crociere, il giorno 7 ottobre 1985, alle ore 13:07, il transatlantico, che da poco era salpato da Alessandria d’Egitto con rotta verso Port Said, dopo aver sbarcato centinaia di passeggeri per una visita alla città del Cairo e un’escursione alle piramidi, con a bordo 344 componenti dell’equipaggio e 201 passeggeri, ebbe la cattiva sorpresa di essere nel mirino del dirottamento attuato da quattro individui appartenenti al Fronte della Liberazione della Palestina (FLP). Questi erano Bassam al-’Askar, Ahmad Ma’ruf al-Asadi, Yusuf Majid al-Mulqi e ’Abd al-Latif Ibrahīm Fata’ir.

Quel giorno, i quattro, che erano saliti a bordo mescolati ai crocieristi, armati fino ai denti, presero il controllo della nave e ordinarono al comandante del transatlantico di fare rotta per Tartus in Siria.

Lo scopo della loro impresa era quello di ottenere la liberazione di una cinquantina di Palestinesi. Questa richiesta fu accompagnata dalla minaccia di uccidere tutti gli Statunitensi presenti a bordo e di far saltare in aria la nave, qualora la loro richiesta non fosse stata soddisfatta.

L’equipaggio della nave riuscì al lanciare il Mayday, che fu captato in Svezia e immediatamente inviato ai Governi delle Nazioni dei crocieristi.

Il mattino successivo, mancando riscontri di alcun tipo, i dirottatori minacciarono di inserire nella lista dei condannati anche tutti i passeggeri inglesi.

E quando l’Achille Lauro si presentò laggiù al porto di Tartus, le autorità portuali ne negarono l’accesso, provocando il malumore dei dirottatori, che non risparmiarono ulteriori minacce. Intanto il Governo Siriano informò del dirottamento sia quello italiano sia quello statunitense, ma non ci fu risposta.

Furono avviate trattative diplomatiche inizialmente molto burrascose che, però, sembravano avere preso una piega positiva quando ci fu l’intervento e il coinvolgimento del Governo Egiziano, del Fronte per la Liberazione della Palestina (FLP) e dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) di Arafat, i cui consiglieri Abu Abbas e Hani el-Hassan riuscirono in un primo momento a convincere i dirottatori ad accettare l’immunità in cambio della resa.

Ma poi, tutto fallì, e i dirottatori, infuriati, annunciarono che alle ore 15:00 avrebbero dato inizio all’uccisione degli ostaggi e puntualmente si diedero da fare per iniziare la strage partendo da un rappresentante di una delle Nazioni di appartenenza, che erano Stati Uniti, Gran Bretagna e Austria.

Le ragioni della scelta furono diverse, ma qualcuna prevalse sulle altre. Fra i passeggeri era il sessantanovenne paraplegico Leon Klinghoffer, inchiodato su una sedia a rotelle, che era in crociera con la moglie Marilyn, per festeggiare il 36° anniversario del matrimonio.

Quando il commando tirò fuori le armi, non tutti se ne stettero buoni e in silenzio, anzi ci furono violente reazioni verbali. In situazioni del genere, tuttavia, per la propria incolumità non conviene reagire in malo modo, perché potrebbe essere pericolosamente controproducente, magari con l’eliminazione dei più facinorosi. Comunque, i crocieristi furono messi in silenzio con la minaccia delle armi da fuoco. Fra quelli che reagirono verbosamente chi maggiormente li infastidì fu proprio il Klinghoffer il quale, forse convinto che i quattro, vedendolo in quelle condizioni, non avrebbero infierito su di lui più di tanto, urlò, imprecò e si oppose energicamente e con parole di fuoco, quando i dirottatori gli tolsero l’orologio e le sigarette; oggetti che poi gli sono stati restituiti.

Questo comportamento indispettì i quattro Palestinesi, i quali, tenuto conto che Leon era Americano (e gli Americani erano amici di Israele, pertanto loro nemici) e per di più Ebreo, egli diveniva la vittima sacrificale ideale per dimostrare al mondo che la Palestina c’era e che voleva il suo legittimo posto nel mondo. Il fatto che l’anziano fosse invalido, paraplegico e costretto a muoversi su una sedia a rotelle era una ragione in più per dimostrare che la scelta era giusta: infatti, il dirottatore Youssef Majed al-Mulqi ebbe più tardi a dire che «io e Bassam al-’Ashkar abbiamo concordato che il primo ostaggio a essere ucciso doveva essere americano. Ho scelto l’invalido Klinghoffer affinché si sapesse che non avevo pietà per nessuno, proprio come gli Americani che, armando Israele, uccidono donne e bambini del nostro popolo».

Egli ordinò al cameriere portoghese Manuel De Souza di spingere la sedia a rotelle con l’Americano sul ponte, fino alla poppa della nave. E, mentre tutti gli altri passeggeri erano stati spostati nel salone, affinché non assistessero a quanto stava per succedere, sparò prima alla testa e poi al petto del poveretto, uccidendolo sul colpo e poi obbligò il Portoghese, con l’aiuto del parrucchiere italiano Ferruccio Alberti, a gettare in mare il corpo dell’invalido insieme con la sua sedia a rotelle.

Molti passeggeri sentirono gli spari e allora tutti si resero conto di quanto fosse successo; e Marilyn, la moglie dell’Americano, non vedendo fra gli ostaggi il marito, temette il peggio. Quando le fu comunicato ciò che era accaduto, fra le lacrime chiese di poter vedere il corpo del marito, ma naturalmente ciò fu impossibile, essendo il corpo di Klinghoffer scomparso nelle profondità del Mare Mediterraneo.

Mulqi diede il passaporto al comandante della nave e gli disse ciò che aveva fatto, indicando chiaramente, con il gesto della mano a formare una pistola, che l’aveva ucciso con un’arma da fuoco.

Naturalmente, il comportamento feroce del commando fece il giro del mondo, indignando tutte le persone civili degne di chiamarsi in tal modo.

A spiegare il fatto ci fu un intervento molto discutibile da parte del Ministro degli Esteri dell’OLP, Farouq Qaddumi, che ebbe il cattivo gusto di esprimere il suo cinico parere, incolpando la povera Marilyn di aver causato la morte del marito per incassare il denaro dell’assicurazione.

Dopo un lungo tira e molla, il 9 ottobre si giunse alla resa alle autorità egiziane da parte del commando con l’impegno che i quattro sarebbero stati portati e liberati in luogo sicuro. I quattro furono prelevati da una motovedetta egiziana, mentre la nave faceva rotta per Port Said.

E così, l’11 ottobre, alle ore 16:15, il commando fu imbarcato su un Boeing 737 della Eghypt Air insieme con Abu Abbas, funzionario dell’OLP, uno di coloro che avevano partecipato ai negoziati, Hani al-Hassan, e diversi diplomatici egiziani con rotta Tunisi.

Il Presidente Americano Ronald Reagan, per non farli finire dove non avrebbe più potuto catturarli, dopo aver chiesto l’autorizzazione al Governo Italiano e averla ottenuta, diede ordine ai suoi caccia F-14 Tomcat di intercettare l’aereo e di farlo dirottare verso la base della NATO all’aeroporto siciliano di Sigonella, dove atterrò alle ore 18:45. Qui, i dirottatori furono presi in custodia da soldati italiani e messi agli arresti.

I dirottatori, sui quali pendeva l’accusa di omicidio volontario, sequestro e detenzione di ostaggi, il 12 ottobre furono internati nel carcere di Siracusa in attesa di processo, destando il malumore del Governo Americano, che voleva approfondire su come veramente si fossero svolti i fatti e processarli negli USA. Abu Abbas, ritenuto semplicemente un testimone che non c’entrava per niente con il dirottamento, fu rimesso in libertà, lasciandolo salire su un aereo jugoslavo a Fiumicino con destinazione Belgrado.

La scelta fatta dal Governo Italiano di non estradare i dirottatori negli Stati Uniti rese il rapporto fra le due Nazioni molto teso, finché il tutto si risolse con l’invito di Ronald Reagan a Bettino Craxi per giungere a un incontro chiarificatore.

Una manifestazione, una specie di finto funerale, fu organizzata a Washington DC davanti all’Ufficio dell’OLP da un gruppo di giovani studenti, per attivare l’attenzione sull’uccisione a freddo del paraplegico veterano militare.

Il corpo di Klinghoffer fu raccolto in mare dai Siriani il 14 o il 15 ottobre e il 20 fu restituito agli USA, che si interessarono del suo funerale, tenuto presso il Tempio Shaaray Tefila di New York, cui parteciparono 800 persone in lutto, e sepolto al Beth David Memorial Park del New Yersey. La moglie morì il 9 febbraio successivo di cancro.

Il 10 luglio 1986, tre dei dirottatori furono condannati a pene detentive da 15 a 30 anni, mentre il quarto, essendo minorenne, fu processato per conto suo.

Il 23 maggio 1987, Abu Abbas, essendo stato dimostrato che era stato l’ideatore del dirottamento, e che lo aveva fatto per mettere in difficoltà la posizione preminente di Yasser Arafat, e per l’uccisione di Klinghoffer, dalla Corte d’Assise di Genova fu condannato all’ergastolo, però in contumacia, essendo lui rifugiato all’estero. Solamente quando Saddam cadde, gli Americani riuscirono a mettergli le mani addosso, imprigionandolo. Pertanto, rimase in carcere in Iraq fino a quando lasciò questo mondo l’8 marzo 2004 per morte naturale.

Il capo dell’OLP, Muhammad Abbas, nel 1996 espresse il suo parere negativo in merito all’azione di cui sopra, ritenendo che si sia trattato di un tragico errore, così come lo fu l’uccisione dell’Americano, e si scusò.

Insomma, ricordando Shakespeare, «molto rumore per nulla»?

(marzo 2023)

Tag: Mario Zaniboni, Achille Lauro, Willem Ruys, Flotta Lauro, Yousset, Bassam al-’Askar, Ahmad Ma’ruf al-Asadi, Yusuf Majid al-Mulqi, ’Abd al-Latif Ibrahīm Fata’ir, Leon Klinghoffer, Palestinesi, Manuel De Souza, Ferruccio Alberti, OLP, Farouq Qaddumi, Port Said, Abu Abbas, Hani al-Hassan, Ronald Reagan, Bettino Craxi, Yasser Arafat, Muhammad Abbas.